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Autore: DeniseCecilia    26/08/2016    13 recensioni
Una fanfic dedicata a Judy, a Nick e a un possibile "noi".
Alle scelte che il mondo ci chiede di fare e che non possiamo ignorare, se vogliamo crescere.
Ma che, in fondo, sono soltanto nostre, e di chi amiamo.
Genere: Drammatico, Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bonnie Hopps, Judy Hopps, Nick Wilde, Stu Hopps, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: Furry, Tematiche delicate
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Il capitolo precedente, al momento della pubblicazione, conteneva ancora qualche errore nonostante le svariate riletture. Chiedo scusa ai quaranta lettori arrivati prima che correggessi (lo so, non muore nessuno, ma lo trovo fastidioso).
E vi lascio al penultimo.
Con un consiglio: munitevi di fazzolettini ed insulina, ci ho dato dentro.
Alla prossima settimana, con la conclusione.

 


 

XXI. Stella

 

A quell'ora i pochi visitatori rimasti se ne stavano andando, in direzione contraria alla sua, e gli ultimi metri prima di raggiungere la stanza di Nick li percorse in un silenzio ovattato.
Alcuni operatori la guardarono mentre passava loro accanto in corridoio, lasciando perdere per qualche secondo le proprie mansioni. La fissavano attenti, in un modo insolito che Judy lì per lì non seppe decifrare.
Sapevano dell'intervista, forse, o addirittura si erano fermati per un momento a seguirla con qualche paziente mentre somministravano le terapie. Poteva essere.
Ma immediatamente dopo averlo pensato, la coniglia temette che il motivo per cui la osservavano così fosse ben più grave.
Il suo sospetto crebbe a dismisura quando, aperta la porta, trovò la stanza vuota. O per meglio dire, vuota di Nick: perché lo spazio attorno al letto sfatto era invece occupato da parecchie persone. A cominciare dal già fedele Malick, l'infermiere, da Bonnie e Stu, da Ben, Bogo e persino altri due mammiferi che davvero non si era aspettata di vedere, ossia Fru-Fru e Finnick.
Judy si allontanò di un passo da loro, sollevando un dito per intimargli di non dire una parola e portandosi l'altra zampa alla bocca.
Al primo pianto intercalò un riso isterico.
Non sapeva cosa pensare, cosa aspettarsi, ma soprattutto non voleva sapere; non ancora.
Cos'era successo a Nick?
Perché non c'era?
E perché, qualunque cosa fosse accaduta, non era stata avvertita subito come concordato?
Sentiva un peso sul petto e un nodo in gola – wow, che metafore originali. Potrei abbandonare la ZPD, e rinchiudermi a vita in uno stanzino buio a scrivere romanzi-pattume che parlano di disgrazie, pensò.
Per quanto volesse evitarlo, l'unico pensiero che il suo cervello formulava in quel momento includeva un funerale. E per ironia della sorte lo trovava del tutto sensato e altamente probabile.
“Tesoro, calmati. Nicholas – ”
Judy riservò a sua madre uno sguardo che non doveva essere né disperato, né infuriato, ma in qualche modo peggiore perché la coniglia più grande tacque di botto con un mugolìo impaurito.
Spento, ecco. Sì, devo sembrare spenta, finita.
