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Autore: Alecraft Mounts    30/08/2016    1 recensioni
Tratto dal testo:
"Sbuffò leggermente, serrando con vigore la presa sul manico dell'arma.
I suoi occhi color nocciola passavano dai riflessi di luce della lama al mare increspato dalle onde. Da queste, ad un piccolo quaderno alla sua destra. Un diario rilegato in pelle, ma consumato dal tempo.
Quel piccolo libro costituiva la fonte dei suoi pensieri incessanti, fluenti attraverso la mente come un fiume in piena; origine di numerosi dubbi e "perché?", ai quali non riusciva a trovare una risposta, una spiegazione logica, che mai sarebbe più potuta arrivare."
Attenzione: spoiler sul libro "Assassin's Creed: Forsaken".
I personaggi potrebbero risultare leggermente OOC.
Genere: Generale, Sentimentale, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Connor Kenway
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!
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.: Forsaken :.


4 Dicembre 1783

Era il crepuscolo; il sole stava tramontando, lentamente, all'orizzonte della baia della tenuta di Davenport. L'acqua, gelida quanto un blocco di ghiaccio, s'increspava, formando piccole onde che andavano a schiantarsi sulla sabbia, bianca e pallida, in parte ricoperta da un sottile strato di neve, che s'andava intensificando, sempre più, all'interno del bosco. Una brezza, fredda e delicata, soffiava attraverso la quieta e dolce atmosfera invernale della tenuta.
Solo il soffiar del vento si udiva, assieme all'abbattersi delle onde sulla costa frastagliata, in parte sulla spiaggia imbiancata.
Soltanto quel fresco fruscio, interrotto, di tanto in tanto, da un canto marinaresco che s'innalzava dalla coperta de L'Aquila, rozzo nel suo genere, ma, nonostante ciò, orecchiabile.

Mentre la ciurma se la spassava cantando e bevendo, come degli ubriaconi in una taverna, in un angolo più isolato della nave, a poppa, un giovane ragazzo restava seduto sul bordo dell'imbarcazione, con gambe e piedi all'aria, penzolanti sulla grande distesa di mare, gelido e quasi scuro come il cielo notturno, chiazzato, di tanto in tanto, da macchie di schiuma bianca, generate dal movimento delle onde.
Il cappuccio calato sul capo, giocherellava con il suo tomahawk, passandoselo di mano in mano, ogni tanto fermandosi ad osservarne la lama affilata, sulla quale si rifletteva la luce, sempre più fioca e debole, del sole all'imbrunire.
Si comportava a quel modo, ormai, da più di un paio d'ore. Un moto continuo e sempre uguale, quasi come una catena di montaggio. Di tanto in tanto, levava lo sguardo all'orizzonte, gettando un'occhiata alla posizione del sole, che pareva tramontare molto, molto lentamente per Connor. Quasi come se il tempo si fosse fermato. Come se i secondi durassero minuti, e i minuti giorni... Un lasso di tempo interminabile.
Sbuffò leggermente, serrando con vigore la presa sul manico dell'arma.
I suoi occhi color nocciola passavano dai riflessi di luce della lama al mare increspato dalle onde. Da queste, ad un piccolo quaderno alla sua destra. Un diario rilegato in pelle, ma consumato dal tempo.
Quel piccolo libro costituiva la fonte dei suoi pensieri incessanti, fluenti attraverso la mente come un fiume in piena; origine di numerosi dubbi e "perché?", ai quali non riusciva a trovare una risposta, una spiegazione logica, che mai sarebbe più potuta arrivare.

Si trovava in possesso di quel diario dal lontano 16 Settembre 1781. Lo aveva rinvenuto per puro caso, sepolto fra le macerie di una stanza di Fort George, distrutta e sbriciolata dai bombardamenti, assieme a parte dell'intera Torre Occidentale. Dopo l'assassinio di Charles Lee, ultimo membro di maggior rilevanza dell'Ordine Templare del rito coloniale, a Connor spettava ancora un'ultima sfida: trovare il coraggio di leggere quelle pagine di diario, di affrontare la loro verità, e di accettarla; magari, con l'ipotesi di rivalutare i propri pensieri e giudizi.
Nonostante tutto ciò che aveva affrontato e superato sin da quando era soltanto un pargolo di quattro anni, cinque al massimo, non riusciva in alcun modo a trovare la forza di affrontare ciò che sarebbe stata la verità su suo padre, Haytham Edward Kenway, Gran Mestro Templare del rito coloniale. L'uomo che lui, Connor, anni addietro, aveva ucciso con la sua stessa lama celata, mostrando sicurezza e decisione.
Cose che, dopo due anni da opera compiuta, risultarono vacillare in lui alla sola lettura di quelle prime pagine, nelle quali poté riconoscere la calligrafia del padre.
Quei fogli, leggermente consumati ed ingialliti dal tempo, avrebbero potuto svelargli ciò che davvero era la persona di Haytham, apparentemente un Templare spietato, e ciecamente devoto alla sua Causa.

