Non sapevo
che diamine scrivere. Poi è arrivata Clò e da
un’innocua, cazzarissima frase
del tipo “Certo che Sehun premier
italiano…” è venuto fuori questo.
Prendetevela con lei, se lo riterrete necessario. Io invece la amo
tanto perché
comprende il mio dysagyo come nessun altro.
Era una
giornata di fine giugno. L’aria pesante dello
scirocco rendeva caliginoso
il cielo, velandolo di nuvole come acconto di un imminente cambiamento
di
clima. Va da sé che si moriva di caldo, e
l’asfalto delle strade di Roma scottava.
Sfortuna voleva che proprio quella mattina fosse in programma
un’assemblea in
Senato, nella pittoresca cornice di Palazzo Madama. E Oh Sehunno,
dall’alto
della sua carica di Presidente, era obbligato a presenziare. Ne avrebbe
fatto
volentieri a meno, ad essere sinceri.
Il Senato
era un covo di serpi, un nido di vespe, una fossa piena di leoni in
attesa
della prossima preda da sbranare, più malfamato dei peggiori
bar di Caracas. Un
Inferno in terra, popolato non da diavoli e spiritelli maligni
bensì da
creature decisamente meno raccomandabili: i senatori. Politici di
professione
ma non di vocazione, invischiati in loschi traffici e membri non
dichiarati
della massoneria. Tuttavia, il partito di cui Sehunno era un illustre
esponente, i 4 Astri, era estraneo a simili magheggi. Duri e puri,
questa era
il motto del movimento politico che in una manciata di anni aveva
conquistato il
20% del consenso. Era stato grazie a slogan efficaci, invettive ai
danni della
classe dirigente corrotta e promesse di epurare il marcio che appestava
la
Danimarca [1] che i
Tetrastellati avevano varcato
l’inespugnabile soglia di Palazzo Madama e di Montecitorio,
assicurando ai
propri deputati un impiego sicuro, nonché una comoda
poltrona da scaldare, per
almeno i successivi cinque anni. Sehunno -dal beato scarso quoziente
intellettivo- però ignorava che proprio il segretario del
suo stesso partito,
il famigerato e fantomatico Do Chionsù, fosse il fondatore
della loggia Fagiani
Uniti e probabilmente colluso con la cosca mafiosa dei Bedda Matre [2], potente clan
dell’entroterra catanese. (Ma non sta a noi
rivelarglielo.)
“Boss,
ecco
il testo del discorso di oggi” una voce lo distolse dalle
profonde riflessioni
di carattere etico in cui era sprofondato. La voce in questione
apparteneva a
Yifenzio, ghostwriter personale nonché suo fratello
maggiore.
Sehunno
smise di occhieggiare desideroso il panorama al di fuori del finestrino
e si
rivolse all’uomo sedutogli di fronte nella lussuosa limousine
noleggiata grazie
al tributo pecuniario e inconsapevole dei contribuenti. “Yifè,
ti avrò già detto
un miliardo di volte di non chiamarmi così quando siamo tra
di noi; mi
inquieta. Sei pur sempre il fratellone che mi ha spinto a credere
all’esistenza
di Babbo Natale fino ai diciotto anni” prese i fogli che
l’altro gli tendeva.
“Se
può
consolarti, ci credevo anch’io” borbottò
Yifenzio, vergognoso.
“Questo
significa che anche io ne sono esentato?” arrivò,
esitante, la domanda da parte
di Gionghin, portaborse e amante a tempo perso dell’Onorevole
Sehunno. Diplomatosi
all’Accademia di Arte Drammatica e con studi classici alle
spalle, l’ingenuo
fanciullo si era ritrovato a fare il galoppino per conto di un
individuo che
predicava la fornicazione moderata come valore imprescindibile del Vero
Italiano e che poi, nel privato, metteva in pratica le più
sconce fantasie
sessuali che mente umana abbia mai elaborato. E’ facile
intuire che il giovane,
bello e sprovveduto Gionghin non nutrisse quindi grande fiducia nella
rettitudine della classe politica.
