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Autore: Shichan    29/04/2009    9 recensioni
[Pandora Hearts]
«Gill?»
«Mh?» lo aveva sentito replicare, il tono ovattato ma indiscutibilmente sveglio.
«Scusa, pensavo ti fossi già addormentato, visto che ti eri zittito.»
«No, sono sveglio. Ma se è una promessa vostra, non ne dubiterei mai nemmeno per un momento.» aveva detto Gilbert, con quella gentilezza che gli apparteneva e che Oz – non lo avrebbe mai ammesso – amava tanto sentirsi rivolgere, perché era una gentilezza che somigliava molto a quella di una madre, per esempio.
O di una persona che ti vuole bene dal profondo del cuore.

[Spoiler sul capitolo 6 del manga]
Genere: Malinconico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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Nightmares

Disclaimer: i personaggi utilizzati sono © della sensei Mochizuki.

Come al solito, io non li utilizzo a scopo di lucro, ma solo perché il mio cervello è un flash perpetuo in formato fanfic.

Note: quando si dice “mi sono fissata”. Ecco XD Manga sconosciuto a buona parte del mondo credo e che merita di essere letto u.u E quindi io ci scrivo le fanfic (perché cribbio, ti dà spunti yaoi/shonen-ai da far andare le fangirl in brodo di giuggiole).

Lo shonen-ai qui è piuttosto leggero, talmente leggero che se non siete fissati quanto la sottoscritta è probabilissimo che nemmeno lo vedrete XP

 

 

Nightmares

They’re just dreams, you know?

 

 

Una volta, gli veniva da ridere a pensarci.

Ricordava in maniera molto nitida quella giornata di inizio Dicembre: era stata uno di quei giorni che i bambini non trovano divertenti, perché non si può giocare fuori. Aveva iniziato a nevicare piuttosto forte, verso metà pomeriggio e Mrs. Kate aveva insistito perché lui e Ada rimanessero al chiuso e al caldo.

In effetti, se anche all’inizio i fiocchi di neve erano stati belli da vedere mentre cadevano lentamente, imbiancando il giardino, quando il vento si era alzato e l’aria era diventata parecchio più fredda, persino lui che solitamente faceva l’esatto opposto di quanto detto da Mrs. Kate aveva deciso di darle ascolto.

Lui e Ada, insieme a Gill, erano rimasti a giocare in casa.

Poi però anche il nascondino fra i mobili e le varie camere era diventato noioso e stancante: le stanze erano troppe per essere controllate tutte e alla fine, capitava anche di dimenticarsi dove fare la tana.

Il caso aveva voluto che, proprio mentre prendevano il thé e facevano merenda, fosse rientrato loro zio Oscar; Oz aveva insistito perché restasse lì con loro e gli raccontasse qualcosa di divertente, per passare il tempo almeno finché non trovavano un gioco interessante da fare.

Lo zio, con un sorrisetto divertito – beata ingenuità! Se fosse stato attento, Oz avrebbe capito che era il caso di ritirare quella richiesta, o almeno di cambiarla – aveva annuito, aspettando che fossero tutti e tre sistemati su uno dei divanetti.

Dopo essersi seduto sulla poltrona proprio di fronte a loro, Oscar aveva preso a raccontare: la storia non era stata lunghissima. Ambientata nell’Abisso per ovvi motivi – che ironia. Adesso come adesso, pur non ricordandola, trovava quella scelta paradossale e a suo modo disgustosa.

Nell’Abisso, perché era il luogo di cui i bambini avevano più paura, proprio per le storie che si raccontavano su di esso – la maggior parte delle volte per spaventarli un po’ e renderli meno disobbedienti quando una ramanzina non era sufficiente.

Ada era arrivata sì e no alle prime battute: Mrs. Kate, passata nella stanza per portare il thé al signor Oscar aveva capito cosa stava avvenendo e, inorridita, aveva portato via la bambina. Avrebbe certamente fatto lo stesso con Oz e Gill, se solo il biondo non si fosse opposto con fermezza.

