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Autore: Il_Genio_del_Male    02/07/2016    10 recensioni
"Il potere corrompe. Il potere assoluto è piuttosto gradevole." (John Lehman)
[Senato!AU]
Genere: Generale, Parodia, Satirico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Quei fagiani maledetti'
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Non sapevo che diamine scrivere. Poi è arrivata Clò e da un’innocua, cazzarissima frase del tipo “Certo che Sehun premier italiano…” è venuto fuori questo. Prendetevela con lei, se lo riterrete necessario. Io invece la amo tanto perché comprende il mio dysagyo come nessun altro.

 

 

 

 

 

Era una giornata di fine giugno. L’aria pesante dello scirocco rendeva caliginoso il cielo, velandolo di nuvole come acconto di un imminente cambiamento di clima. Va da sé che si moriva di caldo, e l’asfalto delle strade di Roma scottava. Sfortuna voleva che proprio quella mattina fosse in programma un’assemblea in Senato, nella pittoresca cornice di Palazzo Madama. E Oh Sehunno, dall’alto della sua carica di Presidente, era obbligato a presenziare. Ne avrebbe fatto volentieri a meno, ad essere sinceri.

Il Senato era un covo di serpi, un nido di vespe, una fossa piena di leoni in attesa della prossima preda da sbranare, più malfamato dei peggiori bar di Caracas. Un Inferno in terra, popolato non da diavoli e spiritelli maligni bensì da creature decisamente meno raccomandabili: i senatori. Politici di professione ma non di vocazione, invischiati in loschi traffici e membri non dichiarati della massoneria. Tuttavia, il partito di cui Sehunno era un illustre esponente, i 4 Astri, era estraneo a simili magheggi. Duri e puri, questa era il motto del movimento politico che in una manciata di anni aveva conquistato il 20% del consenso. Era stato grazie a slogan efficaci, invettive ai danni della classe dirigente corrotta e promesse di epurare il marcio che appestava la Danimarca [1] che i Tetrastellati avevano varcato l’inespugnabile soglia di Palazzo Madama e di Montecitorio, assicurando ai propri deputati un impiego sicuro, nonché una comoda poltrona da scaldare, per almeno i successivi cinque anni. Sehunno -dal beato scarso quoziente intellettivo- però ignorava che proprio il segretario del suo stesso partito, il famigerato e fantomatico Do Chionsù, fosse il fondatore della loggia Fagiani Uniti e probabilmente colluso con la cosca mafiosa dei Bedda Matre [2], potente clan dell’entroterra catanese. (Ma non sta a noi rivelarglielo.)

“Boss, ecco il testo del discorso di oggi” una voce lo distolse dalle profonde riflessioni di carattere etico in cui era sprofondato. La voce in questione apparteneva a Yifenzio, ghostwriter personale nonché suo fratello maggiore.

Sehunno smise di occhieggiare desideroso il panorama al di fuori del finestrino e si rivolse all’uomo sedutogli di fronte nella lussuosa limousine noleggiata grazie al tributo pecuniario e inconsapevole dei contribuenti. “Yifè, ti avrò già detto un miliardo di volte di non chiamarmi così quando siamo tra di noi; mi inquieta. Sei pur sempre il fratellone che mi ha spinto a credere all’esistenza di Babbo Natale fino ai diciotto anni” prese i fogli che l’altro gli tendeva.

“Se può consolarti, ci credevo anch’io” borbottò Yifenzio, vergognoso.

“Questo significa che anche io ne sono esentato?” arrivò, esitante, la domanda da parte di Gionghin, portaborse e amante a tempo perso dell’Onorevole Sehunno. Diplomatosi all’Accademia di Arte Drammatica e con studi classici alle spalle, l’ingenuo fanciullo si era ritrovato a fare il galoppino per conto di un individuo che predicava la fornicazione moderata come valore imprescindibile del Vero Italiano e che poi, nel privato, metteva in pratica le più sconce fantasie sessuali che mente umana abbia mai elaborato. E’ facile intuire che il giovane, bello e sprovveduto Gionghin non nutrisse quindi grande fiducia nella rettitudine della classe politica.

Sehunno si voltò a guardarlo, gli occhietti porcini illuminati da una scintilla ben poco morigerata. “No, tu no. Mi piace quando ti rivolgi a me in quel modo, soprattutto in camera da letto” sottolineò l’oscenità implicita dell’affermazione con una laida palpatina all’inguine del poveretto.

Gionghin annaspò simile ad un delfino spiaggiato, Yifenzio tossì. “Mani a posto, per favore. Non ho ancora finito di digerire la colazione” aggrottò le sopracciglia, severo.