Sehunno si
voltò a guardarlo, gli occhietti porcini illuminati da una
scintilla ben poco
morigerata. “No, tu no. Mi piace quando ti rivolgi a me in
quel modo,
soprattutto in camera da letto” sottolineò
l’oscenità implicita dell’affermazione
con una laida palpatina all’inguine del poveretto.
Gionghin
annaspò simile ad un delfino spiaggiato, Yifenzio
tossì. “Mani a posto, per
favore. Non ho ancora finito di digerire la colazione”
aggrottò le
sopracciglia, severo.
“Scommetto
che tu e Yiscing combinate anche di peggio”
sogghignò il fratello. “Non me la
racconta giusta, quello lì, con quel sorriso ebete
perennemente stampato in
faccia”.
Toccò
a
Gionghin, per pura solidarietà, simulare un colpo di tosse.
“Non sono affari
tuoi!” protestò vivacemente Yifenzio, le labbra
scintillanti di burrocacao
glitterato.
L’automobile,
intanto, si era arrestata dinnanzi all’ingresso principale di
Palazzo Madama.
“Sei sempre il solito puritano” lo prese in giro
Sehunno, scendendo e chiudendo
dietro di sé la portiera.
Gionghin lo
seguì a ruota, intento a reggere le borse che definivano il
suo incarico
(sebbene il termine ‘assistente parlamentare’ fosse
quello politicamente
corretto). Yifenzio sbuffò, sopraffatto dallo sbalzo
termico, e maledisse la
decisione di indossare la giacca per avere più carisma e
sintomatico mistero.
Se non altro, pensò un pochino rinfrancato, di lì
a breve avrebbe incontrato
Yiscing.
Il portiere
di guardia, quando li vide avvicinarsi, sollevò il cappello
in segno di saluto
e rispetto. “Buongiorno, senatore Oh” disse
ignorando, come al solito, i due
uomini che accompagnavano il suddetto.
Sehunno
ricambiò con un cenno distratto del capo.
“Buongiorno, Gelasio”.
In
realtà il
vero nome di Gelasio era Arenio. Ma sono dettagli.
L’ordine
del
giorno prevedeva la discussione del disegno di legge sulle unioni
civili
proposto dalla deputata Cincillà. Il dibattito si trascinava
ormai da diversi mesi,
ostacolato dalle forze di minoranza (e non solo) che vi si opponevano
duramente; in teoria perché spinti dal proprio credo
cattolico, in pratica
perché troppo omofobi e/o microcefali per arrendersi di
fronte all’inevitabile.
A dimostrazione di ciò, quando Sehunno e la sua scorta vi
entrarono si
accorsero che l’aula del Senato era semivuota.
Il Ministro per
le Riforme Costituzionali, Zio Tao, aveva già preso posto.
La sua fama di
reginetto di bellezza (non a caso i mass media dimostravano un morboso
interesse per le sue foto in topless al mare e gli outifit che
sfoggiava
quotidianamente in Parlamento), unita all’appartenenza allo
schieramento
politico di maggioranza, il Partito Popolare, lo rendeva il
più soggetto agli
attacchi dei detrattori. Non bastava che lui si difendesse dichiarando
di non
badare affatto al proprio aspetto e di essere un uomo responsabile,
competente,
all’altezza del ruolo conferitogli dal premier Gianmatteo
Renzini. In pochi si
disturbavano a prenderlo sul serio. E’ la disgrazia di chi
nasce bello in modo
assurdo [3].
Seduto al
lato opposto della sala stava l’Onorevole Yiscing, esponente
di Indipendenza
Padana. Il verde brillante della camicia che indossava richiamava il
colore
della bandiera del partito di cui era, in quel momento,
l’unico presente. Era
un individuo curioso, quel Yiscing. Pareva un pesce fuor
d’acqua, in mezzo ai
compagni di fazione: non condivideva mai nessuna delle loro proposte e,
in
effetti, sembrava che la spinosa questione dell’indipendenza
lo interessasse
solo marginalmente. Yifenzio conosceva la reale motivazione che aveva
spinto
Yiscing, tempo addietro, ad unirsi ad un partito tanto controverso ed
estremista. Egli infatti aveva travisato il significato del verde,
simbolo di Indipendenza
Padana: non stava ad indicare una tendenza al consumo massiccio di erba
e
simili sostanze psicotrope (ma tutte naturali, eh) da parte degli
iscritti.
