Confusion
Non
capirsi è terribile-
non capirsi e abbracciarsi,
ma benché sembri strano,
è altrettanto terribile
capirsi totalmente.
In un modo o nell’altro ci feriamo.
Ed io, precocemente illuminato,
la tenere tua anima non voglio
mortificare con l’incomprensione,
né con la comprensione uccidere.
Evgenij A. Evtusenko, poeta russo, 1933.
Aspettavo
che
Mark, uno dei miei più cari amici, finisse di vestirsi. Mi
avvicinai così alla
grande finestra, scostando leggermente la tenda chiara e lì,
rimasi a guardare,
non so per quale motivo un gruppo di ragazza che da subito non
riconobbi.
Ridevano, parlavano, sorridevano. Guardai i loro visi più
attentamente e
riconobbi una piccola figura, dai capelli castani e grandi occhi neri.
Stephanie, ricordai subito il suo nome.
Come dimenticarlo, in fondo? Al mio nostro primo incontro, a quel
piccolo dialogo
avvenuto casualmente era associato un altro ricordo. Una ragazza, dai
lunghi
capelli color del rame, dal viso rosso per l’ira, mi si
avventò, per qualche
motivo a me quasi oscuro, contro di me. Come ogni giorno del resto. E
facevo
fatica a capire cosa ci fosse sotto, quali sentimenti la portassero ad
adirarsi
in tal modo contro di me. In fondo, cosa le avevo fatto?
E spesso era stata oggetto dei miei pensieri lei, da qualche settimana
a quella
parte occupava la mia mente, i suoi occhi verdi come il prato
primaverile si
erano insinuati nella mia mente, senza abbandonarla.
Ma perché? Era realmente totalmente colpa sua?
No, non lo era, ed io lo sapevo bene. Ma i miei nervi con lei erano
messi a
dura prova. Il suo viso, cos’ dolce e delicato, assumeva
quell’aria
impertinente alla quale non potevi fare a meno di rispondere, anche se
avresti
voluto lasciar correre, non ci riuscivi. Ma quel viso sapeva anche
catturare la
tua attenzione, facendoti perdere il filo del discorso.
Continuai a fissare quelle ragazze, senza prestarli tante attenzione,
perso nei
miei pensieri. Poi, fu lì che due occhi attirarono la mia
attenzione. Sorpresi
fissarono i miei e non sentii la rabbia montare, rimasi a guardarli
contemplando la loro bellezza, quegli occhi maledetti che tanto avevo
imparato
ad odiare.
Ma cosa celava realmente il mio cuore?
Non seppi subito darmi una risposta, col senno di poi riuscì
a capire, ma
questo è un’altra storia.
-Rob, tutto okay?- mi voltai verso Mark, sciogliendo il mio sguardo dal
suo.
-Pronto?- chiesi afferrando la mia giacca.
-Cosa guardavi con tanta attenzione?- chiese avvicinandosi alla
finestra e
scostando leggermente la tenda per osservare cosa ci fosse oltre il
vetro.
-Audry. – sussurrò con leggera euforia nella voce.
Le fece segno di aspettare
con una mano e si allontanò dalla finestra, guardandomi.
-Perché non mi hai detto che c’era?- chiese lui.
Mark, tremendamente cotto di
Audry. Audry, la mia compagna di stanza lì al college.
Audry, la mia peggior
nemica.
-Ti devo ricordare che rapporti ci sono fra me e lei?- scosse il capo e
sorrise. Uscimmo dalla stanza diretti ad una dannata festa, alla quale
con
molto piacere non sarei andato… ma ancora non sapevo cosa mi
avrebbe lasciato
in serbo il destino.
Arrivai al locale in tremendo ritardo, due forse. Mark si era sentito
male
durante il tragitto, prego dalla nausea, e così fui
costretto a portarlo in
infermerei e poi a riaccompagnarlo in camera.
Bevvi una birra, seduto al bancone. Qualcuno però mi
urtò col braccio e della
birra mi cadde sulla mano. Imprecai dirigendomi verso il bagno,
sbuffando.
Odiavo avere la mani appiccicose. Così mi lavai in fretta
deciso a ritornare al
campus. Audry, sicuramente non l’avrei trovata, avevo intuito
che sarebbe
uscita. Meglio così, avrei sicuramente evitato risse e
quant’altro.
Afferrai la maniglia ed aprii la porta. Sentii un tonfo e delle
imprecazioni,
poi la vidi. Stesa sul pavimento, la sesta abbandonata sul pavimento,
un mano
sul ventre piatto e l’altra lungo il fianco. Corrugai al
fronte e mi chinai si
di lei vedendo sentendola gemere.
-Audry?- chiamai il suo nome alcune volte, ma lei si limitò
solo a scuotere il
capo. Aprì gli occhi cerando di mettere a fuoco il mio viso
e vedendo i suoi
occhi lucidi capii che era sotto l’effetto di alcolici.