Qualcosa sembrava appesantire il suo animo durante la lettura.
L'ansia di scoprire la storia della vita del padre?
Il timore, forse? Ma di cosa poi? Era la paura di confermare i suoi pensieri, o quella di ritrovarsi a rivalutarli?
Quesiti a cui non sapeva fornire una risposta a quel tempo. Forse, è proprio a causa di ciò che decise di abbandonare il diario, cercando di dimenticarlo.
Trascorse i giorni seguenti al ritrovamento di quella piccola fonte di sapere provando a non pensarci, a disinteressarsi. Si dedicò alle attività presso la tenuta del suo mentore, Achille; in alcuni pomeriggi liberi, fino a tarda sera, s'immergeva nella frontiera, galoppando con il miglior cavallo delle sue stalle fino allo sfinimento, come se non ci fosse un domani, gustando appieno  l'atmosfera dei boschi, caldi e rigogliosi in estate, freddi e spogli in inverno; si recava presso Boston, a controllare che non si generassero particolari disordini ed insurrezioni del popolo contro i patrioti e le restanti giubbe rosse, che ancora invadevano il territorio americano; si recava a New York, a controllare come stessero procedendo i restauri della parte di città andata distrutta nell'incendio del Settembre del 1776.
Tutto faceva, a tutto si dedicava, pur di dimenticare quel diario, così "spaventoso" per la verità al suo interno celata quanto allettante.

Nel mese di Settembre del 1783, Connor si ritrovò a scendere nella cantina nascosta sotto la tenuta.
Ancora ricordava il suo primo incontro con Achille, tutte le lezioni che gli impartiva per aiutarlo a diventare un vero Assassino, gli addestramenti alle armi; quando poté indossare per la prima volta l'affascinante cappa della Setta degli Assassini, in precedenza appartenuta al suo stesso mentore. Lì è dove crebbe, trascorrendo gran parte della sua vita in compagnia dell'ex Maestro Assassino del rito coloniale, un uomo che considerava quasi come un padre.
Ma anch'esso, due anni fa, lo aveva abbandonato.
Come Haytham poteva dire? O forse era una cosa ingiusta da affermare? Dopotutto, era sempre e comunque lui stesso il responsabile della morte di suo padre.
Azionò il meccanismo legato al candelabro, celando il passaggio segreto verso la cantina. Contando ad uno ad uno, mentalmente, i gradini in legno delle scale, si ritrovò ad ammirare quel luogo che tanto poteva definire "casa", che anni addietro, quando era solo un normale ragazzo Kanien'keha:ka, si ritrovò ad osservare per la prima volta con stupore ed ammirazione. L'unica differenza era che ormai, ai suoi occhi, appariva più fredda, vuota, spoglia.
Il suo sguardo si mosse verso una parete in particolare, quasi come se fosse attratto da una calamita. Il muro sul quale erano affissi i quadri dei principali membri dell'Ordine Templare. William, Benjamin, Thomas, Charles, Haytham...
Connor si soffermò maggiormente sulla figura del padre, che in quel ritratto dimostrava di essere un uomo forte, detemirnato, sempre sicuro di sé; dall'aspetto nobile e rispettabile.
Pian piano, gli occhi del giovane scivolarono dallo sguardo color acciaio-perlaceo del Gran Maestro Templare alla scrivania sottostante, sulla quale aveva poggiato con cura il piccolo diario in pelle, che sembrava quasi chiamarlo a sé, con attrazione magnetica.
Cedette alla tentazione, sfogliando le pagine di vita del padre, sempre e comunque accompagnato da quella strana sensazione di ansia all'altezza del petto, che sembrava appesantirgli il respiro.
E più leggeva quel diario, più si rendeva conto di aver sempre sbagliato tutto, ogni cosa.

