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Autore: odamei    09/07/2016    1 recensioni
Traduzione dell’omonima fan fiction di lexa_lives_in_us, della quale la stessa autrice aveva in precedenza pubblicato il primo capitolo.
Nel caso vi interessasse leggere la pubblicazione originale, dove i tre capitoli costituivano tre parti distinte della serie, trovate il link dopo il titolo di ogni capitolo.
Chiedo scusa per eventuali errori o imprecisioni dei quali sarò responsabile.
Ringrazio l’autrice per avermi permesso di tradurre e pubblicare questa storia, e per averla scritta, contribuendo così a tenere vive quelle emozioni che le protagoniste credo non smetteranno mai di suscitare in noi.
Genere: Azione, Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: FemSlash | Personaggi: Clarke Griffin, Lexa
Note: AU, Cross-over, Traduzione | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 1
hey soul sister (i don't wanna miss a single thing you do tonight)
 
Pubblicazione originale su Archive of Our Own  http://archiveofourown.org/works/6190480.
 
Il sorriso di Alicia si allargò. Tese la mano alla ragazza.
“Mi chiamo Alicia Clark, sconosciuta. Qual è il tuo nome?”
La ragazza sorrise, amando nascostamente il modo in cui Alicia aveva pronunciato la k del suo cognome.
Si allungò per prendere il braccio di Alicia, afferrandolo per alzarsi in piedi.
“Elyza. Elyza Lex.”
  
In un altro universo, Lexa è viva e l’anima di Clarke l’ha seguita.



 
C’è una teoria: un déja vu elicita semplicemente dei frammenti di memorie che abbiamo immagazzinato nel nostro cervello, memorie che possono essere elicitate quando si viene trasferiti in un ambiente somigliante a qualcosa di cui abbiamo già avuto esperienza.
 
Alicia ricordava chiaramente che, quando il suo insegnante di filosofia, seguendo un flusso di pensieri piuttosto ambiguo, era passato dall’effettivo argomento della lezione al tentativo di spiegare il déjà vu, aveva quasi riso alla prospettiva di universi paralleli.
 
Ricordava quanto si era annoiata e come all’epoca le era sembrata stupida quella spiegazione. I déjà vu erano solo piccoli errori del cervello umano.
 
Niente di più.
 
La sola idea dell’esistenza di un universo alternativo era semplicemente impossibile.
 
Ma i morti viventi avevano iniziato a popolare la Terra, e quando la sua vita aveva iniziato a cambiare di nuovo, Alicia aveva deciso che forse
forse
la sua definizione di impossibile doveva essere rivista.
 
Quando sentì un dito punzecchiarle il fianco, proprio tra le costole, si lamentò.
 
“Nick, fottiti.”
 
Suo fratello non colse l’antifona e continuò ad infastidirla con insistenza. Alicia tentò di riprendere a dormire. Stava facendo un sogno molto strano e molto interessante riguardante boschi e città e spade e lotte e torri e occhi blu.
 
Non era la prima volta che faceva sogni del genere. Per una mente come la sua, non era così insolito avere sogni che riflettevano cose insensate.
Ma c’era qualcosa di strano in quel sogno. Qualcosa che lei avvertiva come terribilmente inquietante.
 
Nick la punzecchiò di nuovo.
 
“Nick, andiamo…” sentì dire a Chris, dall’altra parte della piccola stanza.
 
Alicia brontolò ma non si mosse. Stava cercando di ricordare di più del sogno, stava cercando di focalizzarsi sui dettagli. Ma più provava, più il sogno sembrava andare alla deriva nella sua memoria.
 
Quando il dito di suo fratello le si insinuò tra le costole per la quarta volta, reagì quasi istintivamente.
 
Un momento dopo, Nick stava rotolando sul pavimento di legno della loro cabina, stringendosi il naso e urlando per il dolore.
 
“Dio, Ali. Ho sempre pensato che nella tua vita passata tu fossi una fottuta ninja.”
 
Alicia aggrottò la fronte, ma non rispose.
 
Chris rise rivolto a Nick, che era ancora sul pavimento con la faccia fra le mani, ma non fece alcuna mossa per aiutare il suo amico.
 
