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Autore: H i n a    24/07/2016    2 recensioni
L’amicizia può essere una scusa, una copertura per qualcosa che non vuoi ammettere o che hai paura di affrontare. Sembrava un po’ la loro situazione. Si erano conosciuti per colpa degli eventi, si erano odiati a lungo, si erano avvicinati ed allontanati, avevano imparato a conoscersi a vicenda, avevano passato del tempo insieme, avevano lottato insieme, si era sostenuti a vicenda, si erano aiutati a vicenda, erano in effetti diventati amici, ma forse c’era qualcosa di più di questo tra loro. Ciò che provava per lui era qualcosa di nuovo che non aveva mai provato per nessun altro. Ciò che era pronta a fare per lui era mosso da sentimenti del tutto diversi da quelli che aveva provato prima di allora. Due amici, si trovò a pensare Katara, non si guardano come si stavano guardando loro due.
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Un finale alternativo a quello della serie, che personalmente non mi è piaciuto, scritto di getto dopo averla conclusa. E se alla fine Katara non avesse scelto di stare con Aang?
[Katara/Zuko ~ Post-ending]
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Katara, Zuko
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Friendship can be an excuse.

"Friendship can be an excuse, a cover when there's something
there you don't want to admit or you're to scared to explore."

- Gossip Girl

A Katara il silenzio non era mai piaciuto. Sebbene di natura fosse una persona che non disprezzava la tranquillità, una che sapeva godersi i piccoli momenti di pace, non amava farsi avvolgere dal totale silenzio. Nell’ultimo anno la sua vista era stata tutto fuorché tranquilla eppure lei non riusciva lo stesso ad apprezzare l’assenza di suoni, forse perché si era abituata a viaggiare con amici rumorosi, forse perché nel silenzio i suoi pensieri acquisivano un tono così alto che non poteva, anche volendo, ignorarli. In realtà non era affatto vero che quella stanza era silenziosa, perché se Katara chiudeva gli occhi azzurri poteva avvertire tanti piccoli suoni giungerle alle orecchie, con la stessa delicatezza che hanno i raggi del sole all’alba, quando si insinuano nel buio della notte. Si sistemò meglio sull’ampia sedia che occupava e chiuse gli occhi, cercando di ascoltare tutti quei piccoli rumori che di solito ignorava, concentrandosi su di essi per annullare i pensieri che le affollavano la mente. Si trovò a pensare che era questo che provava Toph ogni giorno e cercò di immaginarsi di essere l’amica, incapace di vedere, armata solo delle sue orecchie. Voci lontane, che giungevano dalla finestra accostata, probabilmente nel cortile del palazzo qualche piano più in basso. Il fruscio delle tende mosse dal vento che strusciavano sul pavimento di marmo e si sfioravano delicatamente tra loro. Passi leggeri, fuori dalla porta, probabilmente in un corridoio distante metri da dove si trovava lei. Un respiro lento e regolare, amplificato dal silenzio che lo circondava, proveniente dal letto davanti al quale era seduta. Forse se avesse ignorato quell’unico suono i suoi pensieri non sarebbero tornati prepotentemente ad affollarle la mente. Ma come poteva ignorare il respiro delicato di quella particolare persona? Un respiro che aveva temuto di non sentire più per un lungo ed atroce momento? Katara aprì gli occhi azzurri e fissò