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Autore: Sail00r    03/08/2016    0 recensioni
"Maledizione!" sbottò la volpe "Restituiscimi il mio gioiello!"
Ma l'uomo sembrava non poterla sentire o vedere, e si passava tra le dita le perle di un’affascinante collana. Erano pallide e immacolate alla luce della luna. [...] "Va bene — disse — hai rubato il mio tesoro, ma non ha idea di cosa farne. Non ne trarrai nulla di buono per te...”
L’uomo abbassò lo sguardo e inclinò leggermente la testa. Era affascinato e al tempo stesso stordito dalla bellezza del gioiello, il quale sembrava intriso di una misteriosa energia.
“…per me invece, è una perdita terribile. Io ti dico che, se tu non me la dovessi restituire, sarò tuo eterno nemico. Se invece me la restituissi, ti starò a fianco come un dio protettore."
~~
Una principessa, una maledizione che la perseguita e un po' di romanticismo.
Banale si, ma non ho potuto farne a meno.
Genere: Avventura, Sovrannaturale, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: Violenza | Contesto: Storico
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“Un vento leggero animava la brughiera sotto il cielo stellato, portando con se il profumo della ginestra. I rami di un arbusto solitario, un tempo rigoglioso, stavano pian piano morendo in solitudine. Ai suoi pieni  si trovava un altare dedicato a Inari, divinità devota a prosperità e agricoltura. Del tofu spezzettato e alcune monete erano le sue uniche offerte, oltre alla preghiera dei suoi fedeli. In lontananza si potevano vedere le deboli luci di un villaggio.
"Maledizione!" sbottò la volpe "Restituiscimi il mio gioiello!"*
Ma l'uomo sembrava non poterla sentire o vedere, e si passava tra le dita le perle di un’affascinante collana. Erano pallide e immacolate alla luce della luna. Ma la creatura cominciò a piangere e sussultare, tanto grande era l’ingiustizia dell’uomo al quale non aveva mai fatto un torto. Agitò le tre code dietro di lei e cominciò a fluttuare intorno all’umano.
"Va bene — disse — hai rubato il mio tesoro, ma non ha idea di cosa farne. Non ne trarrai nulla di buono per te...”
L’uomo abbassò lo sguardo e inclinò leggermente la  testa. Era affascinato e al tempo stesso stordito dalla bellezza del gioiello, il quale sembrava intriso di una misteriosa energia.
“…per me invece, è una perdita terribile. Io ti dico che, se tu non me la dovessi restituire, sarò tuo eterno nemico. Se invece me la restituissi, ti starò a fianco come un dio protettore."
Tuttavia l’uomo strinse la sua presa. Si voltò, tornando sui suoi passi, ignorando il tono della piccola kitsune che invocava vendetta. Non poteva sapere che con il passare del tempo avrebbe rimpianto quel gesto.”

 - da un racconto del XII secolo (modificato)


Hoshi no tama


Her POV

Una stretta salda e fredda mi tiene uniti i polsi, troppo rigida per essere umana.
Sento delle fitte pungenti alla testa, ma riesco a riprendere conoscenza da quello che sembra essere stato un sonno molto lungo e turbolento. Sono distesa su qualcosa di duro e in movimento. Da qualche parte riesco a sentire il trotto di alcuni cavalli, e il rumore di zoccoli sul terreno. Improvvisamente sono sveglia e la nebbia nella mia mente comincia a dissiparsi. Un brivido mi assale, dicendomi che devo darmi alla fuga. Mi stanno portando da qualche parte, ma dove? Non posso vedere nulla. Il mondo intorno a me è buio e capisco di essere bendata. Cerco con cautela di alzarmi a sedere, ma un dolore esteso a tutto il corpo mi rende il lavoro difficile. Ci sono delle voci intorno a me, ma non le distinguo. Il metallo intorno ai polsi è pesante. Il sudore mi incolla ciocce di capelli alla fronte, mentre inizio a tremare nonostante le vesti che indosso. Con terrore realizzo di non avere via di fuga. Cosa sta succedendo? Resisto alle lacrime, e cerco di imporre ordine al grande panico che sta prendendo il sopravvento. Provo a fare mente locale, e un piccolo dettaglio ferma il fiume di pensieri in cui sono in balia.
Chi sono io?
Il silenzio che con cui la mia coscienza risponde mi fa gelare il sangue.
Mi rendo conto di non riuscire a ricordare nulla più in dietro del mio risveglio. Volti, luoghi o suoni. Niente. La mia mente è come un guscio vuoto senza più traccia di vita. Mi sforzo inutilmente. Non ho nulla, nemmeno un ricordo o una traccia a cui fare riferimento. Mi chiedo se sia possibile una cosa del genere. Cosa farò?
Le domande e i timori riprendono a correre e rimbalzare nella mia testa. Quasi non mi accorgo che il mezzo su cui sto viaggiando è improvvisamente fermo. Sento un tonfo, qualche passo e poi un cigolio continuo. Un attimo dopo l’aria fresca mi avvolge e qualcuno mi afferra per le braccia, tirandomi avanti. Sono con i piedi piantati a terra e mi sento più stordita che mai.
“Forza principessina, il capo vi aspetta” dice una voce sarcastica al mio fianco.

