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Autore: Some kind of sociopath    31/07/2016    2 recensioni
[Le Iene]
"Ehi, ragazzo."
Quando Freddy se lo trova davanti, appena oltre l’uscio di casa, tutti i nodi nel suo stomaco si sciolgono di colpo. Ha addosso una delle sue camicie aloha, sfondo azzurro, piccole palme e sirene mezze nude stampate sopra.
"Ciao, Larry."
[Questa OS partecipa al contest "Amore&Angst" indetto da DonnieTZ sul forum di EFP]
Genere: Angst, Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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I was doing fine without ya
‘Till I saw your face, now I can’t erase
Tame Impala, The Less I Know The Better
 
"Ehi, ragazzo."
Quando Freddy se lo trova davanti, appena oltre l’uscio di casa, tutti i nodi nel suo stomaco si sciolgono di colpo.
Ha addosso una delle sue camicie aloha, sfondo azzurro, piccole palme e sirene mezze nude stampate sopra. "Ciao, Larry."
"Allora, mi fai entrare?"
"Eh? C-certo, sì, vieni."
Larry sta sorridendo e Freddy sente il fottuto caldo salirgli fino alle orecchie. Los Angeles di merda. Probabilmente Larry sta pensando a quanto sembri stupido lì, in piedi nella cornice della porta, a guardarlo fisso manco non l'avesse mai visto prima.
Ci ha messo meno di cinque minuti ad arrivare. Freddy l'ha chiamato con la scusa di andare a mangiare un taco assieme da qualche parte, perché mica poteva dirgli che se la stava facendo sotto proprio il giorno prima del colpo. 
"Bel posto" Larry ha già estratto una sigaretta dal pacchetto che gli sporge in tasca, l'accende con gli occhi che vagano per l'appartamento a soqquadro. Ci sono ancora giornali sporchi di pittura dappertutto, vecchi numeri di Spider-Man sul divano e la scatola di nastri che sporge da sotto il tavolo. È un fottuto disastro ma Larry sorride, guarda tutto come fosse una cosa carina – guarda lui come fosse una cosa carina, e Freddy se ci pensa diventa ancora più rosso. "L'hai dipinta tu?"
Freddy butta gli occhi sulle pareti azzurre che li circondano, scuote piano la testa. No, non ha scelto lui quel colore. Se Larry sapesse, lo troverebbe ironico. 
Larry. Con i suoi capelli tirati indietro e il pettine sempre in tasca e gli occhi così dolci e buoni che non riesci a credere che sia un criminale. 
Larry. Lo stesso Larry che dovrà sbattere in galera il pomeriggio successivo, subito dopo la rapina, e che marcirà lì dentro per sempre.
"Ragazzo? Va tutto bene?"
Sono cinque minuti che non spiccica una parola, che sta guardando un punto fisso nel muro come un cretino. Se ne accorge mentre Larry gli entra a forza nel campo visivo, avanza piano sulle assi imbarcate del pavimento, e quando Freddy alza gli occhi se lo ritrova di fronte, vicinissimo, sigaretta tra le labbra e una piccola ruga in mezzo alle sopracciglia. “Tieni.” Larry s’è tolto la sigaretta di bocca, l’ha infilata gentile tra le dita di Freddy.
Non sa che dire. Sa solo che si sente un fottuto idiota e non voleva far preoccupare Larry, non l’ha chiamato per questo. Solleva le sopracciglia in una specie di ringraziamento e fuma, si gode la mano tiepida di Larry sulla sua spalla, lo calma più di tutte le cazzo di sigarette del mondo.
“Grazie, eh.”
“Non importa. Cerca di rilassarti. Okay?”
Freddy annuisce piano. A volte Larry è così gentile che quasi lo imbarazza, ma adesso no. è soltanto grato che sia lì con lui. “Okay.”

“Joe ti troverà un dottore. E poi… tutto sarà okay.
Freddy è sicuro al cento per cento che niente sarà okay. Per una serie di motivi.
"Forza, dillo! Tutto sarà okay!"
Numero uno: ha un buco in pancia grosso come il pugno di un bambino e litri di sangue che continuano a uscirne ogni volta che prende un fottuto respiro. 
Numero due: ha sparato a una donna innocente. A una cittadina innocente. Il proteggere e servire è andato a farsi fottere insieme a quel colpo di pistola a una poveretta che cercava solo di salvarsi la vita – ma non è nemmeno quello il suo problema, la questione è che un secondo dopo nemmeno gli importava perché aveva un cazzo di buco nella pancia e le braccia calde di Larry che lo tenevano da sotto le ascelle e lo trascinavano via e solo questo gli importava, ecco qual era il fottuto problema.
"Dillo!"
"Larry..."
Numero tre: probabilmente sarà morto nel giro di un paio d'ore. Tutto quel sangue dovrebbe andare alla testa e ai polmoni e al cuore e invece sta lordando i sedili della macchina di Larry, la stessa macchina su cui quella mattina sono andati a fare colazione, la stessa in cui l'ha accompagnato a casa dopo il loro primo incontro. Per cui, tra un paio d'ore al massimo sarà morto. E Freddy non vuole morire, pensa mentre stringe la mano di Larry anche se gli scivola via per tutto quel sangue, fa del suo meglio, la stringe più forte che può. Non vuole morire. Non così. 
