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Autore: xAcacia    27/08/2016    0 recensioni
Amelia non stava passando un bel periodo, era passato ormai un anno e mezzo da quando il padre le era stato portato via, e non dalla morte. La madre si stava per sposare con Jason, un uomo molto dolce, pronto a fare il padre... che però Amelia già aveva.
Eppure quando venne a sapere che i 5 Seconds of Summer avevano deciso di passare un paio di settimane proprio nella sua città, la vita non le sembrò più così tanto brutta. Ma dopotutto il suo passato era ancora il suo presente e sarebbe stato anche il suo futuro, fino a quando tutto non sarebbe tornato come un anno e mezzo prima. Purtroppo però niente sarebbe più stato come prima.
Era da un po' ormai che era incastrata nel passato, ma in quel momento la vita sembrò sorriderle almeno un po', perché forse Michael Clifford non stava solo giocando con lei, ma faceva sul serio.
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Michael Clifford, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Capitolo 37
Una coppia

Quando aprii gli occhi ci misi un po’ a rendermi conto che quel ragazzo che dormiva accanto a me era veramente Michael. Eppure doveva essere lui, era lui per forza. Stava dormendo di lato, la testa abbassata e la coperta appena sotto il mento, quasi in posizione fetale. Riuscivo a guardare il suo viso rilassato, le sue labbra rosee socchiuse; non aveva quell’espressione corrucciata che sembrava avere quasi sempre ormai. L’avevo già visto dormire, dal momento che avevo già dormito in quel letto con lui, eppure quella mattina mi sembrò ancora più bello. Volevo accarezzarlo, ma per paura di svegliarlo non lo feci e rimasi a guardarlo per un po’ di tempo. Se si fosse svegliato molto probabilmente mi avrebbe preso per pazza, eppure mi sembrava veramente impossibile smettere di guardarlo. Non volevo farlo, per cui non lo feci. I capelli blu e verdi gli cadevano sulla fronte e ogni tanto sembrava russare, ricordo che in quel momento non potei non sorridere. Non ricordo per quanto tempo stetti là, a guardarlo, ad un certo punto però decisi di scendere in cucina mettendomi una sua maglietta verde militare che trovai dentro l’armadio per cercare di fare una colazione almeno decente. Chiusi la porta, così riuscii a mettere un po’ di musica, canticchiai Colors di Halsey cercando di capire come fare il caffè, per poi apparecchiare la tavola con tutti i dolci che trovai dentro la dispensa. Pensai a quanto fosse strano il fatto che quella casa fosse così fornita, dopotutto erano mesi che nessuno entrava là dentro, qualcosa però mi fece pensare che forse non era poi così vero, dopotutto era anche tutto pulito.
Cercai di cucinare del bacon, lo guardai quasi bruciarsi e a quel punto decisi che era ora di metterlo in tavola. Quando presi due bicchieri con dentro del succo e mi girai per posarli sul tavolo, lo vidi scendere le scale con ancora tutti i capelli arruffati, una maglietta larga e dei pantaloncini da basket. – Buongiorno! – lo salutai sorridendo ancora di più.
Alzò di scatto la testa per guardarmi e mi sorrise. – Buongiorno, principessa – mi salutò, ancora assonnato. – Quella maglietta non mi è nuova – aggiunse poi venendo verso di me. Mi baciò sulla guancia, facendomi rimanere un po’ interdetta, e poi guardò la tavola. Doveva essersi appena lavato i denti, perché riuscivo ancora a sentire il profumo di dentifricio. – È tutto… perfetto – mormorò prima di guardarmi con le guance rosee.
Gli sorrisi e mi andai a sedere sulla sedia. – Tra poco devo uscire – borbottai io iniziando a bere il caffè. – Devo lavorare anche oggi, inoltre sta sera dovrei andare a cena da mia madre e Jason.
– Oh, se vuoi ti accompagno – rispose lui. – A casa dei tuoi, dico. Non a lavoro – aggiunse poi iniziando a bere il suo caffè, sembrava essersi oscurato un po’, ma decisi di fare finta di niente. – Noi.. emh… non abbiamo più parlato.
Posai la tazzina per cercare di nascondere il sorriso che non riuscii a fermare, così mi coprii la bocca con le mani con nonchalance. – Già – borbottai guardandolo, sapevo di avere degli occhi a cuoricino e questo mi diede fastidio, però non potevo farci niente. – Credo ci siano alcune cose da dire, ma infondo non c’è niente da chiarire, se non la nostra… relazione. Il fatto è questo: se vogliamo veramente avere una relazione stabile e duratura, dovremo essere più maturi possibile. Ieri sera, dopo che ti sei addormentato, ho pensato tanto a questa cosa. L’equilibrio di cui noi abbiamo tanto bisogno si può raggiungere solo attraverso la maturità. E, siccome a volte non riesco proprio a rimanere obiettiva, dovresti cercare di farmi presente quando diventerò troppo pesante o immatura; la stessa cosa dovrò fare io nei tuoi confronti.
