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Autore: Alley    29/07/2016    6 recensioni
[a Noemi, per il suo compleanno]
“Omogeneizzati, latte in polvere—“
“Sam.”
“Biberon, pannolini--”

“Sam.”
“Dimentico qualcosa?”
Proprio in quel momento, come a volergli fornire un promemoria, Castiel emette un verso non meglio identificato –
gne, forse. O ngue. Sarebbe più facile decifrare l’Enochiano rispetto ai suoni che gli escono di bocca.
Genere: Comico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Castiel, Dean Winchester, Sam Winchester
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Alla persona con cui più amo essere in dissacordo.
Auguri Noe.














“Omogeneizzati, latte in polvere—“
 
“Sam.”
 
“Biberon, pannolini--”
 
Sam.”
 
“Dimentico qualcosa?”
 
Proprio in quel momento, come a volergli fornire un promemoria, Castiel emette un verso non meglio identificato – gne, forse. O ngue. Sarebbe più facile decifrare l’Enochiano rispetto ai suoni che gli escono di bocca.
 
Dean lo segue con lo sguardo mentre si aggira per la stanza strascicando le gambe lungo il pavimento, i palmi ben piantati a terra e le piccole ali nere adagiate sulla schiena - tenergliele sigillate all’interno della stoffa non gli era sembrata una buona idea, anche se, con il senno di poi, avrebbe evitato che le piume si incastrassero praticamente ovunque, facendolo strillare in cerca di soccorso.
 
In ogni caso, le penne sparpagliate in ogni angolo sono soltanto uno dei circa seicento motivi per cui devono trovare una soluzione quanto prima. Subito, magari. Subito sarebbe l’ideale.
 
“Non sarebbe leggermente più prioritaria la ricerca di un rimedio?”
 
“Come pensi di occupartene fino a quando non lo avremo trovato?”
 
Dean rilascia un sospiro spossato e chiude gli occhi, massaggiandosi l’attaccatura del naso.
 
Quando li riapre, Castiel sta ancora gattonando.
 
*
 
Dean odia le streghe. Le odia più di vampiri, licantropi, fantasmi e di qualsiasi altra fottuta cosa abbia avuto il piacere di far fuori nel corso della sua lunga carriera di cacciatore. Le odia perché con i loro incantesimi del cazzo riescono sempre a fotterti, anche quando sei tu a vincere.
 
“Trovato niente?”
 
Ha perso il conto del numero delle ore che hanno trascorso chini sui libri. Sfortunatamente, la voce come far tornare adulto il tramite di un angelo retrocesso a neonato non è presente in alcun indice.
 
“Se avessi trovato qualcosa starei festeggiando.”
 
A onor del vero, il suo rapporto con i bambini è tendenzialmente buono. Per qualche motivo lo trovano simpatico e, fatte le dovute eccezioni, la cosa finisce per essere reciproca. Il fatto è che li preferisce un po’ più cresciuti, abbastanza da essere in grado di comunicare e da non frignare ogni—
 
“Cristo, di nuovo” sbotta, mentre un pianto assordante si leva dall’altra parte della parete. Sam continua a sfogliare il tomo che ha davanti con aria imperturbabile.
 
“Tocca a te andare a vedere.”
 
“Scordatelo. Mi sono alzato dieci minuti fa.”
 
“Io gli ho fatto il bagnetto.”
 
“Beh, se è per questo io--” Dean tentenna, alla ricerca di una carta da contrapporre a quella giocata dal fratello. Non trovandola, chiude il libro che stava consultando con uno sbuffo seccato. “Streghe di merda.”
 
*
 
“Dammi il cambio prima che perda l’uso delle braccia.”
 
Quando lo porge a Sam, Castiel lo guarda con un misto di smarrimento e di qualcos’altro che, se dovesse identificare, Dean indicherebbe come risentimento; storce le labbra in una smorfia ed allunga le braccia nella sua direzione, le agita nel vuoto nel tentativo di raggiungerlo. Non riuscendoci, comincia ad emettere dei lamenti di protesta.
 
Sam lo stringe più forte mentre continua a dimenarsi per evitare che sfugga alla sua presa. “Credo preferisca che sia tu a tenerlo.”
 
