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Autore: Gattopersiano    03/07/2016    5 recensioni
Arianna è una ragazza di diciassette anni. Difende a spada tratta le persone che ama, non si fa mettere i piedi in testa da nessuno, e dalla vita ha imparato ad essere gentile e ad avere coraggio. La sua vita scivola nella monotonia, e in un giorno d'estate decide di darle una svolta radicale, facendo qualcosa che nessuno si aspetterebbe da lei: così si iscrive ad un corso di pre-pugilistica. Sarà lì, in una palestra sgangherata, che lo sguardo di Riccardo la fulminerà per la prima volta. Riccardo è forte e freddo, un leone solitario e ferito che non ha intenzione di avvicinare nessuno, tantomeno una come Arianna. Tuttavia i due inizieranno ad essere legati, lentamente ed inesorabilmente, da un filo sottile e deciso, e le loro vite si scontreranno.
Genere: Erotico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon, Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Contesto generale/vago, Universitario
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Rientrai in casa e collassai sul letto con una strana sensazione addosso.
Era filato tutto liscio al ristorante e anche dopo, ma quel momento di vicinanza avuto in macchina non si era più ripetuto per tutta la sera. Era come se lui si fosse affacciato sul bordo del burrone deciso a buttarsi giù, ma poi avesse fatto marcia indietro, tornando nella sua zona territoriale senza spingersi oltre.
Aveva scherzato con me ed era stato malizioso e pungente -anche se non ai livelli della mattina in palestra- ma sentivo di nuovo la barriera tra noi, quella che avevo sperato fosse svanita. 
Era come se fosse uscito con un'amica o una potenziale più che amica per passare qualche ora in compagnia, fare qualche battuta e niente più.
C'erano persone che ci provavano gusto a vivere così -superficialmente e sulla base del niente- ma io non ero una di quelle. Io volevo il Riccardo che avevo ascoltato parlare durante tutto il viaggio in macchina, non il bamboccione freddo e provocante che aveva cenato con me. La persona che mi aveva abbracciato sembrava svanita, tanto che mi ritrovai a pensare di essermi inventata l'intera scena.
Mi addormentai con una sensazione di incompletezza.

La mattina dopo fu caotica, e non ebbi il tempo nè la voglia di pensare a Riccardo; dovetti accompagnare Fra a visitare la sala per la prima volta, nel palazzo comunale della città, in pieno centro.
Era un palazzo a due piani vecchio stile, di quelli che tappezzano Roma e che i turisti giapponesi fotografano da mille angolature; 
ci sarebbe stata la presentazione e l'intervista al primo piano, alla quale ovviamente il pubblico avrebbe potuto assistere, e dopodichè sarebbe stata aperta la sala al piano terra con i quadri esposti per tutta la settimana successiva.
Fu la prima volta dopo giorni che vidi di nuovo Fra illuminarsi in un sorriso dei suoi, vero e perfetto. Camminava lentamente per la sala - svuotata da una precedente esposizione fotografica - con un sorriso a trentadue denti sulle labbra colorate dal rossetto. Le mani mangiucchiate scorrevano sui muri leggere, sembrava che danzasse di felicità. "E' perfetta."
Portai il mio curriculum -scarso, devo dire- a più o meno tutte le redazioni giornalistiche della città, dicendo che ero volenterosa di imparare, e passando in macchina davanti la palestra notai che nel tabacchi accanto alla gelateria c'era un cartello "Cercasi cassiera".
Lasciai un recapito anche lì per non lasciare niente di intentato e finalmente tornai a casa e mi concessi qualche ora di riposo, prima di preparare di nuovo tutto e andare in palestra.
Speravo ardentemente di trovarmi un lavoretto estivo per tenermi occupata e guadagnare qualcosa.

