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Autore: Osage_No_Onna    15/07/2016    0 recensioni
[Slash://]
Due ragazzi.
Un mese di vacanza.
Quattordici biglietti lasciati su un muro.
Quindici fiori ad accompagnarli, scelti accuratamente in base al loro significato.
L' evoluzione di un rapporto, dalla fredda indifferenza all' amore.
I sentimenti sono imprevedibili: cambiano in un batter di ciglia e non sempre si trova il modo adeguato per esprimerli appieno.
Ma le possibilità sono tante, quasi infinite.
Sta a noi sfruttarle al meglio.
E se il mezzo di comunicazione è decisamente desueto, la situazione si fa più intrigante...
Genere: Generale, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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10: Usual ways, untrodden feelings
 

Sotto il cielo rannuvolato e grigio del primo pomeriggio il parchetto era deserto.
Spirava un vento leggero e fresco che sollevava nella sua corsa bianchi pollini e qualche seme di tarassaco che volteggiava leggero, quasi ad imitare la danza di un’abile ballerina.
Solo un’altalena di quelle classiche, con il sedile di gomma un po’ mangiucchiato da fantasmi burloni, ancora oscillava lentamente a segnalare la presenza, almeno fino a poco tempo prima, di qualcuno: una personcina di sesso femminile, seminascosta dal tronco di un albero, seduta sulla felpa che era solita tenere in vita e dagli occhi a mandorla che dolci e pensosa fissavano il vuoto e non le mani, come si poteva credere.
Giugno era agli sgoccioli, il mese di Giulio avrebbe presto bussato alle loro porte, quell’ idillio presto sarebbe finito: cosa ne aveva ottenuto lei?
Avrebbe aggiunto qualcosa al computo dei guadagni, come sperava, oppure quel campus, a conti fatti, non era stato che un altro analgesico inefficace?
Era cambiata? E se sì, in meglio?
Nonostante avesse almeno la metà delle risposte già pronte, amava comunque riordinare quel turbine di sentimenti che le vorticava dentro, fare chiarezza dentro di sé e cercare di capirsi.
Era l’effetto benefico delle sedute dalla psicologa: presto le avrebbe desto arrivederci, lo sapeva bene, ma per gli addii c’era ancora tempo.
La solitudine l’ aiutava e anche quando cercava ispirazione aveva bisogno d’ isolarsi almeno un po’: non sapeva nemmeno lei come mai, ma gli stimoli esterni, distraendola, le impedivano di portare a termine i compiti che si era prefissata oppure ne ritardavano l’ esecuzione.
Allora, cosa poteva dire?
C’era stato un miglioramento?
Sì, impossibile negarlo e anche non notarlo: le sue guance avevano ripreso colorito e lei forze e allegria, ora rideva e scherzava come non faceva più da tempo (nonostante non avesse mai avuto un’ indole troppo incline al divertimento) e aveva stretto delle amicizie che la lontananza non avrebbe scalfito… o almeno sarebbero durate per un po’.
Quindi no, non era stato inutile quel campus musicale.
E poi quel nuovo sentimento che stava bussando alle porte del suo cuore: si poteva già definire con quella parola di cinque lettere che suona “amore”?
Bella domanda.
Di certo era molto più di un semplice interesse, certo s’ era evoluto in una grande amicizia, ma ancora non era totalizzante e sconvolgente “come il vento che dalla montagna si abbatte sulle querce[1].
Parole dell’ immortale Saffo, quelle, che avevano fatto innamorare suo padre di quella Decima Musa, in gioventù, e che lei aveva apprezzato anche se non le erano piaciute particolarmente. Chissà se avrebbe imparato a capirle, prima o poi.
Le aveva sempre lette con il distacco di chi ha la mente lucida, non turbata né dall’ amore né da qualsivoglia altro sentimento intenso: mente da scienziato, l’aveva definita lei.
C’ era stata dunque comprensione, ma non piena, né tantomeno empatia: le uniche emozione che aveva provato in quei giorni erano tristezza e rabbia.