“Non inventarti scuse per--”
 
Dean viene interrotto da uno strillo terribilmente acuto - Cristo, la vera voce di Castiel era una piacevole melodia a confronto.
 
Le grida proseguono imperterrite fino a quando Sam non asseconda la richiesta che sottendono e ripianta Castiel a forza tra le sue braccia. “Visto?” dice, mentre Castiel s’acquieta ed afferra un lembo di stoffa all’altezza della sua spalla, come a volersi procurare un appiglio a cui tenersi. Dean non sa se interpretare il piccolo broncio che gli viene rivolto come un avvertimento o un rimprovero. “Preferisce decisamente che sia tu a tenerlo.”
 
“Evidentemente tu non ne sei capace.”
 
“No, Dean, è che voi avete un legame più profondo.”
 
“Sei ancora offeso per quella storia?”
 
“No. Ho soltanto esposto un dato di fatto” ribatte Sam, e Dean gli cancellerebbe quell’odiosa espressione compiaciuta dalla faccia a suon di pugni se non avesse entrambe le mani occupate. “Bene. Vado a proseguire con le ricerche.”
 
Ricordarti di cambiargli il pannolino è l’ultima cosa che aggiunge prima di sparire oltre la soglia.
 
*
 
Castiel rilascia uno sbadiglio ed appoggia il capo sulla sua spalla, si sistema contro il suo petto in cerca di una posizione confortevole.

La prima volta che ha tenuto in braccio un bambino così piccolo era molto meno esperto di quanto non sia adesso – non che abbia avuto modo di fare chissà quale pratica nell’ambito, ma possiede senza dubbio più dimestichezza di quanta ne avesse la notte in cui ha condotto Sam lontano dalle fiamme.
 
Conserva ricordi sbiaditi di quei momenti, distorti dalla concitazione e dalla paura che li animavano, ma ha inciso a fuoco nella memoria l’imperativo smanioso che guidava i suoi passi verso l’uscita, oltre la cappa di fumo che gli consentiva a stento di respirare: portarlo in salvo.
 
La seconda risale alla sera successiva a quella dell’incendio, trascorsa nella camera del primo dei motel in cui hanno preso ad alloggiare a partire da allora. Quando John li aveva lasciati soli, senza dire dove fosse diretto né quando sarebbe tornato, Sam era scoppiato in lacrime, forse a causa del fragoroso tonfo provocato dalla porta che loro padre s’era sbattuto alle spalle uscendo, e lui l’aveva tirato fuori dal carrozzino per provare a calmarlo.
 
Lo smarrimento apparso negli occhi del fratello era inequivocabile; s’aspettava delle braccia che non erano le sue. Braccia che non avrebbero più potuto stringerlo. Per la prima volta in vita sua Dean s’era sentito completamente fuori posto. Per la prima volta, aveva provato quel senso di inadeguatezza divenuto con il tempo una seconda pelle.
 
Quando abbassa lo sguardo, trova Castiel con gli occhi chiusi ed il respiro pesante di chi ha ceduto al sonno.
 
I ricordi si disperdono come polvere nel vento mentre lo adagia nella culla.
 
*
 
Castiel lo sta fissando. Da quando Dean ha preso posto sul divano davanti alla televisione e lo ha sistemato sulle proprie ginocchia, non ha prestato attenzione alle immagini susseguitesi sullo schermo nemmeno per un istante.
 
I suoi occhi piantati sul viso di un bambino risultano infinitamente più grandi, ma restano familiari. L’insistenza con cui gli si piantano addosso lo è altrettanto.
 
Non è qualcosa a cui sia mai riuscito ad abituarsi, il modo in cui lo guarda – come se vedesse oltre l’involucro di carne e sangue di cui è fatto, al di là dell’immagine che lo specchio gli restituisce. Più a fondo di quanto chiunque altro sia mai riuscito ad arrivare.
 
C’è qualcos’altro, adesso, un’ulteriore sfumatura portata dall'ingenua curiosità tipica dell’infanzia – è nuovo, ma non sconosciuto. Castiel è qualcosa che trascende l’aspetto del suo tramite, qualcosa che continuerebbe a identificare senza sforzo a prescindere dalle sue sembianze.
 