Mi guardò intensamente con un mezzo sorriso, distendendo così le labbra, che erano più rosee della sera precedente. – Stranamente, sono d’accordo con te – rispose lui continuando a guardarmi. – Assurdo che tu sia riuscita a pensare lucidamente verso… Che ore saranno state, le quattro e mezzo?
Scrollai le spalle. – Non ero poi così stanca.
Rimase in silenzio anche questa volta a guardarmi. – Credo dovremmo parlare… di quello che è successo ieri sera – borbottò poi posando la tazzina. Cercai di chiedergli cosa ci fosse da dire riguardo la sera precedente, fortunatamente però mi precedette. – So che.. forse per te non è stato poi così importante, ma io pensavo veramente che tu e Finn… Sì, insomma, che fosse stato Finn il tuo primo vero ragazzo.
– Lo è stato – risposi io arrossendo. – Ma non fino a quel punto. Finn ha sempre saputo che volevo aspettare almeno quattro mesi prima di portare la nostra relazione al livello successivo, purtroppo però poi c’è stato quel disastro con mio padre e non me la sono più sentita di stare con lui, così l’ho lasciato. Stavamo insieme da circa quattro mesi, ed avevamo fatto praticamente tutto, tranne il sesso.
Assottigliò immediatamente le labbra e socchiuse gli occhi, oscuro in volto. – Praticamente tutto – mi fece eco lui. – Ok – borbottò schiarendosi la voce. Feci spallucce per fargli capire che era stato lui a chiedermi i dettagli. – Non capisco… – continuò lui e si fermò abbassando lo sguardo. Ripensai alla sera precedente, a quando mi aveva detto esattamente quelle parole, preoccupato e confuso, ed arrossii ancora di più. Si schiarì un’altra volta la voce e riprovò: – Perché non dirmelo prima?
– In realtà non lo so, ho pensato di dirtelo così tante volte, eppure non sono mai riuscita a farlo veramente – risposi io togliendo le mani da davanti la bocca, per poi ricominciare a bere il caffè. – È stato un problema per te? – chiesi quindi, preoccupata. – Non volevi farlo con…
– No! – esclamò lui spalancando gli occhi. – No, no, non è per questo. Non sceglierei mai una ragazza in base alle sue esperienze, è solo che per te sarà stato molto importante.
Rimasi con la tazzina a mezz’aria a guardarlo, scioccata, mentre lo stomaco iniziò a farmi strani scherzi. – Perché, per te non lo è stato? – chiesi io facendo finta di ridere.
Sussultò. – Dio, certo che è stato importante! Non mi sto spiegando bene – borbottò abbassando lo sguardo. Si arruffò ancora di più i capelli, nervoso. – Ho solo paura di averti… Non so, delusa forse? Se avessi saputo che sarebbe stata la tua prima volta avrei fatto le cose più in grande. Di certo non ti avrei fatto perdere la verginità in un letto normalissimo, in una casa che, per quanto possa essere nostra, tu non ti ci sei mai sentita a tuo agio, in una situazione non del tutto perfetta. Dopotutto, il giorno prima avevamo litigato, il giorno stesso invece avevi litigato con Luke, e quando ti ho detto che credevo di amarti sei praticamente scappata.
Scossi la testa ridendo. – Michael, se ieri sera è successo quello che è successo significa che per me ne valeva la pena – replicai io sorridendogli. – Non ti preoccupare, davvero.
Fece un respiro profondo, sembrava veramente in imbarazzo. – Quindi non ti ho fatto male?
Mi strozzai con il caffè e finalmente rispuntò il suo sorrisino malizioso. – Michael – gracchiai io continuando a tossire. – Se mi avessi fatto male ti avrei tirato il comodino in testa – risposi io facendolo ridere.
– Sai cosa intendo, so che ti imbarazza parlare di queste cose, ma ho bisogno di sapere se ti ha fatto veramente tanto male o no. Ad  un certo punto stavi con le lacrime agli occhi! – esclamò lui.
– Mike, smettila, davvero – squittii io, viola. – Non mi hai fatto male, sei stato… molto delicato? – cercai di dire io, lui annuì con le labbra ridotte a fessura per non scoppiare a ridere, cosa che invece fece dopo pochi secondi. – Oh, ecco, vedi?! – esclamai io, imbarazzata. – Ecco perché non voglio parlare con te di certi argomenti! Mi prendi sempre in giro!
– Mi dispiace, mi dispiace – rispose lui continuando a ridere. – Ma la tua faccia è bellissima quando cerchi di sembrare a tuo agio mentre parli di sesso con altre persone. Per non parlare del tono di voce! – continuò lui ridendo. – Ti adoro anche per questo, sul serio. La tua ingenuità a volte mi fa sembrare veramente cattivo.