Quando finalmente sciolgono la stoffa che ho davanti agli occhi, mi accordo di essere seduta in mezzo ad una stanza spoglia, molto semplice e modestamente arredata. Le pareti intorno a me sono di legno e decorate con disegni elaborati e variopinti. Non ci sono altre persone oltre a me e all’uomo che mi sta davanti, dall’altra parte del tavolino. Non deve avere più di trent’anni e indossa un’armatura pesante, come quelle dei samurai, con una sagoma bianca ricamata a lato della parte frontale. Non trovo nulla di rassicurante in lui. Al contrario, il suo sguardo su di me è irritante. Vorrei poter guardare altrove. L’unica fonte di luce è la finestra alle sue spalle. Riesco a vedere sprazzi di un giardino rigoglioso agitato dal vento. Sembra quasi un quadro. Ciocce nere oscurano il volto del mio aguzzino, gli occhi simili a due fessure sono segnati da due solchi violacei e sprazzi di barba arrivano quasi a coprirgli le guance. Si porta alle labbra un sigaro e la nube di fumo gli da un’aria quasi minacciosa. Comincio a fare lunghi respiri.
“Ti prego di scusarmi per averti trascinata qui in questo modo, Sango. Avrei preferito non coinvolgerti in questa faccenda..” mi dice con aria realmente affranta. Ha un tono gentile ma non ne capisco il motivo.
Sango.
Giusto.
Qualcosa nella mia mente dice che è davvero quello il mio nome. Per quanto poco possa valere, sono felice di avere di nuovo uno.
L’uomo nota la mia espressione sorpresa, ma non può capire a cosa si riferisce, e riprende a parlare con molta cautela.
“Forse non mi riconosci. Eravamo entrambi ragazzini durante il nostro ultimo incontro…e ne è passato di tempo. Sono Noboru, della famiglia Hojo, ricordi?” dice accennando un sorriso.
Inclino leggermente la testa. Continuo a non capire, ma lui sembra non farci caso. Forse mi ritiene semplicemente intimorita.
“So di non essere nella posizione di chiederti qualcosa, ma ti prego di rispondermi..” dice guardandomi negli occhi “Dove sono le sfere stellate, il tesoro di Inari?”
Alzo un sopracciglio. Sfere? Tesoro? Chi è realmente quest’uomo?
Solo ora sembra vedere con chiarezza le espressioni sul mio volto.
Ho la gola secca, e mi schiarisco la voce prima di parlare. Una volta fuori sembrano quasi un sussurro.
“D-di ..cosa stai parlando?”
Sento svanire l’autocontrollo che mi sono imposta fin dal risveglio, man mano che il tempo passa. Noboru reagisce come se qualcuno lo stesse prendendo in giro, lasciandosi sfuggire una risata nervosa.
“Avanti Sango, lo sai benissimo” dice alzando le mani “Non voglio farti del male, ma affinché questa guerra finisca ho bisogno di quel tesoro.. e solo tu puoi darmelo.” annuncia con fermezza.
Lo guardo e scuoto leggermente la testa. Sto per lasciare posto al panico, ma sarebbe un gesto futile. Ho il terribile presentimento che questa situazione non mi porterà a nulla di buono.
“Famiglia Hojo, tesoro di Inari… di cosa stai parlando?”
“Sango..”
“Dove mi trovo?”
La mia voce è ora più chiara, ma trema. Vorrei poter riavvolgere il tempo e svegliarmi da quello che forse potrei considerare un brutto sogno. Tuttavia non a chi rivolgere le mie preghiere, non so dove poter trovare rifugio per me stessa e le mie speranze.
Vedo Noboru sbarrare gli occhi. Probabilmente ha capito. Si allontana lentamente da me e dal tavolino. Sul suo volto prende forma una smorfia.
“Sango…cosa ti è successo?”
Mi guarda come un bambino intento a soccorrere una rondine ferita.
“Non… ricordo nulla” dico esitando.
Abbasso lo sguardo e l’uomo davanti a me non risponde. Ora sembra più confuso di me. Non sono sicura che mi creda. L’idea che io abbia perso la memoria sembra averlo scosso, ma rapidamente assume un atteggiamento composto e serio. Nessuno dei due ha il tempo di dire altro, poiché fa irruzione entra nella stanza con il fiato corto e il viso rosso.
“Signore…Fujiwara è qui! I suoi shinobi ci stanno attaccando e...”
Noboru scatta in piedi senza farsi dire altro. Guarda il messaggero e poi me.
Solo ora noto il fodero della katana che porta in schiena.
Mi lancia un’occhiata gelida prima di scomparire oltre la soglia, qualcosa che lascia in sospeso il nostro incontro. Mi sento nuovamente persa, in trappola.
La porta si rischiude, lasciandomi sola con la luce calda del tramonto.


