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Autore: Pll_AeAlove    05/08/2016    0 recensioni
Il giorno del suo sedicesimo compleanno Anneka Weber scompare misteriosamente, per poi ritornare a casa completamente sotto shock, senza nemmeno riuscire a spiegare cosa le sia successo e quanto spaventoso sia stato. Ma Anneka non sarà l'unica a subire vari attacchi o, addirittura, la morte.
Lei è l'unica ad essere sopravvissuta, l'unica a sapere, ma è bloccata dalla paura, talmente profonda da averle fatto dimenticare l'accaduto, a cui si aggiunge il conseguente desiderio di non ricordare affatto la brutta esperienza vissuta.
Ma quando le cose si fanno difficili e seguono altre morti misteriose, Anneka è costretta a fronteggiare i suoi demoni e cercare di scoprire cosa è successo davvero e, soprattutto, chi è il carnefice.
Perché, innegabilmente, c'era qualcosa che li accomunava tutti.
Genere: Introspettivo, Mistero, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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1.

7 ottobre 2014.
 
Quando qualcuno muore è sempre presente, in ognuno di noi, una tristezza intrinseca e latente che dilania, anche se solo in superficie, i più reconditi meandri della mente.
 
Anche della mente di chi, di quella persona, non conosceva nulla.
 
Non piangiamo come piangono i parenti e gli amici, non ci disperiamo come si disperano i parenti e gli amici, ma ci interessiamo alla questione, perché proviamo qualcosa verso di essa. Proviamo leggera tristezza, leggero dispiacere, ma è pur sempre qualcosa.
 
Un sentimento di compassione verso un'altra vita che non c'è più. 
Provare questi sentimenti, effettivamente, prova che siamo umani.
 
C'erano queste persone, le persone a cui dispiaceva davvero, ma c'era anche un altro gruppo di persone. 
Loro avrebbero detto di aver visto la biondina qualche volta per strada, con il suo modesto gruppo di amici; avrebbero detto di conoscere i genitori, di essere in pena per loro.
 
E intanto non facevano altro che dissertare, avrebbero detto loro.
In verità si trattava di denigrare e spettegolare con le loro odiose malelingue, senza rispetto alcuno, solo perché la morte di quella ragazzina non poteva rimanere vana.
 
Quindi, per la gente di provincia, Riley Wilson si era suicidata.
 
La polizia accettava pedissequamente questa versione dei fatti, perché sembrava più valida: chi avrebbe avuto interesse a uccidere una sedicenne che non si faceva nemici? 
E, soprattutto, non era stata trovata alcuna prova di omicidio.
 
Gli amici piangevano, tentando di farsi forza e consolarsi a vicenda, ricordando le più belle esperienze vissute, scartabellando i loro archivi mentali alla disperata ricerca degli attimi più meravigliosi che sarebbero rimasti degli attimi eterni nel passato, che venivano ripescati e ripescati, in quel naturale, automatico e umano tentativo di riconoscere la morte come conseguenza naturale della vita, come via ultima, come qualcosa che verrà da noi, tutti noi, un giorno.
Che sia oggi o domani.
 
E intanto si chiedevano perché. 
 
Effettivamente, nessuno di loro riusciva ad accettare l'attuale situazione: una ragazzina di sedici anni, sempre sorridente, amante della vita e di tutto ciò che la stessa avesse da offrire.
 
Una ragazzina di sedici anni, con tanti amici e ottimi voti a scuola.
 
Una ragazzina di sedici anni, con una famiglia che tentava come meglio poteva di accontentarla in ogni sua singola richiesta.
 
Non era facile da accettare che la sua vita si fosse stroncata quel maledettissimo giorno di luglio, quando era ancora nel fiore della gioventù.
Quindi perché avrebbe dovuto suicidarsi?
 
Forse non l'aveva fatto.
 
Non si può mai sapere cosa una persona nasconda, quanto i suoi atteggiamenti differiscano dai suoi pensieri, e nessuno poteva davvero sapere cosa quella ragazzina avesse nella testa e cosa l'avesse spinta a buttarsi nel vuoto.
 