Quando però Yiscing lo aveva capito, sorpreso e amareggiato,
ci era ormai
dentro fino al collo. E, semplicemente, non aveva avuto il cuore di
abbandonare
i colleghi.
Il senatore
Suo, leader di Vaticano Libero e alleato politico dei 4 Astri,
sventolò la mano
in direzione di Sehunno affinché lo raggiungesse. Accanto a
lui si poteva
scorgere il volto a metà tra l’inespressivo ed il
maniaco omicida di Chionsù.
L’uomo, al contrario di quanto narravano le leggende
metropolitane, era in
grado di sorridere senza apparire sul punto di progettare uno sterminio
di
massa; e il destinatario di tale miracoloso sorriso era, per
l’appunto, il mite
e fervente cattolico Suo.
“Salve,
Sehunno” salutò affabile. “Il clima oggi
non è dei migliori. Gionghin, la vedo
affaticato. Il suo capo la fa riposare a sufficienza? Davvero un bel
completo,
Yifenzio. Spero che vorrà rivelarmi il nome della boutique
in cui l’ha
acquistato” distribuì gentilezze e
cordialità all’intero gruppetto.
Mentre il
portaborse e il ghostwriter di Sehunno occupavano i sedili liberi con
le loro
scartoffie, il rappresentante tetrastellato si prese qualche minuto per
conversare sottovoce con il segretario.
“Qual
è la
direttiva che dobbiamo seguire? Cosa dice il sommo
Parmareggio?” domandò riferendosi
al guru spirituale del Movimento.
“Siamo
di opposizione
a prescindere e dobbiamo andare in culo a Renzini, perciò ci
tocca votare
contro questo disegno di legge” fu la risposta.
“Ma io
voglio che si facciano le unioni civili” si
rabbuiò l’altro. “Ho già
comprato
l’anello di fidanzamento per Gionghin. Non ho prenotato in
Comune né il
catering solo perché altrimenti mia madre e mia suocera mi
ammazzerebbero; sai
come sono le mamme italiane”.
“Che
c’entra, anche a me non darebbero alcun fastidio. Anzi,
potrebbero persino
tornarmi utili” replicò Chionsù
fissando con insistenza la nuca di Suo, in quel
momento nel fitto di una conversazione amichevole con Yifenzio.
“Però siamo
all’opposizione, ricordalo. Scendere a patti con il nemico
non è un’opzione contemplata
dal Sommo”.
“Si
potrebbe
richiedere il voto segreto” propose dopo un attimo di
riflessione. “Così
nessuno dei nostri lo verrebbe a sapere”.
“E’
un’idea,
e nemmeno tanto stupida” lo lodò
Chionsù, sempre con lo sguardo puntato
sull’alleato di Vaticano Libero. “Vedrò
se con un piccolo incoraggiamento da
parte mia riuscirò a far scendere il nostro amico a
più miti consigli”
concluse, il sorriso nuovamente malvagio e calcolatore.
Detto
ciò
afferrò il braccio di Suo e lo trascinò in bagno.
Ci rimasero fino all’inizio
dell’assemblea.
“…Signor
Presidente, noi del Partito Radicale crediamo fermamente nel diritto di
autodeterminazione dell’individuo. Pertanto chiediamo ai
nostri avversari di
mettersi una mano sulla coscienza e agire per il bene del Paese, per
una volta non
accecati da stolti dogmi imposti dalla volontà oscurantista
del Vaticano o da
un tornaconto personale. La legge sulle unioni civili s’ha da
fare, se davvero
ci stanno a cuore il futuro ed il progresso dell’Italia.
