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Autore: Emily_Jhonson    20/08/2016    1 recensioni
Il confronto con i suoi demoni non era giunto al termine quando aveva impiegato ogni forza che avesse nel suo corpo per scampare alla morte: Sherlock Holmes era caduto di nuovo in quel limbo irrazionale della sua mente, mentre le sue debolezze si prendevano gioco di lui, questa volta mascherate da angeli.
Post 3x3- "L'ultimo giuramento"
Genere: Angst, Introspettivo, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Sherlock Holmes
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!
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"Bad Choices"


 
L’ultima sfocata immagine  che  i due sbarrati occhi azzurri si erano trovati di fronte era andata a sfumare subito in una densa oscurità e dell’accecante luce che aveva ferito le pupille dilatate non vi era più traccia.
Il corpo privo di sensi di Sherlock Holmes giaceva immobile sulla lettiga nel reparto di rianimazione del St Bart’s, mentre un trionfo di tubi, cavi e macchinari riempiva lo spazio vuoto attorno a lui, in quella spoglia e asettica stanza. Per quanto potesse essere difficile da credere, l’enorme sforzo che aveva dovuto sopportare per scampare alla morte- anche quella volta- era stato vano, ed ora la sua mente era alle prese con le tenebre in cui era ricaduta subito dopo, alla disperata ricerca di una via di fuga dal temibile palazzo mentale  finito all’improvviso sotto il dispotico controllo di un irrazionale subconscio, in balia della follia.
Quando l’oscurità fu nuovamente illuminata da una forte luce bianca, Sherlock Holmes sapeva di non essere fisicamente sveglio.
l’impalpabilità dell’ambiente che lo circondava, così come l’incredibile leggerezza del suo corpo, rendeva quello scenario quasi paradisiaco, mascherando alla perfezione l’artificioso ingegno infernale che vi si nascondeva alle spalle. L’investigatore era steso su una fredda superficie di metallo- o almeno ipotizzava fosse fredda, data la sua somiglianza ad un tavolo per le autopsie, l’irrealtà di quella visione non dava possibilità di percezione-, avvolto dal suo elegante completo nero, lo stesso nel quale aveva ricevuto una pallottola nel petto e il foro fresco era ben riconoscibile sul tessuto bianco della camicia, ancora impregnato di sangue.
Ancora una volta la sua altalenante mente lo aveva catapultato in quell'atipica stanza antisettica, dove il candore del bianco prevaleva in ogni dove, disperdendo qualsiasi traccia di profondità vi fosse, tanto da mettere in discussione la presenza di mura o limiti.
Oh, ti sei svegliato finalmente!”- Esclamò una familiare voce con un tono acido e annoiato che poco gli si addiceva. Sherlock Holmes si sollevò subito da quella lastra di ferro, rivolgendo lo sguardo sulla piccola figura seduta scomposta in un angolo della stanza.
I lineamenti dell’investigatore si piegarono in un’espressione perplessa. –“John”- Sussurrò con un amaro stupore nella voce.
“Già, proprio io”- Confermò con un arrogante sorriso, masticando rumorosamente una gomma. -“Non te l’aspettavi, eh? Pensavi che il tuo subconscio ti avrebbe risparmiato lo straziante confronto con l’unica persona di cui ti sia mai importato così tanto, ma a quanto pare  ti sbagliavi”- Continuò,  pavoneggiando un’insolenza che non gli apparteneva. –“Sono pur sempre una tua debolezza”-
La proiezione dell’amico si muoveva lenta in una confusa traiettoria, aveva un’aria annoiata, i capelli erano scompigliati e le ombre nere sotto i suoi occhi più marcate del solito; persino gli occhi grigi erano stati alterati da una malsana scintilla: del Dottor Watson, quell’imitazione, aveva ben poco se non le sembianze.
Sherlock Holmes rivolse una profonda occhiata di disprezzo al suo interlocutore, perfettamente cosciente di quale demonio si celasse dietro quel familiare aspetto.
Il confronto con i suoi demoni non sembrava essersi concluso, c’era qualcos’altro che Sherlock aveva  ingenuamente sottovalutato e che ora lo teneva prigioniero nella sua stessa mente. Era un luogo pericoloso, soprattutto quando era il suo subconscio a dettare le regole del gioco e la morfina in circolo nel suo corpo non lo rendeva in grado di annientare quelle assurde allucinazioni, che avevano il solo scopo di trascinarlo negli inferi dai quali provenivano.
