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Autore: Made of Snow and Dreams    16/08/2016    2 recensioni
Strani eventi cominciano a disturbare la vita dei nostri killer: macabre scoperte, gente spaventata per un pericolo sconosciuto, corpi ammassati nella foresta. Cosa sta succedendo? Chi sta minacciando il territorio dei nostri assassini? Chi è il nemico?
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Un paio di avvertimenti è sempre meglio farli:
Il linguaggio, con la venuta di Jeff e l'alternarsi delle vicende, non sarà proprio pulitissimo.
Dato che il mio progetto include la presenza dei miei Oc (quindi ho detto tutto), saranno presenti scene di violenza varia con un po' di sangue (un po'? Credeteci pure...).
Spero vi piaccia.
P.S. Fate felice una scrittrice solitaria con una recensione, si sentirà apprezzata!
Genere: Dark, Horror, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
Capitoli:
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Intrusione
 
 
 
 
 
 



L’attrito tra le due forze era semplicemente troppo da sostenere.
Era schiacciante e intriso di sadica soddisfazione anche lo sguardo di ciascuno dei due; ognuno perseverava nello sfidare con gli occhi il rivale: Jeff fissava solo le iridi lattiginose di Sally, lasciando che quella mano intrusa e ostile penetrasse nella sua testa e rovistasse tra ciò che lui le permetteva di scorgere.

Occhi azzurri stralunati in quelli verdi e vitrei.

L’una che attendeva solo di assalire l’altro; quest’ultimo che denigrava la sua forza pur avvertendone gli effetti.
 Jeff non si lasciava sottomettere, era ovvio, ma d’altronde Sally stessa era sicura che, anche volendo, sfondare ogni muro difensivo di quella mente delirante sarebbe stato praticamente impossibile: quel vortice che le impediva la visuale non era solo uno scontro continuo di ricordi e suoni, registrati in frazioni di secondi in ogni momento del giorno per essere rivissuti contemporaneamente, senza dare tregua al ragazzo. No. Erano anche sbalzi di umore provocati da quegli spezzoni immortali di memorie che perpetuavano a generare quella furia cieca che caratterizzava quella psiche che, ormai, sembrava sfaldarsi da sola per il puro gusto di ricomporsi senza un rigore logico.
Era rabbia, era rancore, era risentimento, era disperazione, era la paura di risentire lo sfrigolio della pelle che si ustionava mentre il corpo giaceva sul pavimento a contorcersi e ad ululare come un animale, sotto lo sguardo morente ma soddisfatto e impaurito di un altro ragazzetto che stentava a tenere le palpebre aperte, arrossate dalla candeggina che bruciava anche le altre ferite da colluttazione che i due si erano inflitti in quel maledetto giorno.

Occhi azzurri indifferenti in quelli verdi e crudeli.

Era goduria, era piacere, era il benessere che le sue dita ghermivano con ferocia e avidità nell’affondare il coltello nella gola del malcapitato di turno, in pagamento dei suoi spasmi di strazio continui che tutti gli avevano inflitto nel non avergli creduto in quel dannato giorno, quando degli occhi smeraldini e lucidi avevano salutato quelli azzurri del fratello mentre un agente di polizia li divideva, condannando i due alla tortura più grande: la lontananza.

Occhi azzurri improvvisamente fiammeggianti in quelli verdi incuriositi.

Era il sentore di bruciato, un olezzo dolciastro che Jeff annusava nell’aria da sempre: l’odore che la sua mente si era premurata di conservare come premio delle sue fatiche, quando finalmente aveva capito che la sua vita era e doveva essere stretta solo dalle sue mani; l’odore che aveva svegliato una madre ansiosa e l’aveva congelata sul posto, ad assistere al disfacimento del corpo del figlio.

Occhi azzurri estasiati in quelli verdi indifferenti.

Era euforia e brama di potere e ulteriore estasi nell’incidersi nella testa gli strilli e i singulti soffocati dei suoi genitori, che boccheggiavano asfissiati dal loro stesso sangue: inondava loro le gole e le narici, straripava dagli squarci sui ventri e sui petti; un sangue che i due cercavano o di rimandare giù o di espellere sbuffando e tossendo. Ma Jeff non aveva dato loro il tempo di liberare le vie respiratorie, continuando a sfasciare le costole e spappolando gli organi interni, divertendosi ad acquistare un ritmo e una velocità sempre maggiori mentre rideva, piangeva, gemeva, logorava quegli ammassi di carne.

Occhi azzurri ridenti in quelli verdi inespressivi.

E poi era solo un respiro affannoso e attento nell’imprimersi quell’innocente immagine per qualche secondo, carezzandola con ciò che un tempo avrebbe definito riconoscenza e un affetto smisurato.

