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Autore: elokid78    20/07/2016    2 recensioni
Anna è una diffidente ed intransigente giovane avvocatessa londinese che deve occuparsi di redigere il contratto per il nuovo film della star inglese del momento. Una serie di imprevisti ed equivoci la porterà a dimenticare il suo passato.
Genere: Fluff, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Cap. 16. VIA DALLA PAZZA FOLLA
 
 
Benedict rimase tutta la notte.
Inutile dire quanto la sua presenza mi fu di conforto in quelle ore, sebbene si sarebbe dimostrata superflua dal punto di vista medico.
Fortunatamente non avevo riportato altri danni dallo scontro con Sean Bean, se non un grosso livido ed un’escoriazione sullo zigomo, oltre, ovviamente, ad un mal di testa lancinante.
Dato che era impossibile per me dormire, in quelle ore parlammo molto.
Mi raccontò dei suoi progetti, della sua famiglia e anche io gli parlai di me, della mia storia.
 
- Ne hai passate tante – fu il suo laconico commento.
 
Sollevai una mano in aria, come per liquidare velocemente l’argomento.
Non amavo indugiare sulle mie sventure e quando avevo parlato della morte dei miei genitori anche con Tom ero stata piuttosto sbrigativa.
Mi alzai dal divano per preparare un tea, visto che era chiaro che nessuno dei due aveva sonno.
 
- Dove stai andando? – mi apostrofò Benedict.
- Preparo un tea, ne vuoi?
- Certo, ma faccio io.
 
Mi sospinse piano nuovamente sul divano, mentre andava in cucina ad accendere il bollitore.
Tornò poco dopo con due tazze fumanti in mano. Me ne porse una con un lieve sorriso.
Mi venne in mente un dettaglio e mi sfuggì una risatina, che lui colse immediatamente.
Accorgendomi della sua aria interrogativa, spiegai il motivo della mia improvvisa ilarità.
 
- Stavo pensando ad una cosa. Sembra buffo, ma da quando ci conosciamo Tom ed io ci siamo procurati entrambi un occhio nero.
- Davvero? E chi è stato nel suo caso?
 
Gli raccontai del mio viaggio in Islanda e di come tutto era cominciato.
Gli parlai di come Tom ed io ci fossimo avvicinati in quel periodo, della cotta di Luke e delle sue conseguenze.
 
- Wow! – commentò lui – Non lo facevo un tipo manesco.
- Neppure io, altrimenti non avrei mai lasciato Tom andare da solo a parlargli. Magari se ci fossi stata anche io Luke si sarebbe trattenuto e..
- Ti preoccupi sempre così tanto per gli altri?
 
La sua domanda mi lasciò lievemente interdetta.
 
- Beh, sì, certo, se si tratta di persone a cui tengo.
- Voglio dire, l’altra sera quando mi hai visto depresso non hai mollato finché non ti ho spiegato le mie motivazioni. Eppure non ci conoscevamo che da qualche giorno.
- Che significa? Tu mi hai aiutato quando ne ho avuto bisogno in quel maledetto parcheggio. Ho semplicemente ricambiato.
- Non eri obbligata ad ascoltare i capricci di un ragazzino viziato ed insoddisfatto.
- Tu sei molto più di questo.
- Ah davvero? E cosa pensi di me?
 
Mi osservò intensamente, strizzando un po' quei suoi occhi trasparenti, mentre io, abbassando lo sguardo, raccolsi le idee per cercare una risposta soddisfacente.
 
- Intanto sei una persona che chiede scusa. E non è cosa da poco, non se ne trovano molte. Poi quando hai saputo … hai insistito perché fossi sincera con Tom e ciò significa che sei un buon amico. Inoltre quando sei venuto a sapere quei particolari su Bean sei corso qui ad avvisarmi e mi hai salvato da una situazione quantomeno … complicata. A proposito, non so se te l’ho già detto, ma grazie. Davvero. Non so come ringraziarti.
- E’ stato un piacere. Avrei voluto fare di più.
- Cosa potevi fare di più?
- Pestare a sangue quel bastardo. Fargli passare la voglia di importunarti. Ma tu eri a terra e non sapevo se stessi bene, così ho preferito …
- Non farlo! Vedi perché voglio evitare di parlarne a Tom? Non voglio che vi roviniate la carriera e nemmeno la reputazione per una persona che non lo vale!
- Per te! Non per lui! Tu ne varresti la pena!
 