Questo è quanto abbiamo
da dire sulla questione”.
“Bravo!
Bis!” applaudì Zio Tao.
“Vai
così bro,
gran bel discorso!” ululò l’Onorevole
Bechiòn, radicale anch’egli. A lui si
unì
Giongdè, il vice segretario.
Il senatore
Yeollo, leader e ragazzo immagine del partito, terminò il
suo -lungo e molto
sentito- monologo con un sospiro di sollievo. Il sostegno dimostratogli
dai
compagni gli faceva piacere, come è ovvio. Tuttavia era il
parere di Zio Tao,
dei Popolari, che gli interessava davvero. I due si corteggiavano a
distanza da
un discreto numero di mesi, scambiandosi sguardi di fuoco e dandosi
manforte
quando serviva, giacché i rispettivi schieramenti non
andavano sempre a
braccetto. Loro, però, non credevano che le divergenze
d’opinione costituissero
un serio ostacolo a quel timido, ancora in sboccio,
ammmòòòreH.
“Presidente,
non ho gradito le parole del mio collega” intervenne Suo.
“Le sue insinuazioni
concernenti l’operare della Santa Madre Chiesa sono faziose e
distorte dal
pregiudizio. Posso garantire personalmente per le buone opere che le
parrocchie
romane realizzano grazie al contributo dei volontari e
dell’otto per mille”
spiegò, indispettito.
“Clericalista!
Baciapile! Bigotto!” lo accusò Giongdè.
“Vergognati,
venduto di ‘sta fonchia! E’ per colpa di quelli
come voi che esistono gli
obiettori di coscienza anche tra i farmacisti. Vergogna! E osate anche
negare
la comunione ai divorziati: davvero una grande prova di
misericordia” rincarò
la dose Bechiòn.
“Almeno
noi evitiamo di dedicarci a bagordi
e
orge sconvenienti!” strepitò Suo. Circolavano
delle voci, mai confermate, che i
tre golden boy radicali intrattenessero un ménage
à trois. Un paio di giornalacci
scandalistici neppure degni di foderare la lettiera del gatto avevano
dedicato
vari articoli all’argomento.
“Senatori,
per favore” mugugnò Sehunno con scarsa
convinzione. Scene simili si
verificavano a cadenza quotidiana. Vi era abituato, ma lo scazzo lo
assaliva
con prepotenza ogni singola volta.
Gionghin,
che conosceva il proprio fidanzato capo meglio di
quanto avrebbe
desiderato, percepì il disagio nella sua voce e si chiese
cosa potesse fare per
alleggerire la tensione. Pensò di rivolgersi ad Yifenzio per
un consiglio, ma
il futuro cognato non gli fu di alcun aiuto. Era talmente concentrato a
scrivere il prossimo discorso (“Cioè insomma io
credo ke si debba fare kuesta
cosa xké è giusto così!! Lo dice la
KostituzioneeeH!1!!”) che nemmeno si
scomodò a leggere l’sms muy caliente appena
inviatogli da Yiscing.
“Ed io
che
temevo di essermi beccato il fratello scemo”
borbottò tra sé e sé Gionghin.
Chionsù
prestava un orecchio distratto al tafferuglio in corso. Stava, infatti,
sostenendo una conversazione via Whatsapp con Minsocco, appartenente
alla
medesima loggia massonica. Costui non era altri che il deputato
insediato da Indipendenza
Padana al Parlamento Europeo; poco importava che l’uomo
ricevesse continue
reprimende in seguito alle numerose assenze. Ciò che contava
era la conquista
della poltrona (e del vitalizio).
“Fratello
muratore [4],
sapessi quanto mi manca il tuo buonsenso. Qui è tutto
così noioso.”
“State
discutendo il DDL sulle unioni
civili, Maestro?”
“Sì,
uno strazio. Nulla che possa
giovare alla nostra causa.”
“Oh,
suvvia, non scherziamo. Persino
a Bruxelles ci si interroga sulla natura della tua relazione con il
vaticanista.”