Occhi azzurri improvvisamente ermetici e sofferenti, a volerla estraniare da quella scena, sotto quelli verdi e assottigliati, a voler forzare la sua presenza in quella stanza. La pressione tra le forze si era fatta improvvisamente più forte che mai.

Camminando con delicatezza sul pavimento, fissando indeciso - per la prima in quella giornata, che segnava la sua morte e la sua rinascita allo stesso tempo - il volto rilassato del fratello.
Bloccando i suoi passi meccanici per concedersi un momento di più per ponderare la decisione da prendere.
Abbassando il viso in preda allo sconforto, perché rivelatasi una guerra più difficoltosa del previsto.
Ricordando ogni sfumatura della voce del fratello, e rialzando trionfante lo sguardo perché finalmente sa cosa fare e ogni cosa torna ad avere un filo logico, necessario per giustificarsi con se stesso. A sforzarsi di abbozzare un sorriso senza molto successo, perché la pelle che ha rigato si è intorpidita in certi punti e in altri pare mandare scariche di elettrizzante dolore al corpo.
Era sollievo nel poter balzare addosso al fratello, a volerlo punire per averlo indotto nella confusione –  perché le cose ora andavano secondo il loro giusto corso, e l’indecisione che aveva attanagliato Jeff nel decidere della sorte di Liu era da punire su Liu stesso, la causa prima di quella scarica di rimorso –  e a volerlo risparmiare dal destino dei loro genitori, godendosi gli occhi appannati dal sonno e poi spalancati dal terrore, godendo delle molle del letto che cigolavano sotto il peso dei due, il primo a voler compiere il suo dovere, il secondo a volersi salvare la vita.
Alla fine lo aveva lasciato agonizzante sul letto stesso, né vivo né morto. Gli aveva carezzato i capelli color ebano, impiastricciati di rosso, e gli aveva mormorato contro l’orecchio sinistro un: ‘Ci rivedremo, Liu…’, prima di voltarsi e sparire nel buio di quella notte.
Era un misto di tante cose che Sally non riuscì a comprimere: troppa intensa la volontà del suo ospite, troppa la sua follia. Troppo il disordine. Troppa la disperazione.
Poi qualcosa si ruppe; era tutto troppo più grande di lei, che non era abbastanza forte da poter prendere possesso di Jeff; quest’ultimo stringeva la mandibola e aizzava tutta la sua rabbia e la violenza contro Sally per scacciarla.
Alla fine lei cedette.
Fu come se quel continuo sfregare tra le due volontà di sottomettere e di resistere avesse generato un’esplosione, e da quell’eccesso di energia i due fossero stati sbalzati indietro.
Fu costretta a ritrarre la mano repentinamente, come se fosse ancora fatta di materia e si fosse scottata, e si accasciò sull’erba, esausta.
Quanto a Jeff, ricadde sul terriccio umido per riprendere fiato. Gli occhi gli bruciavano terribilmente – lo stesso bruciore che aveva sentito quando si era ustionato le palpebre per far cadere gli strati di epidermide sul pavimento - e la testa gli vorticava senza sosta, le orecchie ronzavano e il freddo era calato sul suo corpo come una cappa. Ansimò, poi rise, ancora disteso per terra a scrutare l’alba nascente senza realmente guardarla.

‘Non… Ah, lo vedi anche tu che non puoi fare nulla contro di me! ‘ tentò di formulare, mentre si sforzava di non gemere di fastidio per quel continuo pulsare del suo cranio.

‘La tua forza… non te ne fai nulla! ’