His POV

Non rimane che polvere e devastazione di quello che poco prima era la base militare del clan Hojo.
L’aria intorno a me sa di cenere e carne bruciata. Con uno strattone libero la lama della mia kusarigama dal cadavere di un soldato. I miei compagni hanno oltrepassato le mura di pietra per eliminare i pochi nemici ancora in piedi. Molti di loro si disperdono e fuggono per la boscaglia, guidati dal loro generale, Noboru. Non si aspettavano un attacco diretto e non erano pronti per difendersi. L’accampamento ospitato dall’immenso cortile davanti alla tenuta è andato distrutto nel corso della battaglia. Mi dirigo verso l’edificio davanti a me. La facciata principale lentamente cadrà a pezzi, divorata dalle fiamme. Tra non molto in testimonianza di quel luogo non ci sarà che uno stemma polveroso, qualche trave rinsecchita e una distesa di corpi senza vita. Man mano che la distanza dalla meta diminuisce, la fuliggine e l’odore di sangue mi riempiono il naso. Mi porto una mano al volto. Il grande portone, tappezzato con legno e ferro, giace al suolo. Mi fermo davanti alla scalinata e aspetto di essere raggiunto dai miei compagni. Non c’è più nessuno a guardia dell’edificio. Oltre la soglia percorriamo un corridoio che si apre in un atrio senza soffitto. La luce illumina la struttura di legno circostante, le rampe di scale adiacenti e i porticati. Raggiungo il centro scoperto e alzo lo sguardo al cielo e alle fiamme. Non si tratta della base principale dei nostri nemici, ma senza dubbio lo spazio da coprire è vasto di quanto pensassimo. Il tempo necessario per esplorarla è troppo e noi siamo in cinque. Gli interni sono ancora agibili, ma non per molto. Presto il fuoco si espanderà. Da sotto l’armatura tiro sopra il naso la stoffa che porto al collo. Mi giro verso gli altri.
“Abbiamo i minuti contati, a quanto vedo” mormora Kohaku.
Da come si guarda intorno sembra quasi divertito, e prende sempre tutto come una sfida. Spesso mi da ai nervi il suo modo di fare, ma farglielo notare non ha mai risolto nulla.
“Questo posto crollerà da un momento all’altro. Perché non aspettiamo che siano solo macerie invece di rischiarci la pelle?” chiede Haru spazientito. E’ il più giovane tra di noi, ha meno esperienza. Spesso si dimostra teso durante le nostre operazioni, ma ha dimostrato di avere le carte in regola per far parte del nostro gruppo. A maggior ragione se Takashi l’ha fatto entrare.
Guardo Haru con sufficienza. Certamente sarebbe più sicuro perlustrarne i resti, ma così facendo andrebbero distrutti i materiali che stiamo cercando, ammesso che si trovino ancora lì. E’ possibile che i superstiti siano fuggiti portandosi dietro tutte le loro scartoffie, incluse mappe, strategie, liste. Tuttavia non possiamo affidarci alle probabilità. Tutti gli occhi sono ora puntati su di me. In quanto loro supervisore, i miei compagni aspettano la mia decisione. So che il fatto di doverli coordinare li irrita, nonostante ciò tutti rispettiamo il volere di Takashi.
“Sapete cosa fare” annuncio, prima di raggiungere il piano superiore.
Con la coda dell’occhio mi sembra di vedere Jin a braccia conserte e Izumi, sorridermi compiaciuti. Dopotutto sono stati gli unici a sostenermi come il più adatto per il mio compito.
