Anime & Manga > Saint Seiya
Segui la storia  |       
Autore: shirupandasarunekotenshi    06/08/2016    4 recensioni
"Finché il sole sorgerà e tramonterà,
finché ci saranno il giorno e la notte".
Primavera 1992.
Così poco tempo è passato dalle ultime battaglie. Non sembra mai abbastanza
-
Due divinità si incontrano in un luogo fuori dal tempo, il futuro della terra è incerto. Un'altra dea, per l'ennesima volta, si troverà a dover proteggere questo futuro e giovani guerrieri dovranno di nuovo mettere le proprie vite al servizio di un destino al quale non potranno sottrarsi.
Crossover Saint Seiya e Yoroiden Samurai Troopers
Genere: Angst, Avventura, Azione | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Un po' tutti
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
CAPITOLO 1


 
Due iridi cerulee si aprirono sull'alto soffitto attraversato da una striscia di sole. Le palpebre sbatterono più volte in un viso stranito. Saori Kido si portò una mano alla fronte e sospirò: non era proprio dignitoso per una fanciulla a metà strada tra l'essenza umana e quella divina soffrire di un attacco di mal di testa come quello che l'aveva portata a ritirarsi senza pranzare. Non aveva neanche fatto in tempo a sdraiarsi che era piombata in un sonno profondo il quale, purtroppo, non le era servito a nulla. Le tempie pulsavano ancora, non così intensamente, ma abbastanza da rovinarle quella bella giornata di primavera.
Perché si sentiva così stanca?
C'era sempre tanto da fare, dividersi tra la gestione degli affari in Giappone e i doveri di dea al Santuario di Grecia, eppure cosa potevano mai essere simili formalità in confronto alle guerre, alla paura, alla violenza, a tutto il dolore che aveva caratterizzato la sua vita e le vite dei suoi cari? Sospirò ancora e si mise seduta sul letto; il malessere era dovuto a quel nervosismo che provava, a quello strano peso sul petto... e in passato c'era stato da temere quando lei era inquieta, quando prevedeva... qualcosa di brutto?
Abbassò il capo e lo scosse; no, non doveva pensare una cosa del genere, non adesso che i suoi ragazzi avevano appena cominciato a tentare, quanto meno, di condurre un'esistenza serena, da persone normali, per quanto era ovviamente possibile.
Non quel giorno in cui la primavera si affacciava per le strade e nelle case in tutto il suo splendore e i suoi colori, quel giorno in cui il rosa dei ciliegi si faceva più intenso e sembrava volerti accompagnare, abbracciare e confortare con la sua delicata presenza.
Non quel giorno in cui gradite risate salivano dal parco e giungevano fino a lei, risate di ragazzi, non di guerrieri, risate di chi aveva sofferto, rischiato e dato la vita, di chi era stato ad un passo dal non poter più rivedere il sole e provava, disperatamente, a essere felice.
Si ritrovò così a sorridere, mentre metteva i piedi sul pavimento lucido e avanzava fino alla finestra; scostò la tendina che lasciava filtrare quell'unico raggio di sole e guardò fuori, verso il basso.
Aveva riconosciuto quelle voci, ma voleva anche vederli. Voleva vederli giocare come neanche da bambini era loro concesso e com'era giusto che facessero adesso che avevano diciannove anni e avevano sperimentato ogni possibile tragedia mantenendosi saldi, senza perdere il senno.
Seiya aveva preso Shun alle spalle e si rotolava con lui sul prato, tentando di pizzicargli i fianchi per fargli il solletico e Shun scalciava, lottava... ma lottava per gioco... e rideva lottando, senza dover piangere, temere di fare o subire del male. E Seiya, quel luminoso sorriso nel quale si rifletteva il sole... Seiya che era stato in coma per mesi dopo il ritorno dall'Ade di sei anni prima, Seiya che aveva perso quel sorriso e che aveva fatto temere, a tutti loro, che nessuno avrebbe più potuto scorgerlo sul suo volto; aveva fatto temere che i suoi occhi di sole non si sarebbero mai più aperti, che nessuna parola irriverente, nessun grido di incitamento ai compagni sarebbe più sfuggito a quelle labbra.
Solo il ricordo di quei momenti fece estinguere il sorriso dal viso di Saori che lasciò ricadere la tenda e si ritrasse; riportò lo sguardo all'interno della stanza e i suoi occhi si posarono su un angolo vicino al letto.
Lo scettro, simbolo del potere di Athena, aveva emesso un bagliore che l'aveva attratta, probabilmente un gioco di luci dovuto alla luce cangiante tra l'esterno e l'interno: il sole che si era intrecciato alla tenda ed era andato a colpire la superficie dorata.
O forse, semplicemente, la sua immaginazione, rapita dalla lucentezza di quella sacra effigie che l'accompagnava da quando era nata, non in questa vita ma molte, moltissime vite prima. Si massaggiò gli occhi con il pollice e l'indice per cacciare il velo di stanchezza, quella stanchezza così innaturale, così pesante...
Abbassò la mano e la vista risultò appannata, lo scettro sembrava oscillare; scrollò il capo, al fine di allontanare quella che, era certa, non era altro che un'illusione, uno scherzo giocato dal malessere, un malessere che comunque era tutt'altro che rassicurante.
Lo scettro si inclinò in avanti e Saori rimase completamente immobile quando lo vide scivolare verso terra con un clangore doloroso e ondeggiare un po', prima di fermarsi e restare lì, sotto i suoi occhi privi di espressione, che celavano il battito sordo del suo cuore balzato in gola.
Stava accadendo qualcosa e ogni speranza di una fantasia troppo fervida andava svanendo.
Stava accadendo qualcosa davvero e, Saori lo sapeva bene, quando qualcosa di razionalmente inspiegabile giungeva a intaccare la sua tranquillità, non era niente di bello per lei, né per coloro che amava.
Lo scettro era vivo...
Era sempre stato vivo in qualche modo, ma quell'animarsi, quel tremolare come se volesse dirle qualcosa, avvisarla, metterla in guardia, oppure... mutare in qualcosa di nuovo.
Il simbolo della Nike si stava trasfigurando, diventava impalpabile in un bizzarro gioco di luci che, per qualche istante, lo rese invisibile.
Saori chiuse gli occhi, scosse il capo: nonostante tutto si aggrappava ancora alla speranza.
“È solo il mio malessere, me lo sto immaginando, sono suggestionata dal malumore che mi opprime”.
Riaprì gli occhi: la Nike era scomparsa.
 