Tre mesi dopo, ad inizio Dicembre, ancora pensava incessantemente alle parole scritte in quel diario, diventate quasi sacre per lui, ma, in un certo senso, anche "violente", "spietate" nei suoi confronti.
Ormai, era destinato a vivere con uno strano senso di colpa sulla coscienza.
Il sole era tramontato del tutto, lasciando spazio al candido pallore della luna che sorgeva alle sue spalle, alle quali si trovava ancora la sua ciurma, impegnata a cantare, a danzare, a bere come se non ci fosse un domani, e a ridere come delle iene impazzite. Tra di essi, vi era anche Robert Faulkner, lasciatosi coinvolgere dall'entusiasmo di quei lupi di mare.
Connor volse uno sguardo dietro sé, sorridendo a malapena, per poi riconcentrarsi sull'orizzonte, quasi impossibile da definire ormai, poiché sembrava fondersi alle onde del mare.
Quanto gli sarebbe piaciuto sentirsi come loro in quel momento, con la testa e la mente inebriate e confuse, incapaci di pensare, poiché troppo stordite. Ora, forse, capiva il perché di alcuni uomini che si dedicavano al troppo bere per dimenticare. Ma lui non era debole. Mai si sarebbe lasciato andare a quel modo, e mai avrebbe permesso ad un evento passato di rodergli l'animo così incessantemente, anche se, ciò che aveva letto, aveva avuto un certo impatto su di lui.
Smise di giocherellare con il suo tomahawk, rinfoderandolo nella sacca apposita. Al suo posto, prese tra le mani il diario del padre, osservandone la rilegatura in pelle marrone, contemporeaneamente carezzandola con i polpastrelli delle mani.
Il suo sguardo sembrava essersi nuovamente fuso in quelle pagine, in quelle singole parole, che tanto erano riuscite a rapirlo, a soggiogarlo quasi.
E, come se stesse compiendo un lungo, ma rapido viaggio nel passato, si ritrovò ad immaginare la storia di Haytham. Da quando era un semplice bambino che veniva addestrato alle armi, a quando perse il padre a causa dell'Ordine a cui aveva sempre creduto ciecamente; da quando servì l'esercito di Edward Braddock, a quando lo uccise con l'aiuto delle tribù indigene; a quando incontrò sua madre, Kaniehtì:io, per la prima volta, a quando questa lo esiliò dalle sue terre, quasi ingiustamente; l'odissea che aveva affrontato per trovare e salvare sua sorella Jennifer, e scoprire gli assassini di suo padre; infine, da quando aveva conosciuto lui, Connor, suo figlio, per la prima volta, al suo ultimo giorno di vita. Ucciso da suo figlio stesso.

Sospirò per l'ennesima volta, mentre, al solo formulare di quei pensieri, ancora, poteva sentire un'ambigua stretta al cuore.
Avrebbe voluto venire a conoscenza di ciò che era scritto in quelle pagine molto tempo prima; avrebbe voluto sapere tutto tempo addietro, quando suo padre ancora era vivo, così da potergli mostrare almeno un briciolo di graditudine per ciò che aveva fatto per lui.
Purtroppo, le cose non sarebbero potute cambiare. Purtroppo, almeno uno dei due sarebbe dovuto passare a miglior vita.
Ed Haytham aveva scelto di sacrificare se stesso per lasciare in vita suo figlio, forse perché pensava di meritarselo.
Ma siamo sicuri che una persona spietata e senza cuore come lui, Connor, meritasse davvero di vivere?
Due anni fa, Connor avrebbe detto di sì, accusando il padre per la sua violenza nei confronti dei nemici.
Ma adesso, è il dubbio ad aleggiare nella sua mente confusa. Meritava la vita? O la morte?

"-Ditemi una cosa-, chiese Connor dopo un po'. -Avreste potuto uccidermi quando ci siamo incontrati la prima volta, che cosa ha trattenuto la vostra mano?"

"Curiosità", gli rispose quella volta di tanto tempo fa. Nonostante fosse una risposta piuttosto... "bizzarra" insomma, non aveva indagato oltre. Dopotutto, perché cercare di fraternizzare con il nemico? Se si erano ritrovati a collaborare, era perché avevano soltanto un semplice bersaglio in comune. Nulla di più.

"Avrei potuto lasciarti morire sulla forca, pensai. Avrei potuto dire a Thomas di ucciderti nella prigione di Bridewell. Che cosa aveva trattenuto la mia mano in quelle due occasioni? Forse avevo nostalgia di una vita che in realtà non avevo mai avuto."