Numero quattro: s'è innamorato. 
Non può mandare Larry in galera. Non può mandare Lawrence Dimmick in galera, non può, non può, non può.
Larry continua a stringergli la mano – "Scusa, non sapevo che fossi laureato in medicina" gli ha detto e se non stesse morendo Freddy riderebbe ma sta morendo, lo sa, è così logico, è quello che succede quando ti sparano in pancia e tutto il sangue inizia a scappare e a versarsi fuori, tipo una cazzo di diga quando si rompe. 
Hanno iniziato a sparare appena usciti dalla gioielleria. Larry ha sparato sui poliziotti e ha messo un braccio sulle spalle di Freddy che si sentiva così stupido perché le ginocchia gli tremavano, ma non era per i morti, no, aveva solo paura di voltarsi e vedere la camicia di Larry chiazzata di sangue. 
Larry, che aveva il nodo alla cravatta tutto allentato e i capelli in disordine. Brown era morto davanti ai loro occhi nemmeno cinque minuti prima. 
Larry ha ammazzato dei poliziotti. 
È la persona più gentile del mondo. 
Larry ha ammazzato dei poliziotti. 
È l'uomo più premuroso che abbia mai conosciuto. 
E chissà quanti innocenti ha ammazzato prima ma a Freddy non importa, non importa, adesso è sul pavimento di un deposito di cazzate – il luogo dell'incontro, sì, dov'era stabilito che si vedessero con Joe – e parla a vuoto e implora Larry di portarlo in ospedale perché non vuole morire, non dirà niente a nessuno, lo giura.
Ci prova a restare calmo, davvero. È solo che si trova di fronte al peggior dilemma di tutta la sua cazzo di vita. Lo sa. Non è un idiota, gli idioti non diventano agenti sotto copertura dopo così poco. 
Larry scuote la testa. Joe. Si tratta di aspettare Joe. 
D'accordo. Va bene così, e nonostante ciò una parte di lui non può fare a meno di cercare ancora un contatto, di sfregare il viso sulla giacca ruvida di Larry – Larry che l'ha steso a terra e lo tiene tra le braccia, che gli ha slacciato la cintura e accarezzato i capelli, gli ha sussurrato nell'orecchio e l'ha fatto ridere come non pensava più di essere capace.
"Mi tieni un po' più stretto?"
Gliel’ha chiesto perché lo ama. Lo ama e si sta cagando sotto e non gli frega più niente di niente. Quasi. 
Freddy l’ha vista la faccia di Larry, la minuscola ruga che gli è spuntata in mezzo alle sopracciglia quando s'è arreso e ha sussurrato quelle parole con la voce roca per quant'è stanco e debole. Spostare uno stronzo con un buco in corpo non è mai un'idea vincente, ma Larry lo fa lo stesso. Gli piazza un braccio sotto la testa, lo stringe a sé e tira fuori il pettine di plastica che si porta sempre in tasca, gli tira indietro i capelli come dovesse andare al fottuto ballo del liceo.
Larry è buono con lui. È così buono con lui che non lo lascia andare nemmeno quando la porta del deposito si spalanca di nuovo e sbatte contro il muro.
Un altro degli uomini di Joe piomba verso di loro e sbraita qualcosa che per Freddy è lontano, di cui non gli importa un cazzo. Sta continuando a fissare Larry, a chiedersi che cazzo deve fare con questa storia.
Il tizio che è entrato è Pink e sembra che si sia fatto di corsa la strada tra il deposito e la gioielleria – ha i capelli sfatti, gli occhi più sporgenti del solito. Freddy pensa sembrino palline da golf.
Mr. Pink quella mattina non voleva nemmeno lasciare la mancia alla cameriera. Ha tirato fuori una storia assurda su quando la società e il mondo siano sbagliati, e Freddy gli ha dato ragione solo per vedere la faccia di Larry. 
Mr. Pink ha montato una lagna di un quarto d'ora quando Joe Cabot, il pezzo da novanta, ha scelto i loro nomi in codice. 
Non sa proprio chiudere quella cazzo di bocca. Non è come Larry. Larry è gentile. Larry lo ascolta sempre, non si lamenta mai.
Larry non è cattivo e non può andare in galera. Non può finire in galera per colpa sua. 
Freddy sente il suo calore scivolargli via dal fianco, le dita di Larry che gli si sfilano dai capelli.
"No... No..."
Mette una mano sul petto di Larry, come bastasse per fermarlo.
"Non ti preoccupare, sono qui vicino."
La sua voce risuona nitida nelle orecchie di Freddy ma non ha mai avuto più paura di così. 
Non vuole morire. Non vuole morire senza Larry. 
"Cristo di un Dio..."
