Disclaimer: i
personaggi utilizzati sono © della sensei Mochizuki.
Come al solito, io non li
utilizzo a scopo di lucro, ma solo perché il mio cervello è un flash perpetuo
in formato fanfic.
Note: quando si
dice “mi sono fissata”. Ecco XD Manga sconosciuto a buona parte del mondo credo
e che merita di essere letto u.u E quindi io ci scrivo le fanfic (perché
cribbio, ti dà spunti yaoi/shonen-ai da far andare le fangirl in brodo di
giuggiole).
Lo shonen-ai qui è
piuttosto leggero, talmente leggero che se non siete fissati quanto la
sottoscritta è probabilissimo che nemmeno lo vedrete XP
Nightmares
They’re just dreams, you know?
Una volta, gli veniva da
ridere a pensarci.
Ricordava in maniera molto
nitida quella giornata di inizio Dicembre: era stata uno di quei giorni che i
bambini non trovano divertenti, perché non si può giocare fuori. Aveva iniziato
a nevicare piuttosto forte, verso metà pomeriggio e Mrs. Kate aveva insistito
perché lui e Ada rimanessero al chiuso e al caldo.
In effetti, se anche
all’inizio i fiocchi di neve erano stati belli da vedere mentre cadevano
lentamente, imbiancando il giardino, quando il vento si era alzato e l’aria era
diventata parecchio più fredda, persino lui che solitamente faceva l’esatto
opposto di quanto detto da Mrs. Kate aveva deciso di darle ascolto.
Lui e Ada, insieme a Gill,
erano rimasti a giocare in casa.
Poi però anche il
nascondino fra i mobili e le varie camere era diventato noioso e stancante: le
stanze erano troppe per essere controllate tutte e alla fine, capitava anche di
dimenticarsi dove fare la tana.
Il caso aveva voluto che,
proprio mentre prendevano il thé e facevano merenda, fosse rientrato loro zio
Oscar; Oz aveva insistito perché restasse lì con loro e gli raccontasse
qualcosa di divertente, per passare il tempo almeno finché non trovavano un
gioco interessante da fare.
Lo zio, con un sorrisetto
divertito – beata ingenuità! Se fosse stato attento, Oz avrebbe capito che era
il caso di ritirare quella richiesta, o almeno di cambiarla – aveva annuito,
aspettando che fossero tutti e tre sistemati su uno dei divanetti.
Dopo essersi seduto sulla
poltrona proprio di fronte a loro, Oscar aveva preso a raccontare: la storia
non era stata lunghissima. Ambientata nell’Abisso per ovvi motivi – che ironia.
Adesso come adesso, pur non ricordandola, trovava quella scelta paradossale e a
suo modo disgustosa.
Nell’Abisso, perché era il
luogo di cui i bambini avevano più paura, proprio per le storie che si
raccontavano su di esso – la maggior parte delle volte per spaventarli un po’ e
renderli meno disobbedienti quando una ramanzina non era sufficiente.
Ada era arrivata sì e no
alle prime battute: Mrs. Kate, passata nella stanza per portare il thé al
signor Oscar aveva capito cosa stava avvenendo e, inorridita, aveva portato via
la bambina. Avrebbe certamente fatto lo stesso con Oz e Gill, se solo il biondo
non si fosse opposto con fermezza.
E Gilbert se ne sarebbe
andato più che volentieri se solo Oz non avesse optato per l’ennesimo abuso di
potere ordinandogli
di
rimanere lì con lui.
Il povero Gilbert non aveva
avuto scelta e Mrs. Kate se ne era andata con Ada in un’altra stanza.
Il racconto era proseguito;
Oz era stato pronto a giurare di aver sentito Gill sobbalzare tre volte e
tremolare almeno altre quattro. Con un sorrisetto, si era detto che lo avrebbe
preso in giro alla prima occasione o che magari avrebbe ritirato fuori quella
storia il giorno che ricattarlo con un gattino innocente non sarebbe più stato
di troppa utilità.