Non dici nulla?”- Il tremolante timbro di voce del suo migliore amico giunse per l’ennesima volta alle sue orecchie, ma nel riflesso maligno delle sue iridi, Sherlock riconosceva qualcun altro. –“Oh, ho capito: mi stai studiando. Quello sguardo cauto e spregevole che si muove lento, squadrando gli indiziati dalla testa ai piedi, mentre la tua mente elabora tutto quello che gli altri non notano e la tua lingua freme per far sapere al mondo in intero quanto tu sia intelligente con una delle tue accurate e sbalorditive deduzioni”- Le provocazioni scivolarono addosso l’investigatore, sempre più concentrato nel carpire  i particolari dell’uomo che gli si muoveva davanti, ma invano.
Quella fotocopia che aveva davanti non era altro che un’insulsa proiezione, senza spessore o integrità, una macchina creata con l’intento di tormentarlo, mentre la sabbia nella sua clessidra cominciava ad esaurire. Fu in quel momento che la testa del detective cominciò a prendere consistenza, così come il resto del suo corpo, un enorme macigno che lo spingeva con un’opprimente pressione al suolo immateriale, vincolandolo lì dove era, mentre  il suo migliore amico si divertiva ad angustiarlo.
Le labbra del medico si curvarono soddisfatte verso l’alto, di fronte alla confusione dell’investigatore. –“Non ci riesci, non è così? Come non sei riuscito a riconoscere che mia moglie era una bugiarda. Ottimo lavoro, davvero geniale”- Lo rimproverò improvvisamente adirato. Sherlock trasalì impercettibilmente. Era il suo subconscio a torturarlo o il suo senso di colpa?
Riesci a carpire ogni, fottutissima cosa, Sherlock. Ogni cosa. Eppure hai lasciato al caso decine, centinaia di fondamentali dettagli, perché?” – Continuò il medico, gli occhi sbarrati dalla frustrazione. –“Perché sei stato così stupido?”-  Tuonò.
Lo sguardo di Sherlock Holmes si perse nel vuoto di quella stanza, interrogandosi più e più volte su quelle domande che non gli era stato permesso urlare, cedendo al meschino gioco in cui quell’uomo lo stava trascinando.  Ma non esistevano risposte a quei quesiti tanto incriminati.
Aveva fallito, l’incredibile consulente investigativo aveva fallito in pieno, ed ora a scontare il prezzo di quel decisivo errore toccava alla sua vita, contesa fra la vita e la morte e l’unica persona in grado di prendere l’ennesima decisione sbagliata era lui.
Non te ne sei accorto neanche tu. L’hai sposata, ci hai vissuto per ben due anni senza avermi tra i piedi e quel pensiero non ti ha nemmeno sfiorato la testa”- Ribatté  Sherlock, deciso a prendere parte a quell’assurdo gioco che l’irrazionale io gli aveva parato davanti.
John scosse la testa più volte in segno di dissenso, mentre gli occhi grigi venivano velati da una patina lucida. –“Non provarci. Non scaricare le tue colpe su di me. Come potevo? Pensavo di essere felice, pensavo di aver trovato la persona giusta …”-
Ti sbagliavi. Così come mi sono sbagliato io”- Continuò  il detective, alleggerendo il peso che lo bloccava al suolo.
Forse era quella la chiave, Sherlock era convinto di aver intuito come sopraffare il suo avversario, ma sapere che quello aveva già vinto in partenza.
Il soldato gli rivolse un’occhiata spregevole e ricolma di odio, pensante quanto il macigno da cui stava cercando di liberarsi. –“Come ci riesci, Dio, Come?”- La sua voce risuonò per tutta la sala. –“Come riesci ad affibbiare le tue colpe sempre sugli altri, sempre su di me? Non sarà così facile, Sherlock. Non questa volta.”- Il malsano sguardo aveva dato all’intero viso un aria stanca e martoriata, come se dieci anni di vita fossero passati all’improvviso sulla sua pelle.
Per quanto Sherlock Holmes tentasse di rimanere lucido, non riusciva ad aggrapparsi a nessun filo logico, era nel bel mezzo di un oceano di follia, qualsiasi cosa avesse potuto dire, non avrebbe fatto la differenza. Se lo scopo del suo inconscio fosse stato quello di torturarlo fino a portarlo all’esasperazione, Sherlock avrebbe dovuto sopportare quel devastante confronto con le sue debolezze, paure e angosce fino alla fine, stando ben attento alle mosse scorrette di cui quella canaglia- che ora lo scherniva con folli occhiate - era capace.
