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Autore: FairLady    13/07/2016    0 recensioni
Una persona può cambiare totalmente per un'altra? Può annullarsi per un'altra?
Questa è la storia di Mark e Marta, gentilmente concessomi da Ohra_W, e del percorso che, in qualche anno, li porterà a capire cosa realmente vogliono e di cosa hanno veramente bisogno.
Dal primo capitolo:
"E, a un tratto, quella donna si era trasformata nella sua ossessione personale. Era possibile che fossero stati sufficienti cinque minuti, in cui, per altro, non era successo assolutamente nulla di anche solo lontanamente rilevante, per farlo impazzire? "
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Mark Owen, Nuovo personaggio, Quasi tutti
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Triangolo
Capitoli:
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QUALCHE GIORNO PRIMA L’USCITA DEGLI ARTICOLI
 
Non era certo la prima volta che lui ed Emma litigavano, come non era certo la prima volta in cui, per una cosa o per l’altra, passava la notte fuori. Non era la prima volta che l’ombra di qualche infedeltà, vera o presunta tale, aleggiava sulle loro teste.
Era la prima volta, però, che quelle infedeltà venivano a galla, come cadaveri le cui carcasse lentamente percorrevano un fiume vicino alla secca, e che s’impigliavano in cumuli di macerie trascinate dall’inerzia.
Era la prima volta dopo tanto che Mark si permetteva il lusso di pensare a Marta. Ogni tanto si abbandonava ai ricordi della sua mente, troppo spesso offuscata dall’alcool.
Ciò che il suo subconscio aveva conservato di lei, però, non le rendeva di certo giustizia, ed era quasi sicuro che molte cose che pensava di aver vissuto con lei fossero in realtà situazioni mai state, ma che avrebbe voluto vivere veramente.
La realtà e il sogno spesso si confondevano, creando ancora più casini di quanti già non ve ne fossero.
Era la prima volta dopo tanto che riusciva a rivederla come se fosse lì davanti a lui e, come quel primo momento nella hall dell’hotel, il suo cuore esplose.
Suonò al citofono dell’amico che era piena notte.
All’orecchio di Emma erano giunte voci nei giorni precedenti, circa il suo comportamento negli ultimi tempi, e da quello che lei gli aveva detto, quelle voci tendevano ad essere abbastanza veritiere. Avevano litigato tutto il giorno e gran parte della serata; lei si era addormentata, sfinita dalle grida, sul divano del salotto, allora lui si era buttato velocemente sotto la doccia. Era ancora ubriaco – in verità, lo era quasi sempre, ultimamente – e sentiva la necessità di qualche minuto di lucidità, se mai fosse arrivata a dargli un po’ di tregua. Quando era tornato di sotto, Emma era di nuovo sveglia e sul piede di guerra. Non aveva detto molto in aggiunta ai migliaia di improperi vari precedenti, si era limitata a guardarlo torva e intimargli di andarsene.
Ecco perché era di fronte a casa Barlow. Non aveva neanche potuto salutare i suoi figli, che Emma aveva lasciato dai nonni quella mattina.
Una luce si accese al secondo piano; qualche istante dopo, alla finestra dell’ingresso. La porta si aprì e Gary, in vestaglia e piedi scalzi, cercò con lo sguardo lo sfortunato avventore nella sottile foschia della notte.
«Mark, che ci fai qui?»
«Posso dormire da voi questa notte?»
 
