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Autore: theOldEnnui    08/08/2016    7 recensioni
Sherlock lo studia per mezzo secondo e poi proclama: "Sei ubriaco".
John ridacchia e annuisce in risposta, o almeno ci prova. Il risultato è un oscillare goffo e sconclusionato che oltre alla testa, coinvolge tutta la metà superiore del suo corpo.
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(missing moment 3x03)
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Sherlock Holmes
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Note: mi sembra di scrivere sempre le stesse cose???? jzadhgjhgdjhdsghjas sono una noia, scusate u__ù Questa mini-OS è ambientata dopo che Mary ha sparato ha Sherlock e prima della riconciliazione con John ed è rimasta scritta a metà nei miei documenti per anni credo?? A quanto pare era arrivato il suo momento idk. È letteralmente la cosa più banale del mondo, ma almeno mi sono divertita (fino a quando non ho smesso di farlo..... lolz). 
Grazie a chiunque deciderà di leggere! <333




 

THE LOSING SIDE




Sherlock lo studia per mezzo secondo e poi proclama: "Sei ubriaco".

John ridacchia e annuisce in risposta, o almeno ci prova. Il risultato è un oscillare goffo e sconclusionato che oltre alla testa, coinvolge tutta la metà superiore del suo corpo— il buon dottore pare rimpiangerlo quasi all'istante: il suo stomaco non è davvero nelle condizioni adatte per sopportare grandi sconvolgimenti tellurici. "Sei perspicace," biascica, aggrovigliandosi la parola un paio di volte attorno alla lingua, prima di riuscire finalmente a sputarla fuori. "Dovresti-- penso che dovresti farlo per lavoro. Dedurre le cose, dico".

John lo fissa con grandi occhioni blu pieni di aspettativa.

Sherlock aggrotta la fronte.

"Dedurre le cose!" ripete John con spropositata enfasi, "Dedurre-- per lavoro! Capito? È divertente-- è divertente perché è quello che fai!"

Sherlock è troppo sobrio per apprezzare quella perla di umorismo etilico, ma forza comunque le proprie labbra a piegarsi in un sorriso da offrire timidamente a John, che lo accetta compiaciuto, prima di accartocciarsi sfinito sul divano, ridacchiando ancora sotto i baffi. Giace lì immobile per un qualche minuto, mentre l'ilarità gocciola fuori da lui in un gorgoglio sempre più fievole. Poi nella quiete cieca in cui è scivolato, intrude la presa salda di un paio di mani che lo tira in piedi.

Quando John riapre gli occhi, si scopre faccia a faccia con Sherlock: "Cosa fai?" chiede confuso.

"Ti porto a letto. Non hai più l’età per addormentarti sul divano e non doverne pagare le conseguenze il giorno dopo. Non mi sei di nessun aiuto, scontroso e dolorante".

"Ah, Sherlock Holmes— sempre così pratico!" lo canzona John, lasciandosi manovrare su per le scale, ma collaborando in maniera minima: rifiutandosi di sorreggere da sé tutto il peso del proprio corpo e delegando l'onere di mantenerlo eretto al suo benefattore.

Sherlock non sembra disturbato dall'incombenza— stringe il braccio che gli ha passato attorno alla vita e lo attira contro al suo fianco con più decisione. 

Sicuro del supporto del suo coinquilino, John insegue i propri pensieri lontano dall'intricata monotonia che regola i movimenti umani, arranca distratta dal profilo di Sherlock. È un buon profilo: la fronte dritta, il naso severo, la curva invitante delle labbra, il collo scoperto, affusolato, innocente-- a un soffio dalla bocca di John, che si riempie di saliva mentre nella sua mente si accavallano immagini di denti pronti a rovinarne il candore. 

Sherlock lo trascina per le scale e guarda dritto davanti a sé. Il modo in cui lo fa gli sembra così affettato e innaturale, che gli viene da ridere. Allunga una mano e la posa sulla guancia di Sherlock, facendo pressione affinché lui si decida a girare la testa e, ormai superfluamente, gli intima: "Guardami". Sherlock lo guarda. 