Sei così noioso”- Sbuffò l’amico, muovendosi intorno alla figura immobile dell’investigatore, anche lui con un colorito poco sano e il viso stravolto dal dolore, la cui percezione era sotterrata dai farmaci in circolo per il sul corpo. –“La droga ti rende noioso, o forse ti sei arreso all’idea di morire?”- La sua espressione era istantaneamente mutata, così come il tono della sua voce, tipico comportamento di una mente corrotta dalla pazzia.
Il volto dell’investigatore rimaneva immutato, serio e glaciale si limitava a guardare sprezzante l’uomo che –fastidiosamente - gli si muoveva intorno, aspettando pazientemente la sua prossima mossa.
Povero John, riuscirà sopportare – ancora una volta –lo straziante dolore di aver perso il proprio migliore amico? Oppure ti odierà e si rifiuterà di reggere il peso di quella perdita, vivendo nella vana illusione che tu possa tornare, un giorno, e aspetterà il tuo eterno non ritorno”- Sherlock Holmes rimase impassibile. –“Ma forse è meglio così, almeno non dovrò mai convivere con la triste realtà di aver sposato una bugiarda e che la madre dei miei figli è in realtà un’assassina. Proprio quella che ha ucciso il mio migliore amico. Vivrò nella menzogna e tu non potrai fare nulla, perché sarai troppo occupato a farti mangiare dalle larve”- Continuò, fermandosi di fronte a lui.
Gli occhi di Sherlock Holmes si trovarono a fronteggiare l’artificioso sguardo di quell’uomo, enigmatico e oscuro sembrava nascondere tutte le verità che il consulente investigativo aveva preferito non conoscere, realtà a cui aveva preferito sottrarsi, favo reggendo l’odioso ignoto pur di fronteggiarle nella loro devastazione. E sapeva sarebbero uscite fuori, una dopo l’altra, glielo leggeva dal perfido e arrogante sorriso che spesso – come in quel momento – curvava le labbra del suo migliore amico, come se potesse leggere i suoi pensieri e prevedere qualsiasi mossa Sherlock avesse in serbo. Era un avversario critico, quello che aveva di fronte, l’aveva capito subito dall’aspetto che quel demone aveva preso e dalle parole avvelenate che uscivano dalla sua bocca.
L’immagine del tuo cadavere in decomposizione non ti turba minimamente, Sherlock? Oppure stai bluffando, come fai sempre, dopo tutto”- Disse, riprendendo la sua circolare traiettoria attorno al detective. –“Ma voglio venirti incontro, voglio essere ottimista. Supponiamo tu riesca ad uscire da qui, Sherlock, supponiamo tu sia così intelligente da ingannare la morte una seconda volta, cosa farai?”- Chiese con un accentuato interesse nella voce.
L’investigatore rimase in quella statica posizione per lunghi secondi, senza scandire una sola sillaba, impiegando quel silenzio a studiare il suo avversario, ponendo attenzione  su ogni mossa e ogni parola,  mentre consultava invano il suo archivio personale, che sembrava non avere una risposta a quella domanda; per quanto necessitasse lasciare quel posto, quella possibilità era ancora troppo lontana e l’uomo con cui si stava confrontando era ad un’imparagonabile distanza dal reale  John Watson per far sembrare tangibile – anche solo lontanamente- quell’allucinazione. Confusione, ecco cosa stava dominando nella sua delirante mente in quel momento, che fosse indotta dal suo stato comatoso, dai farmaci o dal suo ostinato subconscio, quell’incredibile mente aveva perso la lucidità che orchestrava l’ordine logico al quale era vincolata, era stata corrotta dal disordine dell’irrazionalità e la follia aveva preso il comando.
Non c’era razionalità nell’uomo bipolare che gli camminava intorno, mentre  schiacciava rumorosamente tra i denti una gomma da masticare, cercando di scaturire con le sue provocazione la reazione dell’uomo impassibile che si divertiva a martoriare, anche solo con taglienti occhiate.