E Gilbert se ne sarebbe andato più che volentieri se solo Oz non avesse optato per l’ennesimo abuso di potere ordinandogli di rimanere lì con lui.

Il povero Gilbert non aveva avuto scelta e Mrs. Kate se ne era andata con Ada in un’altra stanza.

Il racconto era proseguito; Oz era stato pronto a giurare di aver sentito Gill sobbalzare tre volte e tremolare almeno altre quattro. Con un sorrisetto, si era detto che lo avrebbe preso in giro alla prima occasione o che magari avrebbe ritirato fuori quella storia il giorno che ricattarlo con un gattino innocente non sarebbe più stato di troppa utilità.

Alla fine, col cielo scuro che aveva dato quel qualcosa di tetro al racconto, Oz si era detto che non era stata proprio un’idea geniale farselo dire. Ovviamente sapeva che era inventato!

…però era stato inquietante lo stesso. Era un bene che Ada non fosse rimasta.

Lo zio Oscar poi se n’era andato nemmeno un’ora dopo: lavoro, aveva detto. Oz, Gill e Ada erano nuovamente rimasti soli con la servitù e la cena era stata servita con un poco di anticipo.

Dopo aver mangiato, Ada aveva convinto sia il fratello che Gilbert a giocare tutti insieme a carte e i due più grandi l’aveva accontentata, grati di aver trovato un gioco da fare anche al coperto e di non essere costretti ad andare subito a dormire.

Infine, quando erano ormai quasi le undici, Mrs. Kate era arrivata a sibilargli di andare a dormire – non era da biasimare. Era già la terza volta in un’ora che gli diceva di farlo.

E poiché nessuno dei tre amava sfidare la governante nel momento in cui iniziava a sibilare pericolosamente, avevano deciso che sì, era proprio ora di andare a dormire.

Ora che ci facevano caso, avevano un sonno… – e sì, se state pensando che il sonno improvviso fosse dovuto allo sguardo di fuoco di Mrs. Kate, avete totalmente ragione.

 

Era stato per la gola secca, che Oz si era svegliato e soprattutto si era convinto ad abbandonare il tepore del letto.

Solo che, quando era andato a prendere l’acqua che solitamente aveva sempre sul comodino per ogni evenienza in piena notte, come quella, l’aveva trovata vuota. Per un attimo era stato piuttosto perplesso: raramente avvenivano dimenticanze simile da parte della servitù.

In ogni caso, l’unica opzione era stata scendere nelle cucine a prenderne: non aveva intenzione di fare il tragitto camera-bagno tutta la notte, viste anche le temperature non proprio elevatissime.

Raggiungere le cucine non era difficile: bastava scendere al piano terra e prendere il corridoio sulla sinistra che portava agli alloggi della servitù e al termine del quale si trovavano proprio le cucine, ampie e silenziose. Indossate vestaglia e pantofole, aveva quindi fatto tutto il percorso in silenzio, aiutandosi a non inciampare sulle scale con la candela accesa precedentemente in camera; accendere le luci e svegliare tutti proprio non gli era parso il caso.

Era stato attraversando il corridoio con le stanze della servitù che aveva fatto attenzione a coprire in parte la luce della fiammella con la mano, attento a non scottarsi: tutto era silenzioso ed immerso nell’oscurità. I suoi passi, benché felpati, risuonavano comunque, per quanto attutiti sia dalle pantofole che dall’attenzione che Oz prestava al non fare rumore. Davanti all’ennesima stanza, però, trasalì.

Un rumore attutito ma udibile gli era arrivato alle orecchie dal nulla, proprio oltre quella porta.

Aveva occhieggiato la superficie lignea, fiocamente illuminata dalla fiammella della candela appena protesa in avanti: di nuovo, lo stesso rumore, decisamente simile a…

«Singhiozzi?» aveva sussurrato a sé stesso, avvicinandosi di qualche passo, fino a poter quasi poggiare l’orecchio alla porta. Silenzio.