“Scommetto che tu e Yiscing combinate anche di peggio” sogghignò il fratello. “Non me la racconta giusta, quello lì, con quel sorriso ebete perennemente stampato in faccia”.

Toccò a Gionghin, per pura solidarietà, simulare un colpo di tosse. “Non sono affari tuoi!” protestò vivacemente Yifenzio, le labbra scintillanti di burrocacao glitterato.

L’automobile, intanto, si era arrestata dinnanzi all’ingresso principale di Palazzo Madama. “Sei sempre il solito puritano” lo prese in giro Sehunno, scendendo e chiudendo dietro di sé la portiera.

Gionghin lo seguì a ruota, intento a reggere le borse che definivano il suo incarico (sebbene il termine ‘assistente parlamentare’ fosse quello politicamente corretto). Yifenzio sbuffò, sopraffatto dallo sbalzo termico, e maledisse la decisione di indossare la giacca per avere più carisma e sintomatico mistero. Se non altro, pensò un pochino rinfrancato, di lì a breve avrebbe incontrato Yiscing.

Il portiere di guardia, quando li vide avvicinarsi, sollevò il cappello in segno di saluto e rispetto. “Buongiorno, senatore Oh” disse ignorando, come al solito, i due uomini che accompagnavano il suddetto.

Sehunno ricambiò con un cenno distratto del capo. “Buongiorno, Gelasio”.

In realtà il vero nome di Gelasio era Arenio. Ma sono dettagli.

 

 

L’ordine del giorno prevedeva la discussione del disegno di legge sulle unioni civili proposto dalla deputata Cincillà. Il dibattito si trascinava ormai da diversi mesi, ostacolato dalle forze di minoranza (e non solo) che vi si opponevano duramente; in teoria perché spinti dal proprio credo cattolico, in pratica perché troppo omofobi e/o microcefali per arrendersi di fronte all’inevitabile. A dimostrazione di ciò, quando Sehunno e la sua scorta vi entrarono si accorsero che l’aula del Senato era semivuota.

Il Ministro per le Riforme Costituzionali, Zio Tao, aveva già preso posto. La sua fama di reginetto di bellezza (non a caso i mass media dimostravano un morboso interesse per le sue foto in topless al mare e gli outifit che sfoggiava quotidianamente in Parlamento), unita all’appartenenza allo schieramento politico di maggioranza, il Partito Popolare, lo rendeva il più soggetto agli attacchi dei detrattori. Non bastava che lui si difendesse dichiarando di non badare affatto al proprio aspetto e di essere un uomo responsabile, competente, all’altezza del ruolo conferitogli dal premier Gianmatteo Renzini. In pochi si disturbavano a prenderlo sul serio. E’ la disgrazia di chi nasce bello in modo assurdo [3].

Seduto al lato opposto della sala stava l’Onorevole Yiscing, esponente di Indipendenza Padana. Il verde brillante della camicia che indossava richiamava il colore della bandiera del partito di cui era, in quel momento, l’unico presente. Era un individuo curioso, quel Yiscing. Pareva un pesce fuor d’acqua, in mezzo ai compagni di fazione: non condivideva mai nessuna delle loro proposte e, in effetti, sembrava che la spinosa questione dell’indipendenza lo interessasse solo marginalmente. Yifenzio conosceva la reale motivazione che aveva spinto Yiscing, tempo addietro, ad unirsi ad un partito tanto controverso ed estremista. Egli infatti aveva travisato il significato del verde, simbolo di Indipendenza Padana: non stava ad indicare una tendenza al consumo massiccio di erba e simili sostanze psicotrope (ma tutte naturali, eh) da parte degli iscritti. Quando però Yiscing lo aveva capito, sorpreso e amareggiato, ci era ormai dentro fino al collo. E, semplicemente, non aveva avuto il cuore di abbandonare i colleghi.

Il senatore Suo, leader di Vaticano Libero e alleato politico dei 4 Astri, sventolò la mano in direzione di Sehunno affinché lo raggiungesse. Accanto a lui si poteva scorgere il volto a metà tra l’inespressivo ed il maniaco omicida di Chionsù. L’uomo, al contrario di quanto narravano le leggende metropolitane, era in grado di sorridere senza apparire sul punto di progettare uno sterminio di massa; e il destinatario di tale miracoloso sorriso era, per l’appunto, il mite e fervente cattolico Suo.

“Salve, Sehunno” salutò affabile. “Il clima oggi non è dei migliori. Gionghin, la vedo affaticato. Il suo capo la fa riposare a sufficienza? Davvero un bel completo, Yifenzio. Spero che vorrà rivelarmi il nome della boutique in cui l’ha acquistato” distribuì gentilezze e cordialità all’intero gruppetto.