***


L'intenso profumo di glicine si mescolava con quello dei petali di sakura e, nella luce multicolore della lunga alba dello Youjakai, si confondeva con le gocce d'acqua che, a volte, cadevano dai grandi specchi d'acqua fino a dissolversi, prima di toccare il cielo.
Le ninfee del colore del latte si riflettevano in quel cielo cangiante che pareva spesso volersi infrangere a terra; spesso, quando nel mondo terreno tempestava, esso pareva elevarsi verso l'infinito, tanto che nemmeno gli spiriti più eterei e leggeri giungevano a toccarne la superficie.
Kayura guardava quello spettacolo dall'alto della torre che da sempre l'aveva ospitata, fin da quando, bambina, era giunta, sparuta e terrorizzata, strappata dalle braccia dei genitori; era poi passato così poco tempo perché la sua giovane mente occultasse quei giorni felici per proteggersi da un dolore troppo grande.
Quella torre, un tempo prigione, era diventata casa solitaria, vicina solo agli appartamenti che ospitavano gli altri masho; non si incontravano così spesso come avrebbe desiderato. Per quanto il suo ruolo di guida la portasse ai quattro angoli dello Youjakai più spesso di quanto non immaginasse, quella solitudine le ricordava in maniera costante un passato che, nei ricordi, pesava ancora con prepotenza.
Tempo prima, dopo la caduta di Arago, le relazioni con i masho non erano state facili, non all'inizio almeno: il veleno, sotto forma di parole, odio, recriminazioni, aveva toccato corde fin troppo umane.
Quella loro umanità li aveva travolti con un'ondata talmente intensa e inattesa che gestire i loro sentimenti non era stato affatto semplice: i cinque ragazzi che erano venuti dall'altro mondo, dal mondo che un tempo era loro appartenuto, avevano portato molta umanità con sé, oltre alla loro verità.
Forse gli scontri tra i due gruppi sarebbero stati meno venati d'ira se quest'umanità non avesse scatenato sentimenti da secoli soffocati.
La ragazza, dal volto di bambina ma d'animo antico, alzò lo sguardo verso il cielo che, solcato da nuvole dorate, ispirava calma e sicurezza, qualcosa che per secoli era stato chimera.
Quella pace degli ultimi tempi, scossa solo dal fremito delle yoroi che, di riflesso con quelle terrene, avevano cambiato aspetto, pareva la calma prima della tempesta, il cielo plumbeo prima di uno spaventoso temporale.
Aveva dato da pensare a tutti loro quel tepore che aveva invaso il colore delle quattro yoroi dello Youjakai, come se, fino a quel momento, il loro cambiamento non fosse stato completo.
“Calore... umano” sussurrò tra sé la ragazza, a occhi socchiusi. Poi un sospiro, si passò una mano sugli occhi e si alzò a sedere sul futon: era stata una notte insonne, stranamente calda.
Frammenti di immagini, voci prive di volti avevano scosso quei brevi istanti in cui il sonno l'aveva inghiottita. Solo una cosa era rimasta nella memoria, nonostante gli sforzi: la lingua era un giapponese antico, molto più antico dell'epoca che l'aveva vista nascere.
Più antica di quella che era stata parlata nel palazzo all'epoca di Arago.
Ma le parole, quelle, erano andate perdute per sempre.
Kayura sentiva l'arrivo di un incipiente malessere che l'avrebbe attanagliata per l'intero arco di quella giornata. Avrebbe fatto una passeggiata nei giardini a sud, dove le ninfee, con grazia, navigavano a pelo d'acqua, sfiorandosi appena, mentre le carpe nuotavano assonnate nella pace di quella giornata primaverile.
Quei giardini le donavano pace e, a volte, i ricordi antichi dell'infanzia cui era stata strappata.
Si passò nuovamente una mano sugli occhi quando, all'improvviso, cristallino come lo scorrere di un ruscello, giunse alle sue orecchie il suono di un sonaglio: lo sguardo corse al bastone che, posato accanto al giaciglio, vibrava a mezz'aria, a pochi centimetri dal suolo, bagnato da una luce dorata.
Gli occhi di Kayura si spalancarono sorpresi, la mano si mosse appena verso il bastone e questi si alzò ancora di più, mettendosi in verticale, di fronte a lei: i contorni del legno avevano perso ogni nitidezza, mentre gli anelli che adornavano lo shakujo si muovevano come frenetici battiti di ali di farfalla.
Ma non era una farfalla quella che si manifestò alla ragazza: pareva un uccello, come un airone che spalancava le proprie ali, fiero, prima di spiccare il volo.
Non era un'illusione, nemmeno lo scherzo provocato dalla stanchezza.
Era un messaggio.
La mano di Kayura si allungò di nuovo, con ancora più decisione, sullo shakujo, o ciò che esso era diventato. Non appena l'ebbe sfiorato, una luce pari a quella di un caldo sole estivo si sprigionò da esso, inglobandola completamente.
Soffocare. Calore. Tanto calore, così similmente umano.
 