Non era finita.
All'improvviso, senza neppure capire cosa stava facendo né se era davvero lei, Judy Hopps, a farlo, si voltò verso il letto vuoto, afferrò il materasso da sotto e lo ribaltò a terra.
“Non c'è”, dichiarò, come se si fosse aspettata di trovare Nick nascosto tra materasso e telaio.
Poi buttò all'aria la sedia più vicina, la piantana delle flebo e si soffermò a guardare il comodino con rabbia, indecisa se travolgere anche quello con ogni oggetto che vi era poggiato sopra.
Malick riuscì a scivolarle di lato e fuori dalla stanza, con l'intenzione di prevenire l'intervento della Sicurezza, ma già Judy si era fermata facendo cessare anche il rumore.
Accasciata a terra, i pugni stretti, pregava di riuscire almeno a piangere di nuovo anziché limitarsi ad emettere quei ridicoli singulti strozzati.
“Dio santo, Carotina. C'era proprio bisogno di prendersela col mobilio solo perché mi sono fatto desiderare dieci minuti?”, disse una voce dalla soglia.
La coniglia sentì i muscoli immobilizzarsi e un fulmine ghiacciato percorrerle la spina dorsale, e alzando gli occhi vide tutti quanti sorridere... ad eccezione di Finnick, che aveva piuttosto un ghigno sarcastico.
“Ma come siete adorabili” commentò in un falsetto derisorio. “Fate venire il voltastomaco, diamine”.
La volpe del deserto si avvicinò a Judy e le tese la zampa.
“Forza, signorinella, il tuo cavaliere a due ruote qui sta morendo dalla voglia di farsi raccontare cos'hai mai fatto di bello, in questi tre giorni senza di lui. E io non vedo l'ora di andarmene, invece”.
La coniglia si rialzò, ancora vagamente tremante, e si volse.
A nemmeno due metri di distanza, Nick occupava il riquadro della porta seduto su una carrozzina. Le parve così stupidamente bello – e vivo – che sentì male non solo al cuore, ma un po' ovunque, a caso.
“Sono sceso a fare l'ennesima risonanza. Avevo in programma di tornare prima che lo facessi tu, ma non c'è gara: sei una coniglietta supersonica”, disse lui, un tenero sorriso appena accennato sulle labbra.
Eppure, quel sorriso le si sarebbe impresso nella mente e si sarebbe fatto ricordare molte volte, negli anni a venire.
“Forza, andiamocene”, disse Bogo infiltrando un frammento di realtà nella bolla che si era creata tra i due innamorati.
“E tu ricorda, Wilde: avete due settimane di ferie come indicato dai medici per la convalescenza, ma non un giorno di più”.
Un rapido gesto della zampa, e fu fuori, seguito da Clawhauser.
“Ti aspettiamo a casa... o forse no” aggiunse Stu, avviandosi con la moglie.
“No, Stu, decisamente no”, confermò Bonnie, scuotendo la testa e depositando, mentre usciva, una carezza sulla testa della figlia.
Non si fermò nemmeno il tempo di abbracciarla, non era il suo momento quello.
Pensò che una disgrazia è una disgrazia, e nessuno la può desiderare. Ma spesso, entrando di forza nelle nostre vite, può portare quella chiarezza nella mente e quella pulizia nel cuore che altrimenti faticheremmo ad ottenere.
E la sua mente di madre aveva visto due mammiferi profondamente legati, oltre ogni ragionevole dubbio.
Il suo cuore di madre aveva visto che era una cosa buona.