la figura del principe del fuoco disteso sul suo letto, immobile, se non per il delicato movimento ritmico del petto. Osservandolo si trovò a pensare che quel letto fosse decisamente troppo grande per lui, lo faceva sembrare così piccolo e fragile, lo faceva apparire così incredibilmente solo. Sembrava quasi confondersi nel candore delle lenzuola bianche, appariva ancora più pallido del solito, come se la sua pelle fosse fatta di porcellana o forse neve, come se fosse sul punto di diventare trasparente e poi svanire, come un ricordo che si perde nel tempo che passa. L’unica cosa più chiara della sua pelle erano le bende che avvolgevano una cicatrice che lei ricordava bene e che era il motivo della confusione che si scatenava nel suo cervello ogni volta che lo guardava. Troppi sentimenti diversi avvolgevano la dominatrice dell’acqua al ricordo di come Zuko se la fosse procurata. Rimorso. Senso di colpa. Rabbia. Paura. Tristezza. Ansia. Sollievo. Affetto. Tutte queste cose si mescolavano assieme nel cuore di Katara distruggendo la sua tranquillità, amplificati da quel silenzio che le impediva distrazioni. Chiuse di nuovo gli occhi, cercando di concentrarsi ancora suoi rumori intorno a lei. Un fruscio distrusse tutto in un istante, aprì gli occhi e vide che Zuko si era mosso dalla sua posizione. Niente da fare, anche se ci provava non c’era verso di distrarsi. Si mordicchiò il labbro inferiore, frustrata, abbassando lo sguardo. Quando lo sollevò di nuovo trovò due occhi dorati che la fissavano e che si inchiodarono all’istante nei suoi. C’era qualcosa di particolare nel modo in cui i loro occhi si specchiavano gli uni negli altri, come se oro e azzurro fossero nati per mescolarsi assieme, come il sole che attraversa il cielo azzurro ogni giorno. Come se ad ogni loro sguardo sorgesse il giorno e quando i loro occhi si allontanavano fosse il tramonto e poi la notte. Era una sensazione che provava solo con lui.
« Sei ancora qui? Non devi farmi da balia, non sto morendo, grazie a te sto molto meglio di quello che Azula sperava. »
Accennò una smorfia, come se il pensiero lo divertisse e spaventasse al tempo stesso. Capire le persone era qualcosa in cui Katara era sempre stata molto brava, era una ragazza empatica, naturalmente dotata nel leggere gli altri, ma con lui le veniva particolarmente facile. Forse Zuko non se ne rendeva conto, ma il suo volto, seppur sfregiato, era lo specchio dell’anima che tentava così disperatamente di soffocare. Per tanto tempo aveva pensato che fosse una persona orribile, che di umano avesse poco, eppure ora che lo conosceva le sembrava di non aver mai incontrato qualcuno di più umano di lui. Il modo in cui aveva cercato di riparare i suoi errori, il modo in cui si era sforzato per dimostrare quanto fosse cambiato, il modo aggressivo con cui schermava i suoi pensieri, il modo con cui a suo modo li aveva aiutati tutti. Quelle piccole cose avevano dimostrato a Katara quanto in realtà lui fosse maledettamente volubile, fragile, contorto, disperato, pieno di difetti e al tempo stesso forte, determinato e delicato come solo un essere umano poteva essere. Mentre pensava a queste cose lo osservò sollevarsi lentamente dalla sua posizione, facendo leva sulle braccia e appoggiando la schiena contro il legno alle sue spalle, lasciandosi sfuggire una smorfia mentre si muoveva. Katara abbassò lo sguardo e unì le mani in grembo.
