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Autore: Rebecca04    18/08/2016    4 recensioni
Arthur è vittima di un incidente domestico e si ritrova in ospedale.
Non capisce perché tutti i suoi amici e parenti siano preoccupati, fino a quando arriverà uno strano infermiere a spiegarglielo.
Genere: Commedia, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Merlino, Morgana, Principe Artù, Un po' tutti, Uther | Coppie: Merlino/Artù
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Ciao a tutti! Os di quasi 4ooo parole.
Un po' particolare, ecco. Spero vi piaccia!
Il titolo è preso dalla canzone dei Onerepublic, buona lettura.


˜ All fall down ˜


Arthur si lasciò affondare nella poltrona azzurrognola, distendendo le mani sui braccioli in legno. Non capiva perché non potevano dimetterlo e basta, in fondo aveva solo un bernoccolo e qualche graffio.
Gwen e Lancelot era appena andati via, dopo averlo rassicurato che, in caso di convalescenza, sarebbe potuto stare da loro.
D'aiuto di certo non era stato Gwaine, che aveva mimato a tutti la sua caduta per le scale, guadagnandosi occhiatacce da Elyan e Percival.
Uther non si era fatto vedere, ma solo il fatto di essere in una clinica privata e non in un ospedale fece capire al biondo che un po' del suo zampino c'era.
- Come va?
Arthur alzò gli occhi in direzione della voce, scrutando l'infermiere farsi avanti; lo stesso che gli aveva bucato ben tre volte il braccio per trovare una vena. Adesso portava in grembo un vassoio, probabilmente la cena.
Il biondo allungò il collo senza dire nulla, osservando le cibarie radunate per scomparti. Ai suoi occhi si presentavano: pappetta informe per primo, pappetta informe per secondo e pappetta di mela per dolce; sì, era di sicuro una mela, forse.
 - Abbiamo fame? - continuò il tipo, aprendo la bottiglia che accompagnava il pasto.
Arthur non capiva questo parlare al plurale, se il tipo aveva fame poteva mangiarsi tutta la sua cena, compreso il purè color canarino sicuramente farcito con lassativi.
- Non siamo dei gran chiacchieroni, eh?
Il biondo lo fissò abbassarsi, poggiando le mani sulle ginocchia per essere alla pari coi suoi occhi.
Un blu intenso era il colore di quelli dell’infermiere, che per un attimo gli fecero dimenticare di essere ancora ricoverato.
- Come è successo?
Sbuffò solo in risposta, tanto nessuno pareva prestargli attenzione lì; neppure i suoi amici l'avevano ascoltato, quasi non lo sentissero.
Gwen l'aveva fissato con gli occhi gonfi di lacrime, mentre Lance la stringeva al suo petto.
Che ci fosse da piangere? Avrebbe voluto accarezzarle il viso per rassicurarla, ma la sua mano non era mai stata così pesante.
- Pensavo di passare qui la mia pausa - vociferò di nuovo l'infermiere e Arthur lo guardò iniziare a mangiare dal vassoio.
- Ehi, quello è mio - disse di getto, alzandosi dalla poltrona.
- Allora sai parlare. - Il moretto rise, lasciando affondare le posate nel purè.