***


Riaprì gli occhi: la Nike era scomparsa.
Al suo posto c'era qualcos'altro.
Saori non aveva una completa dimestichezza con i simboli sacri del Giappone, ma per chiunque fosse cresciuto nelle isole del Sol Levante era impossibile non riconoscere l'oggetto che si ergeva, vivo come viva era stata, fino a poco prima, la Nike.
Gli anelli dello shakujo, emblema degli yamabushi, fremevano e danzavano, intonando una melodia nel seguire i movimenti del bastone su cui poggiavano.
Le orecchie della giovane donna furono invase da quel suono mistico che si faceva latore di contrastanti messaggi: donava pace, ma trasmetteva allarme, un avvertimento che, al tempo stesso, tentava di rassicurare l'animo inquieto di Saori.
Gli occhi della fanciulla divina si aprirono immensi sotto le sopracciglia aggrondate, si morse le labbra, ignorando le ferite che i suoi denti aprirono nella carne tenera. Ignorò anche il dolore che le proprie unghie provocarono ai palmi delle mani quando esse si strinsero a pugno.
“Cosa vuoi dirmi?” sussurrò, ancora incerta di dove si trovasse, se in una dimensione concreta od onirica. In risposta, gli anelli arrestarono il loro canto, lo shakujo si immobilizzò qualche istante.
Poi, come spinto da una mano invisibile, precipitò al suolo e, nel momento in cui colpì il marmo lucido, fu di nuovo lo scettro di Athena a emettere un clangore vibrante, che scosse Saori fin nelle viscere.
Erano la paura e l'angoscia che avevano urlato la loro disperazione, trafiggendo spirito e carne.
 
***


Calore umano, il medesimo che aveva dato nuova vita e colore alle loro yoroi, l'aveva avvolta in un abbraccio al contempo dolce e forte.
Eppure quel contatto le trasmetteva un senso di attesa e pericolo, come se volesse metterla in allarme. Non era minacciosa, non era lei il pericolo...
Era l'avvertimento che proveniva dal mondo terreno, quello degli umani.
Ma era un potere sconosciuto che mai, né in storia né in leggenda, aveva abitato la terra degli spiriti, lo Youjakai.
Le mani di Kayura si allungarono verso la figura alata e, stavolta, essa non ebbe reazioni.
Tra le dita, la figura pareva palpitare dolcemente, come un passerotto caduto dal nido.
Poi quel tenue palpitare si fece affrettato e la luce abbagliante, tanto da accecare come il sole estivo.
Quando la ragazza riaprì gli occhi, si ritrovò nella propria camera, tra le mani di nuovo lo shakujo, sulla pelle e lungo la schiena il chiaro avvertimento di un pericolo imminente.
Presto i suoi passi sarebbero tornati sulla Terra.
Presto avrebbe rivisto quei cinque ragazzi.
  
Leggi le 4 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Saint Seiya / Vai alla pagina dell'autore: shirupandasarunekotenshi