Freddy non vuole morire, se lo ripete nella testa e si sforza di non chiudere gli occhi, di restare sveglio – ripensa a quello che gli ha detto Larry, a tutte le belle parole di Larry, al fatto che non morirà e che sta solo perdendo un sacco di sangue ma non morirà, ci vogliono giorni perché si muoia per una ferita del genere, Larry ha detto così e se lo dice Larry dev'essere la verità per forza – sente di doverglielo. È in debito perché Larry si fida di lui. Larry gli ha detto il suo nome. È venuto a mangiare un taco a casa sua ed è rimasto con lui e gli ha dormito vicino, gli ha accarezzato i capelli tutta la notte soltanto perché se la stava facendo sotto. Il minimo che può fare per lui è rimanere in vita. 
(Il minimo che poteva fare era non essere un poliziotto)
"Larry..." Ringhia il suo nome tra i denti un'ultima volta. È già sparito.
 
Larry non sa un cazzo di Orange. 
"Credevo che andassimo a mangiare fuori."
Non sa nemmeno come si chiama.
"Non ero in vena." 
Sa che è seduto dall'altra parte di un tavolo microscopico, coperto di giornali, tempere, pennelli e omini di plastica colorata, che si stringe nelle spalle e parla con gli occhi enormi che non si staccano dal taco. Sa anche che la cosa lo fa sorridere, che quand'è agitato così il ragazzo è ancora più bello. 
"Non sapevo che ti portassero i taco a casa. Mi sento vecchio, cazzo."
"Nah." Orange si sta per pulire la bocca con la manica della camicia e a Larry scappa un sorriso, gli porge uno dei tovaglioli piazzati in mezzo al tavolo. Il ragazzo lo prende e finalmente alza gli occhi, smette di mangiare solo per guardarlo in faccia. "Se tu ti senti vecchio pensa a come deve sentirsi Steve Rogers."
"Chi?"
"Steve Rogers. Capitan America."
"Oh." Doveva capirlo. Orange ha gli occhi che brillano come degli smeraldi del cazzo, gli succede sempre quando parla di qualcosa che lo infervora – tipo i fumetti o i film o Bruce Lee o Sandy Rogers. "Perché?" chiede allora. In realtà lui non ci capisce niente, ma Orange è così bello quando parla in quel modo e si perde e inizia a gesticolare, gli si arrossano le guance e sembra ancora più piccolo. 
"Okay, okay, fammi capire un attimo. Quindi ci sono esattamente– Quanti, cinque Capitan America?”
“Due. E tre Bucky.”
“Due Capitan America? Dagli anni Quaranta? Cristo, non s’è mai stufato di salvare il mondo?”
“No. Però è normale, cioè, è un cazzo di supereroe. Non può prendere e andarsene solo perché s’è rotti le palle della gente.”
Ecco, le guance di Orange arrossiscono tutte d’un colpo e Larry pensa che non ha mai visto niente di più carino in tutta la sua vita, cazzo.
Non ha nemmeno posato l’incarto del taco sul tavolo. Si allunga a poggiare la mano sulla guancia tiepida di Orange e gli dà un bacio sulle labbra, dolce, vorrebbe trattenere un sorriso ma non ce la fa, è più forte di lui. La bocca di Orange ha tremato un po’ sotto la sua. Ha sentito le gambe dell’altro agitarsi nervose sotto il tavolo, incastrarsi con le sue, e una delle cose che a Larry piace di più di quel ragazzo è che non riesce mai a star fermo.
Ha ripreso a mangiare senza smettere di guardarlo, sfrega piano il piede sul polpaccio di Orange che lo guarda con gli occhi verdi sgranati, così grossi che sembrano due fanali. “Mangia.” Ancora sorride. “T’è passata la fame?”
Le guance di Orange s’arrossano di nuovo e sposta gli occhi da un’altra parte, la bocca mezza aperta senza che ne esca niente. Larry scoppia a ridere. Lo adora quand’è imbarazzato così.
Orange finisce il suo taco in due morsi – sarà anche piccolo ma mangia come un lupo – e cerca in tutti i modi di cambiare argomento, prova a sviare l’attenzione da se stesso riprendendo il suo lunghissimo discorso sulla storia di Capitan America. Non sa che è tutto inutile, che Larry non smetterebbe di guardare Orange nemmeno il giorno della fine del mondo.
Ha un naso enorme. È stata la prima cosa che Larry ha notato quando l’ha visto entrare in quel locale assieme a Eddie il Bello e Joe Cabot.
La seconda è stata che le luci rosse da fottuta camera oscura gli donavano, che gli donava la giacca di pelle, che il modo in cui i capelli gli ricadevano sulla fronte aveva qualcosa di adorabile e giovane che gli piaceva da morire. Che il suo entusiasmo gli ricordava Alabama.
Aveva raccontato una storia su un bagno, degli sbirri e un sacco di marijuana. Joe era sinceramente divertito, Eddie era sbronzo come una spugna e continuava a ripetere che avrebbe dovuto raccontarlo a un certo Vic, che se Vic fosse stato lì sarebbe morto dalle risate.
Larry ne aveva approfittato e si era offerto di dargli uno strappo. Non era salito in casa sua, non l’aveva nemmeno sfiorato. Avevano continuato a parlare durante il viaggio, Larry l’aveva guardato con la coda dell’occhio mentre tamburellava sulle gambe Hyperbolicsyllabicsesquedalymistic e non era riuscito a trattenere un sorriso ma non importava, perché anche lui sorrideva una volta sceso dalla macchina.