Il comitato Barlow era riunito – e per comitato Barlow si intedevano Gary e Dawn, in pigiama, in cucina, davanti a un thè bollente e due fette di limone.
La fettina gialla nel liquido ambrato di Mark galleggiava come una boa mollata alla deriva; un po’ come si sentiva lui in quel momento: un’imbarcazione lasciata in mezzo al niente, nell’attesa della prossima tempesta.
«Senti, Mark, io lo so che non vuoi sentirtelo dire, e credimi che non ti sto per fare una paternale riguardo le tue “scappatelle”, ma hai bisogno di aiuto. Prova a parlare con Emma, dille che ti dispiace, che sei un coglione e offriti di andare in riabilitazione.»
Aveva parlato Gary, ma da come Dawn lo guardava, era chiaro che il comitato concordava riguardo ogni punto.
«Ma ci credete! Vuole che vada in riabilitazione, mi ha dato dell’ubriacone schifoso che non si rende conto di dove infila il pisello!»
Gary si limitò a rilasciare un breve sospiro tra le labbra strette; Dawn pareva compatirlo, ma Mark sapeva che non lo faceva con cattiveria. Lei gli voleva bene.
«Io un ubriacone?! Sì, ho alzato un po’ il gomito ultimamente, ma in casa sono sempre stato ineccepibile… con i bimbi e anche con lei. Dio…!»
«Mark, sai che di solito non mi pronuncio, ma… - questa volta fu Dawn a parlare – credo che forse dovresti considerare l’idea di fare quello che ti ha chiesto, se è l’unico modo per convincerla ad aggiustare le cose, fallo per i bambini.»
«Giusto – sentenziò l’amico, come se le parole della moglie fossero state pronunciate dalla voce divina -, e considera che si tratta solo di qualche settimana. Poi iniziamo con l’album, e la promozione. Rimettiti in sesto, vedrai che vi servirà.»
Non so nemmeno se voglio che serva.
Mi manca. Lei, Marta.
Dovrei vivere una vita che non sento mia?
Ci sono Elwood e Willow… dovrei pensare a loro.
Ma posso insegnar ai miei figli ad accontentarsi?
Io non sono felice così.
Forse dovrei imparare ad esserlo.
Marta, ti amo.
 
Dawn lo sistemò nella camera degli ospiti; nell’aria c’era ancora odore di nuovo, come se nessuno avesse ancora mai dormito tra quelle mura. Le coperte panna erano perfettamente tirate e, appesi alle pareti, campi di lavanda cercavano di restituirgli un po’ di colore, senza riuscirci.
Si sdraiò sulle coperte immacolate, ancora vestito e con le scarpe ai piedi. Pensava non sarebbe riuscito a prendere sonno, invece in pochi istanti crollò in uno stato di totale incoscienza.
Fuori il sole si preparava a spuntare.
 
***
 
DOPO GLI ARTICOLI
 
Durante tutto il tragitto a piedi fino a casa, Marta non aveva fatto altro che ripetersi che era stata solo colpa sua e che se l’era cercato, quell’enorme casino.
Anche se aveva provato con tutta se stessa a cancellare dalla sua vita ciò che era successo – illudendosi di esserci riuscita, per altro – si era dovuta arrendere alla realtà e ammettere che, in un modo o nell’altro, Mark e ogni cosa che quel nome voleva dire non si sarebbe mai trasformato in un puntino lontano nell’orizzonte che desiderava lasciarsi alle spalle. Mark ci sarebbe sempre stato, e per questo l’odiava.
Aveva camminato a testa bassa, cercando di farsi piccola, così piccola da riuscire a perdersi nelle crepe profonde dell’asfalto di Mayfair. Le sembrava che ogni singola persona che incrociasse la fissasse con indignazione; leggeva compatimento perfino sui muri. Anche il suo riflesso nella vetrina di Primark sembrò guardarla storto – con una certa aria di superiorità, per giunta – come se la donna in quel vetro opaco e sporco non fosse la stessa Marta che tentava di convincersi di non avere colpe, se non quella di aver amato troppo una persona che amore non ne meritava.
Non ne meritava?
E ora, avvolta in una coperta, accartocciata su se stessa in quel divano beige troppo piccolo e troppo poco confortevole – ché con quello che pagava di pigione, mica se l’era potuto permettere un divano che potesse realmente definirsi tale – la luce fioca di un pensiero sconnesso, ma stranamente piacevole, baluginò in un luogo recondito della sua mente.
E se questo fosse finalmente l’inizio?
Il telefono prese a squillare per l’ennesima volta, facendo schizzare da codice giallo a codice rosso fuoco il cerchio alla testa che la martoriava da quella mattina.
Ovviamente era Adam, ancora.
Prima o poi avrebbe dovuto decidersi a rispondergli o se lo sarebbe trovato alla porta, preoccupato – forse arrabbiato per quella sua inusuale reticenza nel rispondere alle sue chiamate – e non voleva certo che la trovasse in quello stato.
Non voleva che la trovasse. Punto.
Non avrebbe saputo come affrontare il discorso, come spiegargli cose che nemmeno lei aveva capito; più di tutto, però, non avrebbe potuto sopportare il suo sguardo deluso nel caso avesse già letto i giornali… nel caso avesse già scoperto che la donna meravigliosa che credeva di avere al suo fianco fosse una sfascia–famiglie.
Ho voglia di sentire la sua voce.
Lo odio, mi sta rovinando la vita anche senza farne parte.
Ma perché doveva capitare proprio a me?
E adesso come faccio ad andare a lavoro, cosa dico ai miei amici?
Adam non vorrà più parlarmi.
Mark, mi manchi da impazzire.
Hai lasciato un vuoto incredibile, ma non puoi mancarmi. Non devi.
Dio, quanto ti voglio.
Ti odio!