Lo osservai e lui abbassò lo sguardo.
Pensavo che avesse fatto tutto questo più che altro come favore a Tom, come un aiuto silenzioso prestato alla ragazza del suo migliore amico.  Benedict tentò maldestramente di sviare il discorso.
 
- Voglio dire.. non sarebbe così strano o incomprensibile se Tom avesse voglia di pestare quel disgraziato. Ciò non significa che lo farebbe veramente, però.
- Meglio non correre il rischio.
- Sei sempre decisa a non denunciarlo? Dopo quello che è successo oggi?
- Te l’ho detto, se lo denunciassi adesso, tutto tornerebbe a galla ed io non voglio..
- Non ti capisco… proprio non ti capisco.
- Lo so come funzionano queste cose, sono un avvocato! Anche se sembra che viviamo in un mondo progressista, non è così! Al processo la difesa mi dipingerebbe come la ragazzina arrivista che voleva farsi strada grazie all’attore del momento. E sicuramente userebbero la mia attuale relazione con Tom per avvalorare la loro tesi. Non potrei sopportarlo … e Tom non se lo merita.
- Ma noi sappiamo che non è così! E lo dimostreremmo anche al processo.
- E come lo dimostreresti? Poi proprio tu parli, quando sei stato il primo a dubitare di me?
 
Le mie parole lo colpirono come uno schiaffo. Non era quella la mia intenzione, volevo solo fargli capire il mio punto di vista.
 
- Mi dispiace. Non conoscevo la storia e… non conoscevo te... – mormorò, affranto.
 
Il suo sguardo precipitò sul pavimento. Improvvisamente il parquet del mio soggiorno divenne la cosa più interessante da ammirare.
Sembrava sinceramente amareggiato per avermi giudicato male.
 
- Non serve che ti scusi di nuovo, ti ho già perdonato. E come potrei tenerti ancora il muso dopo tutto quello che hai fatto e stai facendo per me?
 
Non replicò, ma mi indirizzò un lieve sorriso.
 
- Potresti fare un’altra cosa per me? – gli chiesi per allentare la tensione.
- Cosa?
- Mi allungheresti uno specchio?
- Sarebbe meglio di no.
- Oddio, sono così inguardabile?
- No, solo un po’… tumefatta…
- Passami lo specchio per favore. Se no mi alzo e vado da sola a…
- Va bene, va bene, dove ne trovo uno?
- In bagno, nella cassettiera sotto al lavandino.
 
Si allontanò ubbidiente e tornò dopo poco con un piccolo specchietto.
Me lo porse ed io lo avvicinai al mio viso.
 
- Wow … colpita e affondata … - commentai.
 
Avevo la guancia gonfia con un bel livido violaceo che si era allargato sullo zigomo ferito. I cerotti cicatrizzanti facevano bella mostra di sé sul viso tumefatto.
 
- Da quel poco che ti conosco penso di poter affermare che possono anche colpirti, ma non affondarti – replicò lui, con una punta di ammirazione nella voce.
 
Gli sorrisi, distogliendo per un attimo lo sguardo dal mio volto allo specchio.
Pensai cosa dire a Tom.
Una caduta accidentale non sarebbe stata credibile. Non ci si lancia sul pavimento con la faccia.
Uno sportello inavvertitamente lasciato aperto?  Neanche con la forza di Thor ci sarei potuta andare a sbattere contro con quella violenza.
 
- Stai pensando a quale scusa usare con Tom? – mi apostrofò Benedict, in tono volutamente critico.
- Caspita, sono colpita! Leggi nel pensiero?
- Sei un libro aperto – proseguì, con un sopracciglio alzato.
 
Ignorai la provocazione e proseguii con le mie elucubrazioni.
 
- Se gli dicessi che ho subito un tentativo di scippo?
- Ti direbbe di sporgere denuncia.
- Forse.
- Digli la verità.
- Non posso, quante volte devo ripeterlo?
- Tante quante io ti suggerirò di essere sincera.
 