Alla fine, col cielo scuro
che aveva dato quel qualcosa di tetro al racconto, Oz si era detto che non era
stata proprio un’idea geniale farselo dire. Ovviamente sapeva che era
inventato!
…però era stato inquietante
lo stesso. Era un bene che Ada non fosse rimasta.
Lo zio Oscar poi se n’era
andato nemmeno un’ora dopo: lavoro, aveva detto. Oz, Gill e Ada erano
nuovamente rimasti soli con la servitù e la cena era stata servita con un poco
di anticipo.
Dopo aver mangiato, Ada
aveva convinto sia il fratello che Gilbert a giocare tutti insieme a carte e i
due più grandi l’aveva accontentata, grati di aver trovato un gioco da fare
anche al coperto e di non essere costretti ad andare subito a dormire.
Infine, quando erano ormai
quasi le undici, Mrs. Kate era arrivata a sibilargli di andare a dormire – non
era da biasimare. Era già la terza volta in un’ora che gli diceva di farlo.
E poiché nessuno dei tre
amava sfidare la governante nel momento in cui iniziava a sibilare pericolosamente, avevano
deciso che sì, era proprio ora di andare a dormire.
Ora che ci facevano caso,
avevano un sonno… – e sì, se state pensando che il sonno improvviso fosse
dovuto allo sguardo di fuoco di Mrs. Kate, avete totalmente ragione.
Era stato per la gola
secca, che Oz si era svegliato e soprattutto si era convinto ad abbandonare il
tepore del letto.
Solo che, quando era andato
a prendere l’acqua che solitamente aveva sempre sul comodino per ogni evenienza
in piena notte, come quella, l’aveva trovata vuota. Per un attimo era stato
piuttosto perplesso: raramente avvenivano dimenticanze simile da parte della
servitù.
In ogni caso, l’unica
opzione era stata scendere nelle cucine a prenderne: non aveva intenzione di
fare il tragitto camera-bagno tutta la notte, viste anche le temperature non
proprio elevatissime.
Raggiungere le cucine non
era difficile: bastava scendere al piano terra e prendere il corridoio sulla
sinistra che portava agli alloggi della servitù e al termine del quale si
trovavano proprio le cucine, ampie e silenziose. Indossate vestaglia e
pantofole, aveva quindi fatto tutto il percorso in silenzio, aiutandosi a non
inciampare sulle scale con la candela accesa precedentemente in camera;
accendere le luci e svegliare tutti proprio non gli era parso il caso.
Era stato attraversando il
corridoio con le stanze della servitù che aveva fatto attenzione a coprire in
parte la luce della fiammella con la mano, attento a non scottarsi: tutto era
silenzioso ed immerso nell’oscurità. I suoi passi, benché felpati, risuonavano
comunque, per quanto attutiti sia dalle pantofole che dall’attenzione che Oz
prestava al non fare rumore. Davanti all’ennesima stanza, però, trasalì.
Un rumore attutito ma
udibile gli era arrivato alle orecchie dal nulla, proprio oltre quella porta.
Aveva occhieggiato la
superficie lignea, fiocamente illuminata dalla fiammella della candela appena
protesa in avanti: di nuovo, lo stesso rumore, decisamente simile a…
«Singhiozzi?» aveva
sussurrato a sé stesso, avvicinandosi di qualche passo, fino a poter quasi
poggiare l’orecchio alla porta. Silenzio.
…e rumore, ancora una
volta. E non aveva avuto dubbi, sul fatto che si trattasse proprio di singhiozzi.
E non c’erano molte persone che potessero singhiozzare a quell’ora di notte con
la voce simile a quella di un bambino e soprattutto così simile a quella di
Gill.
In silenzio, aveva soffiato
per spegnere la fiammella della candela, prima di poggiare un po’ a tentoni la
mano sulla maniglia della porta ed aprirla. Aveva spinto appena, per
socchiuderla quanto bastava ad insinuarsi nella stanza.
Il singhiozzare si era
fermato, probabilmente Gill si era accorto della porta che si apriva: tuttavia,
Oz aveva parlato solo dopo essersi accorto di averla richiusa completamente.
