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Autore: FigliadiDurin    04/07/2016    1 recensioni
Taluyan era immenso, una gigantesca sfera ghiacciata che dominava un angolo della galassia di Efestix. Una leggenda narrava che fosse costituito da solo ghiaccio anche nelle profondità. Ghiaccio e neve che non si scioglievano mai.
Taluyan appariva dai sistemi audio-visivi della Lady Black come un pianeta tranquillo ricoperto da un candido manto di neve, ma quando la nave atterrò si mostrò com'era realmente.
Il pianeta però era giunto al termine del suo ciclo evolutivo. Sarebbe esploso per alcuni, altri pensavano che un grande terremoto lo avrebbe spazzato via per sempre.
~
Comandate, che cosa accadrà se non basterà il tempo?
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Quarta classificata al contest "Verso l'infinito e oltre!" di Najara87 sul forum di Efp
Genere: Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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«Liberaci Galayo e vieni con noi, per favore. Puoi portare tutti gli uomini che vuoi, abbiamo spazio a sufficienza» Shona nell'impeto le prese la mani, la corona pesava sulla testa ma prestò attenzione a non farla cadere. Aveva le viscere in una poltiglia, mai in vita sua si era sentita così. La regina sorrise mostrando i denti bianchi e perfetti.
«Non posso, non posso lasciare la mia gente nel momento in cui ha più bisogno di me. Sono la loro regina e morirò con loro».
La dottoressa perse ogni speranza; a pochi minuti dal termine della missione capì di aver fallito in tutto. Ebbe solo delusione per se stessa, avrebbe potuto fare di più. Galayo tornò a sorriderle e la dolcezza del suo sguardo era come un appiglio a cui aggrapparsi. «Siete liberi! Ritornate alle vostre case e vivete! Ma c'è una cosa che puoi fare per me» le mise le mani intorno al collo delicatamente. Shona rise sollevata a quella notizia e presto riacquistò il suo colorito bruno.
«Qualunque cosa mia regina!» Galayo la lasciò allontanandosi dietro il trono e Shona sentì un brivido di gelo quando il suo tocco le aveva lasciato la pelle nuda. La regina ritornò tenendo per mano un bambino spaventato e con il pollice in bocca, quando la dottoressa lo vide in faccia scoprì che era lo stesso bambino che aveva loro teso la trappola alla caverna.
«Lui è mio figlio, si chiama Galays. Salvalo e ti sarò grata per sempre! È ancora un bambino e non merita di morire per ideali che nemmeno conosce, per un pianeta che fin dal primo vagito lo ha cullato con scosse e boati.»
«Dai, vai da lei!» la regina spinse il bambino verso Shona, il suo tono era quello dolce e preoccupato di una mamma.
Colpi forti alla porta spezzarono il rumore. Una guardia stava bussano bruscamente sperando che la regina lo accogliesse.
«Entra» il tono della regina era cambiato, in quel momento era spaventato e sorpreso.
«Maestà, ci stanno attaccando! Ci sono delle gigantesche macchine fuori. Emergenza!»
Galayo lanciò uno sguardo di accusa alla dottoressa, che era diventata rossa in viso, anzi quasi viola. Agitata, tremava visibilmente.
«Non siamo noi, non siamo noi, te lo giuro!» si scusò turbata la dottoressa.
La regina la ignorò. «Prendi tutte le armi che abbiamo e danne una ad ognuno. Voglio che combattiate tutti!»
La guardia fece un piccolo inchino e girò sui tacchi. Prendendo in braccio il bambino Shona seguì Galayo che correva verso la sala principale.