Alicia lo guardò. Poteva avvertire il dolore dietro ogni risata forzata, ogni sorriso, ogni parola.
 
Sua madre era morta. Andata. Per sempre.
 
Anche se litigavano costantemente, Alicia non sapeva cosa avrebbe fatto se sua madre fosse scomparsa dalla sua vita come Liza aveva fatto con Chris.
 
Ignorando lo stupido fratello, che sembrava abbastanza felice nonostante l’incubo che stavano vivendo, Alicia si alzò dal lettino e uscì dalla cabina.
 
Fuori, il sole splendeva .
 
Sua madre e Travis stavano parlando, ma quando lei mise piede in coperta si interruppero e alzarono lo sguardo.
 
“Cosa c’è?” chiese, sapendo dall’espressione sul viso di sua madre che qualcosa non andava.
 
Madison sospirò. Non sarebbe stata in grado di nascondere a sua figlia la notizia. In ogni caso lo avrebbe scoperto presto.
 
“Abbiamo quasi finito le provviste.” spiegò. “Dobbiamo fermarci in qualche posto e andare alla ricerca di cibo.”
 
Alicia non era sorpresa. In qualche modo se l‘era aspettato. Le provviste non erano destinate a durare per sempre, quando si era un gruppo di persone che vive su una barca in mezzo all’oceano. Scrollò le spalle, prendendo l’iPod dalla tasca del suo giubbino.
 
“Okay.”
 
 
Dopo colazione, Alicia piantò una scenata in pieno stile adolescenziale. Era stufa di essere relegata su quella maledetta barca. Le mancava sentire il terreno sotto i piedi. Aveva sempre odiato viaggiare per quel motivo. Odiava gli aerei – troppo distanti da terra – e allo stesso modo odiava le imbarcazioni.
 
Per Madison non fu una sorpresa vedere sua figlia reagire in quel modo, quando provarono a farla rimanere sulla barca.
 
Alla fine, Alicia ebbe la meglio nella discussione.
 
Vinceva sempre le sue discussioni.
 
Era quasi come se non si potesse dirle di no, come se in realtà fosse lei a comandare.
 
Madison odiava questa cosa di sua figlia. Odiava vedere che la sua bambina non aveva più bisogno della sua protezione.
 
*
 
Nel momento in cui Alicia mise piede fuori dalla barca, sospirò. Era bello tornare sulla terra.
 
Travis andò con lei verso il centro città, mentre Nick e Chris rimasero sulla riva, a controllare la barca.
 
Non potevano certo permettere che qualche zombie si appropriasse dell’unico modo per tornare allo yacht.
 
Travis tentò di iniziare una conversazione, ma Alicia si limitò a guardarlo, prima di indossare le cuffiette.
 
Dopo circa dieci minuti di cieco vagare, trovarono un Walmart.
 
Travis le infilò fra le mani una pistola, ed Alicia fece del suo meglio per nascondere un brivido. Non voleva una pistola. Le pistole rappresentavano tutto ciò contro cui lei aveva combattuto negli ultimi due anni della sua vita.
 
Quando Travis le disse di restare dov’era, annuì e spense l’iPod. Doveva essere in grado di sentire qualsiasi rumore sospetto.
 
Travis si avventurò all’interno del Walmart deserto mentre la ragazza prendeva posto, seduta sul marciapiede. Appoggiò con attenzione la pistola accanto a lei, fissando intensamente l’arma.
 
Fu allora che le sembrò di
 
percepirlo
 
udirlo.
 
La sua testa scattò all‘insù. Si voltò, controllando l’interno del Walmart, dove vide Travis che raccoglieva delle scatolette di cibo e altre provviste. Sembrava che l’uomo non avesse sentito l’urlo.
 
Alicia sospirò e si alzò lentamente in piedi.
 
E lo sentì di nuovo.
 
Prima che potesse fermarsi, a pensare a ciò che stava facendo, aveva preso a correre. Correre verso la voce.
L’unico rumore che sentiva era quello delle sue converse sulla strada, insieme al suo respiro accelerato. Girò l’angolo e sentì la voce per la terza volta.
 