Nè Riccardo nè Alessandro c'erano, e Daniele non mi disse nulla su di loro, cosa che mi suonò strana.
Da una parte avrei voluto vedere Riccardo dopo l'appuntamento, ma dall'altra ero contenta che non ci fosse, perchè la sua persona mi stava letteralmente assorbendo. Pensavo a lui continuamente, e cercare di decifrare i suoi comportamenti mi sfiancava ogni volta.
Mi allenai, faticai, e notai che alcuni ragazzi mi guardavano in modo curioso; forse gli piacevo, forse con loro sarebbe stato facile e naturale.
Daniele mi disse che conosceva il tizio della tabaccheria e che avrebbe messo una buona parola per farmi lavorare - ovviamente senza rinunciare all'allenamento quotidiano - e io non potei fare a meno di ringraziarlo mille volte.
Mentre cenavo svogliatamente, pensavo che Riccardo aveva il mio numero, ma non mi aveva contattato neanche una volta nell'arco della giornata.
Istintivamente ripensai alle parole di Fra riguardo Alessandro "Ci sentiamo ogni giorno, di continuo, lui non riesce a non chiamarmi o a non mandarmi un sms ogni quattro ore" e provai un'istintiva fitta di frustrazione.

Fra non è proprio la persona a cui dovresti paragonarti in questo momento visto quanto sta soffrendo. Pensa ad altro.

Ma non ci riuscivo. La voglia di chiamarlo era tanta, ma per una volta volevo che fosse lui a fare un passo verso di me dopo tutto quello che avevo fatto io. Ripensai a quella notte in cui lo avevo scoperto in palestra ad allenarsi, a come lui mi aveva scacciato urlandomi contro; mi tenni lontana dal telefono facendo tutte le cose che fanno le donne e che portano via ore ed ore; depliarsi, fare lo scrub, le soprcciglia con la pinzetta, fare la maschera ai capelli. Quando arrivai a limare le unghie dei piedi capii che ero disperata.
Quando il cellulare squillò mi precipitai a prenderlo con uno scatto da centometrista, ma vidi un numero sconosciuto sul display e risposi sconsolata. Era il tizio della tabaccheria che mi chiedeva se fossi disponibile per entrare in prova tra due o tre giorni.
Per tenermi occupata, gli dissi che ero pronta già dal mattino successivo, e lui accettò.
Dormii male e mi alzai nervosamente.
Avevo il turno dalle sette del mattino all'ora di pranzo. 
La tabaccheria era infinitamente piccola ma molto graziosa; da fuori non avevo notato la scritta "Bar" e il piccolo bancone all'interno; inoltre quello era un punto di passaggio per molte auto, oltre che per quelli che frequentavano la pista e il centro sportivo, per cui doveva essere frequentato.
Portai con me la borsa per il pomeriggio; sarei andata direttamente ad allenarmi senza passare da casa.
Il proprietario, Tiziano, mi accolse seduto dietro il banco mentre leggeva il giornale.
"Ciao cara, benvenuta. Questo posto cade un po' a pezzi, ma abbiamo un discreto numero di clienti"
Mi guardai intorno; in effetti quel posto aveva decisamente visto tempi migliori; non c'era musica, le pareti erano ingiallite e avevano macchie imbarazzanti di dubbia provenienza; il piano bar aveva la macchina per fare caffè e simili e la macchina per la spremuta, ma nella piccola vetrina c'era solo qualche tramezzino rancido e un cornetto secco.
Gli sgabelli erano orrendi, e lo specchio di fronte al bancone era pieno di ditate; non veniva pulito dall'ultima guerra, probabilmente.
"Tutto quello che devi fare è stare alla cassa, al banco ci penso io" disse lui con un tono che non mi convinse molto.
"Se vuoi puoi fare un giro per ambientarti, ma tra poco i clienti inizieranno ad arrivare, quindi resta nei paraggi."
Entrai nel piccolo ripostiglio dietro il bancone in cerca di roba per pulire, e la trovai seppellita sotto scatoloni di cialde e una montagna di polvere.
Lo avrebbero denunciato sicuro se qualcuno avesse messo il naso lì dentro.
Pulii lo specchio con un panno che diventò giallo, dopodichè diedi una passata veloce di straccio al pavimento seguita da un panno per asciugare; in quel modo almeno ci sarebbe stato un odore di pulito e la gente non sarebbe scappata a gambe levate in prima battuta.
Buttai senza farmi vedere i tramezzini verdi e il cornetto mummificato, con la scusa di pulire anche la vetrinetta.
Avrei voluto sistemare il bancone con tutta me stessa e magari mettere una pianta da qualche parte, ma era meglio farsi gli affari propri.
Misi in ordine i giornali esposti e mi posizionai dietro la cassa.
La gente iniziò ad arrivare; principalmente lavoratori che si fermavano di corsa per prendere il giornale, fare una ricarica o bere un caffè che Tiziano preparava con una lentezza allucinante.
Non disse nulla riguardo alle pulizie che avevo fatto, ma neanche mi rimproverò. Mi diede la paga per il turno e semplicemente disse "Ci vediamo domani alla stessa ora, Daniele dice che ti alleni solo di pomeriggio, per cui."
"Possiamo metterci d'accordo per fare a giorni alterni, posso andare al mattino ad allenarmi e fare il turno di pomeriggio, non c'e problema."
Parve soddisfatto della mia proposta, ma disse di rimanere in quel modo per la giornata di domani. Forse era ancora indeciso se assumermi oppure mandarmi al diavolo.
Il mio unico pensiero quando varcai la soglia della palestra qualche ora più tardi era vedere Riccardo.
Ma neanche quel giorno lui arrivò. La cosa iniziava a preoccuparmi e stavo per chiamarlo quando Alessandro varcò la soglia assieme a Paola. Mi precipitai verso di lui ignorando completamente lei:

"Ciao Alessandro come stai, bene? Io benissimo, come va? Come mai non sei venuto ieri? Come va tra voi due? Sono contenta, sai anche LA MIA AMICA FRA sta bene. Senti per caso hai notizie di Riccardo? Ci siamo visti l'altra sera ma poi non l'ho più sentito."

Mi mancava davvero poco al ricovero in clinica psichiatrica.
Paola mi guardò come si guarda qualcuno con un pesce crudo in bocca e un naso da clown, Alessandro attutì la raffica di domande e mi disse che Riccardo stava bene e che non era venuto a causa della caviglia che non gli rendeva possibile l'allenamento.
Dovetti trattenermi per non pensare a voce alta.
Come cazzo è possibile, se fino all'altro giorno sarebbe venuto anche con le flebo attaccate? Adesso sparisce e mette la scusa della caviglia? Neanche un messaggio mi ha mandato. E io che mi sono pure messa i tacchi per uscire con lui. Stupida, stupida, stupida.

Mi allenai con una rabbia impressionante in corpo. 
Non so per quale strano motivo Daniele se ne uscì mettendo Paola davanti a me al posto del sacco.
"Sento un'aria buona oggi" disse semplicemente.
Stranamente non avevo paura, nè soggezione. Quando la campana -che suonava di continuo, ogni tre minuti - suonò gracchiando, non stavo iniziando un esercizio nè una serie con la corda. Stavo facendo a pugni con Paola.
Non pensavo a nulla, schivavo e davo, schivavo e davo.
Ero arrabbiata, ferita, mi sentivo presa in giro.
Ma la cosa che mi mandava in bestia era che mi ero quasi innamorata del Riccardo che mi aveva abbracciato, in quella macchina.
Ad un certo punto Paola si accasciò all'angolo, una mano aperta davanti a me in segno di resa.
Non sentii niente e nessuno, la aiutai a rialzarsi e scesi dal ring diretta in spogliatoio dove scoppiai in un pianto disperato che sembrava togliermi il respiro.
Mi infilai sotto la doccia sperando che il getto dell'acqua mi tranquillizzasse, e così fu, ma solo dopo cinque minuti di singhiozzi.
Sentii Paola entrare e trafficare nello spogliatoio ma la ignorai.
Quando uscii dalla doccia non c'era nessuno. Mi vestii con calma, mi truccai un po' gli occhi per nascondere il pianto.
Quando uscii la palestra era semi deserta. Alessandro stava sistemando le sue cose nel borsone, appoggiato al ring. Era solo.
Appena mi vide provò a parlarmi "Ehi, sei sicura di stare be.."
"Io sto benissimo, non preoccuparti, piuttosto devo dirti un paio di cose. Capisco che al giorno d'oggi i sentimenti siano una cosa svalutata e considerata antica, ma per favore fammi il piacere di parlare chiaro e tondo alle persone, Alessandro. Non illudere, non campare castelli in aria quando le persone magari stanno credendo alle tue parole e stanno immaginando una storia diversa dalla tua. Non voglio difendere nessuno e nessuno mi ha chiesto o mi ha obbligato a dirti queste cose, perchè siamo tutti adulti. Il mio è un invito alla sensibilità, questa grande sconosciuta che sembra persa per sempre." Non disse niente e io me ne andai.