Simmons scese dalla nave speranzoso e divertito, l'adrenalina che aveva in corpo lo fece correre più velocemente verso i due Taluyani morti poco prima. Si accasciò per prendere i gioielli di Rustafio, sprofondò le mani negli stracci logori che si disfecero tra le dita. Le pulì disgustato sulla tuta. Con le mani a coppa osservò cosa aveva preso: niente. Digrignò i denti. Girò il corpo, tastò il collo e le orecchie in cerca di piccoli cristalli ma ancora una volta le mani non toccarono nulla se non la pelle scurita. Cacciò un urlo di rabbia battendosi le mani sul petto. Era arrabbiato. No, era furioso.
«Non si fa, non si fa. Taluyani amorini, vi amate l'un l'altro così tanto e non donate quei preziosi regali agli straccioni. Mi deludete, non si fa!»
Simmons gridò al cielo allargando le braccia, la calma lo aveva abbandonato definitivamente ed ormai rideva e urlava nello stesso tempo. Un altro urlo e poi corse via verso la prossima vittima raggiungendo pian piano la sala e la regina.

Al di fuori della grande sala della regina, i Taluyani si erano schierati impugnando a due mani i fucili. Una prima riga era inginocchiata mentre dietro, Taluyani in piedi e con semplici armi da fuoco, proteggevano l'entrata. Di armi ce n'erano a volontà, ma erano i soldati a mancare. Furono dati fucili anche a Williams e Martin ormai liberati.
Galayo percorse correndo tutta la lunghezza della sala, avrebbe di certo combattuto anche lei e si sarebbe sacrificata se fosse servito a qualcosa. Anche Solo venne liberato, ma il cubo che lo intrappolava non si era sciolto facendolo rimanere accasciato su un pilastro ed i suoi compagni sperarono di poterlo difendere.
Shona aveva preso una pistola del deposito desiderosa fino all'ultimo di non essere costretta ad usarla, ma l'avrebbe usata, si ripeté continuamente, se sarebbe servito.
«Dottoressa, un attimo» Martin l'afferrò per il polso, vide che indossava la corona della regina, pensò che fosse insolito. Aveva avuto paura e poi la notizia della liberazione lo aveva risollevato. Dopo il fischio di allarme dei Taluyani il panico, però, si era fatto più forte di prima se possibile.
«Se moriranno comunque perché stanno combattendo?» il patriottismo degli alieni metteva a disagio Martin, ma davvero non capiva. Dovevano essere i terrestri più preoccupati visto la minaccia delle macchine.
«Lo hai sentito, difenderanno il loro pianeta fino alla fine».
«Vogliono morire da eroi, tutti lo vogliono. Anche Simmons lo vuole, sono sue quelle macchine e sua è l'intenzione di sterminare e derubare i Taluyani. Ha progettato tutto lui». L'ingegnere guardava con occhi vitrei un punto imprecisato nella parete opposta. Aveva perso ogni energia, ogni voglia di vivere.
«Cosa?» sbraitò sorpresa Shona, Martin gli lanciò un’occhiata incredula.

Una scossa di terremoto interruppe la conversazione. I tre caddero maldestramente lasciando l'impugnatura delle armi. In quel momento i Taluyani correvano agitati con le mani in alto mentre urla strazianti laceravano l'aria. Quando ancora la superficie non aveva smesso di tremare, il suono di un corno da guerra fece calare il silenzio. Shona sentì la voce di Galayo all'esterno gridare ai pochi soldati di attaccare e rabbrividì pensando a lei e a quello che poco prima aveva detto Williams. Strinse le mani di Martin che tremavano e ritornata impassibile, con uno sforzo incredibile, dettò ai suoi compagni la mossa successiva.
«Prendo io il comando della Lady Black e della missione. Il caro comandante è escluso e ritornerà sulla Terra, perché noi ritorneremo, da prigioniero. Che vadano a farsi fottersi lui e le sue manie di grandezza!» Shona rise beffardamente ad emulare la fastidiosa risata di Simmons.
«Prendete i fucili e combattete. Se è opera di Simmons, le macchine eviteranno gli umani. Giusto ingegnere?»
«Giusto».