Mentre il portaborse e il ghostwriter di Sehunno occupavano i sedili liberi con le loro scartoffie, il rappresentante tetrastellato si prese qualche minuto per conversare sottovoce con il segretario.

“Qual è la direttiva che dobbiamo seguire? Cosa dice il sommo Parmareggio?” domandò riferendosi al guru spirituale del Movimento.

“Siamo di opposizione a prescindere e dobbiamo andare in culo a Renzini, perciò ci tocca votare contro questo disegno di legge” fu la risposta.

“Ma io voglio che si facciano le unioni civili” si rabbuiò l’altro. “Ho già comprato l’anello di fidanzamento per Gionghin. Non ho prenotato in Comune né il catering solo perché altrimenti mia madre e mia suocera mi ammazzerebbero; sai come sono le mamme italiane”.

“Che c’entra, anche a me non darebbero alcun fastidio. Anzi, potrebbero persino tornarmi utili” replicò Chionsù fissando con insistenza la nuca di Suo, in quel momento nel fitto di una conversazione amichevole con Yifenzio. “Però siamo all’opposizione, ricordalo. Scendere a patti con il nemico non è un’opzione contemplata dal Sommo”.

“Si potrebbe richiedere il voto segreto” propose dopo un attimo di riflessione. “Così nessuno dei nostri lo verrebbe a sapere”.

“E’ un’idea, e nemmeno tanto stupida” lo lodò Chionsù, sempre con lo sguardo puntato sull’alleato di Vaticano Libero. “Vedrò se con un piccolo incoraggiamento da parte mia riuscirò a far scendere il nostro amico a più miti consigli” concluse, il sorriso nuovamente malvagio e calcolatore.

Detto ciò afferrò il braccio di Suo e lo trascinò in bagno. Ci rimasero fino all’inizio dell’assemblea.

 

 

“…Signor Presidente, noi del Partito Radicale crediamo fermamente nel diritto di autodeterminazione dell’individuo. Pertanto chiediamo ai nostri avversari di mettersi una mano sulla coscienza e agire per il bene del Paese, per una volta non accecati da stolti dogmi imposti dalla volontà oscurantista del Vaticano o da un tornaconto personale. La legge sulle unioni civili s’ha da fare, se davvero ci stanno a cuore il futuro ed il progresso dell’Italia. Questo è quanto abbiamo da dire sulla questione”.

“Bravo! Bis!” applaudì Zio Tao.

“Vai così bro, gran bel discorso!” ululò l’Onorevole Bechiòn, radicale anch’egli. A lui si unì Giongdè, il vice segretario.

Il senatore Yeollo, leader e ragazzo immagine del partito, terminò il suo -lungo e molto sentito- monologo con un sospiro di sollievo. Il sostegno dimostratogli dai compagni gli faceva piacere, come è ovvio. Tuttavia era il parere di Zio Tao, dei Popolari, che gli interessava davvero. I due si corteggiavano a distanza da un discreto numero di mesi, scambiandosi sguardi di fuoco e dandosi manforte quando serviva, giacché i rispettivi schieramenti non andavano sempre a braccetto. Loro, però, non credevano che le divergenze d’opinione costituissero un serio ostacolo a quel timido, ancora in sboccio, ammmòòòreH.

“Presidente, non ho gradito le parole del mio collega” intervenne Suo. “Le sue insinuazioni concernenti l’operare della Santa Madre Chiesa sono faziose e distorte dal pregiudizio. Posso garantire personalmente per le buone opere che le parrocchie romane realizzano grazie al contributo dei volontari e dell’otto per mille” spiegò, indispettito.

“Clericalista! Baciapile! Bigotto!” lo accusò Giongdè.

“Vergognati, venduto di ‘sta fonchia! E’ per colpa di quelli come voi che esistono gli obiettori di coscienza anche tra i farmacisti. Vergogna! E osate anche negare la comunione ai divorziati: davvero una grande prova di misericordia” rincarò la dose Bechiòn.

“Almeno noi evitiamo di dedicarci a bagordi e orge sconvenienti!” strepitò Suo. Circolavano delle voci, mai confermate, che i tre golden boy radicali intrattenessero un ménage à trois. Un paio di giornalacci scandalistici neppure degni di foderare la lettiera del gatto avevano dedicato vari articoli all’argomento.

“Senatori, per favore” mugugnò Sehunno con scarsa convinzione. Scene simili si verificavano a cadenza quotidiana. Vi era abituato, ma lo scazzo lo assaliva con prepotenza ogni singola volta.