All’improvviso, una mano gli si arrampica addosso fino a raggiungergli il viso. Lo sfiora e comincia a tastarlo, le punte delle dita tozze che premono contro il mento per poi salire lungo la guancia ed arrivare agli zigomi.

“Ehi, Cas.”
 
Sam, seduto al suo fianco, sfodera un sorriso morbido che potrebbe quasi essere piacevole da vedere, se non lo mettesse tanto a disagio. Nel frattempo, Castiel continua ad ispezionargli il volto; gli schiaccia la punta del naso con l’indice con tanta forza da fargli strizzare gli occhi per il dolore.
 
“Che sta facendo?”

“Credo gli piacciano le tue lentiggini.”

Il sorriso sdentato che gli si para davanti quando li riapre gli fa morire in gola ogni obiezione.
 
*
 
“Gli angeli non hanno bisogno di nutrirsi.”
 
“Ma l’alimentazione può far bene al tramite, soprattutto adesso che è in fase di crescita, quindi--”
 
“Devo essermi perso il momento in cui sei passato da cacciatore a pediatra angelico.”
 
“—gli darai da mangiare mentre io continuo a sfogliare il libro che ho trovato questa mattina” conclude Sam, laconico, e Dean gli arpiona un braccio per impedirgli di allontanarsi. “Non provare a svignartela” lo ammonisce “Se vuoi fare la mammina apprensiva te ne occuperai di persona.”
 
“Lo farei, se Cas fosse d’accordo.”
 
“Ci hai parlato?”
 
“No, ma ricordo in che stato fossero i miei timpani quando hai insistito affinché me ne occupassi di persona. Non intendo ripetere l’esperienza.” Si libera con uno strattone, e Dean arranca alla ricerca di una recriminazione a cui appigliarsi. “Non ho idea di cosa--”
 
“La pappa è già pronta. L’ho preparata io, così non potrai dire che tocca a te fare tutto.”
 
Evidentemente, è una guerra in cui è destinato ad inanellare sconfitte.
 
*
 
Castiel è seduto sul seggiolone, al collo un bavaglio bordato d’azzurro su cui sono disegnati degli angioletti con le ali bianche ed il capo contornato da piccole aureole dorate - se avesse avuto bisogno di una conferma sullo spiccato senso dell’umorismo del Karma, l’avrebbe ricevuta quando la commessa gli ha detto che si trattava dell’ultima fantasia disponibile.
 
Quando gli avvicina il cucchiaio alla bocca, Castiel fa scattare il capo all’indietro per allontanarsene e ne fissa il contenuto con diffidenza prima di alzare su di lui uno sguardo corrucciato. A giudicare dalla reazione, non dev’essere particolarmente attratto dall’intruglio – una poltiglia rappresa e maleodorante di cui ha preferito non conoscere gli ingredienti.
 
“Cas, per favore. Sam non mi darà tregua se non mangerai.” Dean scosta il cucchiaio e lo muove in modo da disegnare piccole curve nell’aria. “Avanti, sù! Arriva l’aeroplanino!”
 
La bocca di Castiel resta accuratamente sigillata.
 
(“se dovesse fare storie, prova con il gioco dell’aeroplanino. Funziona sempre.” Certo Sam, come no)
 
Un’opzione alternativa si fa strada nella sua mente, raccogliendo l’immediato dissenso del suo stomaco. Dean lo sente ribaltarsi in segno di protesta mentre si porta il cucchiaio alla bocca.
 
A mali estremi, estremi rimedi.
 
Trattiene il respiro ed ingoia; malgrado lo faccia in fretta e furia, il sapore ha il tempo di diffondersi e provocargli un conato di vomito che riesce a stento a reprimere.
 
È la cosa più disgustosa che abbia mai assaggiato in vita sua.

“Visto? È buona!” esclama con voce strozzata, combattendo contro il rigurgito che minaccia di venir fuori. Non suona credibile nemmeno alle sue orecchie, eppure, quando intinge il cucchiaio nel piatto e riprova ad imboccarlo, Castiel lo asseconda senza fare storie.
 