Una macchina-robot al centro, una a sinistra ed un'altra a destra, dietro di loro altre due combattevano, chi usando i fucili e chi i cannoni delle dita. La prima riga dei Taluyani era già crollata mentre la seconda l'avrebbe fatto a breve. Dietro una colonna, Galayo inorridita vedeva i suoi uomini cedere uno dopo l'altro, le pozze di pelle la fecero nauseare e quasi non ebbe la forza di sparare a sua volta.
I terrestri erano invece schierati dietro la seconda fila dove velocemente se ne costruiva una terza e, se proprio tutti avessero combattuto, anche una quarta. Le armi da fuoco e i fucili alieni dei Taluyani ammaccavano di poco la corazza delle macchine, un soldato aveva centrato un filo scoperto tra le spalle e la faccia facendo saltare quest'ultima. Il robot senza testa aveva continuato a sparare. La guerra era già persa.
Un pazzo correva nella loro direzione, tra le macchine: era Simmons.
In un impeto di pura rabbia Shona direzionò la canna della sua pistola verso il comandante mirando allo stomaco. Stava premendo il grilletto quando Martin la strattonò facendole cambiare mira.
«È impazzita? Per quanto Simmons possa essere un bastardo, lei non ha mai ucciso nessuno e di certo non lo farà per pura vendetta» Shona rimase ferita dal tono accusatorio dell'assistente ma sapeva che aveva ragione. Si sentì stupita e in disaccordo con se stessa.
Il fuoco continuò incessante per minuti. La seconda fila cadde e la terza si stava decimando. Un'altra scossa fece tremare il terreno, ma nessuno ci fece caso; solo urla e spari erano quello che si sentiva.
Simmons ora correva di lato per evitare i colpi e tornò a sorridere avvicinandosi furtivamente ad una colonna di ghiaccio. La regina urlò quando una mano fredda le toccò la schiena.
«La corona. Dammi la corona».
Galayo cercò di colpirlo con il fucile ma prima che se accorgesse Simmons l'aveva già disarmata. Cercò di dire che non ce l'aveva ricordando di averla data a Shona e pregò per lei, che lui non la notasse. Ma Simmons la notò e con ampie falcate la raggiunse. Quella corona valeva più di tutti i gioielli che avrebbe potuto trovare.
Strinse forte le braccia intorno alla vita di lei facendola sussultare ma, prima che qualcuno se ne rendesse conto, Martin si era lanciato contro il comandante per evitare che la presa si facesse più salda. Il raggio viola di un fucile lo colpi dritto al cuore e subito dopo una sola pozza di pelle fu quello che rimaneva di lui.


~

La dottoressa provò ad urlare ma dalla sua bocca non uscì niente, solo un grido graffiato e raschiato. Si liberò della presa di Simmons e cadendo in ginocchio prese tra le mani la poltiglia che restava del suo alleato più devoto. Gli occhi si inondarono di lacrime a toccare quel liquido appiccicoso e senza vita e pianse, per quel poco che la guerra gli concesse.
Aveva sempre sottovalutato l'assistente Andy Martin, tutti lo avevano fatto e si pentì, qualcuno le aveva salvato la vita mentre era lei che avrebbe dovuto farlo.
Simmons si fece serio perché c'era qualcosa che non andava. Le macchine erano state progettate per riconoscere gli umani ma avevano appena ucciso uno di loro. Perché? Si abbassò per nascondersi dietro la montagna di cadaveri periti sotto i cannoni. Che cosa aveva sbagliato? Entrò nella sala per ripararsi e fare rapporto alla base della morte di un membro dell'equipaggio, sebbene non gli importasse di Martin, non tantissimo almeno. Era destino che morissero e per l'assistente si era già compiuto.
Anche Alfie si era fermato un momento per compiangere l'amico caduto. Martin era stato quello in disparte e silenzioso che alla fine aveva salvato tutti.
«Ritiratevi. Questa non è la vostra guerra!» Galayo aveva cambiato idea, con la morte negli occhi si era sentita in colpa per quello successo al terrestre e per aver messo in pericolo Shona.
Lo urlò più di una volta ma il rumore degli sparì copriva la sua voce. Rapidamente la terza riga crollò lasciando la quarta e ultima in balìa della distruzione.
«Andiamo, non possiamo fare più niente». Alfie aiutò la dottoressa ad alzarsi e la condusse all'interno della sala. Continuava a desiderare di morire là sopra solo per non portare spaventosi ricordi sulla terra che lo avrebbero perseguitato fino alla fine dei suoi giorni. La morte di Martin però gli aveva dato quel minimo di forza che richiedeva la fuga. Bene, avrebbero salvato il bambino nascosto dietro la dottoressa, portando comunque a termine la missione originaria.