Ci pensai un po’ su e poi me ne uscii dicendo: – Ieri sera non sono stata molto ingenua, però. – Mike prese un cereale e si fermò a guardarmi. – Carina, eh? – scherzai io tirandogli un calcio da sotto il tavolo. – Non è stata male però, sembravo quasi a mio agio.
Scosse la testa facendo una mezza risata. – Oh, principessa, non puoi capire quanto – borbottò poi ricominciando a mangiare. Guardò il bacon, poi mi scoccò un’occhiata e chiese: – Questo l’hai cucinato tu?
– Sì – risposi io trattenendo una risata.
– Ok – bofonchiò prendendo un pezzo di bacon, se lo rigirò tra le dita e con un gesto secco se lo mise in bocca. Iniziò a masticare e poi si fermò di scatto, mi guardò con gli occhi spalancati.
– Buono, eh? – scherzai io, perché si vedeva dall’espressione che faceva schifo.
– Eccezionale – rispose lui con ancora la bocca piena di bacon, masticò un altro po’ e poi faticò ad ingoiare. Nascosi le labbra dietro le mani per non fargli vedere che stavo ridendo. – Prova anche tu, è veramente buono – propose lui.
– Odio il bacon – risposi io scuotendo energicamente la testa. Michael prese un pezzo di bacon e me lo porse. – No, veramente, non mi piace per niente – ripetei quando non diede segni di rassegnazione, anzi ad un certo punto si alzò dalla sedia per farmelo mangiare. – Oh, Mike, non ci provare proprio! – esclamai io alzandomi dalla sedia.
– Dai, un pezzettino – sogghignò lui prima di cercare di prendermi. Ben presto quindi iniziammo a correre per tutta la cucina, ridendo come matti, fino a quando lui si fermò di scatto. – Bella! – esclamò quando iniziò la canzone Classic dei MKTO, lasciò il bacon nel piatto e mi porse la mano. – Mi concede questo ballo? – propose sorridendomi ancora di più. Lo guardai, indecisa se scoppiare a ridere o accettare e ballare insieme a lui. – Oh e dai! – esclamò lui improvvisando un balletto, fece una giro su sé stesso schioccando le dita per poi porgermi entrambe le mani. A quel punto non potei non accettare e ci buttammo in un ballo ridicolo ma non eravamo affatto imbarazzati. Mi fece fare un paio di giri, a quel punto mi lasciò a ricominciò a ballare goffamente. Scoppiai a ridere e lo imitai. – Esattamente, così! – esclamò lui prima di prendermi un’altra volta e farmi fare più giri di fila. – Baby, you’re so classic – canticchiò lui sballottandomi da una parte all’altra della cucina facendomi ridere ancora di più. Infine, quando la canzone finì, mi fece fare un casqué e mi sporsi così indietro che quasi cademmo per terra.
Finito il balletto, ricominciammo a mangiare, e poi decisi di andarmi a fare una doccia. Ovviamente Michael propose di farcela insieme, purtroppo però mi sentivo ancora troppo insicura per far vedere il mio corpo in un bagno e soprattutto con la luce accesa. Così entrai nella doccia ed iniziai a farmi lo shampoo, ero completamente rilassata, perché Michael sembrava aver capito il mio disagio ed accettato, quindi feci le cose con calma. Pensai a tante cose, tra cui a quanto mi sentissi felice e completa, esattamente come aveva descritto lui cosa provava quando stava con me solo il giorno prima. Mi chiesi se si sentisse ancora così e il sorriso che aveva stampato sulle labbra da quella mattina mi faceva sperare che sì, anche lui si sentiva così.
Quando mi stavo mettendo il bagnoschiuma ero così immersa nei miei pensieri che all’inizio quasi non sentii l’acqua che diminuiva, poco dopo però diventò gelata e cacciai un urlo. Mi girai di scatto e riuscii a distinguere Michael davanti il lavandino. – Michael! – urlai io con una voce così squillante che quasi non la riconobbi. Lui ormai era piegato in due dalle risate. – Chiudi subito l’acqua! – gridai chiudendo il soffione della doccia. – Ho freddo, Michael! – continuai, eppure lui continuava a ridere. – Questa me la paghi – borbottai prima di uscire dalla doccia, mettermi l’accappatoio in un batter d’occhio ed usare un asciugamano come frusta, che gli colpì il didietro.
– Ahi! – urlò lui sussultando. – Ah, è così che la metti? – chiese lui prima di mettere in atto una mossa che avevo solo visto nel rugby, prese la rincorsa e, quando pensai che mi stesse per buttare a terra, mi caricò sulla spalla per poi iniziare a correre.