…e rumore, ancora una volta. E non aveva avuto dubbi, sul fatto che si trattasse proprio di singhiozzi. E non c’erano molte persone che potessero singhiozzare a quell’ora di notte con la voce simile a quella di un bambino e soprattutto così simile a quella di Gill.

In silenzio, aveva soffiato per spegnere la fiammella della candela, prima di poggiare un po’ a tentoni la mano sulla maniglia della porta ed aprirla. Aveva spinto appena, per socchiuderla quanto bastava ad insinuarsi nella stanza.

Il singhiozzare si era fermato, probabilmente Gill si era accorto della porta che si apriva: tuttavia, Oz aveva parlato solo dopo essersi accorto di averla richiusa completamente.

«Gill?» aveva chiamato e avrebbe giurato di aver sentito un sospiro sollevato provenire da dove doveva trovarsi l’amico.

«S-Signorino?» gli aveva sentito pronunciare, ritrovandosi a sorridere nel riconoscere nella voce un misto fra paura e calma. Assurdo forse, ma dopotutto era di Gill che si parlava. Si era quindi avvicinato a lui, facendosi guidare dalla sua voce, dandogli motivo di parlare con domande quali: «Stavi singhiozzando?»

Gilbert non aveva risposto subito: «…ho s-solo avuto un incubo. Ma voi, signorino Oz, perché siete qui?» aveva domandato infine. Il biondo era riuscito a raggiungere Gill, visto che comunque la stanza non era poi molto grande. Individuato a tentoni il comodino, vi aveva posato il piattino che teneva la candela ora spenta.

«Stavo andando in cucina per bere, ma poi ho sentito un rumore.» aveva spiegato, mettendo appena a fuoco la figura del moro quando i suoi occhi avevano iniziato ad abituarsi all’oscurità: «Che incubo era?» aveva poi indagato, puntando lo sguardo sulla sagoma di Gilbert.

Avrebbe giurato di averlo visto sussultare appena.

Poi, come se fosse stato ovvio fino a quell’istante, gli era venuto in mente: «Gill, non sarà che hai paura della storia che ha raccontato lo zio?» aveva chiesto e Gilbert era sempre stato un ragazzino gentile, ma non aveva mai saputo mentire.

Con voce un po’ tremolante, aveva annuito: «Mi dispiace…» aveva mormorato senza motivo apparente e prima di poterselo evitare, Oz si era ritrovato a ridacchiare piano, sommessamente.

«Non ci credo, ci hai creduto davvero, Gill? Ma era tutto inventato, credulone!»

«Non è colpa mia, se l’Abisso di cui parla il signor Oscar mi spaventa, va bene?!» aveva sbottato Gill, così improvvisamente e in maniera così lontana dal suo normale modo di fare e di essere, che per un attimo Oz era rimasto spiazzato. Ma prima che avesse potuto chiedere qualsiasi cosa, Gilbert aveva parlato per primo, il tono mortificato: «Scusatemi, n-non volevo rispondere a quel modo, io… io…» aveva iniziato, e anche se non poteva vederlo Oz riusciva ad immaginare persino l’espressione sul volto dell’altro.

«Ti fa così paura?» aveva chiesto, una strana decisione nella voce che Gilbert aveva probabilmente scambiato per irritazione verso la sua mancanza di rispetto a giudicare dalla sua risposta: «Scusate, sono solo…» aveva iniziato, ma lo stesso Oz lo aveva fermato.

La sua figura era ormai nitida per Gilbert e viceversa, tanto che allungare una mano verso il suo viso per zittirlo non era stato difficile: «Voglio solo sapere se sei così tanto spaventato da quella storia, Gill.» aveva ribadito, il tono in qualche modo simile a prima, ma palesemente non irritato, anzi. Forse c’era quella curiosità che lo contraddistingueva sempre.

«Sì. È che… l’ho sognato e allora…» aveva mormorato Gilbert, impacciato dalla situazione e da quella dimostrazione di debolezza probabilmente. Oz però, aveva semplicemente sorriso, dopodiché un po’ a tentoni, un po’ facendo attenzione per quel che riusciva a distinguere delle varie sagome, era salito sul letto di un Gilbert piuttosto perplesso.