Sospirando la sollevai
da terra e la sentii sussurrare il mio nome.
-Si. Sono io. – risposi dirigendomi all’esterno del
locale, diretto alla mia
auto. Poggiò la testa al mio petto, come un bambino
addormentato, chiudendo gli
occhi. Lamentandomi e mugugnando qualcosa abbandonò la testa
indietro.
Ringrazia che fosse leggere o non ce l’avrei mai fatta a
portarla fino alla mia
auto.
-Fammi scendere. – farfugliò e feci fatica a
comprendere le sue parole.
-Cosa?-
-Lo stomaco. – corrugai la fronte e la feci scendere quando
cominciò a
dimenarsi. Cominciò a camminare barcollando. Poggia
così le meni sulla sua
vita, aiutandola a restare in piedi. Si chinò presa da un
conato di vomito.
Tenendole la fronte, le accarezzai i capelli e la schiena, serrandole
che
sarebbe stata meglio, dopo. Così fu. L’aiutai a
pulirsi e riprendendola
imbraccio la condussi all’auto. La sentii gemere di dolore
durante il cammino,
probabilmente per la nausea. Una volta arrivati al campus la ripresi
fra le
braccia, e ancora si rannicchiò contro di me, poggiando la
guancia sul mio
petto. La poggia sul letto.
-Non ti muovere. – le sussurrai accarezzandole una guancia.
Annuì debolmente
col capo guardandomi con occhi stanchi. Quasi correndo mi diressi alle
macchinette all’entrata prendendo del caffè e
tornando subito in camera.
La osservai per alcuni attimi, come facevo da qualche notte,
nell’ultimo paio
di mesi. Guardai i capelli coprirle scomposti una parte del viso, le
lunghe
ciglia, le labbra sottili contrite, la pelle chiara, che alla luce
lunare
sembrava quasi perlata. La vidi agitarsi sul letto e, sospirando, mi
diressi
verso di lei.
-Se stai ferma passa prima, Audry. – dissi avvicinandomi a
lei. Le sollevai il
capo, scostandole i capelli rame dal viso, lasciando scoperto quel viso
d’angelo.
-Tieni, bevi questo. – sussurrai avvicinandole alle labbra il
bicchiere. Quasi
si avventò sul bicchiere, ritraendosi leggermente al
contatto con il caffè
caldo.
-Piano. – le dissi accarezzandole i capelli, morbidi come
seta. Allontanai la
tazza dopo che ne ebbe bevuto un bel po’ e la poggia sul
comodino. Ritornai a
guardarla i suoi
occhi incrociarono i
miei. Rimasi ad osservarla attimi che sembrarono infiniti e con i
polpastrelli
le accarezzai le palle del viso e del collo, ammaliato da una pelle
tanta
perfetta da non sembrare vera. Morbida, liscia e vellutata al tatto,
come seta,
come velluto. Calda e quasi frebbriciante. I suoi occhi chiari fu come
penetrassero i miei e sembrò quasi che il mio cuore avesse
perso un battito.
Famelica avvicinò le sue labbra alle mie, ma poggia le dita
su di esse,
bloccandole.
-Hai bisogno di dormire. – sussurrai spostandole poi sulla
sua guancia e
accarezzandola delicatamente, come fosse fatta di porcellana.
-Ho bisogno di… -
-Non sai quello che dici. – dissi in un risolino.
–Se non fossi sotto l’effetto
dell’alcool non lo diresti. - . Già, in fondo, lei
mi odiava, più di chiunque
altro. Per lei ero il nemico, una pulce, una sanguisuga.
Ma cos’era lei per me?
Il mio cuore ancora non lo sapeva. Lui che provava odio e amore allo
stesso momento.
Lui che provava felicità e tristezza nello stesso momento.
Lui che provava
mille sensazioni nello stesso momento.
Cosa celava in realtà?
-No. Si. Non lo so. – mugugnò abbandonando la
testa sul cuscino. Sorriso
intenerito e divertito.
-Dormi, Audry. – sussurrai baciandole la fronte e
accarezzandole il collo,
sotto l’orecchio.
-Resta. – sussurrò voltandosi verso di me,
poggiando il viso sul cuscino.
-Dove vuoi che vada, Audry. – mormorai fissando il suo viso,
la perfezione di
quei lineamenti delicati e quasi angelici. Le accarezzai con una mano
il viso e
con altra, incrocia le sua dita elle mie.
Dopo quella notte tutto sarebbe tornato come prima.
Perché lei mi odiava.
Perché lei non mi sopportava.
Perché io al irritavo.
Perché io la… la odiavo, dopotutto… ?
One
legata alla fiction Trovami
un modo semplice per uscirne, ma che
può essere letta anche senza
conoscere la fiction.
Grazie a tutti coloro che leggeranno.
A
voi, Panda.