«Gill?» aveva chiamato e
avrebbe giurato di aver sentito un sospiro sollevato provenire da dove doveva
trovarsi l’amico.
«S-Signorino?» gli aveva
sentito pronunciare, ritrovandosi a sorridere nel riconoscere nella voce un
misto fra paura e calma. Assurdo forse, ma dopotutto era di Gill che si
parlava. Si era quindi avvicinato a lui, facendosi guidare dalla sua voce,
dandogli motivo di parlare con domande quali: «Stavi singhiozzando?»
Gilbert non aveva risposto
subito: «…ho s-solo avuto un incubo. Ma voi, signorino Oz, perché siete qui?»
aveva domandato infine. Il biondo era riuscito a raggiungere Gill, visto che
comunque la stanza non era poi molto grande. Individuato a tentoni il comodino,
vi aveva posato il piattino che teneva la candela ora spenta.
«Stavo andando in cucina
per bere, ma poi ho sentito un rumore.» aveva spiegato, mettendo appena a fuoco
la figura del moro quando i suoi occhi avevano iniziato ad abituarsi
all’oscurità: «Che incubo era?» aveva poi indagato, puntando lo sguardo sulla
sagoma di Gilbert.
Avrebbe giurato di averlo
visto sussultare appena.
Poi, come se fosse stato
ovvio fino a quell’istante, gli era venuto in mente: «Gill, non sarà che hai
paura della storia che ha raccontato lo zio?» aveva chiesto e Gilbert era
sempre stato un ragazzino gentile, ma non aveva mai saputo mentire.
Con voce un po’ tremolante,
aveva annuito: «Mi dispiace…» aveva mormorato senza motivo apparente e prima di
poterselo evitare, Oz si era ritrovato a ridacchiare piano, sommessamente.
«Non ci credo, ci hai
creduto davvero, Gill? Ma era tutto inventato, credulone!»
«Non è colpa mia, se
l’Abisso di cui parla il signor Oscar mi spaventa, va bene?!» aveva sbottato
Gill, così improvvisamente e in maniera così lontana dal suo normale modo di
fare e di essere, che per un attimo Oz era rimasto spiazzato. Ma prima che
avesse potuto chiedere qualsiasi cosa, Gilbert aveva parlato per primo, il tono
mortificato: «Scusatemi, n-non volevo rispondere a quel modo, io… io…» aveva
iniziato, e anche se non poteva vederlo Oz riusciva ad immaginare persino
l’espressione sul volto dell’altro.
«Ti fa così paura?» aveva
chiesto, una strana decisione nella voce che Gilbert aveva probabilmente
scambiato per irritazione verso la sua mancanza di rispetto a giudicare dalla
sua risposta: «Scusate, sono solo…» aveva iniziato, ma lo stesso Oz lo aveva
fermato.
La sua figura era ormai
nitida per Gilbert e viceversa, tanto che allungare una mano verso il suo viso
per zittirlo non era stato difficile: «Voglio solo sapere se sei così tanto
spaventato da quella storia, Gill.» aveva ribadito, il tono in qualche modo
simile a prima, ma palesemente non irritato, anzi. Forse c’era quella curiosità
che lo contraddistingueva sempre.
«Sì. È che… l’ho sognato e
allora…» aveva mormorato Gilbert, impacciato dalla situazione e da quella
dimostrazione di debolezza probabilmente. Oz però, aveva semplicemente sorriso,
dopodiché un po’ a tentoni, un po’ facendo attenzione per quel che riusciva a
distinguere delle varie sagome, era salito sul letto di un Gilbert piuttosto
perplesso.
«Cosa fate, signorino…?»
aveva domandato, incuriosito e senza capire, né indovinarlo da solo.
Oz a quel punto aveva
ridacchiato: «Dormirò con te, stanotte, ovvio!» aveva esclamato, come se fosse
la cosa più scontata e naturale del mondo.