Era più chiara questa volta. Poteva anche capire le parole.
 
“Fanculo. Alla. Mia vita.”
 
Alicia avrebbe sghignazzato, se non fosse stato per il panico evidente nella voce dello sconosciuto.
 
Corse verso la porta aperta di una piccola casa a due piani, volando letteralmente lungo il vialetto.
 
Sapeva che quella era una decisione idiota, ma non riuscì a trattenersi. Qualcuno era in pericolo e che lei fosse dannata se non avesse almeno provato a salvarlo.
 
Entrata nella casa, sentì un rumore di lotta provenire dalla cucina. Corse in quella direzione e quando entrò, l’unica cosa che vide fu un uomo con la faccia completamente ricoperta di sangue fresco che stava strisciando sul pavimento, verso un angolo della cucina che Alicia non poteva vedere a causa di un enorme tavolo di legno capovolto su un fianco proprio nel mezzo della stanza.
 
La sua mano cercò la pistola ma trovò la tasca vuota. L’aveva lasciata sul marciapiede.
 
Maledicendosi per la sua stupidità, la ragazza si guardò attorno e quasi si catapultò sul porta-coltelli. Afferrò il più grande e si voltò.
 
Dalla sua posizione, adesso poteva vedere la persona che aveva urlato. Era una ragazza.
 
Una bella ragazza bionda con una gamba incastrata sotto al tavolo gigantesco.
 
Alicia vide un fucile non molto lontano dalla bionda. Realizzò che era un po’ troppo lontano.
 
L’uomo – il morto - grugnì, stringendo la mano attorno alla caviglia della ragazza.
 
Alicia reagì.
 
Prima che potesse rendersi conto di quello che stava facendo, il coltello che stava impugnando volò attraverso la cucina, fermandosi nella testa dell’enorme uomo.
 
Tutto d’un tratto, la cucina divenne silenziosa.
 
Lo zombie cadde sul pavimento di marmo, con del sangue mischiato a pezzi di quella che – Alicia realizzò con orrore – sembrava essere materia cerebrale che colava dalla ferita.
 
Aveva appena ucciso un uomo.
 
Non aveva importanza che fosse già tecnicamente morto. Lei aveva appena messo fine alla sua vita. Alicia si sentì male.
 
“Ci è mancato poco.” Disse la bionda ansimando.
 
Alicia rilasciò il respiro che non si era accorta di stare trattenendo.
 
“Stai bene?” chiese, avvicinandosi alla bionda, che si stava ancora tenendo la gamba incastrata.
 
La ragazza brontolò.
 
“Il mio fottuto piede è fottutamente incastrato sotto questo fottuto tavolo enorme. Ti sembra che io stia bene?”
 
Alicia era colpita. La sconosciuta era quasi riuscita a mettere nella frase più “fottuto” che altre parole.
 
“Sai, quando qualcuno ti salva la vita di solito si dice grazie.”
 
La ragazza rimase impassibile e lei alzò lo sguardo. Due occhi, blu come il cielo, incontrarono i suoi.
 
La sconosciuta sorrise in modo ambiguo.
 
“Scusa. Hai ragione. Grazie, Ragazza del Cielo, adesso puoi aiutarmi a levarmi di dosso questo fottuto tavolo prima che arrivi un altro gorilla-zombie come questo per mangiarci il cervello?”
 
Alicia quasi sghignazzò.
 
La ragazza era chiaramente particolare.
 
La bruna guardò il tavolo, posizionandosi proprio a metà di esso e iniziando a spingerlo.
 
“Ragazza del Cielo?” riuscì a chiedere tra i brontolii.
 
“La tua maglietta” rispose la bionda, con un forte lamento mentre provava a tirare fuori il piede da sotto al tavolo.
 
Alicia si allontanò, e il mobile in legno ricadde indietro nel punto in cui era collocato. Con uno sguardo distratto appurò che la propria tshirt fosse quella con la spiaggia di Santa Monica e il cielo azzurro sullo sfondo. Adorava quella maglietta.
 