Adesso però è un’altra storia. Orange ha smesso di parlare – “…sì, è un tantino incasinata come cosa” ha detto, ha chinato appena la testa e guarda da qualche parte sul tavolo, tra le cartacce e i pennelli abbandonati.
Resta zitto e immobile per qualcosa come tre secondi. Poi, dal nulla, salta in piedi come una molla e inizia a scavare per la stanza, scatta da una parte all’altra come un topo in trappola: solleva i cuscini del vecchio divano contro la parete, scosta la guida tv dal piccolo televisore degli anni Settanta, sposta persino i supereroi in miniatura dalle mensole prima di fermarsi lì in mezzo con una mano tra i capelli e l’aria piena di sconforto. “Ti serve qualcosa, ragazzo?”
“Stavo… Stavo cercando le sigarette.”
“Prendi le mie.”
Orange lo guarda fisso per un istante. È così piccolo e indifeso che a Larry viene voglia di alzarsi e abbracciarlo. Invece finisce il suo taco, segue con gli occhi il ragazzo che scava nelle tasche della sua giacca fino a trovare le sigarette e se ne accende una con la schiena poggiata al ripiano della cucina. “Scusa” sussurra.
Larry ha finito di mangiare, ma non si muove. “Sei agitato?”
Si è divorato la sigaretta. “Me la sto facendo sotto.”
Allora Larry gli fa un sorriso triste e si alza, la sedia che striscia e stride sulle assi del pavimento. Si piazza accanto a Orange, quasi spalla a spalla, e fa l’unica cosa che gli sembra giusto fare in quel momento, allunga appena la mano e intreccia le dita con le sue.
Il piccolo palmo di Orange è caldo e umido contro il suo. Sta battendo nervosamente il piede a terra. “Ascolta, è un lavoro sicuro. Fidati. Joe è uno a posto. Non c’è nessuno che sappia organizzare queste cose come lui.”
Orange però non smette di tremare, ha gli occhi lucidi e la voce che un po’ gli si spezza in gola. “Non è solo quello” sussurra. Larry non ha mai visto nessuno essere così spaventato in tutta la sua vita. “è anche… La pistola. Cazzo, io non so se riesco ad ammazzare qualcuno, Larry.”
“Ehi, tranquillo. Sai, non è mica detto che dovrai sparare. Magari a qualcuno sì, okay, ma saranno sbirri, stronzi in divisa. Hanno il giubbotto, quelli. Non ti preoccupare.”
Il ragazzo si stringe nelle sue piccole spalle e Larry gli si fa un po’ più vicino. Non vuole lasciargli la mano per niente al mondo. “Io… Non lo so. Penso– A volte anche gli sbirri hanno paura, no?”
La lingua di Larry è secca contro il palato. Non sa che dirgli. Orange si lascia andare a un sospiro. “Mi dispiace, Larry” sussurra, si sfrega la faccia con la mano che non sta stringendo la sua.
Larry li ha visti, gli occhi di Orange. Sono giganti e verdi e così lucidi, come i fondi di una bottiglia.
Appoggia il palmo sulla sua nuca, lo tiene lì per un po’. Il corpo di Orange è caldo contro la sua pelle, può sentirlo tremare sotto le dita.
A dieci anni Lawrence Dimmick era il miglior cacciatore di lucciole della città. Era capace di prenderne anche tre o quattro in una volta sola, scatenava l’invidia di tutti i bambini del quartiere. Gli piaceva il modo ipnotico in cui pulsavano dentro il suo barattolo, come scuotessero le pareti di vetro con i loro stupidi tentativi di fuggire.
Orange è come quelle cazzo di lucciole. Freme allo stesso identico modo.
Larry si muove appena, accarezza col pollice i capelli corti e sottili sulla sua nuca senza emettere un suono. S’è innamorato. Non ha potuto farci niente. S’è innamorato di Orange e farebbe qualsiasi cosa per lui. Per questo lo stringe a sé e lo bacia di nuovo, ancora, lo bacia in mezzo ai capelli e sulle sue ciglia lunghissime, lascia che il ragazzo affondi la testa nel suo collo e nel suo petto e pianga un po’, che tiri su col naso e respiri forte, che risponda con le sue piccole labbra ansiose a quei baci che durano niente perché è senza fiato, ma a Larry vanno bene lo stesso.
“Non dovrai sparare un colpo” gli dice, lo sta stringendo così forte che quasi sente le ossa di Orange piegarsi. “Te lo prometto, ragazzo.”
Non sa dire per quanto tempo restano così, stretti l’uno all’altro contro quel dannato ripiano. Sa che a un certo punto Orange gli sfrega la testa sul collo e s’allontana un po’.
Vaga per la stanza come un animale braccato, stropicciandosi forte le mani sulla faccia. Ci mette qualche altro minuto per riprendere a respirare normalmente. “Ci sono” sussurra, le gambe e la voce che tremano un pelo meno di prima. È fermo vicino al tavolo, a meno di due metri da dove stava prima, eppure a Larry non potrebbe sembrare più lontano. Le mani sono inutili se non stringono Orange, se non gli s’incastrano nei capelli e non gli stropicciano la camicia.