Silenzio. E’ questa la tua risposta? Così mi rendi tutto più semplice. Non devo neanche perdere tempo a controbattere, posso distruggerti senza che tu dica nulla”- Ghignò.-“Non ti è dispiaciuto affatto scoprire il lato oscuro di Mary, non è così? Finalmente il castello di carte che ero riuscito a costruirmi con la tua assenza avrebbe avuto un buon pretesto per crollare, ed in fondo non desideri altro che questo accada”- La saldezza del detective vacillò per un attimo, e la sua indifferenza fu tradita da un sussulto- sebbene impercettibile- nel suo sguardo. –“Eccolo, il tentennamento. La prova evidente che anche la tua corazza è in grado di essere scalfita come quella di chiunque altro, magnifico”- Si fermò di nuovo, riprendendo il gioco di sguardi che prima aveva scelto di interrompere per proseguire sul suo ripetitivo e opprimente percorso. –“Ammetti che ti manca il tuo inquilino, la quotidianità che ti era abituato a dare per scontato, persino degli interminabili pomeriggi piovosi trascorsi in casa- dove la noia regnava sovrana e il silenzio era costantemente interrotto dalle  tue ripetitive lamentele su quanto ti stessi annoiando – senti la mancanza”- Sherlock Holmes continuò a rimanere nel suo risoluto silenzio, non c’era nulla da ribattere a quelle imputazione, aveva scelto di essere un taciturno spettatore di quel processo alle sue debolezze, non era più il momento di controbattere manipolando la realtà.
Non c’è più nessuno che ti ascolti dentro quell’impolverato appartamento, se non il teschio sul caminetto. Ma che ti è successo? La solitudine che prima ti proteggeva ora sembra soffocarti, cosa è accaduto alla perfetta macchina che regnava qui dentro?”- Il dottor Watson allargò le braccia, indicando l’enorme spazio circostante.
 Sherlock Holmes gli rivolse un amaro sorriso, amaro tanto quanto la risposta a quel quesito. –“E’ stata corrotta da un’irrazionale difetto chimico, una malattia alla quale credevo d’essere immune”-
Stai parlando dei sentimenti, Sherlock, proprio tu? Non erano debolezze destinate ai perdenti?”- La scintilla negli occhi grigi del soldato si era fatta improvvisamente più accesa, ardeva come fiamme da dentro le pupille nere, alimentata da un’ improvvisa soddisfazione, probabilmente provocata da quelle parole tanto ambite.
Gli unici vincitori sono le macchine, le uniche prive dell’raziocinio umano, lo stesso che ci rende tanto forti e che al tempo stesso ci uccide”- Rispose l’investigatore, con la sua solita e professionale freddezza,  che inglobava le sue pensati parole in una leggerezza poco consona.
I lineamenti sul volto del suo migliore amico ricaddero all’improvviso in una seria e allarmata espressione,  confondendo- più di quanto già non fossero- i pensieri e le ipotesi che si era sforzato di elaborare.  –“Stai ammettendo le tue debolezze”- Disse, quasi sussurrando.
Non le ho mai negate”- Confermò Sherlock Holmes, determinato.
Gli occhi grigi del soldato si spalancarono, adirati. –“Molto peggio. Tu le hai rinchiuse in una stanza del tuo stupido palazzo e poi hai gettato la chiave. Le hai oppresse, schiacciate in un angolo buio del tuo cervello, illudendoti di riuscire a dominarle, prima che quest’ultime potessero riuscire a dominare te.  Sapevi che questo momento sarebbe arrivato, Sherlock. Sapevi che quella porta si sarebbe aperta e che avresti dovuto fronteggiarle. Ora è arrivato il momento, ma sei pronto per affrontarle?”-
Il corpo di Sherlock Holmes si irrigidì. Se fino a qualche istante prima era potuto sembrare sorretto dall’opprimente forza che lo immobilizzava al centro di quell’asettica stanza, ora non lo era più. –“Che cosa vuoi da me?”- Domandò il detective esasperato.
Una risposta.”- Il soldato si era pericolosamente avvicinato al suo interlocutore.-“Cosa mi dirai? Perché sappiamo entrambi che darò ascolto a te, puoi decidere di far tornare le cose alla normalità che ti manca tanto, la scelta spetta solo a te”- Lo provocò. E per quanto Sherlock sapesse che quella fosse la scelta sbagliata, indotta dai suoi demoni, era quella che il suo egoismo bramava, quella per cui ne sarebbe valso la pena reagire. Doveva scegliere, eppure non riuscì a realizzare quanto quella scelta fosse importante fin quando il Dottor Watson – l’assurda e ingannevole proiezione  del suo migliore amico – tirò fuori dalla sua giacca una pistola.