Si inginocchiò per controllare la ragazza.
 
“Ti ha graffiata? Ti ha morsa?” chiese, preoccupata.
 
Molto più preoccupata di quanto sarebbe dovuta essere
 
La bionda scosse la testa.
 
“Sto bene. Mi serve solamente del ghiaccio per la caviglia. Ero qui solo per fare una doccia.”
 
Alicia alzò lo sguardo verso di lei e sorrise brevemente, accorgendosi per la prima volta come i capelli della bionda fossero bagnati.
 
“Siamo nel pieno di un’apocalisse e ti sei fermata a fare una doccia?”
 
La ragazza sorrise.
 
“Avevo con me la pistola.”
 
Il sorriso di Alicia si allargò. Tese la mano alla ragazza.
 
“Mi chiamo Alicia Clark, sconosciuta. Qual è il tuo nome?”
 
La ragazza sorrise, amando segretamente il modo in cui Alicia aveva pronunciato la k del suo cognome.
 
Si allungò per raggiungere il braccio di Alicia, afferrandolo per alzarsi in piedi.
 
“Elyza. Elyza Lex.”
 
*
 
Mentre Elyza raccoglieva la sua roba e metteva ogni cosa dentro ad uno zaino blu, Alicia la guardò attentamente. Non poteva evitarselo.
 
Cercò di convincersi che la stava fissando a causa di quella strana specie di pittura di guerra che Elyza si era messa quando si era scusata ed era andata in bagno,
 
che, Alicia dovette ammettere, era incredibilmente interessante
ma chiaramente non era per quello.
 
Era più un’impressione. Era una sensazione.
 
E Dio solo sapeva quanto Alicia non si fidasse dei suoi sentimenti. Era più il tipo di ragazza “testa davanti al cuore”. Anche con Matt, era stato tutto pianificato ed esaminato. Ci teneva al ragazzo, ci teneva davvero. Aveva tenuto a lui. Pensava di essere innamorata. Ma ora, dopo tutto quello che era successo, non ne era più molto sicura.
 
E questa ragazza… Elyza...
 
Era veramente qualcosa di particolare.
 
I suoi capelli biondi erano intrecciati dietro alla testa in un design incredibilmente bello che Alicia non aveva mai visto prima. Il suo volto, nonostante la pittura nera da guerra che circondava i suoi occhi, aveva dei tratti delicati e un sorriso dolce e caldo.
 
Sembrava non essere adatta a quel mondo di caos e morte.
 
Era più un’opera d’arte
 
Alicia non voleva abbassare le difese, ma trovava incredibilmente facile fidarsi di questa ragazza.
 
A questo contribuiva il fatto che con i leggings da motociclista e la giacca blu di cuoio a strisce, sembrava veramente tosta.
 
Quando si accorse che Elyza la stava fissando a sua volta, Alicia si morse le unghie, distogliendo lo sguardo.
 
“Faremmo meglio ad andare. In questo momento il mio patrigno sarà preoccupato da morire.”
 
Elyza annuì ed indicò la porta.
 
*
 
Nel momento in cui raggiunsero il Walmart, Alicia seppe che quella sarebbe stata una lunga giornata.
 
La pistola che aveva lasciato in precedenza sul marciapiede era sparita, e quando le ragazze entrarono nel supermercato, Travis non si vedeva da nessuna parte.
 
Alicia si chiese per quanto tempo fosse stata via.
 
Travis doveva aver pensato che fosse successo il peggio.
 
Si maledì per non avergli detto dove stava andando.
 
Tuttavia, guardando Elyza, che stava perlustrando lo scaffale dei dolci pochi passi davanti a lei, si pentì un po’ meno della sua decisione.
 
Aveva dovuto salvarla.
 
Alicia non poteva pensare a quello che sarebbe accaduto se non fosse entrata in quella casa.
 
Improvvisamente, il pensiero di perdere Elyza diventò insopportabilmente doloroso.
 
“Se n’è andato.”
 
La voce di Elyza era più vicina di quanto si aspettasse. Quando alzò lo sguardo, due occhi blu la fissarono con uno sguardo di scuse.
 
