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Autore: blu panda    02/08/2016    8 recensioni
L.A., prospettiva di nuove speranze o gabbia opprimente.
Due donne diverse, agli antipodi nella loro vita precedente, si incontrano nelle sue strade che di angelico hanno ben poco. Due angeli scagliati giù dal paradiso, caduti tra la polvere e i detriti di un'esistenza che rasenta il criminale, ma che forse, insieme, riusciranno a rialzarsi.
E poi... poi Eliza brucia sotto lo sguardo della sua Dama di Ghiaccio.
Genere: Romantico, Sportivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash, FemSlash | Personaggi: Clarke Griffin, Lexa
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Cap $ Fire in my veins

PIU' SCINTILLANTE DEL SOLE


Alycia. 4.18 AM

No, non mi va di pranzare fuori. Mi dispiace

Eliza 4.20 AM

No? E io che volevo invitarti... Scusa, ma chi sei?

Alycia 4.21 AM

Eliza! Oddio scusa! Ho sbagliato ad inviare il messaggio, ti ho svegliata?

Sono Alycia.

Eliza 4.22 AM

Non hai ancora capito che sono una creatura della notte? (Si, mi hai svegliata)

Ma non preoccuparti, tanto stavo dormendo male.

Non mi pare d'averti mai dato il mio numero...

Alycia 4.23 AM

A quanto pare non sei l'unica che ruba le cose...

Eliza 4.25 AM

E io che pensavo d'essere la sola e inimitabile!

Che pensavo d'essere la regina delle sorprese!

Alycia 4.25 AM

Per essere le regine delle sorprese bisogna impegnarsi!

Ora vai a dormire principessa, che la notte è ancora lunga.


<< No, signore, non serviamo panini all'aglio a quest'ora. Il cuoco non è ancora qui >>.
L'uomo, con un gran pancione a precederlo, sbuffò. << E che diavolo avete in questo postaccio? >>.
<< Ci sono croissant, colazione salata, panini dolci... >>.
<< Vada per quello. Si sbrighi per favore, ho fretta >>.
Mi allontanai dal tavolo trattenendo uno sbuffo. Era stata una nottata dura, una di quelle noiose in cui non si muove una foglia. Ero stanca e il primo cliente era un tronfio uomo di mezza età dall'aria viscida.
<< Il signore a quel tavolo vuole dei panini dolci. Potresti prepararglieli tu? Sono qui da 12 ore e mi sto addormentando in piedi >>.
Paige annuì, afferrando il grembiule che mi stavo sfilando.
<< Grazie >>, le dissi, sinceramente grata.
Paige era sempre estremamente materna con me. Era stata difficile all'inizio: la pelle tirata intorno alla bocca, le rughe di una donna non più giovane, segnavano che non aveva tempo ed energie da dedicare ad altre persone oltre a quelle di cui già si occupava. Alla fine però si era affezionata a me -ed io a lei. E apprezzavo le piccole attenzioni che aveva per me, come mettermi a posto il grembiule. Facevo fatica a non confonderla con qualcosa di più che una collega di lavoro.
<< Vai a casa e riposa. Qui ci penso io >>, disse, lasciandomi un leggero bacio sulla guancia. Le sorrisi e afferrai la giacca.
Fuori l'aria era frizzante, di quella che senti solo alle prime luci dell'alba. I rumori del traffico erano ancora lontani ed ovattati. Il sole però si rifletteva già sul mondo, facendo scintillare le righe bianche del parcheggio. Socchiusi gli occhi, abbagliata, frugando nella borsa per prendere le chiavi.
Quando alzai gli occhi, notai qualcuno appoggiato sul cofano della mia macchina. Giacca di pelle di daino, capelli più luminosi del sole, un sorriso inconfondibile. L'avevo svegliata ad un orario improponibile eppure lei era lì.
La vidi mettere le mani a coppa davanti alla bocca, << Hey, bella morettina!!! >>, gridò.
Risi. Non mi aveva mai chiamato nessuno così. Non urlandolo in mezzo ad un parcheggio, almeno. Eliza agitò una borsa verde nella mia direzione.
<< Che hai li? >>.
<< La mia sorpresa, ovviamente! Ti ho portato la colazione. Ho il cibo, il the, la tovaglia a quadretti rossi... manca solo un parco >>.
Il sue enorme sorriso mi fece dimenticare tutta la stanchezza.
Quando avevo il suo sguardo addosso, era come se fossi io al centro di tutto l'universo. Solo io e nessun altro.
E mi balenò in mente un'idea tanto pericolosa quanto allettante: << Di parchi non ce ne sono. Però casa mia è qui vicino... >>.
Trattenni il fiato, svuotata di tutto il respiro. Quella proposta mi era costata come una maratona.
Gli occhi di Eliza si illuminarono. Quell'entusiasmo non si spegneva mai. Notavo quanto cercasse di contenere la sua vera natura ma quella coperta era un velo sottile: si poteva indovinare il suo temperamento in ogni suo gesto.
<< Con grande piacere Madam. Mi faccia strada >>, disse, scherzando.