 

“Non ho fatto che scusarmi con te per come ti ho trattato domenica sera, non sai quante volte, ma tu non potevi sentirmi ed ero così a pezzi...”.
“Sono stata meschina, ancora una volta. Non sai quanto me ne vergogno... ma non posso più riparare, posso solo andare avanti”.
Distolse lo sguardo da quel verde intenso che la scrutava, impaurita di una paura nuova e diversa.
“Possiamo andare avanti, se tu... se lo vuoi ancora”.
Judy gli stava seduta sulle gambe, di traverso – la volpe aveva preferito rimanere in carrozzina, dopo tre giorni di letto gli sembrava quasi il paradiso – e Nick se la strinse al petto con forza.
Così leggera. Così appassionata.
Gli era mancato enormemente, quel fagottino di pelo grigio, anche se non ne aveva avuto coscienza lei gli era orribilmente mancata.
“Ti ho lasciata dire, ho capito che ne avevi bisogno per te stessa. Ma adesso basta, Judy”, la ammonì. “Non mi occorrono delle scuse. Era già tutto passato e tu lo sai, anche se non abbiamo avuto l'occasione di dircelo per bene”.
“Sì”, acconsentì lei.
Ma non era soddisfatta, una tessera del puzzle andava ancora messa al suo legittimo posto.
“Ti amo”, disse dunque, terminando infine la frase che il maledetto sparo aveva interrotto.
“Lo so”, rispose la volpe. “Te l'ho sentito dire, nell'intervista. Audace”.
“Come, scusa?”.
“Ero già sveglio, quando è iniziata” spiegò.
“Non arrabbiarti... sono uscito dal coma nel pomeriggio, ma prima che potessi fare qualunque cosa mi hanno ripassato in una centrifuga di esami che non finiva più. E poi, con quell'infermiere che pare conoscerti bene ho stabilito che la priorità era non interromperti e non farti agitare. Tanto, il peggio era passato... e mi avresti ritrovato qui”.
Judy gli gettò le braccia al collo... per la quarta volta, da quando li avevano lasciati soli e avevano potuto colmare i vuoti, in ogni senso del termine.
Col musetto fece una tale pressione su di lui che avrebbe potuto scavargli un tunnel nel torace, ma la volpe si guardò bene dal lamentarsene.
Non aveva alcun pensiero, si voleva soltanto godere quel tepore condiviso, quelle lunghe orecchie da accarezzare senza sosta.
Ma poi realizzò che nulla impediva loro di farlo comunque, dopo che avesse portato a termine un certo proposito.
E perché no?
“Non voglio aspettare oltre”, le disse perciò.
Senza staccarsi da lui, accoccolata in totale beatitudine contro il suo corpo, Judy disse: “In un'altra vita ti avrei risposto picche. La prima volta con qualcuno in un letto di ospedale non è... il sogno di ogni ragazza. Però, in questa vita, ti rispondo sì: facciamolo”.
Nick si mise a ridere di gusto, inducendola a rimettersi dritta di scatto.
Con quel cipiglio truce che aveva, lo fece ridere ancora di più.
“Ho detto per caso qualcosa di divertente, caro?”, borbottò.
“Non voglio aspettare oltre per sposarti, Judy. Non parlavo del sesso”, precisò lui. “Ma sì, naturalmente, mi interessa anche quello. Una cosa alla volta, con ordine... ma subito, adesso”.
La coniglietta cambiò espressione mentre la comprensione la illuminava.
“Oh. Stai dicendo che vuoi che ci sposiamo ora? Nel pieno della notte? Mentre sei ricoverato in ospedale? E come?”.
“Te l'ho detto, non voglio aspettare oltre. Non c'è momento migliore, per me. E per quanto concerne le altre tue domande... mi risulta che questo luogo, nonostante la desolazione che vi regna, non sia ancora del tutto abbandonato da Dio. Un cappellano, in giro, lo si trova di sicuro”.
Judy rifletté brevemente. Sì, l'aveva visto un sacerdote lì. Andava e veniva, parlava con i pazienti, li confessava, e via dicendo. Sì.
“Nemmeno io”, disse allora. “E non voglio rischiare che mi allontanino di nuovo da te”, aggiunse. Gli aveva raccontato dei suoi diverbi, di come si era sentita impotente e senza diritti.
Balzò giù e corse al tavolo, agguantò il cellulare e col tasto di scelta rapida fece partire la prima chiamata.

 

