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Autore: Jessy Pax    19/08/2016    3 recensioni
Un altro piccolo crossover tra Supernatural e Arrow.
Felicity Smoak e Dean Winchester si incontrano in un momento del tutto imprevisto e in un anno decisamente particolare.
Dal testo: "Dean sciolse il fiocco di neve in bocca e ci pensò molto prima di darle qualsiasi risposta. Non voleva terrorizzarla ma non voleva nemmeno raccontare una bugia. «Tu credi ai mostri, Felicity?»
La piccola fermò l'altalena con le punte dei suoi stivali rossi «Non lo so. Ma nel mio armadio c'è qualcosa. Quando dormo ho paura perché sento rumori strani. Mamma dice che nell'armadio non c'è niente.»"
Genere: Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Dean Winchester
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna stagione
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Per l'immagine ringrazio Sophie di Tralie Graphic
 

 

[Nota dell'autrice: Una cosa che devo chiarire è che, a differenza della serie tv, Felicity è nata nel 1983 anziché 1989.]





Virginia City, Nevada

24 Gennaio 1989

 

 

 

 

Il cigolare arrugginito della catena di quell'altalena vecchia e abbandonata, faceva da colonna sonora alla noia che provava la piccola Felicity. Piantò i piedi nel terreno bagnato e con una spinta si fece dondolare con lentezza.
Era una fredda giornata di Gennaio ma la neve non aveva ancora attecchino al suolo. La bambina castana alzò gli occhi al cielo e un minuscolo fiocco di neve le cadde sul naso; chiuse gli occhi e strofinò il viso con il dorso della mano coperta da un guantino di lana bianco.
«Ciao» un bambino dai capelli dritti di un biondo scuro, si sedette sul seggiolino dell'altalena accanto a Felicity. Il suo tono di voce sembrava triste e arrabbiato.
La bimba non rispose perché sua madre le aveva insegnato a non parlare con gli sconosciuti ma non si privò di una sbirciatina alla sua sinistra.
Quel ragazzino era strano, non era molto più grande di lei ma negli occhi c'era un'ombra che lo faceva apparire come un adulto con tante responsabilità.
«Odio mio padre.» borbottò lui sottovoce dando un calcio ad un sasso. Felicity seguì lo sguardo del bambino e si posò sull'uomo che stava parlando con la sua mamma. Donna Smoak era poco più lontana da loro ed era seduta su una panchina arrugginita insieme ad un uomo bello e alto.
«Quello è il tuo papà?» la vocina di Felicity era piccola e con la mano indicò un punto dritto a se.
Il bambino annuì e sbuffò «Sì.»
«Sta parlando con la mia mamma, sai?»
«Non è vero, quella non è la tua mamma!» il ragazzino la contraddisse scortesemente e di risposta Felicity arricciò il nasino infastidita.
«È la mia mamma, invece. Sta zitto!» si guardarono sfidandosi con gli occhi e sembrarono in procinto di azzuffarsi come cane e gatto.
Felicity, poi, distolse l'attenzione dall'altro per sentire la madre alzare la voce.
«Le fa sempre arrabbiare. Mio padre è stupido.» quel bambino diede a Felicity l'impressione che sapesse cose di cui lei era all'oscuro.
«Come ti chiami e quanti anni hai?» chiese lei. Non avrebbe dovuto parlare con chi non conosceva ma in fin dei conti anche la sua mamma stava parlando con qualcuno che non aveva mai visto prima.
«Che t'importa?» rispose l'altro maleducatemente ma abbassò lo sguardò iniziando a dondolare con l'altalena «Mi chiamo Dean e ho dieci anni.» fece una pausa «E tu?»
Felicity scoppiò a ridere «Ecco perché sembri uno dei grandi! Hai dieci anni!»
Dean strabuzzò gli occhi e poi inarcò le sopracciglia «Sai cosa succede alle bambine che prendono in giro? Se le mangia qualche demone dell'Inferno!»
Felicity smise immediatamente di ridere e tornò a guardare Dean. Era spavenatata e confusa «Non capisco niente di quello che dici!»
«Questo perché sei piccola!»
«Non sono piccola!»
Dean sorrise ed indicò i guanti della bambina «Invece sì, sei così piccola che hai ancora bisogno dei guanti per non sentire freddo.»
Felicity ci pensò su, si sentiva triste e offesa per qualche ragione che non comprendeva ma sapeva di non poter far vincere quel bambino antipatico. Si tolse i guanti, lasciando le mani nude ed esposte al vento e al gelo, poi li gettò lontano. Con risolutezza infantile.
Dean guardò la scena sbalordito.
«Ecco, adesso non sono più piccola.»
Il bambino si sentì in colpa, voleva solo dar fastidio a Felicity ma non pensava che lo avrebbe preso sul serio. «Non mi hai detto come ti chiami e quanti anni hai.»
«Felicity e ho sei anni.» la piccola aveva le braccia conserte e aveva messo il broncio.
Dean fece uan smorfia con la bocca trovando piuttosto bello il nome della ragazzina.