- Se fossi in te non riderei, potrei farti licenziare. - Si bloccò quando la porta si aprì di nuovo, e Gwaine si accostò all'infermiere.
- Ho scordato qui la giacca - mormorò, prendendo poi il giacchetto in pelle sull'appendiabiti.
- Nessun problema - rispose il moro, mentre l'altro si avvicinava al letto di Arthur.
- Si può sapere dove vai? Io sono qui - brontolò il biondo, non potendo più vedere l'amico perché nascosto dalla tenda.
- Scusa se prima ho fatto il coglione, è che tutti erano così giù di morale... - Un impercettibile singhiozzo gli scappò dalle labbra e Arthur lo vide uscire in un batter d'occhio dalla stanza, senza nemmeno voltarsi.
- E poi sono io quello ricoverato... Ha appena parlato con un lettino vuoto, perché non lo internate? - scherzò con l'infermiere, che abbozzò un sorriso, uno di quelli stiracchiati, come a dire che sei tu quello che ha torto.
Il biondo tentò di afferrare la tenda per scostarla, volendo dimostrare le sue ragioni, ma quella gli scivolava dalle mani ogni volta.
L'infermiere si drizzò e la spostò per lui, ricevendo un altro sbuffo dall’altro.
- Vedi che è... - E lì si arrestò, vedendo sé stesso in quel letto. - Che diavoleria è mai questa? - urlò di getto, bloccandosi subito dopo.
Studiò la serie di macchinari ai lati del letto, che tenevano monitorati i suoi segni vitali.
- Sei caduto dalle scale - iniziò il moro, - hai sbattuto la testa.
- Taci - ordinò Arthur, mentre nella sua mente ripercorreva gli avvenimenti. Eppure lui era lì in piedi, non in quel groviglio di macchine.
- Cos'è, sei venuto a prendermi? - disse sprezzante verso il moro.
- Oh, no. Santo cielo, no - replicò l’altro.
- Bene, perché non ti avrei reso le cose facili - pronunciò deciso il biondo.
- Ho un dono - interruppe l'altro.
Arthur lo guardò enigmatico, come a volergli suggerire di proseguire, ma l'infermiere se ne tornò al tavolo, sedendosi poi. - Mi chiamo Merlin, comunque.
L’altro se ne stesse zitto, rimanendo a osservare il suo vero corpo, tastandosi ogni tanto qualche lembo invisibile agli altri; a quanto pare era solo una sagoma trasparente.
Provò a sfiorare le dita ferme sul letto e un brivido lo percorse fino ai piedi.
Si girò, temendo che il tipo lo stesse osservando, ma invece stava mangiucchiando qualche verdura lessata. - Merlin?
Il moro si voltò sorridendogli, e questa volta era un sorriso rassicurante, come a spiegargli che tutto sarebbe tornato al suo posto. - Dimmi.
Arthur era rimasto imbambolato, ma si riprese al guizzo di preoccupazione in quegli occhi blu. - Quante possibilità ci sono che mi risvegli? La verità - aggiunse, non gli era mai piaciuto chi non andava dritto al punto.
- Ottime - replicò il moro, alzandosi con il vassoio in mano. - Mai incontrato spirito più saccente e tenace, e parliamo solo da un'ora. - Sorrise di nuovo e se ne andò, intanto che Arthur lo studiava, non capendo se fosse un insulto o un complimento.
 