Alicia annuì e serrò le dita sul coltello da cucina che aveva portato con sé.
 
Elyza aveva sorriso a quella decisione.
 
Aveva sorriso con qualcosa, nello sguardo, che era sembrato quasi nostalgia.
 
Lei preferiva le pistole.
 
*
 
“Non ho la più fottuta idea di dove siamo.”
 
Alicia non rispose e continuò a camminare. Anche lei non ne aveva idea, ma era certa che muoversi fosse più sicuro che rimanere nello stesso punto.
 
“Forse dovremmo cercare una mappa da qualche parte.”
 
Sì, probabilmente avrebbero dovuto.
 
“Fa cosìììì caldo qui. Odio la California.”
 
Alicia strinse le labbra e cercò di non sorridere. Per essere una ragazza che sembrava uscita da uno show televisivo post-apocalittico, Elyza aveva un comportamento quasi principesco.
 
“Uh, devo fare pipì.”
 
Alicia si fermò.
 
Voltandosi, alzò un sopracciglio. Elyza le stava sorridendo.
 
“Parli sempre così tanto?”
 
“Escludi sempre tutti?”
 
Alicia sbuffò. Incrociò le braccia, e il suo viso non tradì nessuna delle sue emozioni.
 
“Non comportarti come se mi conoscessi, Lex.”
 
“Allora dammi la possibilità di conoscerti, Clark.”
 
Le due si fissarono per un lungo momento.
 
I loro sguardi non erano più carichi di sfida. Erano pieni di confusione.
 
Elyza si schiarì la gola.
 
“Okay, uh… Non usare il mio cognome. In quel modo. Mai più.”
 
Alicia annuì, con troppo ardore.
 
“Lo stesso vale per te. Mi sembra solo…”
 
Strano.
 
Familiare.
 
Giusto.
 
“Sbagliato.”
 
Elyza annuì il suo assenso, ma i suoi occhi non abbandonarono il volto di Alicia.
 
Rimasero ferme, in mezzo alla strada, semplicemente guardandosi per quelli che sembrarono secoli.
 
Vite intere.
 
“Sono felice che tu sia venuta.” Mormorò Elyza dopo un momento. “Ad aiutarmi.”
 
Alicia si limitò a fare un piccolo, minuscolo sorriso.
 
“Anch’io.”
 
*
 
“Abbiamo camminato per ore, Alicia. Dobbiamo fermarci. Dobbiamo mangiare. Dobbiamo riposare.”
 
Alicia sospirò, premendo i palmi delle mani sugli occhi.
 
“Mia madre sarà preoccupata a morte.” Rispose.
 
Elyza si mise al suo fianco, le sue dita tamburellavano sul fucile.
 
“Lo so, mi dispiace. Ma ci siamo chiaramente perse in questa città abbandonata e dimenticata da dio e non sei d’aiuto se svieni mentre stai scappando da un vagante.”
 
Alicia le lanciò un’occhiataccia.
 
“Non svenirò. Io non svengo. Mai.”
 
Elyza sogghignò.
 
Un sogghigno che sembrava sempre più familiare ad Alicia.
 
“Certo. Sai, conosco le ragazze come te.” La prese in giro.
 
Alicia quasi sbuffò.
 
“Le ragazze come me?”
 
Elyza annuì, punzecchiandole il fianco con un dito.
 
“Vuoi che tutti pensino che tu sei al di sopra di tutto, ma posso vedere dentro di te, Lexa.”
 
Il cervello di Alicia si spense.
 
Avrebbe davvero voluto rispondere, ma sentiva che c’era qualcosa di sbagliato.
 
Giusto, le sembrò giusto.
 
Di così tanto sbagliato.
 
“Cos’hai detto?”
 
Elyza strinse gli occhi. Sembrava come se qualcuno le avesse appena colpito la testa con una mazza da baseball.
 
“Cos’ho detto?”
 
“Come mi hai chiamata?”
 
Elyza si leccò le labbra.
 
“Non lo so.”
 
Alicia provò a fare un passo indietro. Si ordinò di farlo. Inviò il pensiero al cervello ed il cervello reagì, inviando il comando alle sue gambe.
 