“Senti” borbotta il ragazzo, “ti dà tanto fastidio se…”
S’interrompe a metà, butta fuori il fiato con uno sbuffo da bambino che fa sorridere Larry come un idiota. La sua facciata è durata meno di un minuto. “Sì, cazzo, se non scopiamo. I-io… Mi spiace, Larry, tu non sai quanto mi dispiace ma non ce la faccio.” S’è morso il labbro e guarda in basso, da qualche parte sulla sua camicia o un po’ più giù. Larry è quasi divertito, non riesce a smettere di pensare a quanto sia bello con quelle guance rosse e la voce acuta d’imbarazzo. “Non… Non me la sento. Scusa.”
Larry sente qualcosa stringersi nel suo petto quando Orange parla in quel modo. Non ricorda come fosse durante il suo primo lavoro; forse non era così spaventato, ma solo perché era un idiota di sedici anni appena e credeva che tenere in mano una pistola fosse la cosa più bella del mondo. Non pensava minimamente a cosa volesse dire uccidere qualcuno.
“Ehi. Guardami in faccia.”
Non vuole che Orange sia come lui. È un milione di volte meglio spaventato e cosciente che stupido. Basta soltanto che non lo faccia affondare, è questa l’unica cosa che conta.
Quando l’altro alza gli occhi, Larry solleva i palmi in segno di resa. “Va tutto bene. Capito?” Abbozza un sorriso. “Va tutto bene. Possiamo fare tutto quello che vuoi. Tipo guardare la tivù, o dormire, o giocare al cazzo di Monopoli. Quello che vuoi.”
Larry gli va più vicino, quel tanto che basta per mettergli le mani sulle guance. Gli stampa un bacio sulla fronte e un altro sul naso, lascia che Orange sfreghi il viso nell’incavo caldo della sua gola, che strizzi nei pugni la stoffa colorata della sua camicia con tutta la rabbia che ha in corpo. “Smetti di preoccuparti. Andrà tutto bene. Okay?”
“O-okay.”
“Dai, ragazzo, un po’ più convinto.”
Orange esplode in una risata nervosa contro la sua spalla. Starebbe a sentirlo ridere anche per tutta la cazzo di eternità. “Okay.”
“Bravo.”
“Dio, Larry…”
Il suo nome è strano sulla lingua di Orange. Larry non si ricorda perché gliel’abbia detto, né in quale occasione. Sa che gli piace sentirglielo dire – più o meno quanto gli piace starlo a guardare quando parla di fumetti, o ascoltare la sua risata. Lo pronuncia come una promessa infrangibile, manco fosse molto più di cinque lettere del cazzo.
“Ti amo.”
La voce di Orange è un sussurro contro il suo petto, ma sono così vicini e lo sta stringendo così forte che Larry se lo sente rimbombare nelle orecchie, nel cervello, fin sotto le costole.
È come prendere un cazzotto nello stomaco, solo che non fa male. Questo è tiepido. Lo scalda dall’interno, lo fa sentire bene per davvero.
 “Te lo giuro, Larry. Cazzo, io… Cazzo, scusami se t’ho fatto venire fin qui solo per... per questa stronzata, davvero, mi dispiace, non so perché l’ho–“
Prima che possa dire un’altra parola, Larry lo bacia sulle labbra. In teoria è solo per zittirlo – perché smetta di scusarsi – ma Orange gli infila la lingua in bocca e si fa coinvolgere, stringe quelle braccia lunghe e sottili intorno a Larry e gli mugola in bocca e Larry è così felice che al giorno dopo quasi non pensa più.
“Merda.” Ha impastato i capelli di Orange con le dita fino a spararglieli in tutte le direzioni possibili. Pensa a quanto sia bello. A quanto sia vicino e piccolo e bello mentre si scosta una ciocca da davanti agli occhi. “Ti amo anch’io” sussurra, ha in faccia un sorriso così grande che le guance quasi gli fanno male. “Però smetti di prendere tutti quei caffè. A te servirebbe una vacanza, te lo dico io.”
 
Freddy è fottuto.
D'accordo, d'accordo, anche Marvin è fottuto, quel poveraccio mezzo affogato nella benzina, senza un orecchio e con la faccia sfregiata. C'è mancato tanto così che quel maniaco di Mr. Blonde non lo ammazzasse, e anche adesso non ha nessuna garanzia che Pink o Eddie il Bello o Joe – o Larry, gli sussurra una voce nella testa – non lo facciano secco appena metteranno di nuovo piede nel deposito. Però Marvin non ha un cazzo di buco nella pancia. Marvin non sta morendo, Marvin non è una talpa. 
E poi Marvin non ha appena svuotato un caricatore in pieno petto a Mr. Blonde.
C'era qualcosa in Blonde che a Freddy faceva venire i brividi fino al buco del culo. Era nel modo in cui rideva, in quanto poco parlasse e quanto fosse minaccioso quando lo faceva – come quella mattina a colazione, quando aveva chiesto a Joe se voleva che sparasse a Larry con la faccia di chi l'avrebbe fatto senza pensarci due volte. Parlava ai Cabot con una confidenza che gli altri potevano soltanto sognarsi, se ne strafotteva di tutto.