Gli lanciai uno sguardo di profonda disapprovazione e lui me ne restituì un altro della stessa intensità.
 
- Forse potrei metterci del ghiaccio, attenuerebbe il livido. – continuai.
- Ma bagneresti la medicazione.
- Già. Lavori domani? Non vuoi dormire un po’?
- No. Sono a posto. Tu?
- Magari provo a chiudere gli occhi per qualche minuto …
- Ma ti senti bene? Non è una sonnolenza provocata dal trauma?
- Direi di no … dato che sono le 3 del mattino, sono normalmente assonnata, non preoccuparti.
- Sicura?
- Certo. Ti suggerisco di provare a dormire un po’ anche tu.
- D’accordo.
 
Mi accinsi a sedermi per raggiungere il letto.
La testa pulsava dolorosamente così chiusi un attimo gli occhi per fare passare il momento di sofferenza.
Sentii Benedict che si avvicinava premurosamente.
 
- Sto bene. Mi ci vuole solo un attimo.
- Vieni, ti aiuto.
 
Mi prese per le spalle e mi tenne stretta sollevandomi verso l’alto, poi prese la mia mano destra e se la portò dietro la spalla. Quindi ci incamminammo verso la camera da letto, in questa strana andatura claudicante.
Non finsi di non aver bisogno del suo aiuto, poiché in effetti mi era necessario. La testa continuava a pulsare e il mondo intorno a me girava come se fossi su una giostra.
Ci avvicinammo al letto, quando improvvisamente Benedict inciampò sul tappeto.
Per evitare di farmi cadere insieme a lui mi diede uno strattone per arrivare fino al letto, dove atterrai pesantemente, seguita da lui, che finì esattamente lungo disteso sopra di me.
Per un attimo mi colpì l’assurdità della situazione e scoppiai in una fragorosa risata.
Lui mi seguì subito dopo, con quella sua risata profonda e roca.
Ad un tratto smisi di ridere e lo guardai. Era completamente sopra di me, ma non sembrava imbarazzato, né accennava a voler scendere. La cosa più bizzarra era che neppure io avevo problemi a mantenere quella posizione. Pure lui smise di sogghignare e incollò i suoi occhi ai miei.
All’improvviso la mia testa protestò vigorosamente per gli ultimi momenti concitati e con un lamento mi presi il viso tra le mani.
Allora lui si scostò con un balzo e atterrò sul pavimento, inginocchiandosi accanto al letto.
 
- Oddio ti ho fatto male? Che succede?
- Nulla non preoccuparti.. è solo la testa.. mi fa male da impazzire..
 
Mi prese una mano per confortarmi e con l’altra mi aiutò a sistemarmi sotto le coperte.
Mi accoccolai meglio nel tepore del mio letto e chiusi gli occhi.
Percepivo che Benedict si trovava ancora accanto a me e non potevo negare quanto questo mi fosse di conforto e mi infondesse sicurezza e protezione.
Mi ci volle un minuto per crollare tra le braccia di Morfeo.
 
 
Mi svegliai di soprassalto non so quante ore più tardi.
Qualcuno stava bussando insistentemente alla mia porta.
Guardandomi intorno mi resi conto che Benedict non si era accorto di nulla e dormiva placidamente sulla poltrona accanto al letto con una mano che gli sorreggeva la testa.
Non me la sentivo di svegliarlo, era stato in piedi fino all’alba per farmi compagnia e non volevo approfittare ancora della sua gentilezza.
Allo stesso modo, però, non ero totalmente a mio agio, non sapendo chi potesse bussare a quell’ora alla mia porta.
Così mi alzai senza fare il minimo rumore e mi avvicinai – ancora un po' dolorante – cautamente alla porta di ingresso, senza produrre un suono.
Guardai attentamente dallo spioncino, per non ricadere nello stesso errore della sera precedente.
 
- TOM!! – oh, no! Non ero riuscita a ragionare su nessuna storia credibile per il mio viso martoriato, cosa potevo dirgli??
- Anna? Anna, fammi entrare che succede?
- Sì, sì, sono qui, ora ti apro.
 
Tolsi il chiavistello e lo feci accomodare e lui si riversò nel mio soggiorno come una furia, senza neppure guardarmi in faccia. Solo per pochi istanti, però.
 
