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Autore: Generale Capo di Urano    13/08/2016    0 recensioni
Nero.
Gli pareva di non vedere altro colore, lì sotto. Nere le rocce, nere le mani dei minatori, neri i volti degli uomini stanchi; era tutto diverso da ciò a cui era abituato, dall’aria fresca e dai colori dei campi della sua amata Italia.
Era una giornata d’agosto di cui non aveva neanche visto il sole sorgere, quando si accorse che a casa non ci sarebbe tornato più.

[8 agosto 1956]
Genere: Angst, Drammatico, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Belgio, Nyotalia, Sud Italia/Lovino Vargas
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate
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NB: La lettera è volutamente scritta male, non uccidetemi-
 

L’odore del carbone


 
Cara mamma-
 
La mano stanca tremò sul foglio spiegazzato. Romano ringhiò per la rigaccia che la matita aveva lasciato; non aveva neppure una gomma per cancellarla.
 
siamo arrivati a destinazione questa mattina presto. Quella città in cui siamo arrivati ha un nome che si scrive Charleroi ma che si legge Sciarlerua, mi sa che questi qui non sono mica tanto svegli se non hanno capito che fanno prima a scrivere le cose come si leggono.
Appena scesi dal treno la gente ci guardava male. Eppure andiamo lì a lavorare mica a rubare o cose così! Valli a capire questi qua.
La miniera però sta in una zona vicina che chiamano Marcinelle (che si pronuncia Marsinel). C’è odore di carbone, ma è un odore strano che non so dirti com’è. Magari quando torno ve ne porto un pezzo così ve lo faccio sentire, che lo so che Feli vuole sapere tutto e vorrà per forza sapere come è.
Abbiamo cominciato a lavorare praticamente subito. È faticoso e la miniera è tutta al buio, bisogna scendere con le lampade e stare attenti che quasi a un certo punto mi inciampavo e rotolavo sulle rocce. Il nonno si sarebbe messo a ridermi dietro, meno male che non c’è (e tu non dirglielo!)
Nei livelli più bassi fa caldissimo, ma non è caldo come quello che c’era l’estate quando eravamo a Roma, è un caldo diverso però è comunque tremendo.
Si lavora tutto il giorno e quando siamo risaliti eravamo tutti stanchissimi

 
Molti avevano pianto e non volevano più tornare lì sotto. Questo non lo scrisse.
 
Non dormiamo in paese, ci sono delle baracche vicino alla miniera, nella mia siamo cinquanta. Qui sopra c’è freddo invece, e la stufa che c’è qui non scalda quasi niente. Comunque adesso vado che domani si comincia presto, prometto che vi scrivo tutte le settimane. Abbraccia Feli e dilli di fare il bravo, che se fa danni poi io me lo faccio dire e sa cosa succede e di al nonno di non lavorare troppo che adesso ci penso io.
Un bacio,
                  Romano

 
 
Nero.
Gli pareva di non vedere altro colore, lì sotto. Nere le rocce, nere le mani dei minatori, neri i volti degli uomini stanchi; era tutto diverso da ciò a cui era abituato, dall’aria fresca e dai colori dei campi della sua amata Italia.
L’Italia.
Era lontana, ora. Li avevano portati lì con mille promesse, avevano parlato dei soldi, delle case e dei viaggi in treno già pagati per andare e tornare, delle famiglie assicurate.
Nessuno gli aveva parlato del caldo delle miniere, del lavoro massacrante, del grisù* o degli sguardi torvi della gente del posto, che pareva cercare di rendere loro la vita ancor più impossibile di quanto già non fosse.
Tutto intorno c’era solo l’odore del carbone, che era tanto diverso dal profumo del pane che preparava sua madre, dall’odore di terra bagnata che aveva Feliciano dopo essersi rotolato in mezzo agli orti.
E se durante i primi giorni si era detto che dopotutto era bene così, che in questo modo tutti loro sarebbero stati meglio, dopo meno di un mese già non ce la faceva più e aspettava il momento in cui sarebbe potuto tornare a casa. E quando quel contratto sarebbe finito se ne sarebbe rimasto per sempre nella sua bellissima Italia, avrebbe fatto qualsiasi lavoro, pur di rimanere laggiù.
Lo scriveva nelle lettere che inviava a casa e prometteva che sarebbe tornato e li avrebbe abbracciati tutti. Intanto scavava, al buio, e con le mani nere si faceva forza canticchiando una vecchia nenia che una volta intonava sua madre, che era una donna forte ma ormai troppo stanca; pensava al nonno che avrebbe smesso di affaticarsi tanto su quei campi che producevano poco, a Feliciano che con quindici anni vissuti pareva averne solo sette, che parlava in modo strano e metteva in ordine di grandezza i sassolini in parte alla strada.
Scriveva lettere che macchiava con le mani nere, e si chiedeva se il fratellino avrebbe potuto sentire l’odore del carbone attraverso quelle macchie.
Una volta tornato a casa, non se ne sarebbe andato mai più.
 
 
Era una giornata d’agosto di cui non aveva neanche visto il sole sorgere, quando si accorse che a casa non ci sarebbe tornato più.
Era stato probabilmente un incidente, nulla di più. Una scintilla scattata.
Ma non ebbe tempo di pensare alla causa, mentre il fumo gli entrava nei polmoni e gli pareva di sentire le fiamme bruciargli la pelle, sebbene queste fossero lontane da lui. Attorno, le urla degli uomini gli arrivarono alle orecchie come attutite. Credette di essere all’inferno.
L’ultima cosa che gli parve di vedere furono gli occhi apprensivi della madre, il sorriso luminoso del nonno e le mani sporche di terra di Feliciano; per l’ultima volta, cadde in ginocchio e pregò, con le lacrime agli occhi per il bruciore e la paura.
Cercò di respirare, ma sentì solo l’odore del carbone riempirgli le narici.
 
 
 
 
Un silenzio opprimente permeava l’ultimo pozzo della miniera, a centinaia di metri di profondità. Una sola voce, fievole, in francese si alzò dal nulla: «Alain, qualcuno…?»
Il belga si chinò verso un ultimo corpo, e girandogli il capo non poté neanche distinguerne i tratti anneriti dal carbone, come quelli di tutti lì dentro.
Il magone che aveva peggiorò soltanto; il biondo trattenne un gemito.
«Morti, sono tutti morti.»

 










*gas presente soprattutto nelle miniere di carbone, pericolosamente infiammabile ed esplosivo. Wikipedia
Disastro di Marcinelle: avvenne in Belgio l'8 agosto 1956, 60 anni fa. Morirono 262 persone di cui 136 italiani.
Mannaggia al pater che mi porta a teatro a vedere queste cose. Me ne torno a piangere, scusate.
 
   
 
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