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Autore: Arinic    09/08/2016    0 recensioni
La notte di San Lorenzo ha qualcosa di speciale. Generazioni di innamorati e sognatori, hanno rimirato il cielo, lanciando alle stelle i loro più profondi desideri, le loro passioni folli, gli amori spezzati e le speranze di chi, perso nel mondo, si affida al cielo con la purezza di un bambino.
Quando due anime affini hanno la fortuna d'incontrarsi, le stelle intervengono affinché quel legame non si spezzi mai.
Genere: Malinconico, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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La notte di San Lorenzo ha da sempre qualcosa di speciale. Per il semplice fatto che generazioni di innamorati e sognatori, hanno rimirato il cielo lanciando alle stelle i loro più profondi desideri, le loro passioni folli, gli amori spezzati e le speranze di chi, perso nel mondo, si affida al cielo con la purezza di un bambino.
La notte di San Lorenzo è speciale per questo. Lui lo sapeva bene, da qualche parte dentro di sé, sepolto sotto il carico di adulte responsabilità che ogni giorno era costretto a fronteggiare. Liti, amarezze, discussioni, persone che non capiscono. Nessuno capisce. O almeno così aveva creduto per tutta la sua vita, fino a quel giorno.
Il suo locale, il “suo posto” come amava chiamarlo quasi fosse un figlio, cresceva ogni giorno di più. Nuovi progetti, serate innovative, cultura, musica, tutto si mescolava e dava colore a quella città fantasma di Roma, in cui l’immobilismo culturale era ormai dilagato come una malattia infettiva.
Lui sembrava voler cambiare da solo il volto di una città eterna, stanca, adagiata su se stessa e sulle sue rovine. Perché lo faceva? G. era un ragazzo irrequieto, alla continua ricerca della sfida, di quel brivido che ogni sera lo portava a guardare ciò che aveva creato, dalla terrazza del suo ufficio e pensare con un sorriso che nonostante tutti i problemi, aveva costruito qualcosa d’incredibile.Un ragazzo così giovane e così inesperto, che aveva gettato l’impalcatura di un impero. Forse è vero che a volte basta l’entusiasmo e il duro lavoro. G. da solo era il volto della speranza di chi ha grandi sogni, ma ha timore di realizzarli. Ma tutto questo ha un prezzo.
Lo sapeva bene lui, che ad intervalli regolarti era costretto a letto febbricitante e pieno di dolori. La sua forma fisica non era più quella di un tempo, i capelli si erano fatti radi, il volto era scavato e stanco e le persone attorno, sembrarono sparire come topi in fuga. Costruire qualcosa di tanto grande, richiese a G. il prezzo dei suoi affetti, delle sue amicizie e della sua serenità privata. Tante notti si era agitato nel sonno, al pensiero delle incombenze del giorno dopo, quante mattine steso sul letto a fissare il soffitto, desiderando solo di infilarsi in una valigia e farsi spedire dall’altro capo del mondo.
Ma forse sentirsi necessario per la sua creatura, per il “suo posto”, era qualcosa che odiava e adorava allo stesso tempo. Consapevole che quell’impegno stava divorando la sua vita, non poteva però farne a meno, perché quel fremito, quel senso di potere, essere un leader, erano abiti cuciti su di lui e ormai non poteva tornarsene ad andare in giro in calzoncini.
In tutta questa sua stramba vita, fatta di feste forzate, orari inumani, facce di bronzo e sorrisi di plastica, si era affacciata una creaturina sottile, piccola e travolgente come un oceano in tempesta, come un vulcano in eruzione. Si chiamava A.
La conobbe per caso, in uno dei rari momenti di svago della sua vita. In lei c’era una sopraffina eleganza, edulcorata da un volto gentile e da bambina, che immediatamente catturarono l’attenzione di lui. Lei non fu certo da meno, ma se qualcuno chiedesse ad A. in questo preciso istante, cosa di lui la attirasse, lei vi ripeterebbe un infinita serie di “Non lo so”. L’amore è così, non lo sai.