Sembravano una manica di squinternati: Judy con l'abito da sera in lamè di cui la ZNN le aveva fatto omaggio, Nick nella sua consueta camicia hawaiana verde, Ben insaccato in una delle sue tute grigie da casa e Fru-Fru... beh, quando l'amica le aveva telefonato dicendole che aveva bisogno della sua presenza, che doveva tornare, e perché, si era presa dieci minuti extra per ripescare dall'armadio il vestito di Furrucci, acquistato a caro prezzo per il matrimonio della cugina Clotilde.
“Eh-ehm”.
Un raschiare di gola richiamò la loro attenzione.
“Credo sia qui che hanno richiesto i miei servizi per sposare una coppia... ma... qual è la coppia, esattamente? E chi sono invece i testimoni?”.
Una lepre dal pelo color tabacco e le orecchie di una lunghezza impressionante chiuse la porta dietro di sé e si fece avanti.
Tenendo stretto nelle zampe un volume dall'aspetto di un breviario li scrutò uno alla volta, in attesa.
Il primo a uscire dalla trance fu Ben.
“Io e lei siamo i testimoni”, disse indicando Fru-Fru.
“E noi siamo gli sposi” precisò Nick, un braccio attorno alle spalle di Judy. “Aspiranti...”.
“L'avevo immaginato” fece la lepre sorridendo leggermente.
“Non sono qui per contestare nulla” aggiunse un secondo più tardi “ma lasciate che vi chieda perché sentite tutta questa fretta. Voglio dire, mi è capitato due volte, e sono già tante, di intervenire perché un ricoverato rischiava di morire durante l'operazione, e nell'altro caso perché l'operazione c'era già stata e lui era terminale...”.
Vide dei musi sconvolti e agitò una zampa come per scacciare una mosca.
“Ah, lasciamo stare. Comunque, esisteva una ragione che giustificava l'urgenza. Ma lei, giovanotto” disse rivolgendosi a Nick “mi pare stia bene. E' appena uscito dal coma, no?”.
“Sì” rispose la volpe “ma lei come – ”
“Lo so perché questa sera non c'era una sola stanza nell'ospedale che non avesse la tv accesa sulla ZNN, ecco come lo so”, ribatté la lepre con un sorriso sornione, più adatto ad un gatto... magari uno a strisce viola e rosa, come in quella fiaba.
Nick prese a fissarlo intensamente, aspettandosi che da un momento all'altro cominciasse a scolorire e scomparisse, lasciandosi dietro solo quel sorriso.
“Ma ci ha chiesto chi erano gli sposi e chi i testimoni, solo un attimo fa”, obiettò.
“Era un test, volevo vedere se eravate preparati”, fu la risposta. “E anche se sarebbe bastato così poco per imbarazzarvi. Capita spesso”.
Non gli era chiaro in quel frangente, ma più avanti, ripensandoci, Nick avrebbe capito che ciò che lo lasciava tanto di stucco era l'aver trovato un altro mammifero che ironizzava bene quanto lui.
“Allora, siete convinti di volerlo fare?”, domandò ancora la lepre.
Judy e Nick annuirono.
“Non è una cosa improvvisata” sentì il bisogno di spiegare lei.
“Siamo fidanzati, anche se da poco... e lo sappiamo che oggettivamente non ci sarebbe tutta questa urgenza, ma dopo quello che abbiamo passato, ecco, noi non ci sentiamo molto diversi da quei casi estremi di cui lei ha parlato”.
E di nuovo, il sorriso sornione.
Nick si stava vagamente innervosendo.
“Certo, ma non è a questo che mi stavo riferendo. Mi chiedevo solo se non preferireste aspettare almeno domani mattina, e magari approfittare di una chiesa poco distante da qui”.
In realtà padre Vedder cominciava a capire che tipo di persone aveva davanti, dunque quando volpe e coniglia, insieme, risposero con un secco “No” non se ne stupì affatto.
“Molto bene, allora”, dichiarò soddisfatto. “Sembra un po' un pigiama party, più che un matrimonio, ma come mi hanno insegnato l'unica cosa che conta davvero in questo rito sono gli sposi. E quelli che li abbiamo”.
Judy sorrise piena di allegria: mentre spiegava quello che avevano in mente a Malick, prima che se ne andasse, aveva temuto che fosse infattibile, o peggio che anche il prete avanzasse riserve e creasse problemi. Ma erano stati fortunati, sotto quel profilo.
“Non abbiamo fatto richiesta del certificato al Comune, però” ricordò la coniglietta, “ovviamente non potevamo immaginare”.
“Oh, non si preoccupi di quello. Si può formalizzare tutto con calma dopo”, la tranquillizzò la lepre.
“Piuttosto, vi siete procurati dei... validi sostituti per gli anelli?”.
Avevano affidato quel compito a Ben.
Andrà bene qualsiasi oggetto più o meno rotondo, è solo materiale di scena, gli aveva detto Nick.
Per strada fermati a un Seven Eleven e compra un paio di quei pacchetti di patatine con la sopresa gommosa, ce l'avvolgeremo attorno al dito, gli aveva suggerito.
Oppure, sai cosa, se proprio sei disperato procurati un vassoio di anelli di cipolle: ce ne sarà sicuramente qualcuno della misura giusta. E poi ho fame, mi hanno nutrito per tre giorni con roba liquida!
“Ecco”, rispose il ghepardo avanzando di un passo “questi sono la cosa più simile a degli anelli che sono riuscito a trovare”.
Sul palmo della sua zampa aperta campeggiava una confezione di anellini di plastica colorata, elastici e adattabili alle dita, un giochino in voga tra i ragazzi.
“Shokkybandz? Sul serio?” chiese Nick stralunato.
“Ha parlato quello degli anelli di cipolla”, lo canzonò il ghepardo ridendo.