Il giorno dopo tornai al bar, e mentre Tiziano mi guardava con due occhi a palla da dietro il giornale, posizionai due piccole piantine grasse sul bancone e disposi patatine e noccioline in due ciotole. Mi ero portata da casa una piccola cassa e una pennetta con della musica.
"Posso?"
"Se vuoi" disse lui neutro.
Le note dei Doors mi accompagnarono per tutta la mattinata mentre battevo scontrini di cornetti e cappuccini, assieme ai complimenti di alcuni amici panzoni di Tiziano che passarono a bere una birra.
"Sembra un altro posto, quando ho visto le patatine gratis per poco non mi commuovevo" disse uno, al che Tiziano fece un cenno verso di me.
"Merito suo."

Perchè a te interessa veramente degli altri.
La voce di Riccardo mi perforò la mente come un pugnale.
Sì infatti, a differenza tua.

Era il terzo giorno che non avevo sue notizie.
Dopo i guanti con Paola e ciò che avevo detto ad Alessandro non avevo voglia di rimettere piede in palestra e di rivederli, perciò finito il turno andai da Fra e mangiammo assieme.
Il pomeriggio lo passai stampando e plastificando i cartellini con i titoli dei quadri, dopodichè presi un pacco di volantini della mostra e feci un giro della città con lei. Attaccando un volantino davanti l'ennesimo bar scoppiai a piangere perchè Fra mi disse che era da una vita che non mangiava le Alpenliebe, e allora capii che ci ero rimasta - e che stavo tutt'ora - davvero di merda. Chiamai Tiziano e gli chiesi se potevo fare il turno di pomeriggio l'indomani. 
Sarei andata ad allenarmi al mattino, così da non incontrare nessuno.

Quando entrai nel tabacchi il giorno dopo, ero letteralmente sfiancata. Daniele mi aveva ammazzata, e mentre mi asciugavo il viso stravolta mi aveva preso da parte. "Io sono vecchio e queste cose le ho fatte molti anni fa, ma credo di aver capito che aria tira. Tu, non pretendere di essere forte come un tronco" disse, "I tronchi si spezzano facilmente...pretendi di essere forte come un giunco, di adattarti a qualsiasi vento senza essere spazzata via."

Con mia enorme sorpresa, nella vetrina del bancone c'erano un vassoio di tramezzini e uno di panini freschi.
"Wow! Hanno un aspetto fantastico!" esclamai felice, e Tiziano mi concesse il suo primo sorriso -o quasi sorriso- da sotto i grandi baffi grigi.
Un cliente in giacca e cravatta venuto per una ricarica telefonica li vide e chiamò al telefono tutto il suo squadrone di colleghi, che si precipitarono in pausa pranzo spazzolando via tutto, tanto che per le due fui costretta ad uscire a fare rifornimento.

Quel pomeriggio ci fu un'affluenza di gente incredibile, data dal fatto che c'era un corso di fitness gratuito sulla pista. Tutti, uscendo, si fermavano al bar per prendere una bevanda rinfrescante, e molti comprarono anche panini e tramezzini.
La fila alla cassa era considerevole, correvo a destra e a sinistra sul mio piccolo banco senza fermarmi, felice di avere la mente occupata.