Avevamo percorso pochissimi chilometri, ma il volto della città era cambiato radicalmente. Non era più la grigia e cupa Los Angeles che si affollava attorno alle arterie principali, fatta di ristorantini scadenti e officine. No, questa Los Angeles risplendeva al sole fiera, con il viso alzato a sfidare i sobborghi che la minacciavano da ogni lato.
Parcheggiai davanti ad una delle tante ville.
Eliza era ammutolita, gli occhi sbarrati mentre aprivo il cancello in ferro battuto. E spalancò la bocca quando vide la casa che si celava all'interno: grande, bianca, immersa nei fiori. Avevo avuto la stessa reazione anche io quando l'avevo vista per la prima volta.
Sorrisi amaramente, prendendole il mento tra le mani e ruotandole il volto più a sinistra.
<< Sogna meno in grande, principessa >>, le dissi, indicandole una casupola seminascosta dalla vegetazione.
<< MA E' ANCORA PIU' BELLA! >>, e dio, era sincera. Sembrava una bambina davanti allo zucchero filato. << Una minuscola casetta, come quella di marzapane! >>, esclamò entusiasta mimandola con le mani.
Le feci strada verso la dependance: << Prima vivevo nella villa. Ma da quando sono successe tutte quelle cose, e ho dovuto pagare spese processuali e... beh, hai capito... ho dovuto trasferirmi. Era nel contratto di vendita della casa padronale: la villa a loro, la dependance a me >>, le spiegai.
Una volta dentro Eliza mi illustrò il ricco menù mentre prendeva posto al bancone, su uno degli sgabelli. << Abbiamo pancake, salse, fette biscottate, burro, succo di frutta... Un giorno prometto di cucinarti io dei buoni pancake >>, disse con una mano sul petto, giurando solennemente << Ma con quel preavviso... >>.
<< Non preoccuparti, saranno ottimi lo stesso >>.
E invece no, facevano davvero schifo. CI guardammo con una smorfia di disgusto e scoppiammo a ridere. Ma era la sua presenza, la sua essenza inebriante, ad essere davvero importante. I pancake potevano finire direttamente in pattumiera, a mio parere.
Lei non era dello stesso parere: era di fianco a me che divorava la sua colazione con la voracità di un diavolo della Tasmania e mi sorpresi a fissarla, con il boccone a mezz'aria. Conoscevo a memoria il suo profilo: i capelli biondi acconciati come
una dama del Medioevo, gli occhi di un intenso azzurro, il naso sottile... Sapevo cosa faceva per vivere, sapevo che era una donna forte e spigliata e solare...
<< Da dove vieni? >>.
… ma non conoscevo nulla della sua vita precedente. Lei si. Mi ero esposta molto più di lei e questo mi faceva sentire a disagio.
Eliza mise in bocca un'altra forchettata prima di biascicare un soffocato << Australia >>.
Ne rimasi sorpresa. << Addirittura così da lontano? >>.
<< Eh già >>.
<< E com'è l'Australia? Mi piacerebbe visitarla, un giorno >>.
Notai la leggera ruga che le si formava tra le sopracciglia mentre pensava. Stava cercando la risposta adatta da darmi. << E' molto selvaggia. Molto più del sole di Los Angeles. A metà tra la civiltà e il selvaggio>>.
<< Tutto è estremo: deserto, caldo, onde... L'uomo può fare ben poco, ed è questo che amo della mia terra >>. Per un momento gli occhi le si erano persi nel vuoto. Vedeva casa sua?
<< Ti manca? >>.
<< Da morire. Mi manca la mia casa in mezzo al deserto e le onde del mare. Qui non sono le stesse >>.
<< E hai mai visto i canguri in libertà? >>.
Così, con il mento appoggiato alla mano, mi ritrovai ad ascoltare tutte le magnifiche storie che teneva in serbo per me. E quando ne finiva una, ero lì, pronta a chiederne di più. Così sentii dello zio Sal che aveva trovato un pitone acciambellato sulla tavoletta del water, della gita ad Ayers Rock con il padre, di come le stelle scintillassero come diamanti nel cielo nero del deserto. Sembravano racconti di un'altra epoca.
Mi stava parlando di come odiasse i koala quando fece una smorfia, portandosi una mano al fianco. Scattai in piedi, improvvisamente preoccupata. << Va tutto bene? >>.
<< Ogni tanto capita. La caduta si fa sentire >>, cercò di rassicurarmi. Ma la smorfia persisteva.
<< Fa vedere >>, ordinai.
Non potei non notare gli occhi spalancati di Eliza. << Davvero, non è niente. Non c'è bisogno che... >>.
<< Ti imbarazzi per così poco, Wanheda? >>, la provocai scherzosamente. Sapevo cosa potesse sembrare, ma ero seriamente preoccupata. Eliza non mi era parsa particolarmente abile nel prendersi cura di sé stessa.
<< Non vorrei metterti in una posizione scomoda >>.
<< Voglio solo assicurarmi che tu stia bene. Non voglio che ti prenda qualche infezione >>.
La guardai intensamente, aspettando un suo assenso. Alla fine, chinò il capo << Che vuoi che faccia? >>.
Le indicai di sedersi sul piano dove avevamo mangiato fino ad allora per avere una maggiore visibilità. Poi, le afferrai il lembo della maglia, sollevandolo il meno possibile. L'idea di quella pelle nuda sotto le mie dita, che mi faceva girare già la testa vennero spazzati via dalla vista della benda intrisa di sangue.
<< Eliza! >>, la ripresi. Mi allontanai, andando a prendere bende e nastro per rifare la medicazione. << Devi stare più attenta. Se strappi la crosta, non ne verremo più a capo! La ferita è abbastanza profonda da sanguinare ancora tanto. Cerca di stare più attenta >>.