- Ma cosa ti è successo? Il cellulare era spento, non mi hai risposto al telefono da ieri sera, ero preoccupato e … Oh mio Dio! Ma cosa hai fatto al viso???
- Sto bene, è tutto a posto, ora ti spiego. Andiamo in cucina un attimo.
- Come? Perché?
- Ecco, c’è una persona che dorme di là …
- Chi è?
- Se mi fai parlare ora ti spiego tutto.
 
Lo presi per un braccio e lo condussi in cucina, dove la mia borsa giaceva abbandonata dalla sera precedente sul tavolo.
L’iphone si trovava nella tasca interna, neanche a dirlo, scarico.
La tecnologia proprio non ne voleva sapere di essermi d’aiuto.
Mentre frugavo nella borsa, Tom osservava ammutolito il mio viso.
Ad un certo punto, spazientito, mi fece voltare, in modo che lo guardassi, e, abbandonata quella scintilla di irritazione nei suoi occhi, prese ad accarezzare lievemente il mio zigomo, attento a non fare troppa pressione.
 
- Mi dici cosa hai fatto?
- Ma sì, ecco… - ero all’angolo… e adesso?
- E’ colpa mia!
 
Entrambi ci voltammo verso l’ingresso della cucina e Benedict spuntò dalla porta, arruffato ed assonnato, con la sua voce profonda resa ancora più bassa dal fatto di essersi appena svegliato.
Tom lo guardò prima con stupore, poi con una punta di sospetto.
 
- Cosa ci fai tu qui? – gli chiese, assai poco amichevolmente.
- E’ stato un incidente. Volevo chiedere ad Anna un consiglio legale per il mio prossimo contratto, poi mi sono messo a provare la mia scena di combattimento contro Spock in Star Trek – Into darkness, ma sono scivolato, ho sbagliato mira e l’ho colpita in pieno. Così mi sono preoccupato e sono rimasto per vedere che stesse bene.
 
Tom rimase di stucco a quella inattesa confessione.
Ma io ero ancora più sbalordita di lui.
D’accordo, forse la solita storiella della caduta dalle scale non era poi così credibile, ma inventarsi una cosa così …
Comunque non era tanto per la balla inventata per darla a bere all’amico che guardai Benedict per un attimo imbambolata.
Pur non essendo d’accordo con la mia decisione di non raccontare a Tom la verità, lui mi aveva aiutato, addirittura addossandosi la colpa del mio occhio pesto.
Era una continua sorpresa.
Tom ed io restammo entrambi in silenzio, lui cercando di digerire il racconto dell’amico ed io riflettendo sul suo inaspettato gesto altruistico.
 
- E’ andata così? – mi chiese infine Tom.
 
Confermai con un cenno di assenso, poiché qualsiasi altra cosa che fosse uscita dalla mia bocca sarebbe suonata falsa, come in effetti era.
 
- E perché non mi avete chiamato?
 
- Non volevamo preoccuparti! Era inutile farti stare in ansia, sta benissimo – continuò Benedict.
 
Era un attore sensazionale. Se non avessi saputo la verità non avrei avuto un minimo dubbio sulla versione dei fatti che stava propinando a Tom.
Quest’ultimo non replicò, ma si mise a squadrare con aria parecchio contrariata il suo amico.
 
- Ma ti sembra sensato metterti a provare una scena di combattimento in casa? Sono cose che si fanno in ambienti sicuri e sotto il controllo di esperti. Te lo devo insegnare io?
- Lo so, Tom, hai perfettamente ragione. Ti garantisco che ho imparato la lezione. – si schernì Benedict, con una perfetta faccia colpevole da attore consumato.
- Più che altro la sua faccia ha imparato una lezione! – indicò con l’indice il mio volto, mentre lo rimproverava.
 
Decisi di intervenire:
 
- Smettila, Tom, si è già scusato mille volte, non succederà più.
- Oh, di questo puoi starne assolutamente certa! Tu, incosciente squilibrato, starai lontano almeno un chilometro dalla mia ragazza d’ora in poi. Ora vattene, ci penso io a lei. E poi facciamo i conti.
 