Aveva pianto, e tanto. Il suo spirito era diventato gelido, aveva avuto bisogno di una scossa.
Era arrivata.
Lei era rifiorita.
Ora era felice e forse anche qualcosa in più. Sperava molto in questo qualcosa, in quest’ indefinito che voleva prendesse corpo, germe d’ una novità ancora chiusa in sé stessa.
Un po’ come i semi e i bulbi a cui lui dedicava tante cure anche e nonostante i quattromila metri d’ altezza e che fiorivano meravigliosamente al suo tocco, rivelandosi come serratulae alpine, bucaneve, tulipani.
Cosa stava facendo, lui?
Poteva immaginarlo, perfettamente a suo agio nel giardino del campus, che dedicava tutte le sue attenzioni a quei poveri fiori negletti, calpestati dai passanti distratti, poveri tapinelli, ignorati per la sola colpa di non essere abbastanza grandi o vistosi, come quei bei piselli odorosi in fondo al vialetto che nessuno si prendeva la briga di ammirare.
Durante una delle loro passeggiate lui le aveva detto che teneva molto alle piantine insignificanti perché, nonostante le loro mancanze, erano belle ed utili proprio come quelle più note: bastava un po’ di buona volontà per imparare a conoscerle e ad amarle, nonché la costanza per seguirle passo passo, incoraggiarle.
Ricordava anche come il suo sorriso si fosse allargato quando si era accorto che uno dei fiori, una campanula bianca che appena una settimana prima era sul punto di appassire, aveva ripreso vigore e colore. Era un riso allegro e ristoratore, il suo, che aveva causato anche in lei un’insolita allegria: si erano poi ritrovati a discorrere amabilmente proprio di flora e giardinaggio ai piedi di un grosso ciliegio.
Ma, nel ripercorrere quei ricordi ancora così nitidi, le passarono davanti agli occhi tutte le corolle dei fiori che si erano scambiati fino a quel momento: erano in massima parte molto modesti, dai petali piccoli o dai colori freddi.
Come mai non si era accorta prima di quel dettaglio?
Presa com’ era dalla ricerca dei significati aveva finito per trascurare la loro forma esteriore.
Non poteva dirsi completamente stupita della sua disattenzione, già da un po’ di tempo privilegiava il contenuto alla confezione ed era successo anche per lui; ma ora quel particolare le parve cruciale: aveva involontariamente scelto dei fiori semplici, proprio come lui diceva di amarli.
Di certo non l’aveva fatto volontariamente, non aveva certo avuto l’intenzione di sedurlo in qualche modo, anzi poteva benissimo dire d’ averli presi per moto spontaneo, per una subitanea simpatia che avevano suscitato nel suo animo che poco a poco andava risanandosi.
Non c’era nulla di cui stupirsi, dunque, se lui s’ era sentito in qualche modo attratto da lei: perché in fondo anche lei era una pianticella di scarso valore, tutta raccolta in sé stessa e talmente impegnata ad edificarsi e a brillare solo all’ interno da comparire sciatta e priva d’ interesse a chi guardava da fuori.
Un tremito l’ attraversò tutta: voleva forse dire che non era forte come aveva sperato e come lui aveva creduto?
Ma cosa ci si poteva aspettare, dopotutto, da chi arrossiva violentemente anche per un bacio leggero e fugace come una carpa in un laghetto?
Già, era così che lui l’ aveva salutata dopo l’ ultimo incontro, prima di fuggire via rapido come una folata di vento all’ inseguimento di un pettirosso che aveva sentito trillare, e subito lei s’ era sentita avvampare, mentre il suo stomaco compiva una piccola capriola.
Era davvero caduta così in basso da farsi turbare da un gesto così semplice?
Ricordò le sue parole, lì sotto l’ albero, circondato dalle margherite selvatiche.
“Per quanto possano essere trascurate queste piante, sappi che non hanno proprio nulla da invidiare a nessuna delle loro colleghe. Non sempre la mancanza è un difetto, anzi spesso ha una compensazione.
Un po’ ti assomigliano.”
Poi le aveva anche parlato della sua “teoria”, come la chiamava lui, ovvero la riflessione sulla maschera che lei si era creata, il nomignolo di Makiko e l’anima in negativo.