*
 
Il giorno dopo Castiel prova a mettersi in piedi, facendo leva sul pavimento con le mani. È traballante, ma riesce a sollevarsi. Pianta i piedi a terra in una maniera che vorrebbe esser salda, allarga appena le braccia in cerca di equilibrio – non lo trova, e barcolla per una manciata d’istanti prima di cadere con un tonfo leggero. Appare spaesato, quasi non capisse quale forza l’abbia trascinato giù. Passata la confusione ritenta, ripetendo meccanicamente ogni passaggio. Si dà una spinta con le mani e si risolleva, con una caparbietà che Dean ha imparato a conoscere fin troppo bene. Cade di nuovo, e questa volta il disappunto gli disegna una ruga al centro della fronte.
 
Dean gli si avvicina, si piega verso di lui e gli porge le mani. Lo sguardo di Castiel si sposta dai palmi aperti al suo viso. Non si muove, come stesse vagliando se accettare l’offerta o meno. Alla fine, lo fa. Si aggrappa alle sue dita e le stringe con forza. Dean si limita a fargli d’appoggio, lasciando che sia lui a rialzarsi, e lo accompagna assecondando i suoi movimenti. Castiel mette un piede davanti all’altro in maniera goffa ma decisa, avanza continuando a tenersi alle sue mani.
 
Gli occorreva soltanto un aiuto, qualcuno che gli mostrasse come fare. Gli è sempre servito soltanto questo, per imparare a camminare sulle sue gambe.
 
*
 
Quando setaccia il pavimento con lo sguardo senza riuscire ad individuare Castiel, Dean viene assalito da un pessimo presagio. Una volta adocchiatolo, pensa che aver torto una volta tanto non sarebbe male.
 
Castiel è in piedi sulla credenza, sporto in avanti, le piccole ali che sferzano debolmente l’aria e lo sguardo impegnato a sondare il vuoto che lo separa da terra.
 
“Cas!” lo chiama e lui solleva il capo di scatto, ma gli concede appena una breve occhiata prima di tornare a concentrarsi sul pavimento. La sua espressione si fa ad un tratto più decisa, le ali prendono a muoversi con maggior rapidità. Quando le spalanca, Dean fa un passo in avanti per ridurre la distanza che li divide.

“Cas, no.”
 
Fortunatamente, aveva predetto il modo in cui Castiel avrebbe reagito – ignorandolo. Nel momento in cui i suoi piedi si staccano dal bordo del ripiano scatta nella sua direzione, ed è abbastanza lesto da riuscire ad evitare che vada a schiantarsi.
 
Castiel emette un verso di protesta quando viene afferrato, e si dimena nel tentativo di liberarsi dalla sua presa. Dean lo trascina fino al box, lo deposita al suo interno e gli pianta addosso lo sguardo più severo di cui sia capace. In tutta risposta, Castiel sfodera un broncio che non promette nulla di buono.
 
Se pensa che basti così poco a rabbonirlo, si sbaglia di grosso.
 
“Ti avevo detto di non farlo.”
 
Una patina di lacrime scende a ricoprire gli occhi blu, rendendoli lucidi e, se possibile, ancor più grandi di quanto già non siano, e il labbro inferiore comincia a tremolare – okay, forse non si sbaglia così tanto, ma, in ogni caso, non gliela darà vinta. Lo lascerà lì a scontare la sua punizione. I bambini devono imparare dai propri errori.
 
“Sta’ qui e fai il bravo, intesi?”
 
La mortificazione dipinta sul suo viso si fa più marcata ed una sola, grossa lacrima gli rotola lungo la guancia; Dean avverte i suoi propositi di fermezza traballare, come fondamenta scosse da un terremoto.
 
“Gesù, Cas, potevi farti male.”
 
In fondo, Castiel non è davvero un bambino. È un angelo millenario, e un angelo millenario non ha di certo bisogno di farsi impartire lezioni da un essere umano. È per questo, solo e soltanto per questo, che rilascia un sospiro rassegnato e si china ad asciugargli la guancia.
 
“Non piangere” gli strofina lo zigomo con il pollice, e Castiel tira rumorosamente su con il naso mentre avanza verso la rete del box per avvicinarglisi “Non importa, okay?”
 