E adesso era morto, accasciato a terra accanto alla porta, e Freddy non sa cosa cazzo fare.
Aveva urlato in faccia a Marvin di andare affanculo perché lui stava morendo, stava annegando nel suo stesso sangue e quello stronzo non faceva che preoccuparsi per sé. Freddy non s'era mai sentito così incazzato e non aveva mai urlato addosso a qualcuno della polizia. Non era nella sua natura. E poi di solito c'era Holdaway a tenerlo buono, a evitare che si ficcasse in più guai della media prevista. 
Si era incazzato perché stava morendo. Aveva litri e litri di sangue che gli sgorgavano dalla pancia e un male fottuto in tutto il corpo e Larry non c'era e non sapeva più che cosa fare. Aveva ammazzato Mr. Blonde e di lì a poco Larry, Eddie e Pink sarebbero tornati insieme a Joe. Dietro Joe sarebbero entrati gli sbirri, e gli sbirri avrebbero portato via Larry.  
Ha un cazzo di dolore nel petto che con la pallottola non c'entra niente. 
Marvin sta singhiozzando quando la porta si spalanca di nuovo e Larry apre la fila, il figlio di Cabot subito dietro di lui. Freddy ha gli occhi stretti ma lo sa, lo sa che sta cercando Blonde, che sta aspettando di trovarlo sul carro funebre su cui lo ha lasciato quando è uscito. Invece è sbracato dietro la porta, con la camicia imbrattata di sangue e tutto il torso ridotto a un cazzo di colabrodo. 
Pink sbraita le sue solite stronzate. Larry è di nuovo accanto a lui. 
"Che cazzo è successo?” 
Freddy lo sente ma non riesce a rispondere, i suoi palmi scivolano nel sangue sul pavimento.
In realtà qualcosa lo racconta e la sua stessa merdosissima voce è distante e fuori dal suo controllo – ma crede di star dicendo la verità, sì, qualcosa su Blonde che taglia l’orecchio al poliziotto e voleva bruciarlo vivo, cazzo, hanno le prove lì davanti a loro.
Eddie Cabot s’è fatto più vicino. Ha gli occhi sgranati quasi quanto Mr. Pink.
Ci vuole mezzo secondo netto perché sfili la pistola da sotto il giubbotto e spari quattro colpi all’agente Marvin Nash, lasciandolo con la testa ciondolante sul petto chiazzato di sangue.
È la conferma. Freddy è fottuto. Se solo ne avesse la forza si piscerebbe addosso. 
Invece l’unica cosa che riesce a fare è raccontare palle. Sente le parole uscirgli di bocca – stronzate, un mucchio di stupide stronzate su Blonde che voleva ammazzarli tutti e scappare con i diamanti. Tiene gli occhi in quelli di Eddie perché Holdaway gli aveva detto che era la cosa giusta da fare quando parli con qualcuno che non si fida di te. Holdaway però gli aveva anche detto di non cazzeggiare con quella gente, di non cazzeggiare con i Cabot, e porca puttana, Freddy non voleva cazzeggiare con i Cabot, non voleva incasinare tutto e non voleva che gli sparassero in pancia un fottuto colpo del cazzo! L’unico per cui valeva la pena che il piano andasse storto era Larry. Larry e basta, cazzo.
“Non ci credo. Non sta in piedi.” Eddie il Bello non batte nemmeno più le palpebre. Il sangue di Marvin gli è schizzato sulle guance piene, s’è ridotto a una grottesca caricatura del ragazzo allegro che Freddy ha incontrato la prima volta e la cosa gli fa così paura che la mano di Larry sulla sua schiena sembra pesare come un macigno, gli schiaccia le scapole e non lo fa respirare.
“Per me sta in piedi eccome, cazzo.”
Larry. Oddio, Larry, Larry, Larry.
Lo ama così tanto, Cristo di Dio. Non troverebbe le parole per descriverlo nemmeno se avesse tutta la vita davanti, figuriamoci in un momento del genere. Lo ama così tanto che vorrebbe piangere e baciarlo in quello stesso istante, che vorrebbe aggrapparsi al suo polpaccio come un fottuto cane e non lasciarlo mai più.
La porta si spalanca di nuovo e questa volta è Joe Cabot quello che entra, muovendo qualche passo lento e malfermo fino a loro. Freddy non capisce più tanto bene cosa si dicano, o cosa lui stesso stia rispondendo o cosa stia dicendo Larry. Sente Pink, la stupida e fastidiosissima voce di Mr. Pink che strilla qualcosa su… sulla professionalità? Lui sta morendo su un pavimento del cazzo e quello parla di fare i professionisti?
Riesce a ignorarlo solo perché si sente lo sguardo di Joe addosso. Non è tanto di rimprovero o rabbia quanto di rimpianto, come se si stesse dando dello stupido per aver avuto fiducia nello stronzetto lì a terra, mezzo morto in un bagno di sangue.