– Mike! – urlai io mentre venivo sballottata da una parte all’altra. – Mettimi giù! – continuai dandogli schiaffi sulla schiena e, a volte, sul didietro. Eppure il tutto sembrava solo alimentare il suo divertimento. Cercai anche di dargli dei calci, ma era difficile in quella posizione. Poi mi venne un mente un’idea, gli morsi prima la schiena e poi gli diedi un pizzicotto sul sedere.
Sussultò più volte e mi buttò sul letto. – Mi mordi? Addirittura? – chiese lui con un sorrisino malizioso, feci spallucce come risposta. – Potrebbe quasi piacermi questa ragazza tutta urli e morsi – mormorò, si mise sopra di me e diventai subito rossa. – Sei tutta una scoperta, Amelia Emory.
– L’hai detto tu, non io – canticchiai io ridendo. – Mettiamo in chiaro una cosa però – dissi afferrando la sua maglietta per avvicinare il suo viso al mio, occhi dentro occhi. – Tu sei mio, tanto quanto io sono tua. Questo significa che sì, sarei veramente in grado di uccidere le ragazze che ti toccano un po’ troppo.
– Almeno su questo fronte siamo d’accordo – disse lui prima di baciarmi.
 
Bussai alla porta, nervosa, e mi guardai intorno. Poco prima avevo mandato un messaggio a Calum per chiederci se c’erano Arzaylea e lui mi aveva risposto dicendomi che Luke era andato a fare una passeggiata con Mike. Il tempismo quindi era perfetto, stranamente.
La porta si aprì quasi immediatamente ed incontrai subito gli occhi annoiati e poi interdetti di Arzaylea. – E tu che ci fai qua? – chiese lei. Bé, bel modo per ricominciare daccapo.
Cercai di non alzare gli occhi al cielo. – Secondo te? Vorrei parlare con te – borbottai io e per i primi cinque secondi la ragazza sembrò lanciarmi occhiatacce, quando però capì che ero completamente immune a lei e a questi giochetti, si fece da parte per farmi entrare. – Perfetto, grazie – dissi entrando nella stanza. Era molto in disordine, nonostante fossero le tre di pomeriggio. – Mi siedo, è un problema per te? – chiesi indicando la poltroncina vicino allo specchio.
– Affatto – rispose lei, sembrava infastidita e scioccata allo stesso tempo. – Allora – iniziò sedendosi sul letto, – cosa posso fare per te?
Cercai di non scoppiare a ridere. – Innanzitutto, potremmo cominciare col dire che nessuno deve fare niente a nessuno – borbottai io alzando gli occhi al cielo. – Sono qua perché Luke mi ha parlato di te e perché, secondo lui e forse anche secondo te, non mi sono comportata da persona educata.
– Diciamo che semplicemente mi aspettavo una persona completamente diversa, o forse solo più disponibile e aperta – rispose lei facendo spallucce.
Sorrisi come un ragazzo sorride ad un bambino. – Luke dovrebbe sapere che sono la persona meno aperta di questo pianeta – replicai io guardandola. – Forse non sono stata esattamente una persona socievole, ma posso assicurarti che non lo sono mai. Questo mi sembra completamente diverso dall’essere una persona maleducata.
– A me sembri semplicemente una persona con molti preconcetti sbagliati – bofonchiò lei abbassando lo sguardo, soprappensiero. Non ero nemmeno sicura che si fosse accorta di averlo appena detto ad alta voce, perché quando mi guardò di nuovo ebbe un piccolo sussulto.
– Forse ho avuto dei piccoli pregiudizi verso di te, questo sì, ma poi ci ho pensato e penso che questo tuo fare da ragazza perfetta sia solo una maschera per proteggersi da quella che è la società e le persone ci credono – risposi io, serena. – Quindi… Piacere, io sono Amelia – dissi alzandomi e porgendole la mano. – Luke mi ha parlato molto di te.
– Arzaylea – affermò lei, un po’ confusa, stringendomi la mano. – Anche a me Luke ha parlato molto di te.
– Un’altra cosa – esclamai io sedendomi un’altra volta sulla poltrona. – Ieri sera non ero nemmeno molto in vena di conversare, quindi ero ancora più chiusa del solito. Mi dispiace se ti sono sembrata maleducata, ma semplicemente non era giornata. Spero vivamente che tu capisca il mio punto di vista e, per favore, non dire niente a Luke di questa visita.
– Va… va bene – rispose lei, sembrava sempre più confusa e non potei fare a meno di sorriderle. Ero una strana persona, lo sapevo, ma forse col tempo mi avrebbe capita ed accettata, esattamente come avrei fatto io con lei.