Un enorme boato seguì l'ennesima scossa di terremoto. Una parte della sala venne giù, seppellendo i Taluyani morti e uccidendo quelli ancora vivi. A causa del tremore si formò una crepa sul cubo di ghiaccio che portava Solo, si spezzò velocemente liberando il soldato privo di sensi. Il terremoto aveva spostato la neve che accumulandosi sui piedi quadrati di una delle macchine, le aveva fatto perdere l'equilibrio, facendola cadere a terra e rendendole difficile risollevarsi dopo.
Nella sala la dottoressa Shona Turner ripresasi, cercò di mantenere la promessa di comandare la squadra e di onorare la memoria dell'amico Martin e della regina Galayo la cui fine era prossima.
«In quanto comandante della spedizione, ordino il ritorno alla nave. Passeremo per il lato nord, dietro il trono c'è un'altra stanza che ha una porta d'emergenza: usciremo da lì! Io prendo il bambino, Williams aiuti a trasportare il soldato Solo e lei...» si girò verso il comandante accovacciato su di un cadavere per cercare di sottrargli l'orecchino cremisi, puntò l'indice e con un tono carico di disprezzo comandò che fosse ammanettato e trascinato a forza alla nave.
«Sono io che do gli ordini qui, signorina Turner. L'astronave partirà quando sarò io a dirlo».
«Signor Simmons, lei è stato sollevato dalla missione. Non ha più nessun diritto di parlare o addirittura dare ordini» Shona era gelida, ma si concesse un filo di sarcasmo per giocare al suo stesso gioco.
«Appena atterrerete sulla Terra, i corrispondenti della Congrega Terrestre vi elimineranno senza nessun scrupolo».
«Noi siamo i salvatori e la sorprenderebbe sapere che anche sul nostro pianeta esiste gente buona».
«Non è vero, signorina. Sono più vecchio ed ho visto a sufficienza l'universo, esiste gente ambiziosa che brama il potere ed esiste gente altrettanto ambiziosa solo più attenta a mascherarlo». Il comandante si era appoggiato ad un pilastro ghiacciato vicino il corpo della guardia, non era riuscito a prendere l'orecchino e sul suo volto non vi era più nessun sorriso di scherno. Sembrava aver riacquistato la lucidità e la calma di prima.
«Non mi interessa di quello che dice lei» disse la dottoressa, poi tornò a rivolgersi all'ingegnere, «Lo ammanetti e sbrighiamoci a partire».
«Io non vengo» la voce di Simmons era ferma e di nuovo severa «preferisco morire che essere trattato da prigioniero. Io sono il comandante. Io o do un ordine, o taccio. Bene, tacerò per sempre».
Alfie non rimase sorpreso e la dottoressa evitò di dimostrare lo stupore, anzi, con tono schietto disse che era un bene, che avrebbero risparmiato tempo.