Benedict aprì la bocca come per replicare qualcosa, poi però le parole gli si smorzarono in gola, cambiò idea e si allontanò, probabilmente verso la porta.
Feci per seguirlo, ma Tom mi afferrò per un braccio e non mi permise di accompagnarlo all’uscita.
Sentii il rumore della porta che si richiudeva piano alle sue spalle.
Era profondamente ingiusto.
Avevo fatto litigare due grandi amici solo per mantenere il mio squallido segreto.
Mi venne un improvviso, istintivo desiderio di spifferargli tutta la verità, solo per tentare di mettere a posto le cose fra i due.
Così però avrei reso vano il sacrificio di Benedict.
Ed inutili tutti gli sforzi fatti finora per rendere anonimo ed indefinito agli occhi di Tom il mio aggressore.
Mi sentivo una egoista insensibile.
Ma mi sarei prodigata per sistemare le cose fra loro due, questo era certo.
 
- La tua reazione è stata esagerata. – iniziai subito la mia orazione in difesa di Benedict.
- Davvero? Ti trovo con un occhio nero e lo zigomo ferito, il responsabile ancora a casa tua e non mi rispondi al telefono da ieri sera.
- E’ stato solo un piccolo incidente!
- Non è questo il punto. Non doveva mettere in pericolo la tua sicurezza. Come ho detto quelle sono coreografie che si imparano in uno studio, sotto la sorveglianza di esperti. E lui lo sa bene.
- Non è certo stato intenzionale. Non è colpa sua! Chiamalo, era così addolorato..
- No.
- Si è scusato mille volte, poi è rimasto per vedere se stavo bene.
- No.
- Ma perché? E’ un buon amico ti vuole bene e non merita questo trattamento da parte tua, sei troppo..
- Ho detto di no! Non doveva neanche essere qui!
 
Oh. Quindi quello era il punto.
Tom era geloso.
Lo osservai, aggrottando le sopracciglia, mostrandogli che avevo capito.
 
- L’altra notte non ha significato nulla per te? – replicò, per nulla intimorito dalla mia occhiata di disapprovazione.
 
Restai di sasso. Come poteva chiedermi una cosa del genere?
 
- Cosa? Dici di conoscermi, come puoi farmi una simile domanda? – gli risposi, veramente offesa.
- Allora perché la prima cosa che fai dopo essere stato con me è vederti con lui?
- Non era programmato.. è successo e basta.
- Appunto.
- Se ci vedi qualcosa di male è un problema tuo. Non c’è niente tra me e Benedict.
- Ne sei sicura?
- Ma certo!
- Io lo vedo come ti guarda.
- Cosa? Stai vaneggiando. Non ti facevo così geloso e possessivo.
 
Lui mi fissò incredulo, non si aspettava di sicuro quelle dure parole da me. Però il primo ad offendere era stato lui.
 
- Ma scusa, come dovrei sentirmi? Passiamo insieme una notte ed un giorno meravigliosi, poi te ne vai, stacchi il telefono e non sei più raggiungibile fino a stamattina, quando arrivo qui e ti trovo in vestaglia, con un occhio nero ed in compagnia del mio migliore amico che ha dormito qui!
 
Certamente c’era una spiegazione.
La sera prima, con tutto quello che era successo, con la testa confusa e ancora terribilmente spaventata, di sicuro non mi era venuto in mente di controllare l’iphone.
Tuttavia non potevo dirlo.
 
- Avevo bisogno... di stare un po’ da sola – mentii.
- Non eri sola.
- Ti ho detto che l’incontro con Benedict non era programmato.
- Però non lo hai mandato via.
- Perché avrei dovuto? Per accontentare il tuo ego ipertrofico?
- Per.. stare con me.
- Ci eravamo appena salutati!
- Però io avevo già voglia di rivederti.
- Io.. ho bisogno dei miei spazi – mentii.
 
Gli rifilai quella frase con una durezza che non sentivo minimamente.
Anche lui mi era tremendamente mancato e lo avrei voluto con me per tutto il tempo. E non solo perché erano state ore difficili, ma perché avevamo trascorso dei momenti meravigliosi ed indimenticabili insieme.
Le mie bugie mi stavano conducendo verso una strada senza ritorno.
 