« Perché lo hai fatto? Non mi dovevi niente, ti eri già fatto perdonare per ciò che è successo a Ba Sing Se, dunque perché? Tu sei l’unica speranza di redenzione per la tua nazione, sei l’unico che può ristabilire l’onore del tuo popolo, sei il futuro signore del fuoco. Se fossi morto, che ne sarebbe stato di tutto questo? Valeva davvero la pena rischiare di morire per me? »
Katara cominciò a torturarsi le mani, mentre nella sua mente affioravano ancora le immagini di ciò che era successo, lasciandosi sommergere dallo stesso senso di colpa e di impotenza che aveva provato in quel momento. Si era sentita colpevole di essere stata lì, bersaglio facile per distrarre Zuko durante il combattimento, e di non essere riuscita a reagire. Lui aveva sfidato sua sorella ad un duello uno contro uno perché lei non fosse coinvolta e la sua presenza gli si era ritorta contro. La cosa, suo malgrado, le faceva una grande rabbia. E se non si fosse salvato? Se fosse morto per lei? Valeva la pena gettare via tutto per lei? In fondo Zuko non le doveva nulla, non era suo padre o suo fratello, non era nemmeno Aang. Possibile che la considerasse così importante? Katara non aveva risposte da darsi e al tempo stesso non aveva il coraggio di esternare i suoi dubbi se non per quella semplice domanda. Sollevò gli occhi azzurri quel tanto per poter osservare la figura del ragazzo. Zuko aveva smesso di fissarla, i suoi occhi dorati vagavano per la stanza e sul suo volto Katara non riusciva a leggere nulla, forse per la prima volta. Poi, però, lui tornò guardarla e lei intuì qualcosa di simile alla delusione sul suo volto, come se quello che stava per dire pesasse sul suo cuore. Lo vide stringere i denti e chiudere gli occhi, voltando il viso dalla parte opposta a lei, prima di decidersi a parlare.
« Perché me lo chiedi? Pensavo avessi cambiato opinione su di me, non potrei semplicemente tenere a te? Vedo che sei ancora convinta che io non sia del tutto umano. Credi che non ne valesse la pena? Siete le prime persone, oltre a mio zio, a cui è mai importato qualcosa di me da quando mia madre è scomparsa. Forse per te non ha senso, ma per me è un motivo più che sufficiente. »
Il suo tono non era chiaro e limpido come al solito, quasi fosse imbarazzato, quasi avvertisse il suo orgoglio risentirsi nell’esternare i suoi sentimenti. Katara capì cosa lo avesse turbato nelle sue parole e si maledì per aver espresso male il suo pensiero. Si sentì come quando, tempo prima a Ba Sing Se, esprimendosi male lo aveva erroneamente spinto a credere che la cicatrice sul suo volto fosse un marchio indelebile di tutte le sue colpe. Da allora aveva davvero cambiato opinione su di lui e non era questo ciò che voleva intendere. C’era tutt’altro che voleva sapere, ma non riusciva a formulare correttamente la domanda, così taque di nuovo. Tra loro cadde un silenzio teso, così pesante che impediva ad entrambi di trovare il coraggio di guardarsi. Katara si trovò a chiedere se lei avrebbe fatto lo stesso per lui. I sentimenti che Zuko provava per loro erano dati da motivi diversi da suoi, ma erano gli stessi. Anche lei aveva rischiato tanto per i suoi amici, ma per lui lo avrebbe fatto? Aveva passato così tanto tempo a considerarlo un nemico e a sentirsi tradita da lui che non ci aveva mai pensato. Forse, poco alla volta, anche lui aveva acquisito un posto importante nel suo cuore. Anzi, forse si era scavato uno spazio del tutto speciale. Nessun altro si era mai preso l’impegno di cercare di capirla così bene come aveva fatto lui, all’unico scopo di farsi perdonare, senza ricevere in cambio altro che disprezzo. Al posto suo molte persone avrebbero lasciato perdere, ma Zuko aveva continuato a cercare il suo perdono lasciandosi travolgere da tutte le sue accuse e la sua rabbia. Si era preso persino l’impegno di cercare di risanare la ferita del suo cuore, proponendosi di aiutarla a vendicare sua madre. C’era qualcun altro che avesse mai fatto una cosa simile? Probabilmente lui era unico, per lei, sotto molti punti di vista. Trovò il coraggio di fissarlo di nuovo e lui fece lo stesso.