– Immagino ci vedremo in giro – la salutai io prima di andare verso la porta. – È stato un piacere chiarire questa faccenda – finii prima di salutarla con la mano ed andarmene. Ancora c’era qualcosa in lei che non mi piaceva, forse un po’ mi ricordava Grace, anche se non sapevo bene cosa. Bussai ed entrai nella camera di Calum e di Ashton solo per salutarli. Nella camera di Calum c’era anche Jennifer, che mi sorrise freddamente. Sapevo benissimo perché era là: Calum l’aveva chiamata il giorno stesso per chiederle di vedersi, eppure non sembravano affatto contenti di vedersi, né di parlare, sicuramente stavano litigando. Ashton invece era la persona più tranquilla di questo mondo, sdraiato sul letto con il cellulare in mano.
Quando entrai dentro la macchina lessi il messaggio di Jennifer che diceva: “Dobbiamo parlare. Che è successo ieri sera? Avevi uno strano sorrisino poco fa”.
 
Aprii la porta di quella che chiamavo ancora casa mia ed entrammo. – Mamma e Jason, siamo arrivati! – esclamai andando verso il salone. Lasciai andare Cassian, il quale decise di andare subito in cucina, dove trovò mia madre e Jason, pronti a fargli tutte le coccole che non gli avevano fatto in questi ultimi giorni. Più passava il tempo e più mi mancava vivere in quella casa, con mia madre accanto e Jason, che era sempre pronto a consolarmi. Sì, avevo Michael a casa, ma non era sempre così, anzi erano più i giorni senza di lui che con lui. Mi sentivo sola, avevo ancora bisogno della mia mamma nonostante tutto.
Quando mia madre e Jason vennero in salone ci abbracciarono, mia madre difficilmente era così calorosa con me, figuriamoci con un ragazzo che aveva visto così poche volte, eppure accettai quella stranezza con piacere. Jason ci fece segno di sederci a tavola, ci avevano messo accanto, proprio come l’ultima volta che avevamo cenato insieme, tanti mesi prima. Lo guardai e quando i suoi occhi sembrarono emanare una strana luce, pensai – o sperai – che stava pensando anche lui alla stessa cosa. Gli accarezzai dolcemente il braccio prima di sedermi a guardare mia madre, la quale ci stava osservando con uno strano sorriso. Era sempre stata contraria al mio rimanere a casa tutti i giorni e non conoscere gente, far esperienze, quindi immaginai che fosse semplicemente felice per me.
– Allora… – iniziò Jason sedendosi con ancora in mano la teglia di lasagne appena sfornate. – E così vi siete rimessi insieme.
– Emh… Sì – rispose Michael, mi guardò per chiedermi una conferma, che trovò senza problemi.
– Oh, bene! – esclamò Jason sorridendomi. – Questi mesi sono stati molto duri per Amy, senza di te. È sempre stata bene senza i ragazzi, non l’ho mai vista dipendere da qualcuno, eppure con te è diverso. Da quando ti ha incontrato sembra cambiata. Non dipende da te, questo l’ha dimostrato in questi mesi senza di te, ma è decisamente più… – Sospirò guardandomi e sembrò essere più sereno. – Più brillante.
– Jason – borbottai io, rossa in viso. – Non sono poi così persa senza di te, non farti troppe illusioni – aggiunsi poi guardando Michael, stava sorridendo maliziosamente. – Non lo sono, Mike. Non ci provare – ridacchiai io tirandogli un cazzotto sul braccio.
– Oh, bé… Io lo sono – rispose lui baciandomi dolcemente la tempia, arrossii ancora di più, mentre Michael decise di continuare a parlare. – Sono assolutamente dipendente da lei, signore. E se questo mi fa sembrare una persona debole, non c’è problema: sono una persona debole. E sì, sono perso senza di lei.
Sorrisi guardando il mio piatto. – Già, forse potresti essermi mancato anche tu – bofonchiai io guardandolo di sottecchi. Il mio cuore sembrava essere diventato una bomba ad orologeria, pronto ad esplodere di gioia. Era una bella sensazione, stranamente non era la prima volta quel giorno che la provavo. Gli posai una mano sulla coscia e lo guardai negli occhi. Erano più luminosi, sembravano più verdi del solito.
– Come sta andando la tua carriera, Michael? – chiese Jason.
– Molto bene, in realtà – rispose lui ridacchiando. – Stiamo cercando di trovare un equilibrio, anche nella musica, che ci possa rappresentare e, allo stesso momento, possa aiutare anche le persone che ci ascoltano. Anche se stare lontano da tutte le persone che amo sta diventando sempre più difficile. Amo il mio lavoro, credo di essere veramente fortunato, ma ci sono molti lati negativi. A volte, mi sembra tutto troppo diverso, addirittura io mi sento troppo cambiato.
Lo guardai con la fronte aggrottata, non mi aveva mai parlato di questi problemi, eppure vedendo la sua espressione sofferente potevo capire quanto questo lo facesse stare male. – Ehi – mormoro io posando timidamente una mano sulla sua coscia per attirare la sua attenzione. – Non sei affatto cambiato, non in male almeno.