Sally rimase accovacciata lì dove si trovava. I capelli le erano ricaduti sul viso abbassato, creando una sorta di tenda che non permetteva a nessuno di guardarlo. Teneva entrambe le mani chiuse a pugno, talmente strette da aver fatto uscire dei piccoli fiotti di sangue dalle nocche eternamente sbucciate. Fissava senza espressione gli occhietti neri del suo peluche, abbandonato sul suo grembo. Le parole di Jeff le giunsero smorzate dal leggero vento che soffiava ad ogni alba, ovattate ma abbastanza udibili affinché una rinnovata scarica di odio e avvilimento la riscuotesse dal suo torpore misto alla stanchezza - che aveva invaso le sue membra dopo che aveva impiegato ogni sua minima energia nel poter riuscire nei suoi intenti.
Aveva fallito, come sempre. Aveva avuto la rara opportunità di poter catturare il nemico con le sue sole forze, e aveva fallito perché la sua debolezza era palese; non sarebbe mai riuscita a guadagnarsi il rispetto né tantomeno il timore delle creature con cui doveva convivere la foresta, a cominciare dall’Uomo Alto. Non sarebbe mai riuscita ad avere un territorio più grande in cui vivere serenamente, non sarebbe mai riuscita ad avere il privilegio di poter attirare lei le persone adatte a giocare, mai! Avrebbe dipeso sempre dallo Slenderman, avrebbe dovuto sempre sorbirsi le sue minacce e avrebbe dovuto sentirsi una bambina indifesa in eterno, in eterno soffocata da tutte quelle regole che le strozzavano la libertà di agire.
Una sensazione che le avrebbe fatto vivere in eterno l’essere stretta tra le braccia dello zio Johnny.
Aveva fallito per colpa di Jeff.
Aveva permesso che la sua vita potesse dipendere solo da lui e dalla riuscita del piano, e questo lei non poteva reggerlo.
Un’altra fitta di frustrazione e intolleranza sfavillò negli occhi verdi, e l’ultima cosa che Jeff vide, prima che lo spirito gli indirizzasse contro il suo stesso coltello per trapassargli da parte e parte il braccio per non farlo fuggire, fu il suo sorriso stampato sulle labbra spaccate.
Urlò.
 
 
 
 
 
 

‘Ah! ‘
L’urto fu sufficientemente violento da farle sbattere il mento sensibile e bruciato sul bordo affilato della maschera bianca e farle perdere la presa sul coltello, che si depositò sulle foglie secche del bosco ad alcuni metri di distanza da lei.
Sgranò gli occhi per la sorpresa e girò il volto di scatto, non badando al suo collo, che scricchiolò per quello scatto repentino. Quando focalizzò bene la cosa che le era balzata addosso, non credette ai suoi occhi, sebbene avesse già visto talmente tante creature al di fuori del normale che ormai pensava di aver visto tutto. Eppure, quello che aveva creduto essere un gatto selvatico o, al massimo, un cane randagio, era in realtà un ragazzo con una maschera per metà rotta che permetteva di intravedere la parte inferiore del viso, con la pelle grigia e macchiata di nero.
Mugolò per il disgusto quando percepì quel nero imbrattarle il vestito: anche attraverso la stoffa dell’abito, Jane riuscì distintamente a constatarne la viscosità e il calore, come se fosse qualcosa di vivo. Inoltre era pesante e umido, e la consistenza ricordava molto quella della colla.

‘Lasciami! ‘ soffiò, e, senza pensarci due volte, cercò di strisciare in avanti per riprendersi la lama; tuttavia, quel mostro che incombeva su di lei era così pesante da prosciugarle ogni forza e mozzarle il respiro, e a nulla servì puntellarsi con i gomiti per sfuggire a quella morsa; si affannò, divincolò le membra come un’anguilla per fargli perdere l’equilibrio, artigliò l’erba davanti a sé per guadagnare terreno, fece forza con la schiena e le gambe per darsi lo slancio necessario; eppure, quella creatura resisteva a ogni suo tentativo di liberarsi, e sembrava anzi che a ogni mossa raddoppiasse il suo peso, pur rimanendo del tutto immobile.
Poi si mosse.
Con quella che Jane identificò come impazienza e fretta, torse il busto verso destra per estrarre un piccolo bisturi. Se lo rigirò tra le mani per qualche secondo come se fosse la prima volta che ne maneggiasse uno, poi le squadrò la schiena dalle fessure intagliate nella maschera - che la ragazza suppose corrispondessero agli occhi.
Jane non aveva idea di cosa avesse intenzione di fare la creatura, e ad ogni secondo che passava si sentiva sempre più impotente e sfinita.
Non poteva finire tutto così, non poteva! Non aveva senso, non dopo tutto quello che lei aveva patito nel corso degli anni e non dopo tutti i piani che si era prefissata e che avrebbe attuato nel giorno in cui avrebbe avuto Jeff alla sua mercé, completamente esposto e completamente vulnerabile.
Aveva sognato di appiccare il fuoco addosso a lui per l’ultima volta e di fargli rivivere ogni singolo momento della sua disperazione, agitando il flacone di candeggina per ricordargli l’odore e rimembrargli il viso del suo aggressore; aveva anche pensato di colpirlo ripetutamente fino a stordirlo, per poi seppellirlo vivo in piena lucidità accanto alla tomba del fratello Liu, giusto per affondare il dito nell’unico punto debole che Jane, era sicura, penalizzava Jeff.
O magari avrebbe fatto entrambe le cose, trasformando le sue urla di dolore in musica alle sue orecchie… O magari -