«Cosa fate, signorino…?» aveva domandato, incuriosito e senza capire, né indovinarlo da solo.

Oz a quel punto aveva ridacchiato: «Dormirò con te, stanotte, ovvio!» aveva esclamato, come se fosse la cosa più scontata e naturale del mondo.

Il biondo non aveva potuto vederlo, ma Gilbert aveva assunto una colorazione rossastra in zona guance e aveva abbassato istintivamente lo sguardo: «Signorino non potete dormire nella stanza di un servitore, non sta bene e Mrs. Kate si arrabbierà con voi.» aveva cercato di farlo ragionare, mentre il biondo per tutta risposta si metteva sotto le lenzuola, alla sinistra di Gill, il lato del letto che stava direttamente attaccato al muro.

«Se è per questo, si arrabbierà di più con te!» gli aveva fatto notare con un che di divertito nel tono di voce. Gilbert aveva sospirato: «E avrebbe ragione, non dovrei permettervi di restare qui, ma riaccompagnarvi in camera. Davvero, signorino, non…» aveva iniziato Gill e solo Oz sapeva che se si impegnava, il moretto poteva fare paternali molto più lunghe di Mrs. Kate – anche se quelle di Gill più che infastidirlo lo facevano sorridere. O al massimo, mettere il broncio.

Ma il biondo non aveva voglia di fare nessuna delle due cose e comunque non si sarebbe mai lasciato convincere; aveva quindi allungato una mano, sfiorando con l’indice il naso del moro – l’intento era la bocca per fargli segno di zittirsi, ma al buio si era confuso, visto che Gill era anche controluce rispetto a quella poca che filtrava dalla finestra.

Aveva ridacchiato, sentendo l’altro zittirsi comunque: «Eddai, Gill, dormiamo insieme, non c’è niente di male!» aveva esclamato, sdraiandosi quindi del tutto, poggiando la testa al cuscino. Il moro aveva sospirato rassegnato: quando il suo giovane signore decideva qualcosa era sempre inutile provare a fargli cambiare idea.

Sistematosi a sua volta sotto le coperte, però, lo attendeva l’ennesima presa di posizione di Oz Bezarius. Il biondo, infatti, lo aveva abbracciato prima che potesse sistemarsi in qualsiasi altro modo.

Aveva circondato le spalle dell’amico con le braccia, come avrebbe fatto con la sua sorellina; e dopotutto, lo considerava proprio così: il suo fratellino che ogni tanto diventava il maggiore fra loro due, e il suo migliore amico.

«Signorino, che cosa…?» gli aveva sentito chiedere, l’imbarazzo tipico del suo carattere timido nella voce. Oz aveva sorriso, ma non di scherno o divertito. Aveva sorriso con dolcezza, stringendo un po’ l’abbraccio.

«Così non farai nessun brutto sogno.» aveva assicurato, giustificando il suo gesto. E, come a dare conferma alle sue stesse parole, aveva sfiorato la fronte di Gilbert con le labbra.

Se avesse visto al buio, avrebbe di certo notato il rossore sulle guance di Gilbert aumentare.

E Gilbert avrebbe notato di certo che anche Oz era arrossito un po’ per quel gesto fatto raramente persino con Ada.

Ma in fondo, andava bene anche così.

Gilbert, senza più repliche – forse cosciente che non avrebbero comunque convinto Oz, o forse non voleva semplicemente replicare più visto che quell’abbraccio era caldo, e così familiare – si era accoccolato di più al biondo.

Per due bambini, dimenticare per un pochino di essere un servitore e il suo signore andava bene.

Oz, completamente rilassato in quella posizione – forse perché finalmente Gilbert si era rilassato a sua volta, o forse perché quell’abbraccio dava un’inaspettata sensazione di calore e di familiarità – aveva appoggiato il mento fra i capelli di Gilbert.

«Davvero?» aveva sentito poi chiedere al moro, senza preavviso, tanto che non aveva capito subito a cosa si riferisse.