˜
 
- Ahi! Ma vuoi stare attenta - borbottò il biondo, mentre l'infermiera rigirava il suo corpo nel letto. - Ahi, ho detto - brontolò un’altra volta.
Merlin entrò dalla porta esattamente in quel momento, apprestandosi a raggiungere il letto. - Problemi? - chiese a Nimueh.
- È più rigido di un tronco - replicò lei spazientita. - Non so come sia possibile...
- Lascia fare a me. - Il moro le prese la spugna di mano sorridendole. - Puoi servire la colazione alla signora Connor al posto mio.
- Grazie - disse lei sollevata, dileguandosi tra i borbottii del biondo.
- 'Giorno. - Merlin si approcciò al corpo, mentre sorrideva ad Arthur. - Non le hai reso le cose facili, eh?
Il biondo stava per replicare ma un’ondata di calore si diramò lungo tutto il suo braccio, che Merlin stava spostando. Eppure era stato del tutto differente alla mano gelida e staccata dell'altra infermiera.
- Come va? - proferì il moro, che cominciava ad abbassare le coperte sul corpo del biondo.
- Sconvolto? Sto guardando te che tocchi il mio corpo senza poter far nulla.
- Puoi sempre andare da un’altra parte - rispose l'infermiere.
- E lasciarti da solo qui? No - decretò.
Merlin sospirò, passando a slacciare la tunica che copriva il corpo, lasciandolo nudo.
Il biondo si fissò, sembrando sollevato dal fatto che l'indumento su di lui non fosse scomparso, ma arrossì d'improvviso quando si rese conto di quello che stava per accadere.
Merlin passò la spugna bagnata sul suo petto e lui si mordicchiò le labbra per tacere: era una sensazione strana, vedere il tuo corpo immobile ma sentire tutto.
Avvertì il calore scendere lungo il suo ventre, per poi preoccuparsi quando Merlin arrivò al l'inguine; rivoleva l'infermiera dalle mani fredde immediatamente.
Un mormorio gli sfiorò le labbra quando il moro lavò quella preziosa area, scendendo poi verso le gambe.
In pochi minuti Arthur si sentì rigenerato da quelle attenzioni, notando poi che l'infermiere aveva preso una spugnetta più piccola; la passò delicatamente sotto gli occhi, umettando anche le labbra dopo qualche istante.
- Hai finito? - domandò seccato Arthur; quel contatto gli era sembrato così intimo.
- Sì. - Merlin sorrise e ricoprì il corpo.
- Scusi. - Una voce femminile richiamò l'attenzione dei due. - Lo so che non è orario di visita...
- Venga pure. - Si sbrigò a dire Merlin prima che la donna continuasse. Raccolse bacinella e spugne, recandosi nel bagno della stanza per riporre il tutto, socchiudendo la porta dietro di sé per lasciare privacy ai due.
Morgana si avvicinò al letto, sedendosi sulla sedia più vicina al fratello. - Ho preso il primo aereo, non sono potuta arrivare prima - affermò, stringendo la mano del biondo nelle sue.
Qualcosa si mosse dentro Arthur, come se sua sorella stesse stringendo qualcosa di più che la sua mano.
- Avrei dovuto esserci - farfugliò lei. - È colpa mia.
Arthur si mosse, circumnavigando il letto per raggiungere Morgana. Le sfiorò le spalle, ma lei non sentiva nulla.
- Non avrei dovuto lasciarti solo - continuò, mentre le parole morivano in singhiozzi che si sforzava di trattenere.
- Ehi, non puoi piangere, non hai mai pianto. Nemmeno quando ti sei rotta il braccio, ricordi? - Arthur si spostò di nuovo, fissandola negli occhi. - Anche quando hai perso quella scommessa sciocca e ti ho costretto a mangiare un vasetto di peperoncini... - Erano esempi stupidi, ma la mente del biondo sembrava essersi annebbiata. Fissò una lacrima rigare il volto della sorella.
- Non me ne andrò più via, ma svegliati. - Strinse la presa attorno alla mano e Arthur avvertì una fitta al cuore.
- Merlin! - gridò, fiondandosi come una furia nel corridoio che portava al bagno, trovandolo vuoto. Notò un’altra porta scostata e una debole luce che proveniva da essa.
Si impaurì quando si scostò all'improvviso, mentre una piccola sagoma si avvicinava. - Tio! - urlò Mordred felice, correndogli incontro per abbracciarlo.
Purtroppo il piccolo non riuscì nell'intento, frenando bruscamente prima di urtare il muro piastrellato.
Rimase stordito qualche secondo, mentre il biondo sentiva ogni osso tremare; se Mordred poteva vederlo voleva dire che anche lui...
- Tio. - Mordred gli si era affiancato, scrutandolo con quelle due enormi biglie azzurre. - Mamma ha detto che stai male - cantilenò, mentre il biondo si inginocchiava, prendendo tra le mani una ciocca di capelli corvini. Tentò di tirarla, ma non ci riusciva.
- Sei buffo - pigolò il nipote.
Decisamente Arthur non stava capendo più nulla: era sicuramente tutto un maledetto incubo, perché Mordred non poteva essere nelle sue stesse condizioni. E se invece lo fosse stato?
E se il suo corpicino fosse stato da qualche parte in quella clinica?
Non poteva permetterlo, doveva parlare con qualcuno. Avrebbe dato sé stesso pur di non lasciar andare il nipote; non aveva mai provato così tanta paura in vita sua.
- Mordred! - Una chioma rossa fece capolino dalla porta che dava sul corridoio.
- Leon, ma ci sei anche tu, che succede? - sviscerò Arthur, mentre il cognato prendeva in braccio il bambino.
- Non ti devi mai allontanare - pronunciò il rosso con tono di rimprovero, fissando il piccolo.
- Volevo saiutare lo tio - replicò Mordred.
Leon gli sorrise, posandogli un bacio sulla guancia. - Vieni, raggiungiamo la mamma - comunicò, sparendo dal corridoio, mentre il nipotino salutava con la manina Arthur.
Il biondo si appoggiò contro la parete, scivolando verso terra.
Che diavolo stava succedendo?
Non si rese conto del tempo che passava, sentiva solo un vuoto crescere dentro di sé, mentre sentiva le lacrime di Morgana bagnargli la pelle.
 