E le sue gambe la fecero andare avanti.
 
“Da dove è uscito?” chiese, confusa.
 
Elyza strinse il fucile. Sembrava perduta.
 
“Non lo so.”
 
Alicia deglutì. In quella ragazza sembrava tutto sbagliato.
 
Tutto così giusto.
*
 
“Quindi, andando dritti al punto. Stai vivendo su una barca con il tuo patrigno, tuo fratello tossicodipendente, il tuo fratellastro e tua madre? Che festa.”
 
Alicia masticò la sua barretta ai cereali, deglutendo.
 
“Non dimenticare l’uomo che abbiamo incontrato mentre stavamo scappando e che ci ha offerto di restare con lui sul suo yacht.”
 
Elyza rise e divise la sua Pop Tart in due parti.
 
“Giusto. Per niente inquietante.”
 
Fu il turno di Alicia ridere, anche se la sua risata fu un po’ più composta di quella di Elyza.
 
“E dove sono i tuoi genitori?” chiese, pentendosi della domanda un attimo dopo.
 
Il sorriso di Elyza svanì.
 
“Morti.”
 
Alicia dovette trattenersi dal poggiare una mano su quella della ragazza.
 
“Mi dispiace.”
 
Elyza scrollò le spalle.
 
“Non fa niente. Comunque è successo prima dell’apocalisse. Li ricordo a malapena.”
 
Alicia si leccò le labbra, raccogliendo briciole della barretta ai cereali.
 
“Mio padre è morto quando avevo undici anni. Mi manca da impazzire.”
 
La confessione le venne fuori senza che ci avesse pensato. Semplicemente le sembrò giusto condividerla.
 
In qualche modo, sapeva che Elyza avrebbe capito.
 
E lo fece.
 
La ragazza sospirò, ed Elyza bevve un sorso dalla sua bottiglia d’acqua, prima di passarla alla sua compagna.
 
Amica.
 
“Non pensiamoci. Come qualcuno mi ha detto una volta, i morti se ne sono andati. E i vivi sono affamati.”
 
Alicia quasi si strozzò con l‘acqua.
 
Volle far finta che fosse per la crudeltà di quell’affermazione, ma quella frase aveva provocato qualcosa in lei. Qualcosa che non riusciva a riconoscere.
 
Qualcosa che era iniziato nel momento in cui era entrata in quella cucina per salvare la vita di Elyza, ed aveva continuato ad accadere nel corso della giornata.
 
Stava succedendo sempre più spesso, ormai.
 
“Chi te l’ha detto?” riuscì a chiederle.
 
Elyza, la cui espressione rispecchiava la sua, scosse la testa.
 
“Non ricordo.”
 
Alicia si alzò in piedi.
 
Elyza la seguì, più lentamente.
 
“Questo è…”
 
Alicia si interruppe. Come poteva finire la sua frase? Come poteva spiegare cosa aveva sentito dal momento in cui aveva posato gli occhi sulla bionda?
 
Alicia potè vedere Elyza deglutire. Sapeva che sentiva la stessa cosa.
 
“Lo so. E’ solo…”
 
Giusto. Giusto. Giusto.
 
“E’ così fottutamente spaventoso.”
 
Nell’attimo in cui quelle parole le uscirono di bocca, Alicia se ne pentì. Non voleva che l’altra ragazza
 
capisse
 
pensasse che lei aveva paura.
 
Odiava essere debole di fronte alle altre persone.
 
Odiava essere debole.
 
Si voltò e iniziò ad allontanarsi.
 
"Aspetta!"
 
Alicia non aveva intenzione di fermarsi.
 
Conosceva la ragazza da nemmeno un giorno ed era già riuscita a spaventarla a morte. Elyza si mosse rapidamente in avanti per cercare di fermarla, ma riuscì solamente a sfiorarle la schiena con le dita.
 
Un colpo
 
Fu come se un’improvvisa scintilla di elettricità, come se una piccola scarica di energia avesse attraversato tutto il corpo di Alicia e l’avesse fermata, pietrificandola. A giudicare dal respiro affannoso che Alicia poteva sentire dietro di sé, doveva averlo provato anche Elyza.
 