E in quel momento, Connor si rese conto di aver sbagliato tutto.
Aveva condannato a morte il padre che lo aveva salvato dalla forca, quel padre che aveva compromesso il suo stesso Ordine pur di vederlo ancora vivere. Quel padre, che aveva permesso di far morire uno dei suoi principali alleati, Thomas, pur di salvare Connor da morte certa.
Certo, in quel momento di tanti anni addietro, Connor pensò che fosse stata la Confraternita a salvarlo.
Ma adesso che conosceva la verità... Quanto avrebbe voluto tornare indietro nel tempo per poter ringraziare suo padre. Quanto avrebbe voluto conoscerlo quando ancora era vivo.
Adesso, aveva con sé solo quel diario. Un misero diario...

Una parte di lui, si era davvero pentito di averlo ucciso.
Di aver ucciso l'unica ed ultima figura che gli sarebbe potuto essere vicino, nonostante l'appartenenza a due Ordini contrastanti fra loro.
Dall'altra parte, però, non provava rimpianto. Dopotutto, era per la Confraternita che aveva agito. Era stato stesso lui, Haytham, a decidere, in fin dei conti, chi fra i due sarebbe dovuto sopravvivere. Avrebbe potuto sconfiggerlo facilmente se avesse davvero voluto. Nonostante la sua età avanzata, risultava comunque essere un abile guerriero. Connor, al confronto, non era che un semplice novellino, che tanto aveva ancora da imparare. Nel giro di un minuto, o anche di meno, avrebbe potuto metterlo K.O. in men che non si dica.
Ma non lo aveva fatto. Aveva preso la sua "decisione".

Sospirò per l'ennesima volta.
Decine e decine di pensieri, tutti assieme, offuscavano la sua mente.
Si sentiva confuso, deluso quasi, E, tutto ad un tratto, quella convinzione che sempre aveva caratterizzato la luce dei suoi occhi color cioccolato, era come svanita nel nulla, indebolita. Se prima riusciva a pensare con sicurezza, adesso era difficile scorgerne l'ombra nelle sue parole.
Aveva sempre sostenuto con sicurezza le opinioni che aveva su suo padre. Quel diario, era stato in grado di abbattere quel solido muro di convinzione che era riuscito ad erigere col passare degli anni, trascorsi nell'istruzione del suo ex mentore.

"Sbirciai dalle tenebre dietro il pulpito. Indossava la veste degli Assassini e aveva un'espressione intensa, e lo osservai per un attimo. Fu come guardare me stesso in versione giovane, da Assassino, il cammino che avrei dovuto prendere, il percorso per il quale ero stato preparato e che avrei seguito, non fosse stato per il tradimento di Reginald Birch. Osservandolo, provai un miscuglio di emozioni, tra cui rimpianto, amarezza, addirttura invidia."

Da quelle parole, capì ancora di più i sentimenti del padre nei suoi confronti. Sapere che sarebbe dovuto diventare un Assassino... Era una cosa alquanto bizzarra a cui credere. Lui, Haytham, Gran Maestro Templare, era stato addestrato per diventare un Assassino. Come lo era diventato lui, Connor.
Capiva, adesso, il perché di quella invidia. Lui, almeno, non era stato tradito dal proprio mentore, figura quasi paterna per lui. Non era stato deluso dalla sua Confraternita, come, al contrario, era accaduto a suo padre.

"-Il vostro interesse per quel bambino è toccante, Haytham. Siete sempre stato un gran sostenitore degli indigeni...- Le parole gli si congelarono sulle labbra, perché, un attimo dopo, avevo stretto nel pugno parte della sua mantella e l'avevo lanciato contro il muro in pietra della prigione. Torreggiai su di lui e i miei occhi lo trapassarono. -Io mi preoccupo dell'Ordine-, gridai. -Il mio unico interesse è l'Ordine. E, correggetemi se sbaglio, Charles, ma l'Ordine non predica di massacrare in modo insensato gli indigeni, di bruciare i loro villaggi. Se ben ricordo, questo non faceva parte dei miei insegnamenti."

Adesso, Connor, poteva comprendere perfettamente i sentimenti del padre, l'invidia che provava per lui, suo figlio.
Ma lui, troppo accecato dalle sue opinioni, dai suoi giudizi, dalla sua sicurezza quasi maniacale, ma anche una valida nemica, lo aveva sempre ritenuto un Templare sicuro di sé, dei suoi metodi, del suo Ordine, e degli atteggiamenti dei suoi compagni, soprattutto per quanto riguarda Charles Lee.
Quanto si sbagliava...