A. era una di quelle creature che crede all’amore al primo schiocco di sguardo. Quelle inguaribili romantiche, che ogni tanto si fissano a guardare un punto e attraverso le iridi puoi scorgere il mondo che si agita nella sua testa, situazioni che mai sia avvereranno, parole che mai dirà e speranze lontane dall’avvenire. Ma G. era reale e la prima cosa che lui fece fu farla ridere, tanto. Una volta tornati alle proprie realtà, non persero tempo, ricercandosi a vicenda. 
A. rimase piacevolmente stupita nello scoprire che quel ragazzo buffo e un po’scemo, era il proprietario di un posto tanto grande e difficile. “Deve avere talento” pensò.
Quando si videro la prima volta, lui scendeva le scale con un’eleganza d’altri tempi, era diverso, ripulito. Quale fu il primo pensiero di A. su di lui? Beh, tutti diamo un giudizio estetico e così fece lei. Non fu positivo.
“Non è molto bello” pensò vedendolo arrivare.
Chissà dove era finito quel pensiero ora, in quale cassetto dei ricordi inutili si era incasellato. Non ci vollero neanche dieci minuti, che quell’impressione si era già dissipata come nebbia al mattino. Lui parlava, lei di meno, come sempre accadeva ai suoi primi appuntamenti. La timidezza le serrava la gola e il cervello, ma era una buona ascoltatrice. E a lui sembrò piacere questa sua dote, un po’ vanesio com'era, lei era la metà perfetta.
Due bicchieri di vino le furono utili per sciogliere quel nodo alla lingua e a quel punto anche A. fece valere il suo cervello e le loro menti s’incastrarono, in quella lunghissima notte, come mai era accaduto prima. Idee, parole, grandi domande, tutto si univa, si punzecchiava, si completava con i pensieri dell’altro, in un modo che lasciò entrambi a bocca aperta. Furono soltanto i baci a farli smettere di parlare.
Per lei, che credeva nell’amore alla prima scintilla, G. divenne una stella da conservare e curare. Lui riconobbe la scintilla di lei e seppur folgorato,  un bel giorno la vita ingombrante che aveva momentaneamente accantonato, lo strattonò di peso, riportandolo alla realtà. 
Un mare di problemi, fiumane di intralci, soldi che se ne vanno, debiti, denuncie, persone scomode, bastoni messi tra le sue ruote, lo trascinarono di nuovo nella sua grigia monotonia, con la potenza di una martellata. Improvvisamente la luce di A. non bastava più a rischiarare le sue giornate e tutto ciò che vedeva era buio, seguito da nero e vuoto. La allontanò sempre di più, consapevole di non poterle dare ciò che desiderava, di non poterle dedicare il tempo e le attenzioni che una tale creatura meritava e poi in fondo, lui era degno di un tale amore? Assolutamente no. 
A. poteva tornarsene per la strada da cui era venuta, perché i suoi problemi erano troppo grandi e ingestibili e la sua vita era appesa ad un filo d’incertezze e tutto poteva crollare da un momento all’altro. Il carico sulle sue spalle era tanto pesante, che era costretto a strisciare a terra per andare avanti e doveva farlo con un bel sorriso stampato in faccia.
A. però era estranea a quel mondo, una creatura solitaria ma amichevole, chiusa nel suo bozzolo, ma sempre disposta ad aiutare gli altri. Come poteva capire gli ingranaggi del lavoro di lui? Come poteva comprendere quel mondo di apparenze e rumore, in cui lui viveva? Feste e musica troppo alta, che nascondono problemi che nessuno si sognerebbe di affrontare. Non poté comprenderli e alla lontananza di lui, sentì mancare il respiro.
Fece quello che il suo cuore comandava. Lo cercò, aprì il suo cuore donandoglielo pezzo per pezzo, nella speranza che lui vedesse di quanto amore si stava privando. A nulla servì arrabbiarsi, sparire, ricomparire, andare da lui o non andare da lui. Ogni approccio sembrava quello sbagliato, perché lui voleva che fossero tutti sbagliati. A. doveva allontanarsi e doveva farlo da sola, perché G. non aveva il coraggio di scostare volontariamente quello che sentiva essere l’amore della sua vita. Era meglio che fosse lei a prendere quella decisone. Così G. cambiò registro, adottando tutti i comportamenti che farebbero scappare a gambe levate qualunque ragazza con un po’ di sale in zucca.