Gionghin, che conosceva il proprio fidanzato capo meglio di quanto avrebbe desiderato, percepì il disagio nella sua voce e si chiese cosa potesse fare per alleggerire la tensione. Pensò di rivolgersi ad Yifenzio per un consiglio, ma il futuro cognato non gli fu di alcun aiuto. Era talmente concentrato a scrivere il prossimo discorso (“Cioè insomma io credo ke si debba fare kuesta cosa xké è giusto così!! Lo dice la KostituzioneeeH!1!!”) che nemmeno si scomodò a leggere l’sms muy caliente appena inviatogli da Yiscing.

“Ed io che temevo di essermi beccato il fratello scemo” borbottò tra sé e sé Gionghin.

Chionsù prestava un orecchio distratto al tafferuglio in corso. Stava, infatti, sostenendo una conversazione via Whatsapp con Minsocco, appartenente alla medesima loggia massonica. Costui non era altri che il deputato insediato da Indipendenza Padana al Parlamento Europeo; poco importava che l’uomo ricevesse continue reprimende in seguito alle numerose assenze. Ciò che contava era la conquista della poltrona (e del vitalizio).

“Fratello muratore [4], sapessi quanto mi manca il tuo buonsenso. Qui è tutto così noioso.”

“State discutendo il DDL sulle unioni civili, Maestro?”

“Sì, uno strazio. Nulla che possa giovare alla nostra causa.”

“Oh, suvvia, non scherziamo. Persino a Bruxelles ci si interroga sulla natura della tua relazione con il vaticanista.”

“Voglio i nomi di chi osa sparlare alle mie spalle.”

“Maestro, non prendere decisioni affrettate. Non è facile far sparire i corpi, lo sai bene.”

“Ciò non toglie che i pettegoli vadano puniti.”

“A quello provvederemo in un secondo momento. Voterai a favore della legge?”

“Non dovrei, ma lo farò. E’ il solo modo con cui posso sperare di accalappiare Suo.”

“Una bella notizia. Che il Grande Architetto dell’Universo [5] vegli su di voi.”

D’un tratto qualcuno bussò alla porta; calò il silenzio in aula. Lo stenografo Luano interruppe il proprio lavoro e andò ad aprire.

“Consegna a domicilio, con gli omaggi della casa” proclamò la voce squillante del fattorino che porse a Luano una busta di carta e uno scontrino.

“La ringrazio, buon uomo” sorrise l’altro. E appena la porta si fu richiusa annunciò: “Bubble tea aggratis per tutti!”

Suo e i radicali, sgolatisi sino ad un secondo prima, approvarono di cuore la pausa inaspettata. Chionsù ghignò malvagissimo.

“Evvai, un’altra bevuta a carico dello Stato. Benedetto sia chi ha inventato il rimborso spese” digitò un nuovo messaggio per Minsocco. Il quale, un filino invidioso, non poté che concordare.

 

 

Poco prima che la merenda volgesse al termine, Gionghin si avvicinò alla postazione dello stenografo. “Luano, di grazia, potrebbe gentilmente fornirmi il verbale dell’assemblea di ieri? Il Presidente ne ha bisogno”.

“Eeeeh” tergiversò Luano. Gionghin gli stava davvero, davvero simpatico. Era un tesoro di ragazzo, tanto simile al barboncino color miele che era stato il suo amico d’infanzia più caro… ma non poteva aiutarlo. In alcun modo.

“E’ urgente” insistette il portaborse, supplice.

“Le darei volentieri una mano, mi creda. Purtroppo però non ce l’ho con me”.

“Capisco. Quello di oggi, almeno?” indicò il lungo foglio che usciva dalla macchina stenografica.

“NO!” sobbalzò Luano, avventandosi sulla carta come un forsennato. “No, sono spiacente, non ho ancora avuto il tempo di trascriverlo” negò recisamente. “Le prometto che domani mattina avrà entrambi i resoconti”.

“Oh” Gionghin parve impensierito. “Certo, capisco. Dovrò faticare a convincerlo, ma penso che il Presidente potrà aspettare. Non al più tardi di domani, siamo intesi?”

“Croce sul cuore” giurò Luano. “Grazie per la comprensione” sorrise falsissimo.

Appena l’altro se ne fu andato, lo stenografo si affrettò ad infilare il foglio incriminato nella propria ventiquattrore. Egli, infatti, non aveva appuntato una singola parola della bagarre avvenuta in Senato. Perché Luano aveva un segreto: lui, invece di lavorare, scriveva fyccine.