Quel giorno, 4 Dicembre 1783, Haytham, suo padre, avrebbe compiuto cinquantotto anni.
Chissà, pensava Connor. Se fosse stato ancora in vita, suo padre sarebbe stato ancora un Templare? Il Gran Maestro Templare del rito coloniale? O forse, le cose sarebbero potute andare in modo diverso?
Se avesse saputo prima tutto ciò che vi era celato in quelle pagine di diario, lui, Connor, che cosa avrebbe fatto? Avrebbe deciso di perdonare suo padre? Gli avrebbe concesso delle scuse, forse, per i giudizi sbagliati che aveva su di lui? Avrebbero trovato il modo di allearsi, di cambiarsi l'uno con l'altro, o magari, di far collaborare entrambi le fazioni? Sarebbe mai potuto essere possibile, o, anche in quel caso, si sarebbe trattato di una specie di "utopia"?
Sapeva del desiderio non realizzato del padre. Anch'esso, come lui del resto, prese in considerazione l'ipotesi di poter unire Assassini e Templari. Ma qualcosa gli fece capire che non era una cosa possibile. Forse, si ritrovò a rivalutare le sue opinioni dopo aver avuto a che fare con lui, Connor. Qualcosa del suo comportamento, o della sia sicurezza nei confronti della Confraternita, devono aver dato una svolta definitiva al suo pensiero di "utopia", di una sorta di alleanza fra Assassini e Templari.

"-Abbiamo un'opportunità adesso- insistetti. -Insieme possiamo rompere il cerchio e porre fine a questa guerra. Lo so.- Vidi qualcosa nei suoi occhi: il ricordo di un sogno non realizzato? -No. Tu vuoi saperlo. Tu vuoi che sia vero.- Nelle sue parole c'era una sfumatura di tristezza. -Anche una parte di me l'avrebbe voluto. Ma è un sogno impossibile."

E forse, aveva ragione. Ma chissà se le cose non sarebbero potute andare diversamente?
Purtroppo, riguarda uno dei tanti quesiti a cui Connor non sapeva trovare una risposta. Uno di quei dubbi, pensieri, che gli frullavano nella testa, gli ronzavano nella mente, in modo incessante.
Ma ormai, era fatta. Non si poteva più tornare indietro, ma soltanto andare avanti, accettando la realtà, e la convivenza col dubbio.

"Il mio cammino era lastricato di menzogne, la mia diffidenza forgiata dal tradimento. Ma  mio padre non mi aveva mai mentito e, con questo diario, salvaguardo questa tradizione. Ti offro la verità, Connor, e tu fanne ciò che vuoi."

Il ragazzo levò nuovamento lo sguardo verso l'orizzonte indefinito, dove il confine delle onde sembrava fondersi al color notte del cielo, macchiato dallo splendore candido e soffuso delle stelle.
Sorrise. Un sorriso appena accennato, ma sincero.
Aveva accettato la realtà, e forse aveva compreso. Aveva ammesso di aver sbagliato su di lui. E gli dispiaceva.
Ma perdonarlo, questo proprio non riusciva a farlo.


"Non l'ho mai conosciuto. Lo credevo, ma fu solo nel leggere il suo diario che mi resi conto di non averlo mai conosciuto. Ora è troppo tardi. E' troppo tardi per dirgli che mi ero fatto un'idea sbagliata su di lui. Troppo tardi per dirgli che mi dispiace."


Angolo autrice:

Buon pomeriggio a tutti voi :)
Premetto che questa è la prima one-shot che scrivo su Assassin's Creed. Non l'ho mai trovato un argomento tanto facile da affrontare, poiché ritengo che si debba comprendere bene la storia generale per poter scriverci su qualcosa.
Diciamo che ho tentato di affrontare il legame padre-figlio fra Haytham e Connor, cercando di esprimere al meglio quelli che sarebbero potuti essere i pensieri di quest'ultimo sul padre, dopo aver rinvenuto il diario e saputo a verità sul suo passato. So che Haytham è un personaggio non preferito da molti. Io, personalmente, trovo che sia un personaggio davvero ben fatto, soprattutto grazie al libro, che approfondisce la storia della sua vita. Sono molto legata alla famiglia Kenway, e leggere quel libro è stato davvero emozionante per me, poiché si sta parlando di un personaggio che io stimo tantissimo. Per questo, spero vivamente di aver scritto qualcosa di decente, e che soprattutto non rovini ciò che è davvero il personaggio di Connor. Anche se so di essere uscita un po' fuori dal personaggio.
Spero che questa one-shot sia di vostro gradimento, e vi sarei davvero grata se mi lasciaste anche una piccola recensione. Ogni parere è importante per me per migliorare :)
Vi ringrazio infinitamente; un abbraccio da parte di Alecraft Mounts! Ciao ciao!
   
 
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