I risolini di John si affievoliscono fino ad estinguersi, l’ultimo gli rimane appeso sulle labbra. "Mi piace la tua faccia. E anche i tuoi occhi. E i tuoi zigomi," confessa, passando goffamente le dita sul viso di Sherlock, che dal canto suo sopporta con inusuale pazienza e non si sottrae nemmeno dopo aver ripetutamente corso il rischio di restare accecato. "E anche…" mormora John, ma non finisce la frase. Si limita a far scorrere i polpastrelli sul labbro inferiore di Sherlock. Una, due, tre volte-- fino a quando non percepisce la mascella della sua vittima serrarsi forte sotto alle sue dita e non arriva la mano di Sherlock a scacciare via la sua con un gesto secco. 

In silenzio, riprendono la loro scalata. 

"Ci siamo quasi," mormora Sherlock, la voce tesa. John mette in fila i passi necessari a raggiungere la sua camera inciampando soltanto due volte e in un battito di ciglia, Sherlock lo sta facendo sedere sul letto. Gli si inginocchia di fronte per slacciargli le scarpe. 

John approfitta della posizione favorevole e della sua distrazione per intrecciare le dita fra i suoi ricci: "Anche i tuoi capelli. Mi piacciono anche i tuoi capelli. Sembrano fatti apposta per essere accarezzati".

Sherlock smette bruscamente di armeggiare con i suoi lacci e alza lo sguardo su di lui. La stanza è in penombra e la poca luce che filtra dalle scale ha un modo bizzarro di cadere sul suo viso, rimane impigliata nei suoi spigoli più affilati e disegna forme curiose sulla sua pelle. John traccia il contorno di un ombra che dallo zigomo sinistro precipita giù, lungo al collo di Sherlock e lì viene distratto da un triangolo di nei, li accarezza e li unisce e gli viene di nuovo da ridere, al pensiero che sotto alle sue dita c’è Sherlock Holmes, così lontano da tutti, ma - in questo momento - così vicino a lui.

"Dio," mormora fra sé e quando solleva di nuovo lo sguardo e viene sorpreso dagli occhi di Sherlock, bui e serissimi, lo ripete: "Dio... il modo in cui mi guardi," lo stomaco di John si contrae, mentre quelle iridi inscurite gli bruciano addosso, gli affondano dentro, "Come adesso-- hai questa cosa negli occhi. A volte penso che tu voglia baciarmi, ma poi-- vuoi baciarmi? Ti prego, dimmelo".

"John..." prega Sherlock.

John ha perso il controllo sulle proprie inibizioni, non sa più come fermarsi. "A volte penso che tu voglia. A volte-- hai questo modo di guardarmi e io non ti capisco, ma a volte penso di volerlo anch'io-- lo voglio sempre. Dio, tu non hai idea-- le tue labbra... dimmelo, vuoi baciarmi?"

Sherlock non dice niente. La mano di John che è rimasta appoggiata alla base del suo collo si alza e si abbassa, sospinta dalle onde tumultuose del suo respiro.

"A volte credo che tu abbia paura. Come adesso. Hai paura di me?" 

Sherlock deglutisce, la mascella scatta, le labbra fremono. A John pare quasi di sentire le parole che gli rimangono incastrate in gola, sotto al suo palmo.

"Posso baciarti?" si sente chiedere. 

La voce di Sherlock è ruvida e sottile insieme, riesce a graffiare anche sull'unica sillaba della risposta, «Sì».

*

Il mattino dopo, è Sherlock a decidere: non potrebbe sopportarlo, se fosse John a fare la scelta sbagliata. 

Quando il buon dottore scende barcollando per fare colazione, Sherlock aspetta che recuperi un bicchiere d'acqua e una pastiglia di antidolorifico, prima di annunciare: "I miei genitori mi vogliono a casa per Natale. Hanno invitato anche te. Penso che sarebbe una buona idea chiedere anche a Mary di venire, immagino che sia arrivato il momento che voi due vi chiariate".



 

  
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