– Tu non lo puoi sapere, Amelia. Non c’eri prima che diventassi così famoso – ribatté lui allontanando la mia mano. Sentii il sangue defluirmi dal viso e il cuore fare una strana capriola. Era vero, non conoscevo il vecchio Michael, ma non volevo nemmeno farlo, perché quello che era mi faceva felice ed ai miei occhi era perfetto. Poteva sembrare una frase fatta, una scemenza da bambini; però l’amore che provavo per lo rendeva veramente perfetto su qualsiasi aspetto caratteriale e fisico. Nonostante questo, il suo improvviso distacco mi fece un po’ male, soprattutto mi sentii in qualche modo rifiutata.
– Cambiare è naturale, soprattutto quando ci si ritrova in un ambiente del genere ad un’età così giovane. Non ti conosco così bene, so solo le poche cose che mi racconta di volta in volta Amy, quindi sta a te capire se questa è la persona che vuoi essere – rispose Jason guardandolo con occhi sinceri. – C’è sempre un momento nella vita di chiunque, in cui inevitabilmente si pensa di non essere più quello di una volta. È impossibile non cambiare e, a volte, si cambia in peggio. Questo però non t’impedisce di migliorarti. Come ho già detto, sta a te capire chi vuoi essere.
Guardai mia madre, che mi fece capire solo con lo sguardo che me la stavo prendendo troppo, così sorrisi e mi rimisi a mangiare.
Rimanemmo un altro po’ anche dopo aver finito di mangiare. Aiutammo mia madre e Jason a sparecchiare e mettere apposto la cucina. Mentre ce ne stavamo per andare, mia madre mi prese e mi portò più lontana da Jason e Michael, il quale ci guardò, un po’ incuriosito, e mi sussurrò: – Pochi giorni fa sono andata a trovare tuo padre. Gli manchi vorrebbe vederti, potresti andarlo a trovare uno di questi giorni, no?
Annuii. – Certo, adesso mi organizzo e ti faccio sapere – dissi prima di tornare da Jason e Michael. Li salutammo e poi andammo verso la macchina. Decise di guidare Michael, non provai nemmeno a dirgli di no, perché la notizia che mi aveva dato mia madre mi aveva reso molto nervosa e, soprattutto, pensierosa. Rimasi per tutta la durata del viaggio in silenzio, a pensare, e questo fece innervosire anche Michael, che però non disse niente.
Erano passate un po’ di settimane, forse mesi, dall’ultima volta che avevo visto mio padre. Era difficile vederlo in quell’ambiente, dove mi sentivo quasi spiata dalle altre persone, poliziotti e non, quindi tendevo a non andare praticamente più. Non sapevo nemmeno io cosa provare, a volte provavo rancore verso mio padre, altre volte ero così triste da non voler alzarmi dal letto, ma le volte in cui mi sentivo praticamente apatica nei suoi confronti erano le occasioni in cui mi spaventavo di più. Non sapevo nemmeno io perché provavo tutte quest’emozioni completamente diverse, forse l’apatia era una specie di meccanismo di difesa per non stare troppo male. La realtà era che non sapevo nemmeno io cosa provavo e perché. E questo mi spingeva sempre di più a non voler affrontare né mio padre, né la realtà.
– Stai bene? – chiese Michael, parcheggiando davanti casa nostra. Cercò di guardarmi, ma sembrava quasi imbarazzato.
– Sì – risposi freddamente io. Appena spense la macchina, uscii ed entrai in casa con Cassian. Stava cominciando ad avere la dermatite, il ché non era affatto una novità: purtroppo aveva continue ricadute e l’unico metodo per cercare di aiutarlo erano le medicine, prima che rimanesse di nuovo senza pelo. Andai in cucina e attaccai un foglio con su scritto il numero del veterinario in rosso, in modo tale da ricordarmi di chiamarlo il giorno dopo.
– Ti va di parlare un po’? Sei strana. Tua madre ti ha detto qualcosa che ti ha dato fastidio? – chiese Mike entrando in cucina. Rimasi in silenzio a scrivere sul foglio, fino a quando non lo sentii sbuffare. – A volte sei proprio lunatica.
– Ho solo bisogno di un po’ di tempo da sola – risposi io senza nemmeno girarmi verso di lui. – Per favore.
Sbuffò un’altra volta. – È veramente difficile capirti, Amelia – bofonchiò, prima di aggiungere: – Va bene. Vado a letto, se ti serve qualcosa basta che mi chiami. Sennò, ti aspetto a letto.
– Sì, ok – borbottai io prendendo un po’ d’acqua. – Buonanotte – lo salutai quando lo sentii uscire dalla cucina, eppure non mi rispose. Sapevo di non esser esattamente la persona più semplice di questo mondo, non lo ero mai stata, ma dopo tutto quello che era successo con mio padre ero particolarmente peggiorata. Non lo facevo apposta, a volte avevo solo bisogno di stare da sola con i miei pensieri.