Il biondo non aveva potuto
vederlo, ma Gilbert aveva assunto una colorazione rossastra in zona guance e
aveva abbassato istintivamente lo sguardo: «Signorino non potete dormire nella
stanza di un servitore, non sta bene e Mrs. Kate si arrabbierà con voi.» aveva
cercato di farlo ragionare, mentre il biondo per tutta risposta si metteva
sotto le lenzuola, alla sinistra di Gill, il lato del letto che stava
direttamente attaccato al muro.
«Se è per questo, si
arrabbierà di più con te!» gli aveva fatto notare con un che di divertito nel
tono di voce. Gilbert aveva sospirato: «E avrebbe ragione, non dovrei
permettervi di restare qui, ma riaccompagnarvi in camera. Davvero, signorino,
non…» aveva iniziato Gill e solo Oz sapeva che se si impegnava, il moretto
poteva fare paternali molto più lunghe di Mrs. Kate – anche se quelle di Gill
più che infastidirlo lo facevano sorridere. O al massimo, mettere il broncio.
Ma il biondo non aveva
voglia di fare nessuna delle due cose e comunque non si sarebbe mai lasciato
convincere; aveva quindi allungato una mano, sfiorando con l’indice il naso del
moro – l’intento era la bocca per fargli segno di zittirsi, ma al buio si era
confuso, visto che Gill era anche controluce rispetto a quella poca che
filtrava dalla finestra.
Aveva ridacchiato, sentendo
l’altro zittirsi comunque: «Eddai, Gill, dormiamo insieme, non c’è niente di
male!» aveva esclamato, sdraiandosi quindi del tutto, poggiando la testa al
cuscino. Il moro aveva sospirato rassegnato: quando il suo giovane signore
decideva qualcosa era sempre inutile provare a fargli cambiare idea.
Sistematosi a sua volta
sotto le coperte, però, lo attendeva l’ennesima presa di posizione di Oz
Bezarius. Il biondo, infatti, lo aveva abbracciato prima che potesse sistemarsi
in qualsiasi altro modo.
Aveva circondato le spalle
dell’amico con le braccia, come avrebbe fatto con la sua sorellina; e
dopotutto, lo considerava proprio così: il suo fratellino che ogni tanto
diventava il maggiore fra loro due, e il suo migliore amico.
«Signorino, che cosa…?» gli
aveva sentito chiedere, l’imbarazzo tipico del suo carattere timido nella voce.
Oz aveva sorriso, ma non di scherno o divertito. Aveva sorriso con dolcezza,
stringendo un po’ l’abbraccio.
«Così non farai nessun
brutto sogno.» aveva assicurato, giustificando il suo gesto. E, come a dare
conferma alle sue stesse parole, aveva sfiorato la fronte di Gilbert con le
labbra.
Se avesse visto al buio,
avrebbe di certo notato il rossore sulle guance di Gilbert aumentare.
E Gilbert avrebbe notato di
certo che anche Oz era arrossito un po’ per quel gesto fatto raramente persino
con Ada.
Ma in fondo, andava bene
anche così.
Gilbert, senza più repliche
– forse cosciente che non avrebbero comunque convinto Oz, o forse non voleva
semplicemente replicare più visto che quell’abbraccio era caldo, e così
familiare – si era accoccolato di più al biondo.
Per due bambini,
dimenticare per un pochino di essere un servitore e il suo signore andava bene.
Oz, completamente rilassato
in quella posizione – forse perché finalmente Gilbert si era rilassato a sua
volta, o forse perché quell’abbraccio dava un’inaspettata sensazione di calore
e di familiarità – aveva appoggiato il mento fra i capelli di Gilbert.
«Davvero?» aveva sentito
poi chiedere al moro, senza preavviso, tanto che non aveva capito subito a cosa
si riferisse.
«Cosa, Gill?»
«Davvero non farò brutti
sogni, così?» aveva chiarito la domanda.
Oz aveva sorriso, di nuovo
– era strano pensare a quante volte lo facesse con Gill, proprio lui che non
credeva in nessun “per sempre”, nemmeno nelle amicizie: «Davvero, te lo
prometto.» aveva risposto.