Ma, se da un lato quanto lui aveva cercato di provare (ovvero che era stato un segno di estrema forza, mascherarsi e tirare avanti come se nulla fosse successo) la lusingava, dall’ altra avrebbe voluto alzarsi in piedi e strillare che erano tutte menzogne, che stava solo cercando d’ indorarle la pillola perché davvero non c’era nulla di valoroso nel voltare le spalle alla realtà e vivere perennemente in bilico in quello spazio indefinito tra illusione e realtà che lei stessa aveva creato, né tantomeno nello schivare le frecce per paura di essere colpita di nuovo, perdendo così l’ occasione di fortificarsi.
E invece nulla, era rimasta buona buona ad ascoltarlo mentre un fremito le attraversava la schiena e gli aveva risposto, una volta finito il discorso, con un banalissimo “Ci penserò su.”.
E meno male che si era ripromessa di non nascondergli nulla… come sapeva svanire in fretta, la sua tanto decantata fermezza, proprio quando ne aveva più bisogno!
Un ghigno amareggiato attraversò il suo viso: doveva assolutamente comunicargli tutti quei pensieri; aveva deciso che sarebbe stata franca con lui e non voleva affatto mancare di parola.
E poi le piaceva parlare con lui, la faceva sentire meglio, più leggera, quasi pronta a spiccare il volo, più incline al riso.
Insomma, la rendeva felice: sarebbe stato triste dirsi arrivederci, alla fine del campus.
Camminando in fretta lungo le strade semiabbandonate del primo pomeriggio, rese più cupe dal colore plumbeo del cielo, raggiunse in fretta il negozietto di fiori diventatole ormai familiare.
L’ accolsero simultaneamente il grazioso tintinnio di una campanella dorata e lo sguardo curioso di una commessa dagli occhialetti a mezzaluna, alla quale chiese di fiori che stessero a indicare la felicità.
Mentre quella camminava in lungo e in largo per la sala sui tacchi alti, l’ attenzione della ragazza fu catturata da alcuni fiorellini gialli i cui petali erano disposti a croce.
La fioraia, accortasene, cominciò ad enumerare le numerose virtù della celidonia minore, dal suo utilizzo per la cura delle verruche a quella dell’ asma, ma anche della sua potenziale pericolosità date le sue componenti tossiche.
La donna sembrava però amare particolarmente quella pianta alta poco meno di un metro: la guardava con tenerezza ricordando gli scrittori che ne avevano parlato, come Dioscoride o William Wordsworth.
Quella passione contagiò anche la ragazza, che ne acquisto alcuni rametti e uscì dal negozio gongolando.
Alzando gli occhi al cielo si accorse, grazie alla luce bionda che colpì le sue pupille, che era ritornato di quel blu che aveva a lungo atteso e che ora pareva sorriderle ed incoraggiarla.
Sopra i tetti volava veloce un carosello di rondini.
Proprio da quegli uccelli così rapidi ed amati traevano il loro nome i semplici fiorellini che aveva in mano, e vedendole volare anche lei avrebbe voluto farlo.
E invece continuò a camminare verso il muretto di casa a passo più spedito, chiedendosi quali altri doni il cielo le avrebbe elargito[2].
 
 
Ricordi quell’ ode di Orazio[3] che mio padre mi aveva dato da leggere e che declamai di fronte a voi?
Ho deciso di fare un conteggio anch’ io, ma della mia situazione attuale: posso finalmente comunicarti/vi che la felicità è arrivata. O, se non l’ha ancora fatto, lo farà al più presto.
Con questi fiori, ancora una volta, ci sono i miei ringraziamenti e la speranza che questa non sia la fine.
Ti voglio bene.

 

-Y


PS: Appena puoi raggiungimi. Ho cose importanti da dirti.”  
 
 

 


[1] Saffo, fr. 47 Voigt.

[2] Frase che gioca sul possibile etimo del nome “celidonia”: potrebbe tanto derivare da “rondine” in greco antico (χελιδών, chelidon), quanto dalla locuzione latina “coeli donum”.

[3] Odi; 1,9.

   
 
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