Ed ecco che quel sadico gioco giungeva ad una conclusione. Ma non il tipo di fine in cui Sherlock avrebbe dovuto prendere la sua ultima determinante decisione con una pistola puntata alla tempia, ma quello in cui doveva trovare il coraggio di mettere a tacere i suoi demoni, una volta per tutte.
Il tuo tempo sta scadendo”- Gli sussurrò in un orecchio. All’improvviso, lo statico silenzio che li circondava fu sovrastato dal rumore meccanico del monitoraggio della frequenza cardiaca dell’investigatore, irregolare scandiva lenta la sua fine.
John avanzò ulteriormente, finché le canne dell’arma non si schiacciarono sul suo petto. –“Premi il grilletto oppure no?”-
Sherlock Holmes impugnava saldamente la pesante pistola, pressata contro il torace del suo migliore amico, senza che il suo sguardo si muovesse dalle iridi grigie del suo compagno. I battiti erano sempre meno frequenti, più deboli, si avvicinavano verso l’oblio, spettava al consulente investigativo decidere se lasciarli continuare imperterriti la corsa verso l’eterno silenzio o deviarla premendo il grilletto.
Davvero stupidi i miei demoni a rifugiarsi dietro quell’aspetto, convinti che quel volto li protegga”- sentenziò l’investigatore carico di disprezzo.
Demoni?”- Il Dotto Watson scoppiò in una sonora risata. –“Quanto sei ottuso, Sherlock Holmes. Se avessi voluto finirti l’avrei già fatto ancora prima di iniziare questa conversazione”- Il soldato si fece serio. -“Non hai capito proprio niente”-insinuò con sufficienza.
Sherlock gli rivolse una scettica occhiata, continuando a premere l’arma contro di lui. –“Non sono una tua nemesi, io sono te, idiota”- Sbraitò. –“Sono le voci che metti sempre a tacere, sono la tue essenza, il tuo egoismo, il tuo fantasma. Ho assunto l’aspetto dell’unica persona nella tua intera vita che speravo avessi ascoltato, volevo che tu reagissi, invece ti sei fatto schiacciare senza dire una sola parola, ti sei arreso”- Sherlock Holmes era amaramente sorpreso da quelle parole, quasi sconvolto, mentre il suo cuore perdeva un altro battito.
Fin dal principio non vi era stato alcun intruso da fronteggiare, e Sherlock l’avrebbe dovuto capire; si trattava della sua mente, del suo inconscio, l’unico demone che l’avrebbe potuto uccidere era lui stesso, ma ancora una volta aveva scelto di non cogliere la verità e per poco non si era quasi ucciso con le sue stesse mani.
Allora fallo. Uccidi il tuo egoismo, prendi la giusta decisione e poni fine a questo strazio”- John avvicinò la sua mano a quella dell’investigatore, stringendola attorno all’arma.  Il cuore avrebbe retto ancora per poco, ma la certezza che uccidendo quella proiezione Sherlock sopravvivesse si era andata ad infrangere nelle ultime parole che quest’ultima aveva pronunciato. Il pensiero che non vi fosse alcuna via d’uscita sfiorò la mente dell’investigatore solo per un secondo, prima che la confusione che  dall’inizio aveva avvolto il suo cervello andò a disperdersi insieme a quella invera certezza.
Sherlock Holmes non avrebbe potuto vivere senza la sue essenza, e anche quella volta si preparò a prendere la decisione sbagliata: impiegò  meno di un secondo per divincolare l’arma dalla presa del medico, ancor meno per puntarla verso di lui.
SHERLOCK!”- Gridò John Watson, ma l’unico rombo che risuonò lì dentro fu lo sparo del proiettile.

Quando la luce ferì per l’ennesima volta il suo sguardo, Sherlock Holmes capì di esser sveglio; e quando John Watson – Il reale John Watson, il suo migliore amico, l’unica persona che avrebbe sempre amato- gli strinse la mano, Sherlock Holmes capì di essere vivo.


 

Spazio dell'autrice:

Buonsalve, miei prodighi lettori!
Vi ringrazio tanto per aver letto la mia storia, ovvimente- per non smentire la mia ossessione per Sherlock- l'ennesima oneshot a lui dedicata, con evidenti accenni alla mia suprema OTP. 
Spero vi sia piaciuta e, come al solito, mi farebbe piacere sapere un vostro pensiero al riguardo.
Un buffetto affettuoso sulla guancia e alla prossima!
E.J
  
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