 

Non era stata di certo una cerimonia tradizionale.
Ma già ora, con il ricordo freschissimo nella mente, entrambi sapevano che proprio quello era uno dei motivi per cui l'avrebbero conservata nel cuore.
Da che erano entrati sotto il dominio della notte ogni minuto, ogni dettaglio di quello strampalato matrimonio pareva loro circonfuso di una tenerezza incredibile.
E' stato un quarto di miglio duro, ma lo ripeterei altre mille volte per stare con te, aveva detto Judy. Perciò sì, lo voglio.
La coniglietta aprì la finestra e fece scorrere la tapparella nella guida, fino in fondo: il clima era mite, il cielo sereno e lei voleva verificare se anche da lì riusciva a scorgere la stella polare.
E ci riuscì.
Come un pesciolino richiamato dall'esca, un ricordo affiorò guizzando alla sua memoria: durante quella che era poi diventata la loro prima notte insieme, aveva definito Nick “una piccola stella polare nella cartografia della sua esistenza”.
Sorrise.
Se la polare era il punto fisso per ogni navigatore, quello che non tradiva e sempre restava al proprio posto, lei sarebbe stata l'equivalente per Nick.
Ci sarebbe stata sempre, qualunque cosa fosse accaduta – e adesso poteva affermarlo a ragione: la vita aveva messo alla prova le sue intenzioni.
La volpe la raggiunse e le pose le zampe sui fianchi.
Poggiò la testa su quella di lei, fra le orecchie serenamente reclinate.
“I lampioni non aiutano, lo so”, le disse. “Ma sono sempre le nostre stelle, quelle che si vedevano dalla veranda del ristorante di Arnie”.
“Sì...”, annuì Judy.
“Mi piace quando dici di sì. E mi piace quando muovi la testa come hai fatto ora, è meglio di un grattino”, disse lui.
“E poi, non c'entra niente” aggiunse sfruttando quella comoda posizione per non mostrare il volto mentre parlava “ma anch'io ti amo. Non pensare neanche per un attimo che non sia così”.
“Sì...” ripeté la coniglia. “Ma...”.
“... cosa?”.
“Me lo ripeteresti guardandomi? Ti prego”.
Nick rise.
“Mi conosci troppo bene, Carotina. Urge rimediare”.
“Aha. Certo, ti ci vedo proprio nel ruolo di bel tenebroso impassibile”.
“Vorresti dire che non lo sono?”.
“Esatto. E bada che so cosa stai cercando di fare: vuoi distrarmi... ma non ci casco. E aspetto la mia risposta”.
La volpe però non rispose.
La fece ruotare come una trottola spingendole i fianchi e se la mise viso a viso. E si sentì smarrito: per la prima volta in quei dieci giorni, gli sembrò che tutto fosse ancora da fare, di essere tornato alla casella di partenza.
Oh, non era una brutta sensazione, anzi. Era la conferma che cominciava una nuova vita; non solo a livello legale ma anche giù dove le loro radici li ancoravano al terreno qualcosa era cambiato.
Provò una piccola vertigine, una cosa da ubriachi, e tuttavia
“Ti amo”
gli riuscì di scandire con quella che sperò fosse la voce profonda, sensuale che l'aveva caratterizzato nei suoi momenti migliori.
Judy chiuse gli occhi espirando forte tutta l'aria che aveva nei polmoni.
“Carotina? Sei stanca? E' stata una lunga giornata...”.
“Sì” rispose lei “ma non abbastanza. Perché non finisci di stancarmi tu?”, lo stuzzicò sollevando in modo studiatamente lento le palpebre.
Nick le regalò il suo sorriso furbo.
“Molto bene... come desideri”.
Riguadagnarono il letto. Se in tutta quella drammatica vicenda – la sparatoria, il coma – si voleva trovare una nota positiva, eccola: l'ospedale aveva fornito a Nick un materasso antidecubito; morbidissimo e, soprattutto, resistente. La notte era giovane, ne avrebbero fatto buon uso.
Secondo le parole del rito: Così che non furono più due, ma una carne sola.

  
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