E Gill, non aveva più
parlato, tanto che Oz ad un certo punto aveva rotto il silenzio, incerto; forse
Gilbert si era già riaddormentato.
«Gill?»
«Mh?» lo aveva sentito
replicare, il tono ovattato ma indiscutibilmente sveglio.
«Scusa, pensavo ti fossi
già addormentato, visto che ti eri zittito.»
«No, sono sveglio. Ma se è
una promessa vostra, non ne dubiterei mai nemmeno per un momento.» aveva detto
Gilbert, con quella gentilezza che gli apparteneva e che Oz – non lo avrebbe
mai ammesso – amava tanto sentirsi rivolgere, perché era una gentilezza che
somigliava molto a quella di una madre, per esempio.
O di una persona che ti
vuole bene dal profondo del cuore.
«Buonanotte, Gill.»
«Buonanotte, signorino Oz.»
***
Una volta, avrebbe riso,
ripensandoci.
A quell’infantile paura
degli incubi; ma ora, era diverso. L’Abisso non era un incubo, e se lo era, era
troppo reale.
Ancora gli tornava in mente
la sensazione di quel qualcosa all’altezza dello stomaco, l’odore così strano e
nauseante al tempo stesso. L’impressione di qualcosa che stringeva, quasi
mozzava il fiato, impietosa.
Ed ora, come quel bambino
che lui stesso una volta aveva tranquillizzato, tremava in un letto che non
rappresentava affatto un posto sicuro.
E si era alzato, con chissà
quale sciocca pretesa; se glielo avessero chiesto – oh quanto lo avrebbe preso
in giro Alice! – avrebbe risposto semplicemente che non riusciva a dormire e
aveva pensato di sgranchirsi le gambe almeno fino a quando non avesse sentito
un po’ di sonno.
Eppure, i suoi piedi si
erano mossi da soli.
Perché fosse di fronte alla
stanza di Raven, era il primo a non capirlo.
Sapeva solo che ci era arrivato
– forse era la consapevolezza che aveva, ora, che Raven era Gill? – ed era
fermo di fronte alla porta, la mano a mezz’aria incerto se bussare o meno.
E l’abbassava, come a
convincersi che non era il caso, ma anziché allontanarsi si era ritrovato a posarla
sulla maniglia, ad abbassarla e spingere appena la porta, il giusto per
socchiuderla, come tanti anni prima – e a lui non parevano, in fondo, che pochi
mesi.
E quando si era riscoperto
dentro la stanza di Raven, poggiato alla porta da lui stesso chiusa alle
proprie spalle, con un paio di occhi dorati che lo guardavano perplessi
nell’oscurità, era troppo tardi per uscire e sperare di non essere notato.
«Young Master?» sentì
pronunciare al moro, che si tirava su a sedere, da sotto le coperte.
Si morse un labbro; e poi,
sorrise.
«Gill?» domandò – ma non
era affatto una domanda. Però era importante che lo sembrasse: «Ah, cavolo ero
convinto di aver azzeccato stanza, almeno questa volta!» aggiunse.
Lo sapeva bene, che non era
la sua stanza, ma era importante che sembrasse il contrario: se così non fosse
stato, Gilbert avrebbe capito che cercava proprio lui.
E lui, Gill, si preoccupava
sempre troppo – e lui no, non lo meritava affatto.
Alzò lo sguardo sul moro
che lo fissava ancora come se lo stesse quasi studiando: non si riusciva a
capire se avesse inquadrato quella sua bugia come tale o meno.
«Sbagliate spesso stanza?»
chiese, senza lasciar comprendere a Oz quanto le sue parole fossero state prese
sul serio. Ma si disse che, se Gilbert non chiedeva nulla, andava bene così.
Si avvicinò, ridacchiando
appena, impacciato – falsamente impacciato.
«Da quando siamo qui,
spesso. Almeno, quando mi sveglio.» ammise, ormai nei pressi del letto date le
dimensioni non eccessive della stanza.