Regnava un silenzio tombale in quella stanza, eccetto che per qualche sporadico singhiozzo, brevi spasmi dovuti al continuo piangere e quelle urla silenziose che, risucchiate dalle mura intorno a lei, esplodevano invece nella sua testa.
Stava diventando tutto semplicemente troppo da sopportare e, quando finalmente la spossatezza vinse, Marta si addormentò in un sonno tormentato.
Qualche ora dopo aprì gli occhi e la prima cosa che percepì fu il tamburellare flebile della pioggia sulla finestra. Si stiracchiò, regalando un accenno di sorriso a quella Londra tanto amata che non si smentiva mai, neanche in primavera.
Si tirò su dal divano, dove si era addormentata, e prima di riempire il bollitore buttò un occhio all’orologio. Aveva dormito tutto il giorno!
Non ricordava bene, ma era certa di aver sognato durante quel pisolino non programmato; nonostante tutto il casino che stava passando, era stato anche un sogno piacevole, rilassante, tanto che, al risveglio, sperò che in realtà non ci fosse alcun articolo di giornale, nessuna foto e, soprattutto, nessuno scandalo svelato.
Purtroppo, però, le decine di chiamate perse sul telefono fecero svanire quella mera illusione.
Gale le aveva lasciato decine di messaggi, così come Adam e Violet.
Persino sua sorella le aveva mandato un sms sospetto: purtroppo, con internet, i peccati non si erano fermati prima della Manica.
Forse era ancora in tempo per rivalutare l’ipotesi di quel viaggio oltreoceano – o meglio, oltre Via Lattea. A quel punto, solo cambiare universo l’avrebbe aiutata.
«Marta! Marta, ci sei? Aprimi, per favore! So che sei lì!», di colpo, Adam era dietro la porta di casa sua e lei avrebbe voluto possedere una via di fuga, un’uscita secondaria, una scala antincendio, invece quel palazzo maledetto non aveva neanche quella!
«Marta, per favore, aprimi! Non hai alcun motivo di nasconderti, sono qui per te!»
Il fatto che quell’Adam del cavolo fosse sempre così accomodante con lei, comprensivo e di conforto, per assurdo, non le era di alcun aiuto. Anzi, la spingeva ancora più in basso, più in fondo di qualsiasi fondo avesse mai toccato prima.
«Per favore, Adam, vai via! Non ho voglia di uscire e non ho voglia di vedere nessuno!», si era costretta a urlargli attraverso la porta chiusa. Sapeva di aver assunto un atteggiamento irragionevole, ma tutta quella situazione era così ingiusta! Non voleva che s’immischiasse, che cadesse vittima anche lui dei suoi errori.
«Marta, per favore…», sentì il suo corpo appoggiarsi alla porta, con un tonfo rassegnato. Lo sentì scivolare contro di essa. Si era seduto e con buona probabilità lì sarebbe rimasto fino a che lei non gli avesse aperto.
La ragazza sentì di nuovo il fiume in piena dentro sé cercare di straripare. I suoi occhi, che credeva non avessero più lacrime da piangere, si inumidirono lasciando che la frustrazione fuoriuscisse.
«Scusami, Adam, ma non posso. Vai via.»
 