Quando le piccole braccia si spalancano in una muta richiesta, Dean non ci pensa due volte ad assecondarla.
 
*
  
Dopo una settimana, Dean ha imparato a distinguere i lamenti da ho fame da quelli da ho bisogno d’aiuto; è alla seconda categoria che appartengono quelli che risuonano al momento.
 
Quando raggiunge la cucina, Castiel sta provando senza successo a liberare le ali impigliate all’interno dell’anta della credenza – ordinaria amministrazione.
 
“Aspetta, ci penso io.”
 
Si inginocchia e spalanca l’imposta, liscia le piume per eliminare il segno della piega. Mentre le sfrega, Castiel rilascia un suono limpido e gorgogliante. Dean continua a strofinarle, aumentando appena la pressione delle dita, ed ottiene lo stesso risultato.
 
“Cos’è, soffri il solletico?”
 
Le pizzica con delicatezza e Castiel ride più forte, la bocca spalancata e una piccola ragnatela di rughe attorno agli occhi. Agita le manine strette a pugno nel tentativo di colpirlo per farlo smettere, ma Dean avverte appena i buffetti contro il braccio mentre continua a punzecchiarlo divertito e la risata di Castiel si fa più acuta.
 
Da adulto, Castiel non ha mai riso in maniera così piena. La consapevolezza lo colpisce come un pugno allo stomaco, e gli fa cadere addosso un sottile velo di tristezza che provvede subito a mascherare.
 
“Fa’ attenzione” gli raccomanda, e rilascia un’ultima carezza alle ali prima di ritrarre le mani.

*

Quando quella mattina Sam gli aveva detto che Trasformazioni e trasfigurazioni, rinvenuto in uno degli angoli più nascosti ed impolverati della biblioteca, avrebbe potuto fare al caso loro, si era guardato dallo specificare che il tomo in questione è un mattone di settecento pagine tanto sdrucite da essere a stento decifrabili.
 
Se l’avesse saputo, durante la spartizione dei compiti giornaliera Dean c’avrebbe pensato due volte prima d’asserire convintamente che persino il lavoro di ricerca è preferibile all’uscire di casa per fare scorta di pannolini.
 
‘fanculo Sam.
 
Allontana lo sguardo dalle pagine e rilascia uno sbuffo, si strofina gli occhi ed allunga braccia e gambe atrofizzate dall’immobilità. Mentre si stiracchia, intravede Castiel gattonare verso di lui con una manciata di giocattoli al seguito; avanza fermandosi di tanto in tanto per trainare il mucchio di automobiline e costruzioni, spingendolo nella sua direzione. Raggiunta la meta, si siede sul pavimento e sventola la miniatura di una Chevrolet per reclamare la sua attenzione.
 
“Non è il momento di giocare, Cas. Sto cercando di capire come farti tornare a camminare su due gambe.”
 
Castiel non si lascia scoraggiare e comincia a tirargli un lembo dei pantaloni, emettendo versi via via più strascicati e lagnosi. Dean si ostina ad ignorarlo fino a quando nel piagnucolio non si profila un suono dai contorni ben definiti, che distoglie immediatamente la sua attenzione dalla lettura. 
 
“Dean.”
 
Impiega un istante lunghissimo per registrare la parola che Castiel ha appena pronunciato.
 
*

“Non è così strano.”
 
L’osservazione suona del tutto casuale, priva di insinuazioni o sottintesi.
 
Una parte di lui gli suggerisce di esimersi dall’indagare, di troncare la conversazione sul nascere zittendo i dubbi che gli sussurrano all’orecchio; un’altra, invece, lo invoglia ad intavolarla, e poco importa che sia la stessa che l’ha indirizzato verso tutte le decisioni di cui si è pentito nel corso della sua vita.
 
Non è mai bastato per metterla a tacere.
 
“Che intendi?”
 
Sam butta fuori la risposta con la leggerezza che si riserva alle ovvietà. “Se avessi dovuto pensare ad un’eventuale prima parola di Castiel, non mi sarebbe venuto in mente nient’altro oltre il tuo nome.”
 