Tiziano, da dietro il bancone : "Bisognerà prendere anche qualcos'altro, per avere più scelta!"
Una cliente con bimba urlante al seguito: "Quanto vengono queste patatine? Non vedo il prezzo.."
Bimbo urlante numero due: "Papà, ho fame!"
Cliente uomo: "Un pacco di Camel da dieci per favore."

Stavo rispondendo alla cliente quando udii la sua voce nel marasma di almeno altre venti voci, ma nonostante il caos riconobbi al volo il timbro, e fu sufficiente per congelare all'istante, dalla punta dei capelli fino all'unghia del piede.
Mi voltai, ed era lui.
Mi guardava come se mi vedesse per la prima volta, come se non mi conoscesse, come se non fossimo stati seduti ad un tavolo l'uno di fronte all'altra tre sere prima. 

Aveva anche ricominciato a fumare. O forse non aveva mai smesso? 

"Lavori qui?" disse con tono neutro, leggermente sorpreso.
Mi voltai, presi il pacchetto, lo appoggiai sul bancone, feci lo scontrino. 
"Sono due e cinquanta" dissi facendo finta di continuare a battere in cassa.
Dopo un attimo di esitazione, appoggiò gli spicci sul bancone e prese scontrino e sigarette.
La mamma con bimba urlante al seguito lo scavalcarono subito, e io lo ignorai completamente.
Dopo un po' lo sentii andare via.
Circa un'ora dopo finii il turno.
Tiziano mi sorrise da sotto i baffi e mi diede un piccolo extra. Già mi stavo affezionando a lui.
Uno dei tuoi più grandi difetti.
Quando uscii fuori, Riccardo era seduto ad uno dei tavoli della gelateria accanto, un bicchiere oramai vuoto e il pacchetto di sigarette sul tavolo, plastificato e ancora intatto. Proseguii ignorandolo, ma lui mi chiamò prima che attraversassi. "Arianna."
Mi voltai lentamente e lo raggiunsi, nessuna espressione in volto.
"Siediti, per favore."
Obbedii, fissando un punto nel vuoto, gli occhiali da sole a proteggere il mio sguardo dal suo.
"Mi dispiace per come mi sono comportato, Alessandro mi ha detto..."
"Alessandro ti ha detto." dissi scandendo lentamente ogni parola, come in un dialogo con me stessa.
Tolsi gli occhiali e lo guardai dritto negli occhi.
"Sei letteralmente sparito da tre giorni. Ora le opzioni sono due: la prima è che Alessandro mi ha mentito dicendomi che andava tutto bene mentre in realtà ti è successo qualcosa di spiacevole o che so, sei stato malato. In questo caso comunque hai il mio numero e un semplice squallido messaggio sarebbe bastato a togliermi dai ferri roventi di una persona preoccupata. In secondo caso, sei deliberatamente sparito senza nessuna ragione. Qual è, tra le due?"
"La seconda."
"Bene. In questo caso, sono stanca del tuo comportamento. Rapportarmi con te è stata una fatica dall'inizio alla fine, che non ha portato risultati. L'unico momento in cui ho visto il vero te e la persona che mi interessa è stato in macchina, l'altra sera. Per tutto il resto del tempo ho visto un fantoccio freddo, rigido e calcolatore che aveva chiuso i sentimenti in una qualche scatola nel cervello."
"Arianna.."
"Riccardo, cazzo! Pensi che io sia una sorta di sacco da boxe dalle forme femminili? Pensi che la mia batteria sia infinita? Pensi che io sia sempre pronta a capirti anche se non ti degni di spiegare nulla? Pensi che io voglia fare la vita della donna votata al martirio? Ti sbagli di grosso. Ho bisogno anche io di supporto, di gente che mi capisca e a cui io possa affidarmi, non di uno qualsiasi che sparisce nel nulla. Sia come amico che come qualcos'altro."
Mi alzai e me ne andai, lasciandolo seduto lì. Lui non si mosse.