Dal tavolo dove era ancora seduta mi lanciò un sospiro lamentoso << Si, mamma! >>.
<< Dai, leva quella roba. Ti cambio la benda >>. Con mani veloci disinfettai i tagli profondi, controllando che non ci fossero sassolini incastrati nella carne. Le appoggiai la benda sul fianco e sigillai tutto con la garza.
<< Sei molto brava. Sembra che tu lo faccia da sempre >>.
<< Prima che succedesse questo casino studiavo per diventare medico >>, confessai. Mi guardò dall'alto, cercando altre spiegazioni.
<< L'università costa >>, ammisi, con la voce che si spezzava. Era doloroso, e meno ne parlavo, meglio sarebbe stato.
Cercai di spazzare via la tristezza. Il lavoro era concluso e mi alzai. Ma la mia mano era ancora sul suo fianco ed ero talmente vicina da notare le pagliuzze d'oro nei suoi occhi.
<< S-scusa >>, balbettò lei, come se fosse colpa sua. Si stava trattenendo dal suo solito comportamento provocante. E una volta che lei si impegnava a fare la brava, ecco che io perdevo la testa.
<< No, non fa niente... >>, tentai di dire, afferrando la prima cosa che trovai -uno straccio- per tenere le mani occupate. Mi feci indietro per darle modo di scendere dal tavolo e quando lo fece lo spazio tra la cucina e il bancone si fece ancora più piccolo. E di nuovo potei vedere l'oro nei suoi occhi.
Mi sorrise imbarazzata. Si stava per spostare e farmi posto. Dovevo lasciare che si spostasse. Avevo bisogno che si spostasse. Eppure, le afferrai un polso tirandomela addosso. E le mie labbra furono sulle sue in un attimo.
Ed erano così morbide... sapevano di sciroppo d'acero e farina. Così esitanti sulle mie che pareva tremassero. Le misi una mano sulla guancia e l'altra sul fianco malandato. Non ero di porcellana ed ero stata io a cominciare: continuava a proteggermi da sé stessa, ma in quell'attimo, in quello scorcio di mondo dove si poteva fuggire dalla realtà, l'unica cosa che volevo erano le sue labbra sulle mie. Stentavo a riconoscermi, ma il pensiero di Marcus era lontano dalla mia mente.
Sentii Eliza prendere coraggio e le mie labbra si schiusero come per istinto. Era dentro la mia bocca, così calda e morbida e sensuale e passionale. Gemetti nella sua bocca.
Sentii afferrarmi dietro le cosce e assecondai il movimento. In un attimo le posizioni si erano ribaltate: ora ero io seduta sul bancone, ed Eliza era tra le mie gambe. Era come essere una cosa sola: eravamo l'onda e la sua risacca, che si rincorrono con coordinazione divina. Le sue mani sul mio corpo erano il ghiaccio, i baci sul mio collo erano caldo fuoco. E anche io ero infuocata: il mio corpo bruciava a contatto con il suo. Con le mani tra i miei capelli, mi insegnava dove più le piaceva essere baciata.
Le morsi un lobo e lei ridacchiò; mi sciolsi in un sorriso anche io per poi tornare a rabbrividire. Vidi la sua mano, aperta e tesa, accarezzarmi la coscia con il palmo. La fissai con interesse mentre saliva, mi accarezzava il gluteo, e poi più in alto, sfiorarmi con i pollici le anche, il ventre, su e su, lambirmi i seni ancora celati. Liberai l'aria che trattenevo in un ansito. Aspettavo che continuasse: ero intenzionata a prendermi tutto quello che quel giorno avrebbe avuto da offrirmi.
E invece, un trillo ci fece sobbalzare entrambe. Gli occhi di Eliza tornarono un po' più presenti, ma il cellulare dovette squillare altre quattro volte prima che lei si rendesse conto da dove il rumore provenisse. Mentre lei rovistava nella borsa cercando il cellulare, io mi passavo le mani nei capelli, improvvisamente consapevole di quello che avevo fatto. Non mi sentivo in colpa. Ero dispiaciuta che qualcosa ci avesse interrotte -di nuovo. Era questo che più mi turbava.
<< Merda >>, sentii sussurrare Eliza mentre trafficava con il cellulare.
<< Cosa c'è? >>.
<< Era un promemoria. Cazzo, perché uso promemoria che non servono a un cazzo?! Promemoria! Dovrebbero ricordare alla gente di fare qualcosa. Ma se me lo ricordi 5 minuti prima, come fa uno a ricordarselo?! >>, “Due parolacce nella stessa frase. Non è un buon segno”. Intanto tirava su le sue cose alla rinfusa, creando più caos ancora.
<< Senti, scusa. Vorrei davvero trattenermi -davvero, davvero tanto, credimi. Ma questo appuntamento non lo posso proprio perdere... >>, tentò di giustificarsi. Anche io tentai di nascondere la delusione. Avrei voluto avere tempo fino all'alba successiva.
<< Devo chiamare un taxi... >>, si lamentò, infilando le cose in borsa con una mano e cercando di sistemare la tavola con l'altra. Sembrava davvero preoccupata.
<< Dai, monta in macchina. Ti ci porto io >>.