- Arthur? - Merlin gli si accostò, accucciandosi contro la parete. - Che è successo?
Il biondo ringhiò quando vide la mano dell'infermiere vicino alla sua spalla. Si rizzò in piedi furioso, additando l’altro ancora a terra. - Fammi tornare nel mio corpo! - urlò così forte che le sue stesse orecchie rimbombarono.
- Arthur, non dipende da me.
- Hai detto che hai un dono, no? Allora usalo! Fammi tornare come ero prima.
- Te l'ho detto, io non posso. Riesco solo a vederti e sentirti, non posso fare nulla di più.
Arthur espirò, cercando di liberarsi di tutto quello che era accaduto quella mattina.
- Non sei l'unico - proferì con un alone di finto disinteresse.
- Come? - domandò Merlin.
- Non sei l'unico che mi vede e sente - ripeté il biondo.
- Chi? - chiese curioso il moro, mentre si alzava dal pavimento.
- Mio nipote.
- Oh, l'ho visto. I bambini conservano ancora un po' di magia, prima di crescere.
Quelle parole non è che significassero qualcosa per Arthur, ma, mentre le sue celluline grigie si sforzavano di capire, Merlin stava già imboccando la porta della sua stanza.
- Ehi, aspetta. - Il biondo lo seguì, accorgendosi dalla finestra che il sole stava già tramontando.
- Riposati - sussurrò Merlin, rimboccando poi le coperte al corpo sul letto.
Arthur sentì di nuovo un miscuglio di calore e affetto travolgerlo, mentre l'infermiere usciva dalla stanza.
 
˜
 
Terzo giorno e ancora nessun miglioramento: il suo corpo restava immobile, senza un cenno di vita; ormai era mattina inoltrata e nessuno appariva all’orizzonte.
Arthur se ne stava infossato nella poltrona nell'angolo, con un sopracciglio alzato, cercando di nascondere la preoccupazione di non vedere Merlin.
Non che si fosse affezionato, ma al momento erano l’unico che potesse sentirlo…
La soglia si aprì e Merlin entrò con la bacinella per le spugnature.
- Alla buon'ora! - urlò il biondo, rizzandosi dalla seduta.
- Ho iniziato adesso il turno - rispose il moro, ignorando l’altro, sistemandosi davanti al letto.
- Mi sto seccando... - aggiunse Arthur melodrammatico, osservando Merlin scoprire il suo corpo.
- Asino - mormorò l'infermiere, intingendo la spugna, per poi passarla sul viso dell'altro.
Arthur si zittì, assaporando quei tocchi; non avrebbe dovuto esaltarsi così tanto, in fondo Merlin lavava dozzine di persone, e forse lui non era nemmeno l'unico spirito del pianerottolo. - Ci sono altri come me? - domandò.
Il moro lo fissò per essere certo di aver inteso la domanda. - Non ora.
- E in passato?
- Sì - rispose Merlin. - Un vecchio qualche tempo fa e una ragazza poco prima di te. Erano più bravi - concluse.
- In che senso? - domandò Arthur; c'era una scala di bravura ora?
- Sapevano manipolare gli oggetti. - Merlin sorrise e l'altro si imbronciò.
- Sei fortunato che io non ci riesca, o avresti quella spugna premuta contro la tua faccia - replicò indisponente.
Merlin sorrise di più, bagnando ogni singola grinza delle labbra del biondo, facendolo tremare non poco.
- Ho freddo, muoviti - ordinò Arthur, spostandosi di nuovo sulla poltrona, mentre le carezze del moro gli riscaldavano il corpo.
 