- Quindi, anche dopo l’altra notte, tu hai bisogno comunque di tenere le distanze da me.
 
Non sembrava una domanda, la sua, ma una mera constatazione. Una dolorosa presa di coscienza.
 
- Io..
- Va bene, ti accontento subito.
 
A quel punto girò sui tacchi e senza aggiungere altro, se ne andò a grandi passi dalla mia cucina.
E probabilmente dalla mia vita.
Non provai a fermarlo, non aveva senso.
Avevo rovinato tutto.
Non potevo crederci.
Scoppiai in un pianto incontrollato non appena sentii chiudere la porta di casa dietro le sue spalle.
Mi appoggiai sull’isola della cucina, ma pian piano mi lasciai scivolare verso il pavimento, impotente e distrutta da un dolore così forte da togliermi il respiro.
Quando ebbi finito di piangere tutte le mie lacrime, decisi di uscire da quella casa, dove, da sola, non mi sentivo neppure più al sicuro.
Mi vestii rapidamente, inforcai un paio di enormi occhiali da sole che avrebbero nascosto le lesioni ed uscii.
Mi diressi verso il centro, volevo stare in mezzo alla gente.
Tuttavia tutta quella folla mi fece sentire ancora più sola.
Londra sotto le feste.
Una fiumana di persone, turisti, residenti, bambini festanti, giovani, vecchi, tutti con un’aria felice e spensierata, dediti a fare acquisti, visitare la città, o semplicemente bere un caffè o una cioccolata nei locali del centro.
C’erano mamme che accompagnavano i bambini nei negozi di giocattoli, gruppi di amiche che ridevano, parlando probabilmente del ragazzo che avevano puntato, e gruppi di ragazzi che le seguivano, facendo finta di non farsi vedere, ma in realtà desiderando che questa o l’altra ragazza più carina li notasse.
Cominciò a piovere. Dapprima quella classica spruzzata che sembrava quasi nevischio, poi un vero e proprio diluvio.
Pian piano la folla cominciò a scemare. Si stava facendo sera ed il nubifragio non accennava a smettere.
L’acqua scivolava su di me senza che neanche me ne accorgessi, confondendosi con le mie lacrime.
Le strade si svuotarono, chi si rifugiava nel tepore della propria dimora, chi cercava conforto negli innumerevoli pub, chi si riscaldava semplicemente con il calore della propria famiglia.
Indossavo un semplice cappotto, ironia della sorte, lo stesso che portavo il giorno in cui avevo conosciuto Tom in Islanda. Come quel giorno, anche in quel momento era assolutamente inadatto a ripararmi dalla pioggia incessante che martellava sui miei capelli, sulle spalle, sul mio corpo ormai fradicio ed infreddolito.
Ma non sentivo niente.
Ero come anestetizzata e continuavo a camminare, camminare e camminare, per ore, senza meta, nelle strade deserte.
Improvvisamente alzai lo sguardo e riconobbi un portone conosciuto.
Come ero potuta arrivare fino lì?
Senza pensare mi avvicinai lentamente e suonai al campanello.
Si illuminò il videocitofono e una voce rispose da dentro la grande casa.
Non avevo la forza di fare nulla, neppure di pronunciare il mio nome a vantaggio dell’apparecchio citofonico.
La porta si aprì con un rumore metallico, ma io rimasi lì, immobile, sotto la pioggia.
Quando la porta si aprì, notai solo due iridi verdissime che mi osservavano stralunate.
 
- Be.. Benedict… ho..  rovinato.. tutto..
 
Fu tutto quello che riuscii a dire prima di crollare al suolo e perdere i sensi.
 
 
 
N.d.A.
 
Ok.
Mi piacciono i drammoni.
Che posso farci?
Fustigatemi!
Però non poteva essere tutto romantico e perfetto, no?
Prima o poi Anna e Tom dovevano litigare con quei due caratterini che si ritrovano!
Ormai Anna sta annegando (quasi letteralmente, direi) nel mare delle sue bugie.
Dite che avrà l’opportunità di chiarirsi con Tom?
E finalmente sarà disposta a dire tutta la verità?
Alla prossima!
Un bacio ed un enorme ringraziamento a tutte le mie meravigliose lettrici!
E.
 
 
 
  
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