G. però non aveva fatto i conti con A. Lei di sale in zucca non ne aveva neanche un po’. Al massimo zucchero, così tanto che le usciva dalle orecchie e dal naso e poteva regalarne a chiunque fosse stato tanto saggio o tanto matto da entrare nella sua vita.
A. non demorse e in ogni modo continuò a rimanergli accanto. Ma era una bilancia troppo incrinata questa in cui A. e G. si trovavano. Su di un piatto, un cuore traboccante d’amore, da riempire il mondo intero, sull’altro un’anima svuotata e depressa. A. si sarebbe volentieri divisa il cuore a metà se fosse stato possibile, ma la realtà la costrinse a sbattere la faccia contro i sogni.
In una lunga telefonata, in cui lui era ammalato per l’ennesima volta, stressato e provato dal suo lavoro, lui decise di tagliarla fuori dalla sua vita. Inutile tentare di allontanarla come aveva provato in passato, A. era diversa, lei lo amava davvero. Doveva essere lui ad impugnare la spugna e a cancellarla, a chiudere la porta in faccia al suo viso rigato di lacrime, a prendere quel suo cuoricino rosso d’amore e stritolarlo fino a farlo diventare sabbia e così fece.
Il vuoto che lei avvertì dopo quelle parole, non fu paragonabile a nulla. Tutti i sogni, le speranze, tutto quell’amore che aveva accumulato per donarlo a lui, che farne ora? Come eliminarlo dal suo corpo? A tenerselo dentro marciva e diventava velenoso. Nutrirsi del ricordo di lui non bastò più a placare il dolore e A. chiese al diavolo d’intervenire, perché negli angeli non confidava più, gli promise la sua anima piena di luce pur di far tornare l’amore della sua vita, ma anche il diavolo rimase sordo alle sue richieste. Tutte quelle speranze….
Ecco che le stelle ritornano. Stelle e speranze camminano insieme, nella testa dei sognatori. Ma A. sognatrice non lo era più, il suo cuore era frantumato. Nemmeno G.sognava più, perché la sua anima era appassita. Ma il destino li prese a schiaffi entrambi.
Quella sera, nel suo magnifico locale, la serata di san Lorenzo era l’evento principe. Le persone sarebbero giunte con la speranza di rimirare le stelle, ballando all’ombra di quel vecchio edificio fatiscente, magari alterati dall’alcol, tanto per sognare più in grande.
G. era nel suo ufficio come sempre, a sbrigare i tanti problemi che ogni serata portava con sé. Qualcuno entrò a disturbarlo, per informarlo gongolante che il telescopio era arrivato.
“Quale telescopio?” Pensò, con la testa annebbiata da altri pensieri. Poi ricordò, avevano fatto venire per la serata un tecnico specializzato, con il suo potente telescopio, per metterlo a disposizione dei clienti.
G. si alzò incuriosito e per un attimo lasciò perdere le sue scartoffie. Seguì il suo socio nel magazzino, dove trovò un omino di mezza età, piccolo e magro come un folletto, un paio di occhiali tondi lo facevano sembrare uno di quegli scienziati dei cartoni animati. Si presentò con una stretta di mano incredibilmente vigorosa per quella sua ridicola stazza. Poi prese a spiegargli tutti i dettagli tecnici del telescopio, ma non ne capì molto.
“Stasera passa da me, ti farò vedere” concluse l’uomo.
G. tornò al suo lavoro e dimenticò perfino della sua esistenza. La notte sopraggiunse, le persone affollarono il locale e dall’alto della sua finestra, udì i soliti schiamazzi delle serate, musica ritmata e tintinnare di bicchieri. Gli occhi iniziarono a bruciare davanti al computer e fu costretto a spegnerlo. Lo sguardo gli cadde sul cellulare e per una frazione di secondo tornò a lei. Ad A., a quel lunghissimo e appassionato messaggio che lei gli aveva inviato, pregandolo di tornare. Non le aveva neanche riposto. Cacciò subito via il suo viso dolce dalla mente e si costrinse a scendere giù, tanto per distrarsi con la musica e qualche chiacchiera inutile.