È una di quelle verità che ti rendi conto d’aver sempre conosciuto soltanto quando ti vengono sottoposte; una di quelle che giace lì, nei recessi sperduti in cui marciscono le consapevolezze scomode, nell’attesa di un evento che la porti alla luce. Non occorre che sia qualcosa di eclatante; a volte una semplice battuta è sufficiente per svelarla.
 
A giudicare dal modo in cui Sam aggrotta la fronte, la presa di coscienza deve leggerglisi in viso.
 
“Dean--”
 
“Ho adocchiato un libro interessante questa mattina” dice, sforzandosi di sbrogliare una matassa di pensieri particolarmente intricata “Provo a recuperarlo.”
 
Lo sguardo di Sam gli grava sulle spalle mentre si allontana.
 
*
 
Castiel è rannicchiato nel carrozzino, avvolto dal bozzolo delle coperte da cui spunta una manciata di piume stropicciate.
 
Con quest’aspetto somiglia decisamente di più alle creature che era solito figurarsi quando sua madre gli parlava degli angeli - quando ancora credeva che avesse ragione sul loro conto. Con il tempo, la vita gli aveva dimostrato quanto si sbagliasse – nessun angelo era intervenuto mentre lei bruciava sotto il soffitto, nessun angelo aveva dissuaso suo padre dai propositi di vendetta che avevano segnato per sempre la vita sua e di suo fratello, nessun angelo aveva impedito che tutte le persone che amava gli scivolassero via dalle dita.
 
(“Le cose buone accadono.”
 “Non nella mia esperienza.”)
 
Un angelo, però, l’aveva strappato dalle spire dell’Inferno e aveva voltato le spalle all’intero Paradiso per stare dalla sua parte. Terminata la guerra, anziché andar via, gli era rimasto accanto e aveva combattuto al suo fianco in mille altre battaglie da cui avrebbe avuto tutto il diritto di tirarsi fuori.
 
Quell’angelo non l’aveva mai lasciato solo. Non era mai stato sordo alle sue richieste.

(“Arrivo sempre quando mi chiami.”)

Castiel non assomigliava agli angeli che popolavano il suo immaginario di bambino, ma era stato l’unico a dar forma alle parole rivoltegli da sua madre per rassicurarlo.

(“Gli angeli vegliano su di te.”)

Gli lascia una carezza leggera sul capo prima di lasciare la stanza.
 
*

Quando Sam arriva con un grosso tomo tra le mani, Dean è seduto sul pavimento e Castiel sta utilizzando la sua gamba come pista su cui far circolare le automobiline; le fa scivolare dalla coscia al ginocchio e da lì alla caviglia, per poi tornare indietro e ripetere il percorso.
 
La nota di trionfo che scorge nei suoi occhi rende superflua qualsiasi domanda.
 
“Bingo.”
 
*
 
“Credevo che le ali degli angeli fossero immateriali.”
 
Tutto era cominciato una sera di qualche mese prima, con dei tonfi leggeri risuonati oltre la porta della sua stanza e al di sopra del turbinio di pensieri che gli vorticava nella testa.
 
"Avanti."
 
Era il periodo in cui la pelle dove il Marchio aveva campeggiato continuava a bruciare con insistenza – lo fa ancora, a volte, e Dean si domanda se la sensazione sia reale o soltanto un prodotto della sua immaginazione.
 
"Come stai, Dean?"
 
Il tutto s’era ripetuto la sera dopo e quella dopo ancora, fino a quando le visite di Castiel si erano trasformate in un’abitudine giornaliera.
 
"Una favola."
"Non si direbbe."

 
Eseguito il contro incantesimo, la consuetudine è ripresa con la stessa naturalezza con cui era iniziata. Castiel è tornato ad occupare la sua postazione sul bordo del materasso con addosso la solita tenuta - il trench sgualcito, la camicia immacolata, la cravatta annodata attorno al collo. Dean si sorprende a pensare a quanto sia straordinariamente familiare come immagine.

“Lo sono. Sono fatte di grazia, ma quando acquisiamo un tramite possiamo scegliere di renderle tangibili.”