“Voglio
i nomi di chi osa sparlare
alle mie spalle.”
“Maestro,
non prendere decisioni
affrettate. Non è facile far sparire i corpi, lo sai
bene.”
“Ciò
non toglie che i pettegoli
vadano puniti.”
“A
quello provvederemo in un secondo
momento. Voterai a favore della legge?”
“Non
dovrei, ma lo farò. E’ il solo
modo con cui posso sperare di accalappiare Suo.”
“Una
bella notizia. Che il Grande
Architetto dell’Universo [5]
vegli su di voi.”
D’un
tratto
qualcuno bussò alla porta; calò il silenzio in
aula. Lo stenografo Luano
interruppe il proprio lavoro e andò ad aprire.
“Consegna
a
domicilio, con gli omaggi della casa” proclamò la
voce squillante del fattorino
che porse a Luano una busta di carta e uno scontrino.
“La
ringrazio, buon uomo” sorrise l’altro. E appena la
porta si fu richiusa
annunciò: “Bubble tea aggratis per
tutti!”
Suo e i
radicali, sgolatisi sino ad un secondo prima, approvarono di cuore la
pausa
inaspettata. Chionsù ghignò malvagissimo.
“Evvai,
un’altra bevuta a carico
dello Stato. Benedetto sia chi ha inventato il rimborso
spese” digitò
un nuovo messaggio per
Minsocco. Il quale, un filino invidioso, non poté che
concordare.
Poco prima
che la merenda volgesse al termine, Gionghin si avvicinò
alla postazione dello
stenografo. “Luano, di grazia, potrebbe gentilmente fornirmi
il verbale
dell’assemblea di ieri? Il Presidente ne ha
bisogno”.
“Eeeeh”
tergiversò Luano. Gionghin gli stava davvero, davvero
simpatico. Era un
tesoro di ragazzo, tanto simile al barboncino color miele che era
stato il suo
amico d’infanzia più caro… ma non
poteva aiutarlo. In alcun modo.
“E’
urgente”
insistette il portaborse, supplice.
“Le
darei
volentieri una mano, mi creda. Purtroppo però non ce
l’ho con me”.
“Capisco.
Quello
di oggi, almeno?” indicò il lungo foglio che
usciva dalla macchina
stenografica.
“NO!”
sobbalzò Luano, avventandosi sulla carta come un forsennato.
“No, sono
spiacente, non ho ancora avuto il tempo di trascriverlo”
negò recisamente. “Le
prometto che domani mattina avrà entrambi i
resoconti”.
“Oh”
Gionghin parve impensierito. “Certo, capisco.
Dovrò faticare a convincerlo, ma
penso che il Presidente potrà aspettare. Non al
più tardi di domani, siamo
intesi?”
“Croce
sul
cuore” giurò Luano. “Grazie per la
comprensione” sorrise falsissimo.
Appena
l’altro
se ne fu andato, lo stenografo si affrettò ad infilare il
foglio incriminato
nella propria ventiquattrore. Egli, infatti, non aveva appuntato una
singola
parola della bagarre avvenuta in Senato. Perché Luano aveva
un segreto: lui, invece
di lavorare, scriveva fyccine.
(Per il
gaudio degli esimi lettori riportiamo qui sotto un estratto della sua
ultima
opera.)
« “Oh Luano, Luano, perché sei
tu Luano?
Rinuncia al tuo nome, dimentica la faida delle nostre famiglie e
trombami come
se non ci fosse un domani. Voglio sentire la tua virilità
farsi strada nel mia
virginea fessura, stretta e calda al punto giusto. Voglio che tu mi
violi
facendomi sentire come una puttana comprata per pochi soldi, ma al
tempo stesso
mi dovrai trattare come la principessa che ho sempre saputo di essere.
Vieni,
mio stallone purosangue, e cavalcami tutta la notte!”