Ha detto che era l’unico di cui non si fidasse al cento percento. Ha detto che sta con la polizia. Davanti a Larry.
“Joe, Joe, io non so cosa credi di sapere, ma ti sbagli.”
Sta protestando ancora. Larry si sta mettendo contro Joe Cabot. Si fida così tanto di lui da credere in una palla grossa come la fottutissima California.
Freddy vorrebbe morire. Vorrebbe urlare e strapparsi i capelli e morire, cazzo, perché se gliel’avesse detto – se invece di piangere e parlare a vanvera avesse preso un po’ di fottuto coraggio, il giorno prima, e l’avesse detto almeno a lui – adesso sarebbero tutti al sicuro, la rapina non ci sarebbe mai stata, Freddy non avrebbe nessun buco in pancia e Blonde, Brown e Blue sarebbero ancora vivi. Però non è così.
“è un bravo ragazzo. Lo conosco, non lo farebbe mai.”
Freddy stringe i denti così forte che il dolore gli annebbia il cervello. Quanto cazzo ti sbagli, quanto cazzo ti sbagli…
S’accascia sulla rampa, lo sguardo fisso sul soffitto coperto di crepe sopra le loro teste. In lontananza sente ancora la voce di Mr. Pink e, se sposta appena gli occhi, riesce a vedere Joe che gli punta la pistola addosso e Larry che tira fuori la sua, un secondo dopo, solo per puntarla sul pezzo grosso. Lascia stare, Larry. È finita. Lascia stare.
Anche Eddie ha estratto la pistola e ha il mirino fisso su Larry. È forse l’unico che non sta urlando, Freddy non lo sa, tutto quello che sa è che Joe Cabot vuole ucciderlo e farebbe bene, farebbe soltanto bene ad ammazzarlo come un cane. Perché, ora che hanno visto Joe, cinque fottute pattuglie del dipartimento di polizia di Los Angeles faranno irruzione e sbatteranno Larry in galera, e Freddy preferisce un milione di volte morire che vedere questa scena.
Tutti puntano la pistola contro tutti – tranne Pink, Freddy nemmeno sa più dove cazzo sia Pink. Strizza forte gli occhi, e l’unica cosa che sente è la voce di Eddie che s’alza sulle altre, perde la calma anche lui. Poi c’è soltanto una fiammata di dolore al ventre, le sue gambe che si agitano per il contraccolpo e il fottuto casino di tre pistole che sparano insieme.
Non fa male come la prima pallottola. Freddy è talmente svuotato che quasi non sente niente.
Però ha l’istinto dello sbirro. Il suo istinto dello sbirro ha contato quattro spari, quattro fottuti colpi di pistola. Uno è nelle sue budella. Uno dev’essere da qualche parte dentro Larry.
Freddy si sforza di aprire gli occhi un’altra volta – dovrebbe essere morto da un pezzo, porca puttana, è tutto ciò che si merita – e nel deposito non c’è più una sola persona che sia all’impiedi.
Joe e suo figlio sono supini a terra, un buco nel petto per ciascuno. Vicino alla rampa, carponi, con la pistola ancora in mano e i denti serrati, c’è Larry.
Ha sparato.
Ha sparato a Eddie e Joe Cabot. Allo stesso Joe Cabot con cui scherzava soltanto quella mattina, a colazione.
Larry sta strisciando sulla rampa fino a lui anche se ha un buco nel petto. Gli stringe la testa in grembo come ha fatto un milione di volte sul suo divano, sul suo letto, gli accarezza il viso con le mani umide. 
Mr. Pink e le sue gambette da gallina schizzano fuori dal deposito assieme a una valigetta. Le sirene della polizia cominciano a rombare dopo neanche mezzo secondo.
È l'esatto momento in cui Freddy si sente morire – e lo desidera, prega Dio con tutto se stesso per morire in quel preciso istante ma niente, il Grande Capo continua a fare lo stronzo e Larry continua a stringersi la sua testa al petto, non importa quanto la carne faccia male. 
"Sembra che dovremmo farci un po’ di galera.”
No. No, no, no, no. 
Le sirene suonano più forte. La frustrazione fa agitare le gambe di Freddy come una cazzo di frusta. 
Glielo deve dire. 
Larry ha sparato al suo capo e vecchio amico per salvarlo. Ha sparato a suo figlio. L’ha difeso, ha detto che si fidava di lui e non ha dubitato nemmeno per un istante, affanculo il fatto che lo conoscesse da due settimane appena. 
Si è fatto sparare nel petto, per lui. Quando i poliziotti apriranno la porta, si farà arrestare. Per lui. 
Glielo deve. Glielo deve con ogni cazzo di cellula del suo corpo.
È un sussurro pieno di lacrime, lo fa strisciare tra i denti stretti.
"Sono uno sbirro"
 
"Sono uno sbirro."
Come un pugno. Un cazzotto da spaccare i denti dritto sulla faccia.
Eh?
Larry non ci crede. Larry non ci crede, non ci crede, non vuole assolutamente crederci. 
"Mi dispiace, Larry, mi dispiace così tanto..."
Il suo primo riflesso è allentare la presa su Orange. Il ragazzo però è sempre lì, non lo lascia, strizza le mani sui suoi gomiti per tenerselo vicino.