(Per il gaudio degli esimi lettori riportiamo qui sotto un estratto della sua ultima opera.)

« “Oh Luano, Luano, perché sei tu Luano? Rinuncia al tuo nome, dimentica la faida delle nostre famiglie e trombami come se non ci fosse un domani. Voglio sentire la tua virilità farsi strada nel mia virginea fessura, stretta e calda al punto giusto. Voglio che tu mi violi facendomi sentire come una puttana comprata per pochi soldi, ma al tempo stesso mi dovrai trattare come la principessa che ho sempre saputo di essere. Vieni, mio stallone purosangue, e cavalcami tutta la notte!”

Il giovin Luano deglutì con grande sforzo. La vista che gli si presentava dinnanzi agli occhi avrebbe indotto in tentazione persino un rigoroso monaco trappista: la pelle candida e morbida alla sua mercé, le labbra rosse e succulente che lo chiamavano, gli occhi splendenti come il firmamento e quella carne soda, fremente solo per lui, che si infuocava al suo tocco e attendeva di essere marchiata dalla sua gloriosa mazza. Non riuscì a resistere. Nemmeno ci provò.

“Placa i tuoi ardori, Minsocco, avrai presto quel che mi chiedi. Grazie a me toccherai le più alte vette del piacere. E dopo aver assaggiato il mio potente giavellotto non potrai più farne a meno”. »

(Eh già. Si dava il caso che Luano e l’europarlamentare assenteista, nonché massone, avessero una storia a distanza. Quanto però Minsocco si mantenesse fedele al fidanzato non è dato saperlo. Luano sublimava il suo senso di solitudine e la libido galoppante di un toro dedicandosi anima e corpo a fyccine di dubbio gusto. Del resto, ognuno ha le proprie perversioni.)

 

 

Scoccate le nove e mezza di sera, i quattro gatti che presenziavano in Senato non erano ancora giunti ad una conclusione che soddisfacesse la maggioranza, peraltro esigua. I radicali e Suo avevano proseguito imperterriti ad insultarsi nei modi più coloriti, mentre Zio Tao faceva il tifo per Yeollo e Chionsù invece si divideva tra lo smartphone e il palpeggiamento discreto del sinuoso corpo appartenente al distratto, giacché invasato dalla lite, bel vaticanista. Gionghin, intanto, cercava di non crollare addormentato sul banco. Yifenzio si scambiava bacini vezzosi con Yiscing, il quale nel frattempo si era acceso una canna ignorando beatamente i cartelli che segnalavano il divieto di fumo in luoghi pubblici. Luano si girava i pollici. Sehunno, dopo un tentativo andato a male di promulgare una legge che gli garantisse il possesso esclusivo del deretano di Gionghin, era caduto in uno stato di coma cerebrale profondo.

A salvare la situazione intervenne Arenio, l’usciere. L’omino bussò alla porta onde ricordare agli onorevolissimi Onorevoli che Palazzo Madama avrebbe presto chiuso i battenti. A quel punto Sehunno, dopo averlo congedato con un cortese: “Buona serata, Gelasio”, suonò la campanella che sanciva la fine di quello strazio.

“Signori, l’udienza è sospesa” decretò, osservando i colleghi che raccoglievano le proprie cose e battevano in ritirata. “E anche oggi si decide domani” aggiunse, alzandosi.

 

 

 

 

[1] Citazione dell’Amleto.

[2] Letteralmente “Bella madre”, è un intercalare siciliano.

[3] Da Zoolander con furore!

[4] Appellativo con cui si chiamano i massoni tra di loro.

[5] L’entità superiore in cui credono i massoni.

 

A chi erano mancate le mie note a margine?!

Sono arcisicura che questa ultima fyccina farà storcere il naso a parecchi di voi. Il motivo è semplice: la satira mette a disagio. Suscita ilarità, sì, ma lascia anche un grande senso di amarezza nel pubblico. Non si tratta di un film comico, inventato dall’inizio alla fine; è la realtà che si sta prendendo di mira, il quotidiano. Parafrasando un celeberrima frase di Gaio Lucilio, la satira ha il compito -ridendo- di castigare i costumi corrotti della società.

Perché questo spiegone…? Non c’è un vero motivo, mi sentivo di farlo. La mia è una parodia feroce della politica italiana, tuttavia non ritengo di dover condannare in toto i politici. Plinio il vecchio era solito dire che non c’era libro, per cattivo che fosse, che non avesse qualche buona qualità. Una perla di saggezza applicabile a qualsiasi contesto ed epoca storica.

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Alla prossima!

   
 
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