Rimasi un’ora sul divano con Cassian accanto, a fargli le coccole, mentre decidevo cosa fare con mio padre. Ero ancora molto indecisa, nonostante questo però sapevo che non potevo non andarlo a trovare, soprattutto se aveva chiesto di me. Doveva essere una vita veramente brutta, quella là dentro. Piena di solitudine. Una parte di me era veramente curiosa di vedere la vita all’interno di quella struttura così triste, l’altra parte però non faceva altro che ringraziare mio padre per non avermela descritta. Non era il tipo che vittimizzava, sapevo che, anche se gliel’avessi chiesto, non mi avrebbe mai raccontato niente di quella “vita”. Perché, nonostante tutto, era ancora mio padre. E mio padre non voleva farmi male.
Proprio quando sentii le palpebre farsi più pesanti, sentii il cellulare avvertirmi che mi era appena arrivato un messaggio da Michael, che diceva: “è tardi, vieni a dormire”. Sorrisi e, insieme a Cassian, andai di sopra. Mi lavai i denti, mi misi il pigiama davanti a Michael provando ancora un po’ d’imbarazzo, e poi andai sotto le coperte insieme a lui.
Appoggiai la testa sul suo petto e mi strinse a sé dandomi un bacio sui capelli. Giocò un po’ con essi, pensieroso. – Ancora ti chiudi con me – mormorò, triste. – Ancora non mi dici cosa ti passa per la testa, quando ti chiudi in questo modo.
– Anche tu non mi dici tutto – borbottai io posando una mano sul basso ventre, sotto le mie dita sentii i suoi muscoli guizzare e mi sentii quasi felice, quindi sorrisi. Anche lui doveva essersi accorto di quello che era successo, perché rimase in silenzio e per alcuni secondi non respirò. Era bello sapere che a volte avevo lo stesso potere che lui aveva su di me.
– Cosa intendi dire con questo? – chiese lui, dopo un po’, abbassando lo sguardo su di me per cercare i miei occhi.
– Cos’è questa storia che vuoi cambiare? – chiesi quindi guardandolo negli occhi.
– Non sono perfetto, Amy – rispose lui. – Non lo sono per niente. Questo mi sta bene. Vorrei soltanto cercare di essere almeno sufficiente.
– Sufficiente? Cosa sei, un voto? – sbottai io mettendomi a sedere. – Non sei perfetto, nessuno lo è! Non sei affatto sufficiente, non provare mai più a darti un voto. Tu sei molto di più, per me come per molte altre persone.
– Stai cercando di fare finta di non capire – bofonchiò lui chiudendo gli occhi, come per cercare di rimanere calmo. – Quello che voglio dire è che prima non ero così. Prima volevo una ragazza e trattavo tutti bene. Sto semplicemente cercando di tornare quello che ero prima. Ero un ragazzo un po’ più… Sì, forse ero un po’ più educato. Poi, tutto d’un tratto, non sapevo nemmeno più quello che volevo e mi spaventava tutto. Addirittura una ragazza che, timidamente, è entrata nelle vite dei miei migliori amici e nella mia.
– Perché non eri più abituato a tutto questo, ma adesso hai una ragazza, non hai più tanta paura e non mi respingi più – replicai io.
– Infatti è perché sto cambiando – rispose lui sedendosi, mi prese la mano e me la baciò. – Non ti devi preoccupare. Non è una cosa così brutta cercare di migliorare, anzi credo sia una cosa molto bella. Forse è addirittura un modo per maturare.
– O forse è un modo per cercare di accettarsi – borbottai io. – Vorrei solo che ti accettassi per quello che sei. Odiavo quello che eri, ma adesso sei diverso, e ti amo così. L’unica cosa che dovresti cambiare è la tua idea su te stesso. Sei troppo duro con te stesso, Mike.
Mi sorrise. – Anche tu lo sei con te stessa.
Mi rabbuiai. – Adesso stiamo parlando di te, non provare a cambiare argomento o soggetto – dissi alzando gli occhi al cielo. – Un modo per maturare è cercare di accettarsi, cosa che tu ancora non hai fatto. E questo mi fa stare male, perché ai miei occhi sei veramente… una bella persona.
– Questo mi fa felice, principessa – sussurrò baciandomi dolcemente. – Ma non mi basta.
– Mike…
– Cosa ti ha fatto così male, prima? – chiese lui posando la sua fronte sulla mia. – Non c’è modo per farmi cambiare idea, se mi vuoi veramente bene dovresti lasciarmi fare. Non mi sto facendo del male, sto solo cercando di essere quella persona che so di poter essere.
Sospirai chiudendo gli occhi. – Domani devo andare a trovare mio padre.
