Io sono ancora qui, mi vedi?
Rimase per qualche minuto in completo silenzio, con la testa bassa e gli occhi che guardavano, senza vederli, i lievi movimenti che la calda bevanda dorata faceva nella tazzina decorata. Strinse il manico tra le dita e con fare automatico soffiò via il vapore che si alzava dal tè, senza ancora cominciare a berlo.
Dietro di lui, un ragazzino biondo rimase in piedi ad osservarlo, le braccia abbandonate lungo il corpo e i ricci morbidi che gli sfioravano il volto. Non li spostò.
Arthur non parlava da giorni; come se non avesse più nessuno con cui discutere.
Rimaneva per ore con lo sguardo fisso, perso chissà dove, ogni tanto sospirava come una vecchia signora senza più nulla da fare.
Come se fosse da solo, se non avesse più niente a cui pensare.
Come se lui non ci fosse.
«Signor Inghilterra, si raffredderà…»
Il britannico si scosse come da un sogno, girandosi di colpo. Le iridi viola di Matthew brillarono per il riflesso della luce che entrava dalla finestra; sembravano stranamente lucide.
«Canada…da quanto tempo sei lì?»
«Non mi sono mai spostato.» Il ragazzo abbassò lo sguardo, tornando nello stesso innaturale silenzio di pochi secondi prima.
Matthew cresceva nello stesso modo in cui parlava e si muoveva: lentamente e in maniera impercettibile. Da quando lo conosceva, non si era mai lamentato di nulla. Era sempre stato silenzioso, tranquillo, educato.
Sorrideva per lui, durante quella guerra che lo aveva distrutto –più dentro che fuori. E ora stava in piedi accanto a lui, senza dirgli nulla, come se con le parole temesse di potergli far del male in qualche modo.
Canada era gentile e non aveva mai voluto imporsi sugli altri; o forse, non ne era mai stato in grado, chi lo sa? Ma era ancora un ragazzo, e come tale aveva bisogno di sentirsi apprezzato, di sapere che qualcuno lo considerava.
Arthur, nell’egoismo della sua disperazione, non se n’era mai accorto.
«Ti va di sederti?» Inghilterra indicò una sedia vuota accanto a lui. Il canadese alzò lo sguardo, fissandolo confuso ed incerto.
«Sta’ tranquillo, non ti obbligo a mangiare i miei scones se non ti vanno» scherzò il maggiore. Gli sorrise, e il luccichio di gioia negli occhietti timidi del ragazzino gli scaldò il cuore nel petto.
No, Arthur non era solo. Ed era stato uno stupido a dimenticarlo.