Durante tutto il tragitto, avevo stritolato così forte il volante da fare diventare bianche le nocche. Avevo messo la radio a palla, ma l'imbarazzo non era legato al silenzio che regnava nell'abitacolo. Serpeggiava tra di noi.
Eravamo accostati sul ciglio di una strada secondaria: il palazzo dove abitava l'amica di Eliza era proprio di fronte a noi.
Stava per far scattare la serratura della portiera quando, senza guardarmi, chiese: << Sei già pentita? >>.
Tutti gli organi coinvolti nella reazione “combatti o fuggi” si attivarono. Non volevo affrontare la questione in quel momento, ma L.A. non è la savana.
<< Non sono pentita, Eliza... E' che... non so bene come comportarmi ora >>.
<< Di solito succede quando baci una ragazza e sei fidanzata >>, mormorò, alzando lo sguardo su di me. << Possiamo fare finta di niente. Davvero. Capisco che possa essere la debolezza di una volta: eri stanca, e io... non sono la persona migliore quando c'è da mettere un freno alle cose... >>.
Gli occhi mi divennero improvvisamente lucidi. Avevo paura di come avrebbe potuto continuare. Di nuovo, però, venimmo interrotte dalla suoneria del cellulare. Era la terza volta che si intromettevano: non avevo mai odiato tanto la tecnologia.
<< Scusa, mi chiamano per sapere dove sia finita. Riprendiamo il discorso un'altra volta, va bene? >>.
<< Certo >>, risposi, atona.
<< Grazie mille del passaggio >>, disse. E scese, attraversando la strada ed entrando nell'androne di quel palazzo.
“Dimmi come faccio a far finta che non sia successo niente se mi aspetto un bacio quando scendi dalla mia fottuta macchina, Eliza”.
Decisi che forse era il caso calmarsi un po' prima di affrontare di nuovo il traffico di Los Angeles dell'ora di punta così parcheggiai meglio, all'ombra di un albero. E lì, tra i pioppi che cadevano copiosi, scorsi dei capelli biondi e un giubbotto di pelle di daino che correvano fuori dal grosso palazzo dove era entrata qualche minuto prima.
Socchiusi gli occhi, cercando di vedere meglio: ma chi altri poteva avere quel colore di capelli, quell'abbigliamento ed uscire da quello stesso palazzo, se non Eliza? Perché se ne stava andando?
La curiosità uccise il gatto, eppure lui non si astenne. E così chiusi la macchina e decisi di seguirla. Erano affari suoi, indubbiamente. Ma perché mentirmi? Di sicuro non c'era nessuna amica, né li né nella clinica dove era entrata. “Arkadia, poliambulatorio medico”, recitava la scritta appesa sul cancello.
Cercando di non farmi beccare con le mani nella marmellata, entrai. Il posto era molto più grande di quanto si potesse indovinare dall'esterno e la hall abbastanza affollata perché Eliza non mi vedesse.
Cosa ci faceva in una clinica privata? Quando casa sua si trovava nei sobborghi e gridava a gran voce quanto i suoi conti fossero in rosso...
La seguii tra i corridoi intonacati in tonalità chiare e raffinate fino ad un altro piccolo atrio con belle poltroncine soffici. Eliza però non si fermò in quella sala d'attesa, come avrebbe fatto qualsiasi paziente. Andò diretta alla porta e bussò.
Ne uscì un uomo alto, pelle scura e riccioli neri, vestito con un camice bianco e lo stetoscopio al collo. Eliza gli saltò al collo, abbracciandolo stretto. L'uomo le accarezzò i capelli e poi, con una mano dietro la schiena, le indicò una stanzetta appartata di fianco al box delle infermiere.
<< Signorina, ha bisogno d'aiuto? >>, mi fece sobbalzare una voce dietro di me.
<< N-no >>, balbettai. << Credo di aver sbagliato giorno >>. E me ne andai, intenzionata a non versare nemmeno una lacrima.