«Io e la mia mamma viaggiamo sempre. Non si ferma mai e in ogni città trova sempre un nuovo fidanzato. Lei ogni volta dice “È quello giusto, Felicity! Resteremo qui.”, però non è vero, perché i fidanzati se ne vanno e noi ce ne andiamo di nuovo.» la piccola era affranta e posò la testa sulla catena della sua altalena. Provò una fitta alle mani quando si accorse che avevano preso ad arrossarsi a causa del freddo.
Dean ascoltò Felicity con consapevolezza, sapeva di cosa parlava e si sentì in qualche modo legato alla bambina; forse perché le sue lamentele gli ricordavano i capricci del suo fratellino Sam.
«Anche mio padre ha sempre da fare. Viaggiamo sempre anche noi ed io devo badare al mio fratellino.» si girò con il busto e si protese verso lei «Mi dispiace per tua madre. Papà non ci sa fare con le donne.»
Felicity sollevò le spalle proprio come farebbe un'adulta «Troverà un altro fidanzato.» guardò Dean stendendo le labbra in un sorriso forzato.
Il ragazzino sospirò e tornò a dondolare con il naso all'insù, interessato ora ad acciuffare qualche fiocco di neve con la lingua.
«I demoni non esistono, vero Dean?» a Felicity tornò in mente la battuta che le aveva fatto poco prima. Non aveva dato importanza a quella frase ma, ripensandoci, trovò spaventoso immaginare che i mostri esistessero davvero.
Dean sciolse il fiocco di neve in bocca e ci pensò molto prima di darle qualsiasi risposta. Non voleva terrorizzarla ma non voleva nemmeno raccontare una bugia. «Tu credi ai mostri, Felicity?»
La piccola fermò l'altalena con le punte dei suoi stivali rossi «Non lo so. Ma nel mio armadio c'è qualcosa. Quando dormo ho paura perché sento rumori strani. Mamma dice che nell'armadio non c'è niente.»
A Dean si gelò il sangue nelle vene. Sgranò gli occhi e deglutì a fatica. Ora si spegava perché suo padre John aveva deciso di conquistare proprio la mamma di Felicity!
«Non aprire l'armadio, Felicity. Quando senti quei rumori, scappa. Ma non aprire mai l'armadio. Hai capito?» la bambina era ormai spaventata e gi occhioni blu erano colmi di lacrime.
«Perché mi dici questo? Cosa c'è nel mio armadio?»
Dean scosse la testa agitato «Qualcosa che vuole farti del male.»
Felicity tirò su col naso piangendo, era indecisa se chiamare la mamma oppure no «Non è vero. Vuoi solo spaventarmi.»
Non era più il momento di scherzare «Sto dicendo la verità!» insistette Dean.
Lo sguardo della piccola era troppo impaurito e lui doveva fare qualcosa per farla smettere di piangere, altrimenti, se suo padre si fosse accorto che aveva appena fatto piangere la figlia di Donna, per lui le cose si sarebbero complicate. Sbuffò spazientito e, come un vero ometto, posò una mano sulla guancia di Felicity e asciugò le lacrime che scendevano gocciolando. «Non devi piangere. Hai detto che non sei più piccola, no? Allora non piangere.»
«Ma anche i grandi piangono.» l'osservazione di Fel era giusta e Dean strizzò gli occhi per trovare una risposta adeguata.
Continuando ad accarezzare la guancia minuta, per calmarla, le sorrise spavaldo e sicuro di se «Io sono grande ma non piango. Fai come me. Quando sento che sto per piangere, penso al mio fratellino.»
«Quanti anni ha e perché pensi a lui?» domandò Felicity dopo che, finalmente, aveva smesso di lacrimare.
«Sam ha la tua stessa età. Penso a lui perché mi ricorda che io sono il fratello maggiore e se io piango, lui non può piangere più. Io devo prendermi cura di lui e, se piange, devo fargli vedere che c'è il suo fratellone che sistema tutto. Così a me passa la voglia di piangere.»
Felicity annuì non del tutto convinta, però si morse il labbro e chiuse le mani in una stretta forte «Ma io non ho un fratellino. A chi devo pensare per non piangere?»
«Mmmh...» Dean stava cercando una soluzione e, all'improvviso, si accese come se gli fosse venuta l'idea più brillante di sempre.
Frugò nelle tasche del suo cappotto non del tutto nuovo e tirò fuori un paio di guanti blu di lana. Li consegnò nelle mani gelide della bambina che, immediatamente, le donarono un caldo sollievo.
«Pensa a me. Tieni questi. Prima scherzavo, anche i grandi indossano i guanti. Me li ha regalati mio padre perché oggi è il mio compleanno; ma non si è ricordato di farmi gli auguri. Papà non ci sta tanto con la testa.»
Felicity, stupita, sorrise sinceramente illuminado il suo bel visino. Saltò giù dall'altalena e con i guanti nuovi chiusi a pugno in una mano, abbracciò forte il suo amico.
Il bambino fu spiazzato dal gesto, nessuno lo aveva mai abbracciato così. Nessun amico, ma lui non aveva amici. Chiuse gli occhi e con una espressione dolce, strinse il corpicino della bimba a se.
«Grazie Dean. Auguri.» sussurrò la piccolina.
John Winchester con la sua voce grande richiamò il figlio e i due bambini si staccarono da quell'abbraccio innocente. Guardarono rispettivamente i propri genitori nel momento in cui si scambiarono un bacio d'addio.
Dean e Felicity esclamarono all'unisono: «Che schifo i grandi!»

   
 
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