Quel terzo giorno proprio non voleva saperne di passare: Merlin era stato chiamato d’urgenza in uno degli altri piani e Arthur si era ritrovato da solo, passando il tempo a fissare la propria sagoma.
La porta si scostò e lui stava già preparando una frecciatina per l'infermiere, arrestandosi alla chioma grigia che apparve. - Papà...
Uther si accostò alla lettiga, avvolto in uno dei suoi completi gessati. - Non sono riuscito a farmi vivo prima - disse, e Arthur bofonchiò qualcosa col naso all'insù.
- Sarebbe meglio dire che non sei voluto venire prima.
Uther si sedette e strinse la mano del figlio come aveva fatto la sorella. - Voglio che tu sappia che - troncò la frase.
- Cosa? Che non sono alla tua altezza? Che non sono degno del tuo nome perché, aspetta, com'è che hai detto? Ah, già, perché sono un invertito! - replicò il biondo, sperando di svegliarsi per strappare la mano dalla presa del padre.
- Non avrei dovuto mandarti via - riniziò Uther. - So solo che darei tutto ciò che ho per vederti fuori da qui. - Strinse di più la mano. - So che sei più forte di quanto tu creda, so che riuscirai a uscire da qui, e quando lo farai voglio che tu sappia che la mia porta sarà sempre aperta per te.
Arthur non rispose, semplicemente perché i suoi pensieri non trovavano una forma logica.
- Vorrei tanto esserci io al tuo posto - sussurrò il padre e il biondo avvertì un’altra pugnalata al petto.
- Smettila, sono solo bugie! - rispose Arthur. - Appena sarò fuori da qui mi ignorerai come sempre hai fatto.
- Morgana resterà qui finché non ti rimetterai. Abbiamo già preparato la tua stanza alla villa. Staremo tutti insieme - continuò Uther.
Arthur si schiacciò contro la parete per non sentire, ma il padre ricominciò a parlare.
- Spero mi darai un’occasione per ricominciare - concluse, poggiando un bacio sulla fronte del figlio. - Sono così orgoglioso di te.
Il biondo lo osservò ancora e ancora, mentre la rabbia mutava in confusione e il cielo si inscuriva.
 
Merlin tornò qualche ora più tardi e si allarmò non scorgendo il biondo sulla poltrona. Socchiuse leggermente la porta del corridoio, intravedendolo nel bagno; di sicuro qualcuno era passato a fargli visita. Preferì lasciarlo in pace e si accostò al corpo, notando gli occhi rossi e umidi.
Prese una salvietta dal mobiletto accanto al letto e li asciugò.
- Andrà tutto bene - sussurrò, avvicinandosi di più, lasciando che le sue labbra sfiorassero la pelle del biondo, poi scese piano, schioccando un bacio sull'angolo della bocca.
- Presto ti sveglierai - mormorò spostandosi, imboccando le coperte come faceva ogni sera. - Notte. - Si avviò verso l'uscita, non intravedendo i due occhi azzurri che lo scrutavano dal corridoio.
 