Ed erano queste le scuse che tutti accampavano, perché non sapevano trovare nient'altro. 
"Non conoscevamo la sua storia. Non sapevamo cosa avesse in mente."
I genitori chiedevano giustizia: conoscevano la propria figlia, e sostenevano che non l'avrebbe mai fatto.
 
Perché l'avevano persa, ma avevano perso prima di tutto loro stessi. Con la morte della loro figlia era andata via una piccola ma considerevole parte di loro che viveva dentro di lei, e ora quella piccola ma considerevole parte era persa; persa per sempre.
 
Ma le loro convinzioni venivano prontamente demolite da persone che, avendo trovato una verità superficiale, avevano evitato di indagare oltre. 
 
E quindi Riley Wilson si era suicidata.
 
Al suo funerale avevano partecipato molte persone, ma erano in pochi ad averla conosciuta ed amata per davvero.
E ancora di meno erano le persone che sapevano davvero cosa le fosse accaduto.
Precisamente, erano due.
 
-
 
Anneka sedeva comodamente sulla sedia in legno, mentre con lo sguardo trasognato rigirava il cucchiaio nella ciotola ripiena di latte e cereali. 
Ogni tanto il suo sguardo si posava sull'orologio sulla parete dinanzi a lei, altre si soffermava nel vuoto, a immaginare chissà cosa.
 
Quando il padre la raggiunse nella cucina, la ragazza parlò in tono concitato «buongiorno papà!» per poi abbracciarlo calorosamente.
Tim sorrise e istintivamente la strinse più forte. 
Quando si staccarono, disse: «Non sai quanto io sia felice che tu stia bene, tesoro. Vedo che sei una persona nuova:scommetto che hai ragionato molto sulle ultime cose successe,» sorrise, speranzoso.
 
«Ma certo!» di rimando, Anneka gli elargì uno dei suoi calorosi sorrisi «Mi sono svegliata molto presto stamattina, non so come mai. Eppure mi sento piena di energie.»
«Bene, perché per la scuola devi conservarne molte.»
Anneka ridacchiò.
 
«Allora, oggi hai qualche verifica importante?» le chiese, dopo che entrambi si furono seduti a tavola per fare colazione.
L'orologio segnava le 7:15.
L'orario scolastico prevedeva che non si dovesse entrare più tardi delle 8:10, e mentre Anneka ci pensava, le sopraggiunse il conseguente pensiero che non avrebbe fatto tardi di sicuro.
«No,» asserì «nessuna verifica. Spero sarà una giornata leggera,» sospirò.
 
«Ti sei già preparata? Wow, non è da te. Solitamente sei una ritardataria,» sopraggiunse Lia.
Anneka si girò verso sua madre, che era appena entrata in cucina e sembrava ancora molto assonnata.
 
«Buongiorno anche a te, mamma. Sappi che solitamente arrivo in orario. Non è vero che sono una ritardataria!» sbuffò.
Lia prese posto a tavola e, invece di rispondere direttamente, si limitò ad un flebile sorriso.
 
«Sto pensando a quella povera ragazzina...quella che si è suicidata, tre mesi fa,» se ne uscì d'un tratto, guardando prima il marito furtivamente e poi rivolgendosi sbrigativamente ad Anneka, che alzò vivacemente i suoi occhi curiosi «tu sei proprio sicura che non la conoscevi?»
 
«No, mamma, te l'ho detto. L'ho vista un paio di volte in giro, nulla di più,» rispose, stringendosi nelle spalle.
 
«Com'è che si chiamava?» chiese stranito Tim.
«Si chiamava Riley,» rispose prontamente Anneka «sembra che ne parliate sempre, ma perché vi interessa?» chiese poi, aggrottando le sopracciglia.
Lia incatenò il suo sguardo al pavimento.
 
«Pensavamo che...be', lei aveva la tua età. E si è suicidata, senza che in vita facesse mai trasparire segni di disagio. Siamo i tuoi genitori, ci preoccupiamo. Se stai male per qualcosa...puoi parlarcene.»
 
Anneka sorrise «tranquilli, sto benone! Anche a me dispiace per lei, moltissimo, ma ormai non possiamo farci nulla. Vi ripeto, io sto benissimo. Non mi succederà nulla,» ci tenne a precisare.
 
Ma, ovviamente, aveva torto marcio.
 
   
 
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