Lentamente, si voltò. Elyza stava guardando le sue dita, cercando una spiegazione a quello che era appena accaduto.
 
"Che cazzo." Mormorò la bionda.
 
"L’hai sentito."
 
Non era una domanda. Elyza la fissò come se avesse avuto due teste.
 
"Beh, sì. Sarebbe stato praticamente impossibile non sentirlo." rispose, più duramente di quanto intendesse fare.
 
Alicia strinse i pugni.
 
Stava succedendo tutto troppo in fretta. Non riusciva a spiegare cosa aveva appena provato. Era assurdo, sembrava più un déja-vu.
 
I déjà-vu non esistevano.
 
Dall’espressione sul volto di Elyza, Alicia comprese di non essere l’unica ad essere confusa.
 
Davvero non capiva.
 
E davvero non aveva tempo per farlo.
 
"Muoviamoci." disse, voltandosi e continuando a camminare verso l’edificio in cui avevano rubato il cibo, che sperava fosse vuoto. "E’ quasi il tramonto. Dobbiamo metterci al riparo."
 
Elyza la seguì, borbottando: "Signorsì, Comandante, signore."
 
Alicia inciampò sui suoi piedi.
 
Fu quasi come se il tempo stesso si fosse fermato.
 
E poi avesse ripreso a scorrere, più velocemente di prima.
 
Alicia si riprese giusto in tempo per sentire la ragazza alle sue spalle sussurrare a sé stessa.
 
"Che cazzo era quello, Elyza. Comandante?!"
 
Alicia non riuscì a trattenersi. Sorrise.
 
Era impossibile- veramente impossibile, stavolta – pretendere che non fosse giusto.
 
*
 
Fu Elyza a trovare una soluzione per la notte. Trovò un bel quartiere senza zombie in vista e lasciò che fosse Alicia a scegliere la casa in cui stare.
 
Alicia era sconcertata dalla quantità di armi che la ragazza sembrava portare con sé. Non se n’era accorta prima, ma sotto al suo giubbotto di cuoio, Elyza portava un paio di pistole e qualcosa che assomigliava tremendamente ad una granata.
 
“Vai sempre in giro con una granata nel giubbotto?” le aveva chiesto, incapace di trattenersi.
 
Elyza aveva sorriso.
 
“Devo ricordarti che hai un coltello da cucina nel tuo?”
 
Alicia si era costretta a non mostrare la lingua all’altra ragazza, ma Elyza aveva comunque ricevuto il messaggio.
 
“Questo coltello da cucina ti ha salvato la vita.” aveva risposto Alicia, divertita.
 
Elyza aveva riso e fatto sorridere Alicia al suono della sua risata.
 
*
 
Elyza le insegnò come scassinare la serratura della casa che avevano scelto, utilizzando una forcina per capelli ed un ago.
 
Alicia ci provò, lo fece veramente, ma riuscì ad aprirlo solo dopo venti minuti di inutili tentativi andati a vuoto.
 
Elyza rise di cuore per tutto il tempo.
 
Ad Alicia piacque.
 
*
 
Sedute di fronte alla tv, con una dozzina di candele accese sul tavolino davanti a loro, Alicia ed Elyza parlarono per ore.
 
Parlarono della loro famiglia, di come avevano scoperto l’apocalisse zombie.
 
Alicia le raccontò di Matt, ed Elyza annuì semplicemente con la tristezza negli occhi.
 
La sentivano, in continuazione. Sentivano quella connessione tra loro e sulla quale avevano scambiato solo un paio di pensieri al riguardo, sebbene entrambe potessero vedere la confusione negli occhi dell’altra.
 
La serata scivolò lentamente e divenne una notte tranquilla.
 
Alicia confessò che lo zombie che aveva ucciso quella mattina presto era il suo primo, ed Elyza ammise di averne uccisi dozzine e di provare ancora lo stesso disgusto e odio nei confronti di sé stessa, come aveva provato la prima volta che aveva premuto il grilletto.
 