Il giovin Luano
deglutì con grande
sforzo. La vista che gli si presentava dinnanzi agli occhi avrebbe
indotto in
tentazione persino un rigoroso monaco trappista: la pelle candida e
morbida
alla sua mercé, le labbra rosse e succulente che lo
chiamavano, gli occhi
splendenti come il firmamento e quella carne soda, fremente solo per
lui, che
si infuocava al suo tocco e attendeva di essere marchiata dalla sua
gloriosa
mazza. Non riuscì a resistere. Nemmeno ci provò.
“Placa
i tuoi ardori, Minsocco, avrai
presto quel che mi chiedi. Grazie a me toccherai le più alte
vette del piacere.
E dopo aver assaggiato il mio potente giavellotto non potrai
più farne a meno”.
»
(Eh
già. Si
dava il caso che Luano e l’europarlamentare assenteista,
nonché massone,
avessero una storia a distanza. Quanto però Minsocco si
mantenesse fedele al
fidanzato non è dato saperlo. Luano sublimava il suo senso
di solitudine e la libido
galoppante di un toro dedicandosi anima e corpo a fyccine di dubbio
gusto. Del
resto, ognuno ha le proprie perversioni.)
Scoccate le
nove e mezza di sera, i quattro gatti che presenziavano in Senato non
erano
ancora giunti ad una conclusione che soddisfacesse la maggioranza,
peraltro
esigua. I radicali e Suo avevano proseguito imperterriti ad insultarsi
nei modi
più coloriti, mentre Zio Tao faceva il tifo per Yeollo e
Chionsù invece si
divideva tra lo smartphone e il palpeggiamento discreto del sinuoso
corpo appartenente
al distratto, giacché invasato dalla lite, bel vaticanista.
Gionghin, intanto, cercava
di non crollare addormentato sul banco. Yifenzio si scambiava bacini
vezzosi
con Yiscing, il quale nel frattempo si era acceso una canna ignorando
beatamente i cartelli che segnalavano il divieto di fumo in luoghi
pubblici.
Luano si girava i pollici. Sehunno, dopo un tentativo andato a male di
promulgare una legge che gli garantisse il possesso esclusivo del
deretano di Gionghin,
era caduto in uno stato di coma cerebrale profondo.
A salvare la
situazione intervenne Arenio, l’usciere. L’omino
bussò alla porta onde
ricordare agli onorevolissimi Onorevoli che Palazzo Madama avrebbe
presto
chiuso i battenti. A quel punto Sehunno, dopo averlo congedato con un
cortese:
“Buona serata, Gelasio”, suonò la
campanella che sanciva la fine di quello
strazio.
“Signori,
l’udienza è sospesa” decretò,
osservando i colleghi che raccoglievano le
proprie cose e battevano in ritirata. “E anche oggi si decide
domani” aggiunse,
alzandosi.
[1] Citazione
dell’Amleto.
[2] Letteralmente
“Bella madre”, è un intercalare
siciliano.
[3] Da Zoolander
con furore!
[4] Appellativo con
cui si chiamano i massoni tra di
loro.
[5]
L’entità superiore in cui credono i massoni.
A chi erano
mancate le mie note a margine?!
Sono
arcisicura che questa ultima fyccina farà storcere il naso a
parecchi di voi.
Il motivo è semplice: la satira mette a disagio. Suscita
ilarità, sì, ma lascia
anche un grande senso di amarezza nel pubblico. Non si tratta di un
film
comico, inventato dall’inizio alla fine; è la
realtà che si sta prendendo di
mira, il quotidiano. Parafrasando un celeberrima frase di Gaio Lucilio,
la
satira ha il compito -ridendo- di castigare i costumi corrotti della
società.
Perché
questo spiegone…? Non c’è un vero
motivo, mi sentivo di farlo. La mia è una
parodia feroce della politica italiana, tuttavia non ritengo di dover
condannare in toto i politici. Plinio il vecchio era solito dire che
non c’era
libro, per cattivo che fosse, che non avesse qualche buona
qualità. Una perla
di saggezza applicabile a qualsiasi contesto ed epoca storica.
Una
cliccatina è sempre gradita: https://www.facebook.com/IlGeniodelMaleEFP/.
Alla
prossima!