Sono uno sbirro. 
La testa di Larry è un fottuto macello pieno di sangue e fumo, vede rosso, gli si appannano gli occhi. Tra le lacrime mette appena a fuoco il corpo di Orange che s’inarca e le sue gambe che scalciano, la sua bocca che si muove ancora.
"Larry... Larry..."
La polizia è fuori dalla porta. I fottuti sbirri sono fuori dalla porta e Orange gli ha appena detto che è uno di loro. Che è un cazzo di poliziotto. E Larry ci è caduto come un idiota, non ha potuto fare niente per evitarlo, è successo e basta e adesso gli fa così male tutto che nemmeno riesce a pensarci.
"Mi dispiace..." 
Larry ha ancora la pistola in mano. Tra cinque secondi – meno, probabilmente meno – gli sbirri sfonderanno la porta e lo arresteranno. Trascineranno il corpo di Orange via dal suo e lo porteranno in ospedale, dove gli cuciranno la pancia e lo faranno ricominciare. Gli daranno una medaglia per averlo fatto sbattere in galera.
Larry ha così tante lacrime negli occhi che non riesce nemmeno a vederlo, a guardarlo bene un'ultima volta.
Tanto non ha importanza. Lui conosce i lineamenti di Orange a memoria, tutti i dettagli gli spuntano in testa come in quei cazzo di libri pop-up che fanno impazzire i bambini. Gli occhioni verdi di Orange. Il suo naso gigante. Le sue orecchie, le ciglia lunghe che Larry avrebbe voluto baciare per tutta la sua vita, le guance incavate – adesso le sente sotto la canna della pistola, scorre sul suo viso e potrebbe disegnarlo a occhi chiusi. 
Sfiora la fronte calda di Orange, umida di sudore. 
Lo sanno tutti e due quello che sta per succedere.
Larry punta gli occhi umidi sul muro, le piccole mani di Orange che gli strizzano forte le braccia. Intanto la porta si apre e sbatte e una dozzina di bastardi si fa strada nel deposito – gli SWAT, cazzo, i fottutissimi SWAT –
Larry respira con la bocca aperta prima di affondare il dito sul grilletto e
BANG
Il corpo caldo e insanguinato di Orange gli sussulta tra le braccia.
È finita. È finita e Larry sa di aver fatto la cosa giusta. Lui lo ama, porca puttana, ha sempre amato Orange, dal primo momento in cui ha messo piede in quel maledetto bar con le luci rosse che gli sbattevano addosso e lo facevano sembrare più bello che mai.
Gli sbirri urlano, piazzati in formazione davanti a lui. Forse sbraitano qualcosa su quello che ha fatto – oppure ordinano di mollare la pistola, ordinano sempre di mollare la pistola – ma Larry non riesce a muoversi, non controlla più niente.
Li guarda alzare i fucili d'assalto. Quando iniziano a premere i loro cazzo di grilletti le sue spalle sono l’unica cosa che ancora si muove, tremano mentre accarezza la guancia spappolata di Orange.
Mi dispiace.
Non ha avuto nemmeno il tempo di piangere.




 




Note dell'autrice:
Premetto che non sono affatto soddisfatta di questa... cosa, lol, quindi chiedo scusa a tutto il fandom che già è povero di suo, non ha bisogno anche di brutte fic. Ovviamente i personaggi non appartengono a me ma a Quentin Tarantulino Tortellino Tarantino, e chiederei scusa anche a lui perché questo non rende onore al film né alla sceneggiatura. 
Poi, passando alle mie cretinate, ci sono citazioni stupide sparpagliate qui e là, come per le canzoni. Consiglio a tutti The Less I Know The Better dei Tame Impala perché è bellissima, ha un video fantastico e la adoro, e anche Hyperbolicsyllabicsesquedalymistic, che è una bella canzone di Isaac Hayes, presente anche nella colonna sonora di Vinyl (che è una serie bellissima e ve prego, anche se l'hanno cancellata guardatela, è una gioia per gli occhi e per le orecchie). L'ultimo riferimento musicale è Sandy Rogers, interprete di Fool For Love, che fa parte della colonna sonora originale del film (quella canzone è la prova definitiva di quanto eterosessuale e no homo sia Le Iene, certo, certo)
In ultimo chiedo scusa agli esperti Marvel perché io, da buona profana, mi sono documentata su Wikipedia (quella italiana, per di più), quindi potrei aver sparato un sacco di stupidaggini su Capitan America. No, non ho visto neanche i film. L'ho detto che sono una profana.
Ultima cosa, vabbè, che Holdaway si chiami Holdaway non ce lo dice mai nessuno, ma c'è nella sceneggiatura. E c'è su Wikipedia (persino quella italiana, wow).
Comunque, grazie in anticipo a coloro che leggeranno questa cosaccia e grazie al contest, perché finalmente mi ha fatto scrivere qualcosa su questi due. Davvero, io li amo. Lo so che dalla fic non si direbbe, eh, ma li amo. Davvero. 
Ancora grazie per aver letto fin qui, a presto! 
  
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