Non sapeva per quanto tempo Adam era rimasto lì dietro. Non sapeva per quanto tempo lei era rimasta lì seduta vicino alla porta. Non sapeva. Niente.
Il telefono aveva continuato a suonare fino a che, esausto, si era spento da qualche parte in cucina e lei si era decisa, ad un certo punto e solo perché iniziava a sentire l’odore della sua tristezza, a buttarsi sotto la doccia. Ci era rimasta parecchio, considerando che quando uscì dal bagno ormai era notte fonda. Aveva perso la cognizione di ogni cosa.
Rovesciò sul letto ancora intatto tutta la sua stanchezza, venuta per chiedere il conto salatissimo di quegli anni in cui aveva amato, aveva tentato, aveva persistito diabolicamente in cause perse e aveva mollato per poi riprovare di nuovo; di quegli ultimi mesi in cui aveva disperatamente cercato un appiglio cui attaccarsi per riprendere a respirare aria sana, senza Mark.
Ovviamente, non ci era riuscita.
 
Un nuovo giorno – o pomeriggio, o sera, ormai non lo sapeva più – era arrivato e quando Marta aprì gli occhi, che le dolevano dal tanto piangere che aveva fatto, il susseguirsi delle ultime ore gli aveva di nuovo riempito la testa.
Si era data malata a lavoro, unica cosa che era stata in grado di fare senza troppi traumi – ché il suo capo, quando aveva sentito la sua voce, si era seriamente molto preoccupato.
Si preparò la colazione, lo stomaco iniziava a farle male dato che, in pratica, non mangiava da almeno trentadue ore.
Mentre il latte scaldava e le fette di pane tostavano, decise che era giunto finalmente il momento di affrontare la situazione, così attaccò il telefono alla presa di corrente e lo accese.
Immediatamente, una serie infinita di bip di ogni tipo prese possesso dell’apparecchio, tanto che divenne un unico fastidioso suono; lo abbandonò sulla dispensa mentre proseguiva con i preparativi del suo pasto, lasciandolo suonare come impazzito.
Quando, dopo qualche minuto, il beato silenzio tornò a regnare nella casa, prese il cellulare in mano e iniziò ad analizzare chiamate e messaggi.
Tra i tanti che trovò ne vide uno particolarmente accorato di sua sorella, così decise di ignorare momentaneamente tutti gli altri e chiamarla.
Non aveva ancora risposto all’altro capo del telefono quando qualcuno suonò alla porta; senza pensare, Marta, con ancora il cellulare appoggiato all’orecchio, si avvicinò a essa e guardò attraverso lo spioncino.
Tra tutte le persone che avrebbe pensato di trovare lì dietro, di certo non avrebbe mai immaginato che potesse essere Mark.
Mark, lui era lì e Marta non era affatto sicura che sarebbe stata in grado di affrontarlo.
L’unica cosa che la convinsero ad aprire fu il suo sguardo.
Quello stesso che l’aveva incatenata a sé quattro anni prima.
 
 
Here we come now on a dark star,
seeing demons, not what we are. 
Tiny minds and eager hands will try to strike
but now will end today.
   
 
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