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Autore: LoveStoriesInMyHead    13/07/2016    2 recensioni
"My heart, my soul and my music sounds the same."
TRATTO DALLA STORIA:
"Tira indietro i capelli biondi, prende una chitarra acustica, avvicina uno sgabello e abbassa l’asta del microfono.
Gli altri componenti rimangono fermi, come parte dello sfondo di un quadro struggente e malinconico. Le parole mi attraversano e si risiedono sul fondo della mia anima. È inusuale. Non mi capita mai di commuovermi. L’anima tormentata narrata dai suoi versi è perfettamente compatibile alla mia. Ho l’impressione di rispecchiarmi nei suoi occhi. Nonostante l’immensa distanza fisica, sento le nostre anime sfiorarsi, abbracciarsi, fondersi[...]
L'ho sentito cantare per pochi minuti, ma sono bastati per farmi innamorare perdutamente."
Genere: Fluff, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi, Slash
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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You knocked at my door



Quando apro la porta di casa, trovo mia madre seduta su uno sgabello in cucina. Indossa ancora la vestaglia da notte ed i suoi capelli sono arruffati ed in disordine. Picchietta con ritmo regolare le unghie laccate di rosso sul marmo della penisola al centro della stanza. Ha davanti una tazza e la caffettiera fumante. Due lenti sottili e di forma rettangolare sono poggiate sul suo nasino alla francese.
«Buongiorno» mi dice, rompendo il silenzio. «Dove sei stato?»
So benissimo che sa dove sono stato e mentire non mi sembra per niente un’ottima idea. «Davide ed altri miei amici hanno avuto un incidente stanotte. Ho ricevuto una chiamata verso le cinque di questa mattina.»
La raggiungo in cucina e mi siedo davanti a lei. Mi porge una tazzina, nella quale verso un po’ di caffè, macchiandolo poi con del latte.
«Come stanno? E come hai raggiunto l’ospedale?» Mia madre beve un sorso di tè dalla sua tazza e si raddrizza sulla sedia. Il suo volto assume un’aria preoccupata e delle piccole rughe fanno capolino ai lati estremi dei suoi occhi.
«Davide ha subíto un intervento, ma i medici hanno detto che se la caverà. Gli altri sono stati più fortunati. Due di loro ne sono usciti illesi. Un altro, Riccardo, ha una lussazione al braccio e dei piccoli taglietti sul viso. Ma per il resto sono stati fortunati, visto ciò che sarebbe potuto succedere.»
«Sono sollevata. Nel pomeriggio vedrò di andare in ospedale a trovarlo. Sai quanto mi è stato d’aiuto quel ragazzo. Ci tengo a ricambiare il favore» sospira, sollevando la testa. Si porta gli occhiali sulla testa, bloccando alcune ciocche di capelli che le cadevano sugli occhi. «Comunque, non hai risposto alla seconda domanda.» Alza lo sguardo e mi fissa, in attesa della risposta che la farà infuriare.
«Ho preso la Camaro» dico, torturandomi le mani da sotto la lastra di marmo. «So benissimo che non avrei dovuto prenderla senza il tuo permesso, ma era un’emergenza e dovevo assolutamente vederli.» Questa risposta sembrò però addolcirla.
«Mi ricordi tuo padre. Lui ha sempre avuto questo carattere impulsivo e determinato, nonostante sia per la maggior parte del tempo un tipo tranquillo. Era questo ciò che lo rese interessante ai miei occhi tanti anni fa.» beve un altro sorso di tè e mi sorride. «Ciò non significa che sei libero di prenderla quando ne hai voglia.»

Faccio un sorriso di rimando e mi alzo dallo sgabello. Mi avvicino a lei e le stampo un bacio sulla guancia. So quanto si sente sola e so anche che le piacerebbe riavere papà qui con noi. Dopo il divorzio, per lei fu difficile fare quadrare i conti. Attraversammo molti ostacoli e per un primo istante, pensai di aver perso mia madre. Era sempre molto silenziosa e passava la maggior parte del tempo a pulire casa. Fortunatamente, quando la convinsi a tornare al suo vecchio lavoro, sembrò tornare quella di una volta.
«È meglio che mi inizi a preparare. Fra poco devo andare a lavoro.» Si alza e mette le stoviglie sporche nel lavandino. «Oggi ho un meeting importante con un’azienda di prodotti per capelli. Spero che il nostro ufficio vendite riesca a concludere l’affare.»
«Va bene, mamma.»

Mi alzo anche io e mi dirigo in camera mia. Quando entro, trascino il mio corpo fino al letto e mi butto letteralmente sul materasso. Improvvisamente sento un’enorme stanchezza. Chiudo gli occhi per un attimo e poco dopo mi addormento di sasso.
Quando inizio a risvegliarmi, ascolto mia madre indaffarata al piano di sotto. Sento porte sbattere, chiavi tintinnare, imprecazioni sommesse a causa dell’arricciacapelli che non fa il suo dovere.
«Mamma, è tutto okay?» le urlo, rigirandomi sul letto.
«Sì, tesoro. Ho solo un po’ di fretta. Ti dispiacerebbe lavare la roba dentro il lavandino?»
«Non c’è problema, tranquilla.»

Dopo una mezzora scarsa, la sento andare via. Mi alzo dal letto e sistemo il piumone alla meno peggio. Scendo le scale svogliatamente e mi alzo fino ai gomiti le maniche della maglia. Afferro i miei occhiali e li indosso. Evito di metterli quando esco di casa, mi fanno sentire in imbarazzo, così li tengo soltanto a casa.
Ho appena finito di asciugare l’ultima tazza e mi tampono le mani ancora un po’ umide. Di colpo suona il campanello e sono leggermente sorpreso. A parte mia madre e Davide, non so chi mi possa fare visita. Mi dirigo alla porta e guardo l’esterno attraverso lo spioncino. Vedo un ammasso di capelli biondi, poi alza leggermente la testa e intravedo gli occhi di Riccardo che scrutano lo spioncino. Il mio cuore fa una capriola quando i nostri occhi si scontrano. Mi schiarisco la voce e metto via gli occhiali, gesto che ormai è divenuto un’abitudine. Così gli apro la porta. Riccardo sta in piedi sullo zerbino, mi saluta con un’aria impacciata e si porta la mano sinistra dietro la testa, grattandosi la nuca. Indossa una maglia di un rosso sbiadito e dei semplici jeans. Non oso immaginare quanto sia stato difficile per lui cambiarsi con un braccio immobilizzato.
«Mi sa di aver lasciato il mio portafoglio nella tua auto. Quando sono arrivato a casa, mi sono accorto di non averlo più» mi spiega, con un sorriso sulle labbra.
«Oh, certo. Te lo recupero subito.» Faccio per prendere le chiavi della Camaro sul mobile accanto all'ingresso, quando noto che le chiavi non ci stanno più. «Cavolo! Mia madre è uscita e si è portata l’auto.» Faccio il suo stesso gesto dettato dall'imbarazzo e mi scuso per l’inconveniente.
«Okay» risponde.
«Se ti va, puoi restare qui e potremmo aspettarla insieme.» Mi sposto di lato e gli lascio lo spazio per accomodarsi. «Dovrebbe tornare per l’ora di pranzo.»
«Okay» risponde, mostrandomi un sorriso tenero.
   
 
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