Lì si ricordò dell’uomo folletto e del suo telescopio. Gli avevano ritagliato una postazione rialzata sul palco, una fila di gente attendeva il suo turno per guardare le stelle. Ma lui era il boss, non aveva bisogno di fare alcuna fila. Si avvicinò incuriosito.
L’uomo lo salutò l’uomo con un sorriso cordiale “Vieni” lo invitò, mostrandogli l’obbiettivo puntato al cielo nero. Neanche una stella era visibile all’orizzonte e lui sembrò leggergli nel pensiero. “Non preoccuparti, qualcosa vedrai. Devi solo pazientare”.
Avere pazienza non era certo una sua dote, ma decise di fidarsi. Avvicinò l’occhio all’obbiettivo e focalizzò l’attenzione sul nero del cielo, ricercando una scia luminosa di speranza. Fu sul punto di rinunciare, quando qualcosa abbagliò i suoi occhi. Durò una frazione di secondo, ma dall’angolo destro una cometa baluginante precipitò nel cielo, dissolvendosi nel nero. G. si stacco dall’obbiettivo, sorpreso di aver dovuto attendere così poco.
“Allora l’hai vista?” L’uomo lo riportò immediatamente alla realtà.
“Si…”
“Bene”. Lo vide sfogliare un libricino ingiallito, una copertina verde di cuoio senza titolo. “Da che parte veniva?”
G. lo guardò senza capire “Hem, da destra”.
L’uomo mugugnò qualcosa, sfogliando febbrilmente le pagine indurite dal tempo. “Dimmi un numero, il primo che ti viene in mente”. G. lo fissò senza capire. “Avanti, devi dirmelo subito!”.
“D’accordo! Quarantasei”.
“Ora dimmi un colore”.
“Verde”.
“E ora un altro numero, che abbia almeno tre cifre”.
G. trattenne le risate e stette al gioco “Duecentoventotto”.
L’uomo si assentò immerso nelle pagine, di tanto in tanto si fermava per annotare qualcosa. Dopo un’interminabile attesa, tornò alla realtà, squadrando G. come se avesse qualcosa di strano sulla faccia.
“Che c’è?” Chiese lui, stranito da quello sguardo.
L’uomo non rispose, ma saettò lo sguardo ora su di lui, ora sui suoi appunti. “Nulla, è che non ho mai visto una previsione tanto precisa”.
“Previsione?”.
 L’uomo lo prese da parte, invitando un suo assistente a mandar avanti la fila. “La direzione di provenienza, unita al numero che mi hai dato e al colore, corrisponde ad una parola” spiegò lui, mostrando il libro.
G. sbirciò le pagine poco convinto, notò una lista infinita di nomi disparati, da quelli di persona, agli oggetti, ai luoghi.
“Il tuo” proseguì l’uomo “ha tirato fuori un nome. Arianna”.
G. avvertì un pugno nello stomaco “Arianna?”
“Si. L’altro numero che mi hai dato, rientra invece in una casistica molto rara, avevi meno dell’1% di probabilità di entrarci”.
“Che casistica?” Domandò G. allucinato.
“Amore” rispose l’uomo “ma non semplice amore. Parliamo di quell’amore che ha la stessa probabilità di accaderti nella vita, ovvero meno dell’1%. E’ la metà che ti completa, l’amore per eccellenza, qualcosa che leggiamo solo nei libri”. G. ingoiò sonoramente. “Il colore che mi hai dato” continuò l’uomo “non è preciso se accordato con i numeri scelti. Dà due possibilità, il giallo e il rosso. Non capisco, ha senso tutto questo per te?”
G. fissò l’uomo con le orecchie che fischiavano “Non è possibile”.
“Cosa? Conosci qualcuno con questo nome?”
G. si sfregò gli occhi incredulo “Si”.
“Chi è?”