Non mi guardo alle spalle per accertarmi di essere stato ascoltato, so che l’hanno fatto. Sulla mia strada non incontro nessuno, solo l’odore di bruciato che inizia a farsi sentire costantemente. Dagli elementi interni non riconosco le zone giuste per trovare informazioni. E’ tutto molto ripetitivo, confusionario. Molte stanze sono vuote, chiuse o devote alle mansioni domestiche. Spero che questa incursione non si riveli inutile. Sabbia e altri detriti mi atterrano ai piedi. Alzo gli occhi e mi ricordo che il tempo stringe sempre di più. Passo davanti a una porta a due battenti che mi sembra distinta dalle altre. Forse ho trovato qualcosa. Estraggo un pugnale dal suo fodero. Senza esitare entro, e mi accorgo di avere ragione. Malgrado non ci sia nulla di diverso da quello che ho incontrato fino ad ora, al centro della stanza vedo una figura inginocchiata. Una donna con le mani strette in grembo da catene. Non è cosciente non si tratta esattamente di quello che mi aspettavo di trovare. Non mi sembra si dal primo sguardo una semplice serva. Dalle vesti che indossa, ricche e raffinate, capisco che si tratta di una nobile. Sento la mia espressione indurirsi. Non mi è mai piaciuta quella categoria. L’alternativa a lasciarla morire è portarla fuori di lì. Non sono esattamente il tipo da gesti caritatevoli, ma qualcosa mi dice che questa persona potrebbe avere qualcosa a che fare con il clan Hojo.
Forse fa parte della famiglia, forse conosce il leader. Forse è davvero una prigioniera o una serva
L’aria si fa sempre più rarefatta.
Smetto di pensare e mi avvicino lentamente. Faccio appena in tempo a muovere qualche passo.
La sconosciuta mi vede, e nei suoi occhi riconosco la paura.



~~~

Uhm.
Salve!
Dopo tanto tempo sbarco di nuovo su questo sito con una storia, e non aspettatevi nulla di buono. Per una volta sono abbastanza certa di avere le idee ben chiare. So che come inizio può sembrare caotico, ma non ho potuto fare altrimenti (così come per la trama d'altronde). Devo innanzitutto ringraziare la grossa mole di visual-novel che pubblica la Shall we Date (sapete cosa sono gli otome?meglio di no) per avermi dato l'ispirazione e lo stimolo a ricominciare a scrivere. La seguente storia prende infatti spunto (molto molto spunto) da un titolo realizzato dalla NTT Solmare, per chi la conosce sa a cosa mi riferisco... quindi tante grazie e tante cose belle. Mi auguro che questo progetto vada a buon fine, e ovviamente che vi abbia incuriosito almeno un po'. 
Ogni recensione/critica è benissimo accetta dalla sottoscritta.
A presto.

*= per chi non ci sia arrivato, no, non si tratta di una volpe normale, bensì di una kitsune. Queste creature hanno a tutti gli effetti l'aspetto di una volpe, ma sono in realtà messaggere del dio Inari, devoto appunto a fertilità, prosperità e agricoltura. Le kitsune possono essere benigne o maligne. Possiedono più di una coda, con il tempo ne acquistano di nuove e i loro poteri aumentano. In parole povere più invecchiano più potenti diventano. I loro poteri si manifestano sotto forma di sfere bianche (da cui questa storia trae il nome). Ci sarebbero altri info da sapere, ma per ora mi fermo qui!
   
   
 
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