La visione gli si staglia davanti fin troppo nitidamente: la schiena nuda, un paio d’ali di dimensioni più grandi di quelle che spuntavano dalla stoffa strappata ma dello stesso nero pece, l’attaccatura incastonata tra le scapole e---

“Da neonato non avevo le capacità decisionali necessarie a controllarle.” 

All’improvviso, s’accorge d’avere la gola secca. “Capisco.” Distoglie lo sguardo, deglutisce fissando le punte delle proprie scarpe. Si schiarisce la voce prima di proseguire. “Allora.” I contorni dell’immagine sbiadiscono fino a dissolversi. Mettere in fila le parole diventa subito più semplice. “Com’è tornare adulti?”

La risposta di Castiel è priva di indugi. “Preferisco questa versione del mio tramite. È decisamente meno…” esita e corruga la fronte, quasi stesse passando in rassegna una lista di aggettivi tra cui scegliere “…limitante.”
 
“Anche meno autolesionista.”
 
Non ha bisogno di rievocare scenari a supporto dell’affermazione. Castiel ha memoria di quanto avvenuto, e Dean è stato ben contento di scoprirlo; potrà rinfacciargli le tendenze suicide palesate tutte le volte che proverà a dissuaderlo dal fare qualcosa di avventato.

"Grazie." La parola risuona in maniera del tutto inaspettata, e lo stordisce come uno schiaffo ricevuto senza preavviso. L’assoluta sincerità riflessa negli occhi che ha davanti sortisce lo stesso effetto. “Per esserti preso cura di me.”
 
Dean schiude le labbra, ma non trova le parole per articolare una replica. È semplicemente—è sbagliato. In un modo che gli occlude la bocca dello stomaco. Castiel si è preso cura di lui e di Sam da quando è entrato nelle loro vite. Non s’è dedicato ad altro dal giorno in cui ha fatto irruzione in quel capanno, ed è una scelta per cui non ha mai smesso di pagare il prezzo.
 
Non basta cambiare qualche pannolino per pareggiare i conti. Niente di quello che potrebbe fare basterebbe.
 
“Sarà meglio che vada. Devi recuperare le ore di sonno che ti ho sottratto.”
 
Castiel si alza, si volta dirigendosi verso la porta. Dean tiene gli occhi ancorati alla sua schiena, quasi sperasse sia sufficiente ad inchiodarlo al pavimento e trattenerlo.
 
“Cas--” Lo ferma sull’uscio, bloccando la mano arrivata ad un soffio dalla maniglia. Il silenzio è così denso che probabilmente, sporgendo il braccio, riuscirebbe persino a toccarlo. “Aspetta.”
 
Le parole si scontrano e s’accavallano, si assemblano e spingono per uscire. Per quanto lo desideri, non è pronto a permetterglielo – non ancora. Ingoiarle è più faticoso di quanto non sia mai stato.
 
“Dean.” Castiel richiama la sua attenzione, facendo scoppiare la bolla di sapone costruita dai suoi pensieri. “Posso mettermi a letto da solo, adesso.”
 
Chiunque altro non sarebbe capace di cogliere la nota d’ironia nascosta dietro il tono monocorde - chiunque altro, ma non lui, non lui che ha visto ogni suo tratto d’umanità crescere e germogliare, radicarsi fino a diventare parte integrante della sua identità.
 
Dean solleva gli angoli della bocca in un accenno di sorriso. “Già.” Si sente più leggero, adesso, abbastanza da credere che arriverà il giorno in cui sarà in grado di buttare fuori quel che ha bloccato in gola. “Solo--” Forse è soltanto un’illusione destinata a morire nel giro di pochi attimi. O forse no. “--- di niente. Davvero.”


















Note
Tanto tempo fa in una terra lontana io e la mia combriccola plottavamo ipotetici scenari con baby!Castiel e Noemi ebbe l'incauta idea di dirmi "Gabry scrivici qualcosa!!!"; seppur dopo eoni, ce l'ho fatta ad accontentarla. Spero che trovi il risultato all'altezza delle aspettative *porge cuore alla festeggiata*
Il titolo della storia è una rivisitazione di "Honey, I shrunk the kids" (in Italiano "Tesoro, mi si sono ristretti i ragazzi"), perchè se si vuole essere scemi lo si deve essere fino in fondo.
 
  
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