Ad un certo punto, durante la notte, le loro mani si incontrarono tra le candele e non si lasciarono mai andare.
 
Sembrava tutto strano.
 
Bello.
 
Familiare.
 
Giusto.
 
Decisero che andava bene così.
 
*
 
Alicia si svegliò di soprassalto, la mano stretta sull’addome, confusa e in preda al dolore.
 
La sua pelle bruciava.
 
Non le avevano mai sparato, ma era piuttosto sicura che la sensazione dovesse essere la stessa.
 
Respirando affannosamente, sussultò per lo spavento quando una mano fredda si appoggiò sulla sua spalla.
 
“E’ tutto a posto.” Sussurrò Elyza, esaminando il suo viso con preoccupazione. “Stai bene.”
 
Alicia le prese le mani tenendole fra le sue come se ne andasse della sua stessa vita.
 
“Sto bene.”
 
Elyza sorrise, in modo rassicurante.
 
“Sì. Stai bene. E’ stato solo un incubo.”
 
Alicia annuì, ma non poteva essere stato solo un incubo. Era stato fin troppo reale.
 
“Mi hanno sparato.”
 
Il respiro di Elyza le si bloccò in gola.
 
“Nel mio sogno.” si affrettò a spiegare Alicia. “Mi hanno sparato.”
 
Elyza riprese a respirare, ed Alicia realizzò che il pensiero di perdere l’altra ragazza era doloroso per lei come lo era per la bionda.
 
“Ti proteggerò.” mormorò Elyza.
 
Alicia voleva dirle che era perfettamente in grado di proteggere sé stessa, ma non lo fece. Sapeva di avere bisogno di Elyza.
 
“E io ti proteggerò.” rispose.
 
La bionda sorrise.
 
“Lo so. Era davvero tosta, quella cosa che hai fatto con il coltello. Non ho mai visto nessuno lanciare un coltello in quel modo.”
 
Scoppiarono entrambe in una risata soffocata.
 
Alicia sapeva qualcos’altro. Sapeva che avrebbe dato la vita per quella ragazza.
 
*
 
Era spaventata.
 
*
 
Nonostante il terrore, tutto sembrava essere andato al proprio posto.
 
*
 
“Torna a dormire. Ti sveglierò quando sarà il tuo turno di guardia.”
 
Alicia annuì, ma non si mosse. Si limitò a fissare Elyza e si morse il labbro inferiore.
 
Elyza sorrise.
 
“Stenditi.”
 
Questa volta, Alicia obbedì.
 
Si coricò su un fianco e attese. Ci vollero non più di sette secondi perché Elyza si stendesse dietro a lei, e la abbracciasse a cucchiaio, un braccio attorno alla sua vita e i loro piedi intrecciati.
 
Le dita della bionda scivolarono sui suoi bicipiti, accarezzandola gentilmente.
 
Fra di loro si diffuse un’altra scarica di energia, ma stavolta la accolsero con piacere.
 
Trattennero il respiro e si strinsero ancora più vicine l’una all’altra.
 
“Elyza?”
 
Il nome sulla sua lingua sembrava bizzarro. Sembrava strano.
 
Sembrava come se fosse entrata in una camera che conosceva bene, in cui però tutto l’arredo era stato spostato.
 
“Sì?”
 
Alicia si voltò nell’abbraccio, incontrando quegli occhi
 
quegli occhi che le ricordavano un cielo lontano
 
che la stavano già guardando.
 
“Perché sento come se ti conoscessi?" sussurrò alla fine.
 
Pose la domanda che era in sospeso tra loro fin dal primo incontro.
 
Elyza non rispose immediatamente. Si strinse nelle spalle, chiuse gli occhi e sospirò. Aprì nuovamente gli occhi e sorrise, tristemente.
 
"Non so. Ma se può farti stare meglio... lo sento anch’io."
 
Alicia non fu del tutto sicura che questo la facesse sentire qualcosa di diverso dalla preoccupazione.
 
Riusciva solo a provare ansia e paura, da quando l’intero caos aveva avuto inizio.
 
Ma guardò in quegli occhi color del cielo e in qualche modo si sentì a casa.
   
 
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