– Oh –mormorò lui allontanandosi da me, gli occhi fissi su di me. – Ti accompagno allora, ma resterò fuori.
Scossi la testa. – Non voglio che i paparazzi scoprano che c’è qualcosa che non va – borbottai io. – Ci andrò da sola, ma grazie lo stesso.
– Come preferisci – replicò lui prima di sdraiarsi, mi fece segno di seguirlo e così lo accontentai rifugiandomi tra le sue braccia. – Non chiuderti in questo modo, non con me – mi sussurrò all’orecchio, mi baciò la tempia. – Mi fa stare male.
– A volte sento solo la necessità di stare da sola – risposi semplicemente io.
– Lo so, anch’io, ma prima devi dirmi cosa ti passa per questa testa complicata e lunatica che ti ritrovi, per favore – ribatté lui e mi accarezzò la fronte. – Perché, per quanto mi possa intrigare, questa testolina a volte mi fa diventare anche matto e mi fa preoccupare.
– Va bene – risposi io ridacchiando. Gli lasciai un piccolo bacio sulle labbra e poi mi rimisi giù, tracciando le linee dei suoi tatuaggi, come ipnotizzata. Guardai quello strano tatuaggio che aveva sul braccio destro, quello che non avevo mai capito, e lo toccai delicatamente. – Cosa significa?
Abbassò lo sguardo sul suo tatuaggio e poi, sorridendo, mi guardò con una dolcezza disarmante. – Significa “casa” – rispose lui sorridendomi. Raramente mi guardava e mi sorrideva in quel modo, quel modo che mi faceva capire che mi amava veramente. – Viene da un gioco.
– Un gioco? – chiesi io ridendo. – E perché “casa”?
Sospirò stringendomi a lui. – Perché è tutto quello che mi serve. È tutto quello di cui ho bisogno. Una casa, una famiglia con cui sentirmi a mio agio, senza filtri, senza bisogno di riempire i silenzi con parole inutili. Una casa è tutto quello che ha a che fare con la pace interiore. Può fare male, ma può fare anche tanto bene. Può farti sentire come mai nessun altro sarà in grado di farti sentire – rispose lui guardando il soffitto.
Lo guardai, sicuramente con aria trasognante. Volevo essere io la sua casa, esattamente come lui era la mia. Non potevo dirglielo, non era una cosa che Michael avrebbe voluto sentirsi dire. Quel tatuaggio era per la sua casa, per la sua famiglia.  Mi sdraiai sopra di lui con nonchalance, mentre sotto di me lui s’irrigidì subito, e seguii la scritta sul suo avambraccio e sussurrai: – I love you to the moon and back – senza nemmeno accorgermene. Arrossii subito e lo guardi di sottecchi: stava sorridendo maliziosamente. – Non è questo il significato della frase?
– Non esattamente, ma mi piace anche questo – rispose lui.
Gli sorrisi timidamente e gli baciai la guancia ispida. Guardarlo era diventato il mio hobby preferito. Più passavano i giorni e più mi sembrava bello, più uomo. Guardarlo mi faceva ancora quello strano effetto che non riuscivo nemmeno a spiegare, tutt’ora non so se saprei farlo. A volte mi convincevo che non poteva essere vero, che lui non poteva essere mio; la maggior parte del tempo però lo vedevo più come Michael Gordon che come Michael Clifford, membro dei 5 Seconds of Summer. Era diventato una persona così familiare che mi sembrava impossibile immaginarlo solo come un membro di una band, anzi quasi non ci pensavo più a quel piccolo particolare.
– Sei al corrente del fatto che mi stai fissando? – chiese lui ridendo, tuttavia anche lui mi stava guardando da tempo.
– Non farti alzare troppo l’autostima, ma devo dire che mi piace proprio fissarti – risposi io sorridendogli maliziosamente.
– Oh, come una stalker! – esclamò lui ridendo ancora di più, iniziò ad accarezzarmi la schiena, andando avanti e indietro, fino a lasciarmi piccoli brividi.
– No, come una persona innamorata! – sbottai io dandogli un cazzotto sul petto. Scoppiò a ridere e posò una mano sul mio pugno ancora fermo sul suo petto. – O almeno spero…
– No, non mi guardi come una persona innamorata – mormorò lui baciandomi dolcemente il naso. – Mi guardi… in un modo che non posso nemmeno spiegare. È bello, mi fa sentire una persona migliore e mi fa sentire amato da te. Lo amo. Amo il modo in cui mi guardi.
Sorrisi posando il mento sul suo petto. – Bé, meglio così, perché ti amo veramente tanto.
– Anch’io, principessa. Davvero tanto – sussurrò lui ricominciando ad accarezzarmi i capelli e pensai che forse lo guardavo nello stesso modo in cui mi stava guardando lui in quel momento. Aveva ragione: non si poteva spiegare, si poteva solo vivere quell’attimo. 
  
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