“Si chiama Arianna e…non ci credo!”
“Forza dimmi! Si chiama Arianna e?”
“Beh, lei diceva tutto quello che stai dicendo tu. Di essere l’amore della mia vita, di essersi innamorata di me senza una ragione e io…non le ho creduto”. L’uomo lo studiò con evidente disappunto. “Non era possibile che fosse innamorata di me!” Si giustificò lui.
“E il giallo e il rosso? Hanno qualche significato?” Riprese l’uomo.
G. sbuffò una risata “Si certo. I suoi capelli, prima biondi, ora rossi”.
L’uomo si abbandonò sulla sedia, fissandolo sconcertato. “Mai, in tutta la mia vita, ho dato una previsione tanto esatta e su una cosa tanto improbabile. Ti rendi conto?”
G. gli restituì uno sguardo perso.
“Tu caro ragazzo, sei tra i pochi fortunati ad aver incrociato l’amore della tua vita. Sai, ci sono tante persone compatibili con noi, ma una soltanto è la nostra metà esatta. Questa ragazza, A., è la tua metà. E lei lo aveva capito!”
G. lo fissò interdetto. “E io no”.
“E tu no”.
“L’ho allontanata da me”.
“Che stai aspettando?” Continuò l’uomo, balzando sulla sedia. “Va' da lei! Corri! E prega che ti voglia ancora! Non troverai mai un amore più grande. Lei ti è stata mandata dalle stelle e tu sei stato mandato dalle stelle per lei. Sbrigati!”
G. si alzò in piedi, rendendosi improvvisamente conto che attorno a loro si era formato un capanno di persone, incuriosite ed appassionate da quella storia.  
“Devi andare!” Gli disse un ragazzo.
“Corri da lei!” Suggerì una ragazza con gli occhi lucidi.
G. si scosse, con il cervello ancora annebbiato da quell’assurda situazione. Pescò le chiavi della moto dalla tasca e corse alla sua Triumph. Nemmeno ricordò il tragitto dal locale a casa di lei, ma gli sembrò lungo come solcare l’oceano. Arrivò in piena notte e senza riflettere sull’orario o sulla sconvenienza, si attaccò al citofono.
A. se ne stava sul divano a guardare uno dei suoi film preferiti, approfittando della casa vuota per poter piangere a singhiozzi davanti alle scene più drammatiche. La sua testa tornava prepotentemente a lui ogni volta che gli attori si guardavano con quel barlume negli occhi. La protagonista era quasi in punto di morte e A. era tanto assorta, che quando il citofono trillò le salì il cuore in gola.
“Chi è a quest’ora?”. Erano le due passate. Si affacciò al balcone prima di aprire al citofono, tanto per accertarsi che non fosse uno scherzo, ma a quel punto il cuore quasi non le uscì dal petto per volare giù dal balcone. Lui…
A. era in pigiama, spettinata e con il trucco colato per i pianti del film, ma non ci pensò due volte a rispondere.
“Scendi” disse lui categorico.
S’infilò la prima cosa che trovò nell’armadio, col cuore che batteva tanto forte che lo sentì pompare nei timpani. La sera afosa e umida di agosto, la accolse fuori dal cancello, con lui che vorticava nevrotico da una parte all’altra. Quando la vide si bloccò, come congelato. Si guardarono per un tempo interminabile, poi le sue gambe si mossero, sempre più veloci, negli occhi qualcosa d’indefinito, che fece rimanere A. attonita e immobile.
Lui non disse niente, arrivò come una furia, solo per prenderle il viso e baciarla. Tanto forte e ardentemente, che sentì le loro anime unirsi in una. Lui si staccò solo per dirle che la amava.
Lei lo fissò incredula, ripensando a quando era stata lei a dirglielo, ma la risposta glaciale di lui era stata “Come lo sai?”. Così decise di ripagarlo con la stessa moneta e rigiragli la domanda. “Come lo sai?” Gli chiese.
Lui sorrise, gli occhi lucidi, la abbracciò tanto forte da toglierle il respiro, poi indicò il cielo.
“Me lo hanno detto le stelle”.
   
 
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