Proprio come allora.
Raven – Gilbert – lo
osservò in silenzio, annuendo semplicemente alle sue parole. Poi, allungando
una mano in un gesto lento, come a dare il tempo all’altro di spostarsi qualora
lo avesse voluto, posò la mano sulla testa del biondo.
Non un gesto di
sottomissione.
Un gesto d’affetto,
gentile, come gentile era sempre stato quel modo di fare di Gill.
«Signorino… per caso avete
avuto un incubo?» chiese, il tono in qualche modo conciliante, come volesse
metterlo a suo agio e, al tempo stesso, avesse già avuto conferma di aver
ragione senza bisogno della sua risposta.
Oz si irrigidì, anche se
non avrebbe voluto; distolse lo sguardo, anche se avrebbe voluto mantenerlo
inalterato e puntato sul viso di Gilbert.
«Perché me lo chiedi?»
«Perché siete pallido, e
non sembrate stare bene.» replicò il moro, allontanando la mano.
E Oz si disse che aveva
appena calato le difese e che non sarebbe riuscito più a tirarle su, per quella
notte.
Non sapeva perché.
Inizialmente si era solo limitato a sedersi sul bordo del letto su consiglio di
Gilbert; non avevano parlato molto.
Oz non aveva trovato nulla
da dire, nemmeno fingendo; Gilbert, da parte sua, non aveva fatto domande –
come sempre. Erano rimasti nel completo silenzio.
E alla fine, Oz si era
sdraiato rivolgendo lo sguardo al soffitto, come cercandovi una risposta ad una
domanda sconosciuta persino a lui stesso. E Gilbert, che era sempre lo stesso,
non importava quanto fosse passato, non aveva detto nulla lasciandolo fare.
Poi, semplicemente, si era
sdraiato accanto a lui e prima che potesse rendersene conto, quel ricordo che
lo faceva sorridere, quel Gill accoccolato a lui per la paura di uno stupido
racconto dell’orrore, sembrava come capovolto.
Mentre il moro gli
circondava le spalle in un abbraccio, Oz si chiese se lo ricordasse ancora.
Non ebbe tempo di chiederlo
e forse, sentendosi sfiorare la fronte con le labbra, si disse che non ce n’era
davvero bisogno.
«Che stai facendo,
Gilbert?» mormorò impacciato, fingendo quasi di non ricordare quell’episodio.
«Così non farete nessun brutto
sogno.» gli sentì rispondere e sarebbe stato pronto a giurare che Gilbert
stesse sorridendo in quel momento.
Sospirò, rilassando le
spalle che aveva irrigidito percependo quell’abbraccio e accoccolandosi in esso
appena un po’ di più. Come il bambino che era.
Come quello che Gill non
era più.
«Ci credete davvero?» gli
sentì sussurrare, poco distante e quindi udibile.
Sapeva a cosa alludeva, ma
voleva sentirlo dire da lui, che glielo chiedesse. Perché conosceva già la
risposta.
«A cosa, Gill?»
«Che in questo modo non
avrete gli incubi.» mormorò il moro. Sembrava incerto, come il Gilbert di una
volta.
Oz sospirò appena, qualcosa
che somigliava più ad uno sbuffo divertito, in realtà.
«Veramente non tanto.»
ammise inizialmente. Poi, come un moccioso, strusciò appena la testa contro di
lui: «Ma se è una promessa tua, Gill, allora non ne dubiterò mai nemmeno per un
momento.» aggiunse.
Gilbert sorrise, e non
disse nulla, e Oz tacque, prendendo sonno poco dopo.
«Young
Master?»
«Che…
che succede, Gill?»
«Stavate
urlando, mi sono preoccupato…»
«Scusami.
Ti ho svegliato, eh?»
Sorrideva.
E
Gill scuoteva la testa.
«Avete
avuto un incubo?»
«…Sì,
ma non lo ricordo. Torna a dormire, Gill.»
Non poteva dirgli che aveva sognato di vederlo sparire.