«Cosa, Gill?»

«Davvero non farò brutti sogni, così?» aveva chiarito la domanda.

Oz aveva sorriso, di nuovo – era strano pensare a quante volte lo facesse con Gill, proprio lui che non credeva in nessun “per sempre”, nemmeno nelle amicizie: «Davvero, te lo prometto.» aveva risposto.

E Gill, non aveva più parlato, tanto che Oz ad un certo punto aveva rotto il silenzio, incerto; forse Gilbert si era già riaddormentato.

«Gill?»

«Mh?» lo aveva sentito replicare, il tono ovattato ma indiscutibilmente sveglio.

«Scusa, pensavo ti fossi già addormentato, visto che ti eri zittito.»

«No, sono sveglio. Ma se è una promessa vostra, non ne dubiterei mai nemmeno per un momento.» aveva detto Gilbert, con quella gentilezza che gli apparteneva e che Oz – non lo avrebbe mai ammesso – amava tanto sentirsi rivolgere, perché era una gentilezza che somigliava molto a quella di una madre, per esempio.

O di una persona che ti vuole bene dal profondo del cuore.

«Buonanotte, Gill.»

«Buonanotte, signorino Oz.»

 

***

 

Una volta, avrebbe riso, ripensandoci.

A quell’infantile paura degli incubi; ma ora, era diverso. L’Abisso non era un incubo, e se lo era, era troppo reale.

Ancora gli tornava in mente la sensazione di quel qualcosa all’altezza dello stomaco, l’odore così strano e nauseante al tempo stesso. L’impressione di qualcosa che stringeva, quasi mozzava il fiato, impietosa.

Ed ora, come quel bambino che lui stesso una volta aveva tranquillizzato, tremava in un letto che non rappresentava affatto un posto sicuro.

E si era alzato, con chissà quale sciocca pretesa; se glielo avessero chiesto – oh quanto lo avrebbe preso in giro Alice! – avrebbe risposto semplicemente che non riusciva a dormire e aveva pensato di sgranchirsi le gambe almeno fino a quando non avesse sentito un po’ di sonno.

Eppure, i suoi piedi si erano mossi da soli.

Perché fosse di fronte alla stanza di Raven, era il primo a non capirlo.

Sapeva solo che ci era arrivato – forse era la consapevolezza che aveva, ora, che Raven era Gill? – ed era fermo di fronte alla porta, la mano a mezz’aria incerto se bussare o meno.

E l’abbassava, come a convincersi che non era il caso, ma anziché allontanarsi si era ritrovato a posarla sulla maniglia, ad abbassarla e spingere appena la porta, il giusto per socchiuderla, come tanti anni prima – e a lui non parevano, in fondo, che pochi mesi.

E quando si era riscoperto dentro la stanza di Raven, poggiato alla porta da lui stesso chiusa alle proprie spalle, con un paio di occhi dorati che lo guardavano perplessi nell’oscurità, era troppo tardi per uscire e sperare di non essere notato.

«Young Master?» sentì pronunciare al moro, che si tirava su a sedere, da sotto le coperte.

Si morse un labbro; e poi, sorrise.

«Gill?» domandò – ma non era affatto una domanda. Però era importante che lo sembrasse: «Ah, cavolo ero convinto di aver azzeccato stanza, almeno questa volta!» aggiunse.

Lo sapeva bene, che non era la sua stanza, ma era importante che sembrasse il contrario: se così non fosse stato, Gilbert avrebbe capito che cercava proprio lui.

E lui, Gill, si preoccupava sempre troppo – e lui no, non lo meritava affatto.

Alzò lo sguardo sul moro che lo fissava ancora come se lo stesse quasi studiando: non si riusciva a capire se avesse inquadrato quella sua bugia come tale o meno.

«Sbagliate spesso stanza?» chiese, senza lasciar comprendere a Oz quanto le sue parole fossero state prese sul serio. Ma si disse che, se Gilbert non chiedeva nulla, andava bene così.

Si avvicinò, ridacchiando appena, impacciato – falsamente impacciato.