˜
 
- Ehi. - Merlin gli sorrise, mentre si avvicinava alla finestra per alzare la tapparella. - Come va oggi?
Arthur lo scrutò assonnato, forse perché anche gli spiriti avevano bisogno di sonno, ma lui aveva preferito starsene tutta la notte a pensare.
Forse era davvero un “dono” quello che aveva ricevuto?
Di certo suo padre mai nella vita si sarebbe riappacificato con lui, e mai avrebbe ripetuto ciò che aveva detto ieri. Sua sorella poi, che vedeva solo a Natale o per qualche compleanno…
Che tutto questo fosse servito a ricompattare la sua famiglia? Beh, sì.
- Ok - mugugnò, intanto che l’altro si spostava a controllare la flebo.
Però il destino avrebbe potuto agire in altri modi, e cosa centrasse un infermiere maldestro in tutto questo non l’aveva capito.
Eppure i bisbigli di Merlin ogni sera lo rassicuravano come nessun’altra cosa.
- Vado a prendere un’altra flebo, torno subito.
Arthur annuì, infossandosi di più nella poltrona, sperando che nessuno venisse a piangere al suo capezzale oggi; erano arrivate persino a mancargli le stupidaggini di Gwaine, era davvero in gravi condizioni.
Sospirò, guardando la lancetta dell’orologio muoversi, mentre Merlin non dava cenno di tornare.
Si alzò e si avviò verso il corridoio, anche se nessuno poteva vederlo non gradiva l’idea di girare in vestaglia. Camminò a ridosso della parete fino ad arrivare alla porta del ripostiglio; per fortuna quello sbadato l’aveva lasciata socchiusa.
Entrò sorridente, per poi immobilizzarsi quando scorse il moro a terra.
- Merlin? - Si precipitò accanto a lui, notando un taglio sulla tempia dell’altro: doveva essere caduto, sbattendo da qualche parte. - Svegliati! - urlò, ma l’altro non dava cenno di muoversi.
Ritornò in piedi, osservando lo stanzino, non sapendo che fare. Provò a far cadere qualche oggetto, ma le sue mani li trapassavano, senza nemmeno farli traballare.
Uno sbuffo d’aria uscì dalla bocca dell’infermiere e Arthur sbiancò.
- Ora penso a qualcosa.
Avvicinò i polpastrelli a una boccetta di alcool, appoggiandoli piano alla superficie. Chiuse gli occhi, sentendo come morbida e soffice quella che doveva essere plastica, ma non gli importava.
Serrò la mano e si aggrappò a qualcosa, mentre riapriva le palpebre, vedendo tutto confuso.
Si mosse di scatto, avvertendo fitte più o meno ovunque, mentre delle infermiere entravano velocemente nella stanza.
C’era riuscito!
- Vai a prendere un tranquillante, deve essere in shock - comunicò Freya all’altra infermiera, che si apprestò a uscire per recarsi nello sgabuzzino, mentre la ragazza riadagiava Arthur sul letto.
Un urlo si diramò nel corridoio e il biondo capì che in qual modo avevano trovato Merlin, mentre lui richiudeva gli occhi, troppo stanco per fare altro.
 
˜
 
- Arthur.
Non riconobbe la voce, ma la sua preoccupazione sì. Aprì lentamente gli occhi, scorgendo quelli di Morgana davanti a lui.
- Come stai?
- È inutile che ti parli, tanto non mi senti… - vociferò lui esausto, vedendo che nella stanza non c’era solo sua sorella, ma i suoi amici al completo.
- Che vuol dire che non ti sento?
- Non siamo sordi - aggiunse Gwaine, facendo sorridere il biondo.
- Avevo detto massimo due persone. - Merlin era entrato dalla porta, attirando l’attenzione di tutti, forse anche per il mega cerotto che aveva in fronte.
- Merlin, mi sentono - disse Arthur raggiante.
Il moro si affrettò a raggiungerlo, mentre tutti fissavano perplessi il biondo. - È meglio se uscite un attimo, è evidentemente confuso - chiarì, facendo cenno agli altri di andarsene.
L’infermiere aspettò che tutti fossero usciti e poi sorrise. - Sei tornato.
Arthur continuava a osservarlo, non capendo del tutto che volesse dire.
- Sei uscito dal coma… - pronunciò schietto il moro e il biondo cambiò la sua espressione in una smorfia informe.
- Oh, eh, grazie per l’aiuto con il taglio. Se non avessi allarmato le infermiere sarei rimasto svenuto per un bel po’.
Arthur era troppo felice per poter parlare, intento a muovere mani e dita dei piedi, per verificare che tutto fosse a posto; avrebbe subito rassicurato i suoi amici e anche Morgana.
- Non era nulla di grave, comunque - spiegò il moro.
- E invece sì - rispose Arthur, iniziando a schiarirsi la mente. - Mi devi la vita.
- Come? No, non credo. - Merlin sorrise.
- Una cena, appena esco di qui, nessuna obiezione - sottolineò il biondo, mentre afferrava con una mano l’uniforme dell’altro.
- Direi di sì, ma che fai?
Non fece in tempo a finire che Arthur l’aveva tirato a sé, assaporando quelle labbra che l’avevano riscaldato l’ultima sera.
Credeva che fosse tutto dovuto a qualche suggestione, ma no, il calore era vero, e Merlin non accennava a distaccarsi.
- Richiama i miei amici, ora - ordinò con il sorriso stampato sulle labbra, intanto che il moro tentava di riprendersi.

˜


Devo confessare che volevo scrivere qualcosa di più tragico, ma non mi riesce mai...
Fatemi sapere cosa ne pensate, a presto :)
  
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