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Autore: Generale Capo di Urano    12/07/2016    1 recensioni
Verità e dolore.
Un cuore sconsolato.
Sei un amico meraviglioso.

Un crisantemo candido, bianco come la morte, bianco come la gioia, bianco come le lenzuola su cui si rigirano.
"Germania non c'è..."
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Giappone/Kiku Honda, Nord Italia/Feliciano Vargas
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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未熟 Mijuku || Immaturo
 


Verità e dolore.
Un cuore sconsolato.
Sei un amico meraviglioso.
Sentiva queste parole, Kiku, mentre i brividi gli percorrevano la pelle candida e morbida come il fiore di cui portava il nome. Le lenzuola sotto di loro erano fresche e delicate, com’erano delicate ma bollenti le mani del giovane che lo accarezzavano con fare lascivo ed impudico, sfiorandogli i fianchi sottili e il corpo gracile, da adolescente, ancora timido e incapace.

Morte.
Gliel’aveva detto così, bruscamente, Feliciano, quel giorno in cui gli aveva rivelato il significato del suo nome. Morte, a questo loro collegavano i teneri petali e la bellezza armonica del crisantemo che lui tanto amava e ammirava; concetto così assurdo, così diverso, così lontano da ciò che lui intendeva e da ciò che le parole bonarie e secolari del fratello gli avevano tramandato.

Il respiro caldo dell’italiano gli solleticò il collo scoperto, mentre una mano disinvolta gli lambiva il ventre magro e scivolava a massaggiargli l’inguine, facendolo rantolare nel tentativo di trattenere un gemito.

Vita.
Aveva rifiutato quel significato cupo e sconosciuto, aveva stretto a sé il ricordo e tutto ciò a cui aveva creduto e si crogiolava nelle sue tradizioni e nelle sue memorie. Il suo nome era vita, era pace, e lo era anche lui.

Sentì le labbra umide di Feliciano lasciargli dei baci roventi sul collo e sulle spalle, succhiargli la pelle lattea facendola arrossare e bruciare.
“Germania non c’è…” e Kiku esalò un gemito e ansimò piano, quasi questa affermazione gli avesse levato un peso dal petto; allargò le gambe e lasciò che l’altro gli ghermisse le natiche, cercando di deglutire un groppo di saliva con la bocca asciutta e impastata.

Forse, era entrambi.
L’aveva ucciso e lo stava uccidendo, quella guerra che si combatteva là fuori, a cui si era unito ma che ora non pareva più avere un senso; ed era il fiore dei morti, quel Kiku soldato, che mieteva vittime con uno sguardo impassibile e senza nessun riflesso di turbamento ad adombrargli il volto giovane e sottile.

Sussultò appena nel momento in cui avvertì l’altro entrare in lui, con la calma e la delicatezza di cui solo Italia era capace, e si lasciò accarezzare e baciare, coccolare e possedere, mentre affondava il viso nell’incavo del collo del compagno.

Poi c’era quel dolce sorriso che gli si rifletteva nelle iridi scure e che gli faceva dimenticare il mostro che stava diventando, che era stato e che era. Ed era il fiore della vita, quel Kiku amante, che lasciava che il compagno lo toccasse e lo facesse suo ogni volta che voleva e che poteva.

E non sapeva se chiamarla amore, quella brama che li spingeva a cercarsi e ad unirsi come se fossero un unico essere, quando il sole andava a dormire dietro l’orizzonte e lasciava che il buio della notte li coprisse, o quando la grande casa che li ospitava si svuotava lasciandoli soli, accompagnati dal solo suono del protettivo silenzio attorno a loro e dal fruscio delle coperte che si spostavano e scivolavano via al ritmo di quella loro meravigliosa e peccaminosa coreografia.
Era forse il semplice desiderio di potersi distaccare dalla cruda realtà, quello che provavano, quella convinzione infantile di poter cancellare tutto ciò che li circondava, di poter essere, per qualche minuto, solo loro e quel letto.

Giappone ansimò e si contorse, avvolto dalle braccia calorose di Veneziano, gli occhi a mandorla chiusi e i capelli corvini appiccicati alla fronte pallida e sudata; l'amico si muoveva sopra di lui e in qualche modo pareva riuscisse a trasmettere il piacere che provava anche al compagno - o forse era quell’abilità tanto decantata degli amanti italiani che lo faceva sembrare.

Era un amore adolescenziale e immaturo, il loro, nato dal bisogno di abbandonare i mali di quel mondo brutale e feroce in cui erano costretti a vivere, un amore venuto alla luce come semplice sogno di un’evasione da quella verità che entrambi temevano.
Un amore acerbo e impreparato, di quelli semplici e pacifici che ti fanno credere di poter essere finalmente felice, ma solo per pochi, sfuggenti attimi.

Ed erano morte, ed erano vita.
C’erano solo loro due, essi solo esistevano davvero; Feliciano lo baciò, e in quel momento le sue labbra voluttuose divennero tutto ciò che riusciva a sentire.
Poi si staccò, rivide la luce, rivide la stanza. Crollò tra le coperte candide, sempre stretto al corpo bollente e sensuale dell’amato.

Pianse.





 
   
 
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