Nella foresta del Panda


Salve a tutti! Sono viva.
Mi scuso per il ritardo che si è protratto più di quanto previsto. Ma tornata dalla vacanza mi sono accorta che la storyline era incompleta e ho dovuto aggiustare due o tre cosine. Ora tornerò a rispettare la scadenza settimanale (spero!).
Primo capitolo POV Alycia, alla fine ho seguito il consiglio. Non amo i cambi di narratore, ma mannaggia a me quando ho iniziato a scrivere questa storia in prima persona! Quindi ho dovuto per forza introdurre questo punto di vista.
Non so se vi sareste aspettati questa Alycia. Ma, insomma, un po' di grinta ci vuole no? L'ho immaginata come una  ragazza difficile ad aprirsi, leggermente diffidente. Ma una volta sfondato il muro, rivela tutta la sua carica. Spero non vi dispiaccia questa piega :). Eliza invece cerca di farsi indietro proprio per il suo bene. Perchè il senso di colpa, prima o poi arriverà! E se non il senso di colpa, di sicuro Alycia si darà della stupida visto l'atteggiamento intimo di Eliza e quel tipetto all'ospedale -è Wells, tra l'altro!
Il commento finale sembra sempre una lista della spesa, scusate. Ma per fare l'HTML dei capitoli ci metto le ore -ore davvero, non scherzo. Il programma credo mi odi.
Che dire... ovviamente, se voleste regalarmi un po' del vostro tempo per un commentino, siete sempre i benvenuti! E mi fareste molto, molto, molto felice.
Alla prossima settimana,

Blu Panda

  
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