Una lunga faglia si era aperta nella superficie, il terremoto non sembrava dare tregua e solo pochi Taluyani rimanevano in piedi a difendere il pianeta. Altre due macchine erano cadute nella frattura, ma la minaccia rimaneva ancora troppo grande.
Shona sentì lo sparo di un cannone che le lacerò le viscere. Non si girò per guardare, ma sapeva che Galayo era stata colpita. Un grido ovattato si levò dai pochi soldati in vita e dai codardi rintanati nella sala. La loro regina era caduta sul campo e sembrava che quella guerra non avesse più significato, che non ci fosse più qualcosa per cui continuare a combattere e che morire sotto gli spari del nemico o essere ingeriti nella distruzione del pianeta non avrebbe fatto più alcuna differenza.
Fino all'ultimo i fucili furono tutti abbassati e delle parole decantate dalla regina poco prima nella sala non rimase che un ricordo sfocato. Shona prese Galays in braccio offrendogli la spalla per nascondere la testa mentre i soldati rientravano stringendo con poca sicurezza il cadavere di Galayo; Shona fu sollevata a vedere che era stato un cannone ad ucciderla e non un fucile. Una pozza di pelle non avrebbe reso onore alla sua bellezza che, constatò, non era mutata con la morte.
«Andatevene e lasciateci soli» la voce di un vecchio soldato era quasi percettibile, ma rimaneva gentile e cordiale.
Portarono il corpo sul trono chiudendole gli occhi con due dita. Il rumore fuori indicava che le macchine stavano procedendo nella loro direzione, ma ormai non aveva più importanza.
«Sì, ma lascia che le restituisca questa» Shona si era tolta la corona dal capo e giungendo vicino al trono l'aveva posta sul grembo della vera regina «Onore alla Regina Galayo e alla fiammella di speranza che aveva accesso in tutti noi!»
«Onore alla Regina Galayo!» i Taluyani applaudirono alla memoria della loro regina, dei loro compagni, di Taluyan. Anche Alfie si legò all'applauso ammirando la forza d'animo che contraddistingueva la dottoressa.

Erano riusciti ad uscire dalla sala e correndo, per quanto il soldato Solo potesse permetterlo, si avvicinarono alla nave con la speranza di non sbagliare strada.
«Non possiamo fare niente per distruggere quelle macchine, ingegnere?» Shona desiderava che i Taluyani morissero davvero soli con il proprio pianeta, per iniziare almeno a scusarsi per la morte che avevano seminato.
«No, non possiamo. Sono macchine autonome, la matrice sulla nave non servirà a niente. Sono Alfie comunque, essere formali non serve più a niente.»
«Possiamo colpirli con i cannoni laser della nave. Non importa quanto possenti siano, verranno distrutti lo stesso».
«Attaccheranno a loro volta ed in questo momento la nave non ha gli scudi».
Shona era turbata dal cambiamento di Alfie, ma d'altronde chi non era cambiato lassù?
«Non ti arrendere Alfie, non ti azzardare a farlo. Sei il miglior pilota della base, sapresti schivare anche ad occhi chiusi gli spari dei cannoni e sai che i loro fucili non possono fare niente alla Lady Black. Sono rimasti solo in due, sarà un gioco da ragazzi».
«Ma non sono in tutto due!» Alfie sbottò in un grido di rabbia calmandosi poco dopo, il peso di Solo gli aveva fatto venire il fiatone. «Sulla nave ce n'erano molti di più, cinque si sono concentrati qui ma gli altri stanno setacciando il pianeta alla ricerca di Taluyani rimasti nelle loro case».
Shona ricordò di aver letto della riunione dei Taluyani superstiti nella casa reale ed i dati non riportavano chi o quanti non avevano partecipato. Aveva totalmente ignorato quel fatto ma trovò che fosse inconciliabile il morire solo e sperduto con il credo dei Taluyani.
«Una volta ritornati alla nave sparerai a quei due, te lo ordino».
Anche l'ultima speranza però andò in frantumi quando l'immagine della Lady Black prese forma davanti a loro. Con il terremoto il lato destro era sprofondato ancora di più, scomparendo sotto il ghiaccio mentre il muso della nave si era infossato ed un grosso spuntone aveva lacerato il tetto inclinato.
«Salviamo noi stessi» dichiarò Alfie allibito in un sussurrò impercettibile.
   
 
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