« Non era questo che intendevo, Zuko. So di aver creduto che tu fossi una persona orribile, ma ho capito che non è affatto così, davvero! Io volevo solo sapere se… Lo avresti fatto anche per qualcun altro, vero? Non lo hai fatto per ME, no? »
Non sapeva nemmeno lei perché le premesse così tanto chiarire quel punto. Forse perché pensare che lui l’avrebbe fatto per chiunque avrebbe alleviato il senso di colpa che le attanagliava il cuore ogni volta che lo guardava. Toph pensava che fosse sciocco da parte sua tormentarsi in quel modo, lei gli aveva salvato la vita come lui aveva fatto con lei, ma Katara non si liberava dall’idea di essere responsabile. Zuko aveva accettato l’agni kai per non metterla in pericolo, si era lanciato davanti al fulmine per salvarla mentre era impotente, aveva persino cercato di rialzarsi per aiutarla mentre Azula le scagliava contro i suoi fulmini. Avrebbe potuto dissuaderlo, insistere per aiutarlo, era colpevole eccome. Anche se avrebbe voluto distogliere lo sguardo i suoi occhi azzurri erano inchiodati alla figura di Zuko, frenetici nel cercare di intuire a cosa stesse pensando. Parlare non era mai stato il suo forte, lo aveva dimostrato con quell’impacciato discorso tempo prima, quando si era unito al gruppo. A Katara sembrava che stesse cercando di mettere insieme i suoi pensieri mentre lo osservava. Aggrottava le sopracciglia e storceva appena il naso, gli occhi dorati fissavano il vuoto e le dita della mano sinistra sfioravano le bende in un gesto che forse non si rendeva nemmeno conto di fare. Poi, d’un tratto, chiuse gli occhi, sbuffò e tornò a guardarla. Di nuovo il giorno sorse nell’incorcio delle loro iridi. I suoi occhi erano carichi di disagio, sembrava imbarazzato e agitato, come se ciò che stava per dire gli costasse molto caro.
« Ha importanza Katara? » le chiese inclinando appena il volto verso destra con tono leggermente esasperato « Forse, ma sono felice di averlo fatto per te. Hai nominato Ba Sing Se prima, ricordi cosa è successo nella grotta, prima che vi tradissi vero? Eravamo nemici, fino a quel momento non avevo fatto altro che tentare di farvi del male. Eppure… In quei pochi minuti, offrendoti di aiutarmi, mi hai dimostrato più compassione di quanto abbia mai fatto mio padre o mia sorella o chiunque altro in tutta la mia vita. Se dovevo morire per qualcuno sarei stato felice di farlo per te. Tutto qui. »
Zuko accompagnò le ultime due parole con una alzata di spalle e quindi distolse in fretta lo sguardo, concentrandosi sulla finestra aperta. Katara giurò di aver visto un rossore tingere le sue guance di solito pallidissime e se fosse stato un altro momento avrebbe sorriso di quel gesto così tenero. Tuttavia in quel momento non riuscì a fare altro che spalancare gli occhi azzurri e lasciare che le lacrime le rigassero il volto dalla pelle di ambra. Quando lui si voltò a fissarla di nuovo rimase sorpreso di vederla in lacrime.
« Che succede? Ho detto qualcosa di sbagliato? » domandò mestamente, allungando a fatica una mano verso di lei.
Tuttavia Katara si ritrasse da quel contatto cercando in tutti i modi di ricomporsi, passando i palmi delle mani sul viso per asciugare le lacrime e al tempo stesso nascondersi dai suoi occhi. Si alzò in piedi, voltandogli le spalle, e tenne il capo chino, così che il viso arrossato fosse mascherato dai lunghi capelli castani.