‘Ah! ‘

Con orrore, la punta affilata del bisturi venne conficcata con forza proprio in mezzo alle sue scapole, oltrepassando la barriera protettiva dell’abito. Jane sgranò gli occhi e gemette di dolore, calciò l’aria dietro di lei e strappò i ciuffi di erba che i suoi palmi stringevano.
La pelle lacerata bruciava tremendamente, e la ragazza tremò di disgusto verso se stessa quando provò piacere nel sangue copioso e caldo che leniva quel dolore, desiderando che ne colasse altro per non sentire più nulla.
Il bisturi non si fermò, inesorabile: la mano che lo stringeva lo fece scivolare verso il basso, senza badare alla pelle che si squarciava come la stoffa debole di un pupazzo scucito, pronto ad essere riempito di paglia; i calci di Jane si moltiplicarono e raddoppiarono di potenza, le mani annasparono sul terreno, la vista si affievolì: fu come se un mantello nero e pieno di stelle le fosse calato davanti agli occhi, impedendole di reagire a quella tortura. Si sentiva impotente e debole ogni secondo che passava, si sentiva alla stessa stregua di un animale destinato ad essere macellato.

‘Ahhh! No… no, fermati, ti prego! ’ supplicò lei, ma la maschera tamponò quella richiesta disperata. Sembrava quasi che si fosse incollata sul suo viso e sulle sue labbra.

La creatura ignorò volutamente quelle parole: Jane percepiva il suo sguardo critico e affamato, a metà tra l’ingordigia di un predatore e la maniacale precisione di un chirurgo, trapassarle la schiena. Il bisturi continuò la sua discesa, continuò a cercare, strappare, martoriare e disegnare sulla schiena quella linea scarlatta che aveva inizio dalle scapole e sembrava avere una destinazione ben precisa.

‘Fermati. Per favore, non uccidermi. Non oggi! ’

No, non poteva finire così! Il suo sogno di tutta una vita non poteva sfumare in una manciata di secondi per colpa di quella cosa!

‘Mi hai sentita? Qualunque cosa tu sia, se devi uccidere, ammazza qualcun altro. Ma non - ah! - non me! ’

Quando il bisturi si fermò, Jane sospirò di sollievo, sebbene il suo cuore pompasse il sangue a una velocità tale che temette potesse esplodere da un momento all’altro.
Poi accadde.
La mano sfilò la lametta dalla sua pelle senza nessun riguardo, e per alcuni istanti - in cui la giovane killer credette di essere stata ascoltata – non accadde nulla; tuttavia, quando qualcosa di viscido e dieci, venti volte più ingombrante di quell’arma penetrò nella ferita, urlò a pieni polmoni.
Il dolore di prima non era niente se paragonato a quello che stava patendo in quel momento: si sentiva come fatta a brandelli, smembrata senza pietà, recisa.
Urlò e urlò, scalciò come un’indemoniata, boccheggiò, inclinò il viso verso il cielo alla disperata ricerca d’aria. L’intruso che la stava torturando era enorme e crudele, mentre carezzava con sadica soddisfazione un tendine – Jane sussultò quando si accorse di quel tocco indesiderato e violento, forse più inumano e truculento di tutti, e quando sentì il gusto salato delle lacrime sulla punta della sua lingua, tremò - e asportava un filamento scarlatto che ostacolava la sua ascesa in quelle morbide viscere; quelle dita frugavano, giocavano ed esploravano nella parte inferiore della sua schiena, scendendo sempre più in profondità. Jane credette di morire.
E proprio in un battito di ciglia, prima che Eyeless Jack potesse sfiorare il suo obbiettivo pulsante, con lo stomaco divorato dai crampi della fame, e che Jane chiudesse gli occhi in segno di resa, l’urlo di Jeff salvò la vita della ragazza.
 
 
 
 
 

Quando quel grido inumano, più simile a un latrato che a uno strillo acuto, risuonò in tutto il bosco, Laughing Jack rise.
‘Oh oh oh… sembra che ora qualcuno stia passando un brutto momentino… andiamo a goderci un po’ la scena! ’ gracchiò, lanciando un’occhiatina a Puppeteer dietro di lui, invitandolo a seguirlo.
 
 
 
 





Spazietto autrice…
Innanzitutto volevo avvertirvi che sono tornata dalle vacanze (è questa la causa del ritardo nella pubblicazione) e che da oggi in poi aggiornerò regolarmente come prima… più o meno.
Seconda cosa: Eyeless Jack che non si ferma e non si risparmia nel far soffrire Jane mi ha fatto sudare, perché sembrava davvero che non volesse farsi scrivere! E confesso che, da brava sadica, avrei voluto che il nostro amorevole cannibale non si fermasse.
Spero vi sia piaciuto il capitolo, alla prossima!
 
Made of Snow and Dreams.
  
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