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Mi svegliai nel cuore della notte, sudato e col fiatone. L'avevo sognata, di nuovo. Portava addosso lo stesso vestito che aveva indossato la sera prima, quando ci eravamo visti.
Mi sorrideva con la bocca piccola, a forma di cuore, e le labbra piene scoprivano i denti bianchi. Si avvicinava, e io non riuscivo a resisterle. La attiravo a me e poggiavo le mie labbra sul suo collo, la voglia impaziente di spogliarla e di sentirla mia. Mi sembrava davvero di sentire la sua pelle al tocco e la compattezza della sua carne, potevo quasi contare le poche lentiggini sul naso. La prendevo in braccio per le cosce morbide ma toniche, e lei iniziava a leccarmi il collo, accarezzandomi la schiena, e io ad un tratto la lasciavo, mi inginocchiavo senza forze, le dicevo ti prego non mi lasciare, non te ne andare.
E lei diceva che no, non mi avrebbe lasciato, mi accarezzava la testa. Allora riprendevo a baciarle il polpaccio, risalendo piano la gamba, accarezzandole il seno, e proprio quando mi avvicinavo alla bocca lei si allontanava, svanendo nel nulla.

Controllai l'ora dalla sveglia sul comodino. Le 03,48.
La casa era silenziosa, papà dormiva come sempre russando piano.
Non faceva nulla, papà, in modo forte; non russava, non piangeva, non urlò neanche quando lei se ne andò. Faceva tutto in silenzio, mio padre. Russava, piangeva, soffriva.
Mi alzai in piedi. Ero eccitato, come sempre dopo averla sognata. Era una costante da un paio di settimane. Non era mai successo,con nessuna. Da quando l'avevo vista, mi era entrata nella testa come un tarlo, impossibile da scacciare. 
All'inizio avrei voluto farla mia, godere di lei e dimenticare tutto il mondo che avevo attorno. Sognavo di abbandonarmi a lei, sul suo ventre morbido, e non pensare più. Ma non era niente di più che una fantasia come un'altra.
Poi la questione si è fatta pericolosa. Lei ha iniziato ad interessarsi a me, e quando dico interessarsi intendo a guardarmi dentro.
Lei mi ha mostrato vie traverse, opzioni, scelte che avrei potuto fare. Mi ha fatto capire che avrei potuto essere migliore, e questo ha scatenato in me un terrore che non credevo di possedere. Cambiare, affidarmi, per chi, a chi? A lei? Lei che sarebbe potuta svanire proprio come era apparsa.
Uscii fuori in balcone, il pacchetto di sigarette nella mano, intatto. 
Non sei neanche capace di scopare. Non riesci a scopare la ragazza più bella e sensuale che tu abbia mai visto e non perchè lei non ti calcoli, ma perchè tu non ci riesci. Non riesci neanche più a fumare. Basta una sua parola per farti comportare come un coglione.

L'amore, il rispetto, tutto ha una data di scadenza. 
Potresti fare il signore, comprarle dei fiori..
A lei piacciono le piante.
Potresti fare il signore, comprarle delle piante, portarla fuori e innamorarti e tutte quelle stronzate da film da quattro soldi, ma magari tra un paio d'anni puf, lei prende, fa le valigie e va a scoparsi qualcun'altro.


E di te rimarrebbero solo i pezzi.






Eccoci qui con un nuovo capitolo un po' particolare dove ho voluto fare l'esperimento di dare la voce ad un altro personaggio, in questo caso Riccardo, perchè ne sentivo la necessità.
Il fatto è che io nella mia testa li ho tutti, mentre voi avete letto la storia solo dal punto di vista di Arianna fino a questo momento, e ho provato a farvi entrare nella mente di Riccardo, anche se per poco, per darvi un assaggio di quello che si cela dentro le teste degli altri :)
Che ve ne pare? Scusatemi se non vi ho risposto, mi avete lasciato parecchie recensioni ma non ho avuto proprio il tempo e neanche stasera lo avrò, sono riuscita a stento a pubblicare questo capitolo perchè me lo avete chiesto con ansia e mi avete riempito il cuore di gioia <3 

Commentate, commentate! Risponderò a tutte, fatemi sapere se vi piacciono i POV (Point of view, per chi non lo sapesse, "punti di vista") e cosa ve ne pare dell'andazzo generale <3
A domani,
Lilith <3






   
 
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