« No, io… Io non so cosa mi sia preso. A volte, quando parli della tua vita, sembri così profondamente ferito e solo. Mi sembri così fragile e mi sento triste, mi dispiace e vorrei aiutarti. E quello che hai detto… Non lo so, pensare che fossi pronto a morire per me non mi rende felice, mi spaventa in realtà. »
Avvertì del movimento alle sue spalle, immaginò che Zuko si fosse lentamente messo a sedere sul letto, ma non si mosse. Tenne le mani premute sugli occhi ed il volto nascosto dai lunghi capelli. Anche se stava piangendo, sentiva una sensazione piacevole in fondo al cuore. Era come se finalmente il senso di colpa e la rabbia verso sé stessa che aveva provato in quei giorni stessero scivolando via assieme alle lacrime calde che le rigavano il volto. Era come se finalmente esternare i suoi dubbi ed i suoi pensieri le avesse tolto un gigantesco peso dal petto. Così concentrata su quel senso di leggerezza che stava sperimentando, non si accorse del fatto che Zuko si era alzato a sua volta e si era mosso per trovarsi di nuovo di fronte a lei. Avvertì solo le sue braccia avvolgerla e si trovò premuta contro di lui. Rimase interdetta per circa due o tre secondi, quindi si lasciò sfuggire un sorriso e avvolse a sua volta le braccia intorno a lui. Nel silenzio di quella stanza poteva sentire il rapido battito del suo cuore. Il corpo umano è molto più diretto della sua anima, non può mentire, non è capace di ingannare. Quel battito rapido segnalava chiaramente quanto lui fosse agitato, così come quello di Katara poteva dire lo stesso, battendo veloce contro le sue costole.
« Mi dispiace se ho detto qualcosa che ti ha resa triste, Katara. Speravo di farti sentire meno colpevole, perché non hai nessuna colpa in quello che è successo, e volevo farti sapere che ti sono grato per quello che hai fatto per me… »
Il cuore del dominatore del fuoco prese a battere più forte. Il disagio che provava era evidente, così tanto che quel loro abbracciò durò poco prima che lui si staccasse, strofinandosi il collo con una mano ed evitando accuratamente di guardarla negli occhi.
« Vorrei solo che la smettessi di pensare a cosa sarebbe potuto succedere… Anche io vorrei aiutarti quando ti vedo piangere, penso perché ora siamo amici… »
Katara passò un’ultima volta la mano sul volto per assicurarsi di essersi ricomposta, quindi scosse la testa, accennando un sorriso, abbassando gli occhi per poi fissarli di nuovo sulla sua figura. In effetti, la prima volta che si erano davvero relazionati tra loro a Ba Sing Se, quando lei era scoppiata in lacrime ripensando alla madre, lui aveva smesso di darle le spalle e le aveva chiesto scusa. Katara ricordava bene la sua espressione piena di tristezza e compassione, forse era stata anche quella a convincerla a fidarsi di lui quella volta, assieme alle sue parole.
« Mi sei grato per quello che ho fatto per te? Ed io allora cosa dovrei dire? C’è una cosa di te che apprezzo davvero molto Zuko, sai sempre cosa fare o cosa dirmi per farmi stare meglio, prima con la storia di mia madre e ora con questo. Vorrei solo poterti restituire qualcosa di quello che mi hai dato… »
Zuko alzò gli occhi per puntarli nei suoi, una espressione perplessa ed incredula dipinta sul volto.
« Mi hai salvato la vita… » commentò stranito, come se fosse ovvio pensare che loro due fossero perfettamente pari.
Katara rimase un secondo interdetta. Nella sua mente si delineò un filo logico di pensieri che solo in quel momento sembrò realizzare. Si era chiesta se lei sarebbe mai stata pronta a fare per Zuko ciò che lui aveva fatto per lei. Però lei gli aveva salvato la vita. Quando lo aveva visto cadere a terra, colpito dal fulmine, non aveva pensato a niente altro se non a lui. Si era dimenticata completamente di Azula, della guerra, del fuoco, della cometa, di tutto, nella sua mente era rimasto solo lui. Era l’unica cosa a cui riusciva a pensare. Ed era stata una esperienza che non aveva mai sperimentato per nessuno prima di lui.
