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LONG LIVE THE QUEEN
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Tutto era
finalmente compiuto.
Da quel giorno in
cui si era incontrata con lord Stark, minacciandolo, supplicandolo di
abbandonare l’onore in nome dell’amore materno, sembravano passati secoli.
A quei tempi era
solo una madre, una donna che desiderava null’altro che il meglio per i suoi
figli. Ma adesso quei figli non c’erano più e a lei era rimasta solo una corona.
Mentre le fiamme
verdi danzavano, annientando i suoi nemici, incendiando i suoi occhi anch’essi
di smeraldo, Cersei pensava.
Pensava a suo
padre, l’algido, integerrimo lord Tywin Lannister, signore inflessibile, consigliere
capace, comandante implacabile. E, pur essendo tutto questo, morto, e nel più
infame dei modi, ucciso dal sangue del suo sangue, un sangue maledetto,
rinnegato tante, troppe volte.
Pensava a suo fratello,
Jaime, lo splendente cavaliere dorato, copia perfetta di lei, spadaccino
formidabile, alto, avvenente, ambiguo. Era stato il suo amante, il suo primo e
ultimo amore. Ma anche lui era stato spezzato, mutilato, ucciso, benché il suo
cuore continuasse a battere in quel petto su cui tante volte lei si era lasciata
cullare nel sonno, guscio ormai vuoto, mera ombra dell’uomo che un tempo era
stato.
Pensava anche all’altro
fratello, Tyrion, il mostro, il matricida, il regicida, il parricida. La
scimmia demoniaca di Castel Granito che gli aveva strappato via tutto.
Pensava a suo
marito, l’imponente re Robert, guerriero fiero, forte, temibile, passionale,
tutto quello che una fanciulla avrebbe potuto desiderare, ma a cui lei mai avrebbe potuto, avrebbe voluto, anelare.
Pensava ai suoi
figli, Cersei, i figli che con l’inganno aveva generato, che aveva difeso
contro tutti e contro tutto, il cui destino era già stato scritto anni prima,
in quella caverna maleodorante, dove la strega aveva risposto alle sue domande
di ragazzina ingenua e sognatrice.
“D’oro saranno le loro corone e d’oro i loro sudari”
Joffrey, il suo amatissimo
primogenito, mediocre, sadico, specchio dell’orrore e della malvagità che lei
stessa aveva nell’animo, era morto tra le sue braccia, avvelenato dal Valonqar,
lo stesso su cui Maggy La Rana, la strega dei boschi, l’aveva messa in guardia.
Era morto, la sua
dorata corona rotolata sugli scalini del Trono di Spade e il suo corpo, freddo
e nero, avvolto in un dorato mantello.
Poi Myrcella, la
sua unica figlia, buona, bella, di una bellezza delicata, immagine di tutto ciò
che Cersei avrebbe potuto essere e che non mai stata, che, dopo anni di lontananza, finalmente
era tornata, vestita delle sete dorate che tanto amava, anche lei fredda e
morta.
E infine Tommen, un
bambino, costretto a crescere in fretta e poi manovrato, manipolato, ingannato.
Quel figlio fragile
e ingenuo che, dopo essere stato conteso tra due regine, lei, Cersei, e Margaery, quella più
giovane e bella, che la predizione minacciava le avrebbe portato via ciò che di
più caro aveva, si era infine strappato, ed era lì ora, gelido e immobile, come
gelida e immobile era Cersei, lo sguardo fisso, impassibile, mentre osservava
il tragico compimento di quella fatidica profezia.
Sarebbe stata
regina, come aveva promesso la strega, regina come mai nessuna donna era stata
prima di lei.
E assisa sul trono
avrebbe atteso. Avrebbe atteso il ritorno del suo ultimo nemico: il Valonqar.
Quello che Cersei
non poteva sapere era che lui, il fratello minore che avrebbe chiuso le mani
attorno alla sua gola bianca, era già ritornato e che ora, proprio in quell’istante,
la stava guardando.
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