«Da quando siamo qui, spesso. Almeno, quando mi sveglio.» ammise, ormai nei pressi del letto date le dimensioni non eccessive della stanza.

Proprio come allora.

Raven – Gilbert – lo osservò in silenzio, annuendo semplicemente alle sue parole. Poi, allungando una mano in un gesto lento, come a dare il tempo all’altro di spostarsi qualora lo avesse voluto, posò la mano sulla testa del biondo.

Non un gesto di sottomissione.

Un gesto d’affetto, gentile, come gentile era sempre stato quel modo di fare di Gill.

«Signorino… per caso avete avuto un incubo?» chiese, il tono in qualche modo conciliante, come volesse metterlo a suo agio e, al tempo stesso, avesse già avuto conferma di aver ragione senza bisogno della sua risposta.

Oz si irrigidì, anche se non avrebbe voluto; distolse lo sguardo, anche se avrebbe voluto mantenerlo inalterato e puntato sul viso di Gilbert.

«Perché me lo chiedi?»

«Perché siete pallido, e non sembrate stare bene.» replicò il moro, allontanando la mano.

E Oz si disse che aveva appena calato le difese e che non sarebbe riuscito più a tirarle su, per quella notte.

 

Non sapeva perché. Inizialmente si era solo limitato a sedersi sul bordo del letto su consiglio di Gilbert; non avevano parlato molto.

Oz non aveva trovato nulla da dire, nemmeno fingendo; Gilbert, da parte sua, non aveva fatto domande – come sempre. Erano rimasti nel completo silenzio.

E alla fine, Oz si era sdraiato rivolgendo lo sguardo al soffitto, come cercandovi una risposta ad una domanda sconosciuta persino a lui stesso. E Gilbert, che era sempre lo stesso, non importava quanto fosse passato, non aveva detto nulla lasciandolo fare.

Poi, semplicemente, si era sdraiato accanto a lui e prima che potesse rendersene conto, quel ricordo che lo faceva sorridere, quel Gill accoccolato a lui per la paura di uno stupido racconto dell’orrore, sembrava come capovolto.

Mentre il moro gli circondava le spalle in un abbraccio, Oz si chiese se lo ricordasse ancora.

Non ebbe tempo di chiederlo e forse, sentendosi sfiorare la fronte con le labbra, si disse che non ce n’era davvero bisogno.

«Che stai facendo, Gilbert?» mormorò impacciato, fingendo quasi di non ricordare quell’episodio.

«Così non farete nessun brutto sogno.» gli sentì rispondere e sarebbe stato pronto a giurare che Gilbert stesse sorridendo in quel momento.

Sospirò, rilassando le spalle che aveva irrigidito percependo quell’abbraccio e accoccolandosi in esso appena un po’ di più. Come il bambino che era.

Come quello che Gill non era più.

«Ci credete davvero?» gli sentì sussurrare, poco distante e quindi udibile.

Sapeva a cosa alludeva, ma voleva sentirlo dire da lui, che glielo chiedesse. Perché conosceva già la risposta.

«A cosa, Gill?»

«Che in questo modo non avrete gli incubi.» mormorò il moro. Sembrava incerto, come il Gilbert di una volta.

Oz sospirò appena, qualcosa che somigliava più ad uno sbuffo divertito, in realtà.

«Veramente non tanto.» ammise inizialmente. Poi, come un moccioso, strusciò appena la testa contro di lui: «Ma se è una promessa tua, Gill, allora non ne dubiterò mai nemmeno per un momento.» aggiunse.

Gilbert sorrise, e non disse nulla, e Oz tacque, prendendo sonno poco dopo.

 

«Young Master?»

«Che… che succede, Gill?»

«Stavate urlando, mi sono preoccupato…»

«Scusami. Ti ho svegliato, eh?»

Sorrideva.

E Gill scuoteva la testa.

«Avete avuto un incubo?»

«…Sì, ma non lo ricordo. Torna a dormire, Gill.»

 

Non poteva dirgli che aveva sognato di vederlo sparire.

   
 
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