« Perché tu l’avevi salvata a me, era il minimo che potessi fare, era l’unica cosa a cui riuscivo a pensare in quel momento… » confessò, abbassando lo sguardo, leggermente a disagio « Ma quello che hai fatto per me portandomi dall’assassino di mia madre… È stata una cosa importante per me! Vorrei poter fare lo stesso per te, se solo tu sapessi qualcosa della tua… »
Solo ora che si rendeva conto quanto tenesse a lui capiva quanto avrebbe voluto aiutarlo. Se c’era una cosa che desiderava, quella era che lui sperimentasse la stessa pace che aveva provato lei dopo il loro viaggio, quando finalmente si era decisa a lasciare andare la rabbia ed il rimorso per la madre, sanando la sua ferita. Lo guardò tristemente, pensando che sarebbe stato un sogno irrealizzabile, ma notò subito qualcosa. Lo vide tentennare un secondo mentre la guardava, gli occhi dorati che si spalancavano, poi distogliere in fretta lo sguardo e voltarsi, dandole le spalle. Katara capì subito a cosa stava pensando e a cosa era dovuto quel comportamento, perché davvero capire Zuko le veniva fin troppo facile. Gli girò attorno, fino a trovarsi faccia a faccia con lui, e lo fissò con uno dei suoi sguardi seri e decisi a cui nemmeno Sokka sapeva controbattere.
« Ma tu sai qualcosa vero? »
Di nuovo evitò di guardarla e di nuovo si passò la mano sulla nuca come prova evidente del suo disagio, segnale che lei lo aveva messo alle strette e lui non sapeva come evadere.
« In realtà… Mio padre, tempo fa, mi ha detto che dopo aver ucciso mio nonno Azulon venne bandita… Penso che potrebbe essere ancora viva, ma non ne sono certo. Vorrei fare delle ricerche, mio padre sicuramente sa qualcosa, ma forse lei non vuole vedermi. Forse ha una nuova vita, una nuova famiglia, non… Non so che fare in verità. »
Guardandolo negli occhi, Katara vide il dubbio attraversarli. Lo aveva spesso visto confuso ed indeciso, ma questa volta era come se non sapesse cosa fare, come se la sua testa gli stesse dicendo due cose diverse. Da una parte doveva covare un profondo desiderio di rividerla ancora. Dall’altra il fatto che potesse essersi fatta una nuova vita di cui lui non faceva parte forse lo spaventava. Lei non sapeva bene come aiutarlo, così stavolta fu lei ad abbracciarlo. Affondò una mano nei suoi capelli neri e gli disse esattamente ciò che sapeva lui avesse bisogno di sentire.
« Se io potessi rivedere mia madre lo farei, indipendentemente dal fatto che lei mi abbia abbandonato o meno. Anche solo per vederla un’ultima volta, poterle dire qualcosa. Vai a cercarla, sappiamo entrambi che vuoi farlo… Anzi, ci andremo insieme. »
Lo sentì irrigidirsi per un attimo tra le sue braccia, poi sciogliersi di nuovo e affondare il volto nei suoi capelli color della terra.
« Non riesci proprio ad accettare qualcosa da me senza dover per forza ricambiare vero? » commentò con sarcasmo, probabilmente sorridendo tra i suoi ricci « Grazie Katara. »
Katara rise e lo lasciò andare, sentendo un gran senso di appagamente nel petto. Tutto il senso di colpa di poco prima era svanito alle parole che lui le aveva rivolto, ed era stato sostituito dal benessere che le dava l’idea di poterlo aiutare ad essere di nuovo felice. Finalmente si trovò capace di apprezzare come erano andate le cose senza pensare a come poteva andare. Lui era lì, vivo. Lei era lì, con lui.
« Non riesci proprio a farti aiutare senza ringraziarmi vero? Siamo amici, tengo davvero a te, sono contenta di aiutarti, però a patto che tu mi faccia una promessa. Non voglio sentirti dire che sei pronto a morire per me e non voglio più che tu ti decida a farlo. Ti prego. »
Lo guardò con lo stesso sguardo triste di poco prima, quando le lacrime le avevano rigato il volto. Zuko annuì subito e tra i due cadde un profondo silenzio. Rimasero in piedi uno davanti all’altro, ancora a meno di un metro di distanza dopo l’abbraccio, ancora tanto vicini da sentire il respriro dell’altro. Si guardarono negli occhi, come il sole che illumina campi di fiordalisi. Katara, fissando le sue iridi dorate, non fu del tutto certa che “siamo amici” fosse del tutto corretto. L’amicizia può essere una scusa, una copertura per qualcosa che non vuoi ammettere o che hai paura di affrontare. Sembrava un po’ la loro situazione. Si erano conosciuti per colpa degli eventi, si erano odiati a lungo, si erano avvicinati ed allontanati, avevano imparato a conoscersi a vicenda, avevano passato del tempo insieme, avevano lottato insieme, si era sostenuti a vicenda, si erano aiutati a vicenda, erano in effetti diventati amici, ma forse c’era qualcosa di più di questo tra loro. Ciò che provava per lui era qualcosa di nuovo che non aveva mai provato per nessun altro. Ciò che era pronta a fare per lui era mosso da sentimenti del tutto diversi da quelli che aveva provato prima di allora. Due amici, si trovò a pensare Katara, non si guardano come si stavano guardando loro due. Due amici non si avvicinano lentamente l’uno al volto dell’altra senza nemmeno rendersene conto, fino a far entrare in contatto le loro labbra. Due amici non cercano a vicenda le mani dell’altro. Fu un momento, solo un attimo, della durata di un battito di cuore. Poi la porta si spalancò di botto e loro si allontanarono con uno scatto pieno di imbarazzo. Toph entrò nella stanza e si fermò sulla soglia fissandoli con i suoi occhi vitrei. C’era più espressione nella ciecità del suo sguardo di quanta Katara avesse mai visto negli occhi di chiunque altro. Ebbe la netta sensazione che sapesse esattamente cosa fosse successo. A confronto con lei sembravano tutti ciechi.
« Katara sei qui? Abbiamo bisogno di te, puoi venire un momento? »
Katara si voltò rispondendo alla ragazza e la seguì, non prima che questa le avesse lanciato uno sguardo vuoto che voleva dire più di molte parole, addobbato di un sorrisetto sornione tipico di chi sa di sapere. Nell’allontanarsi da lui, le loro mani destre ancora unite si lasciarono lentamente. Perché aveva fatto quello che aveva fatto? Cosa significava quel gesto spontaneo nato tra loro senza che nemmeno se ne rendessero conto? Era sbagliato? Era giusto? Mentre usciva si voltò a fissare la figura di Zuko e questo ricambiò lo sguardo, abbassandolo subito. Le sembrò quasi un dejavù. Ebbe la fugace visione di una scena del tutto identica successa tanto tempo prima a Ba Sing Se. 

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ANGOLO DELL'AUTRICE:
Dunque dunque... Che dire, non so come mi sia uscita questa cosa.
E' assurdamente romantica e dolce, persino più di quanto faccio di solito, ma il problema sono i soggetti.
So che Atla ormai è una serie vecchia, so che è uno scandalo che l'abbia vista solo ora, però la amo.
Tutto, amo tutto di Atla, tranne il finale. Guardando la serie mi sono letteralmente innamorata
di questi due come coppia. Hanno così tanta chimica, così tanto potenziale, così tanta costruzione (perché 
ce l'hanno maledizione, è palese) che sono diventati la coppia che amo di più in assoluto, assieme alla
Naruhina. Ho dovuto scrivere di getto un finale diverso, giusto per me, è l'idea della madre mi è venuta leggendo 
i fumetti post-serie, dove Zuko cerca sua madre (sono certa di non essere la prima ad avere questa idea, è troppo perfetta perché sia venuta in mente solo a me).
Ripeto, non so bene cosa ne sia uscito, forse uno schifo, ma volevo pubblicarlo lo stesso quindi eccolo qua. 
   
 
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