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Autore: Dark Swan    30/08/2016    0 recensioni
Il rimbombo di uno sparo in un'aula vuota, un corpo fumante ancora a terra ed un biglietto. Questo è tutto ciò di cui la detective Alessandra dispone per indagare sulla morte del prof. Montecchi. L'aiuteranno nell'indagine il suo nuovo partner Manuel ed Elena, studentessa ed aspirante scrittrice, che si trovava a poche aule di distanza la mattina dell'omicidio. L'ultima corsa è molto più che un romanzo thriller, ma una splendida indagine dell'interiorità umana, l'analisi dolorosa, angosciante, malinconica ed autunnale dei sentimenti che scandiscono le nostre giornate, delle frasi che lacerano il cuore, delle storie sentimentali che possono sfociare in drammatiche inquietudini. Di quell'amore che, se negato, può diventare più freddo della morte.
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Gli anni passano, e i mesi ritornano. Accasciati su un foglio, su un ricordo, s'una preoccupazione. Un chiacchiericcio indistinto di voci intorno coprivano l'attesa. Si faceva a gara a chi era più strano in quell'università, la ragazza nella felpa accanto china sul telefono o lei piegata su un'illusione?
Il sapore amaro del caffè che aveva appena bevuto le lasciò addosso la sensazione del fallimento; voleva studiare il significato che si nascondeva dentro al destino altrui perché non riusciva a comprenderne il proprio.
"Sei mesi" recitava l'annuncio della casa editrice che stava leggendo. 
"Sei mesi e se il vostro lavoro risulterà degno di interesse, riceverete risposta."
Sei mesi, centottanta miseri giorni, che Elena Rossi iniziò a contare ad uno ad uno.
Non riusciva a capacitarsi di aver inviato il suo manoscritto ad un muto indirizzo di posta elettronica. 
Sei mesi erano troppi per aspettare una risposta che forse non sarebbe neanche arrivata.
Aspettare era la parte difficile. Scrivere un libro, invece, non lo era stato. Ad Elena bastò scrivere ciò che tutti volevano sentirsi dire: l'amore esiste, Dio pure; non siete soli, la vostra vita ha un senso.
La ragazza sapeva che le bugie si vendevano meglio delle verità e che erano anche più brevi da appuntare.
Avrebbe voluto essere come la protagonista del suo libro, ma la distanza tra le due era così grande che finì per rendere quella simile a lei.
Elena le sembrava un bel nome da dare ad un personaggio di finizione.
Per scrivere quel suo romanzo iniziò ad osservare la gente per strada, e camminando, appuntava fatti e personaggi nella sua testa. Ma le sfuggiva sempre qualcosa, il suo occhio non sembrava in grado di fermare nulla. Al punto tale che se da un semaforo fosse spuntata una luce blu, avrebbe continuato a camminare con la testa tra le nuvole e il cuore all'inferno, dannata per un peccato che non aveva nemmeno commesso. Camminava perdendosi, in esilio dalla sue certezze. È così facile lasciarsi, pensava, mandare a puttane tutti quei progetti, cancellare di colpo tutti quei disegni di una sbiadita felicità; tenersi è difficile, aggrapparsi ad un sorriso, reggersi ad una corda che non sopporta più il tuo peso; rinunciare è impossibile, ma era tutto ciò che avrebbe dovuto fare.
Avrebbe dovuto continuare a scrivere soltanto per se stessa e non avere la presunzione di pensare che a qualcuno potesse piacere ciò che lei aveva scritto. Non avrebbe dovuto sottrarre il ragazzo alla protagonista; se la immaginava così arrabbiata da uscire dalla pagina per prenderla a pugni. Ma la morte del ragazzo che amava era stata l'unica cosa realistica nel mare di sciocchezze in cui galleggiavano le parole di quello stupido romanzo. Le storie finiscono male Elena, le avrebbe detto, non puoi pretendere di abitare il paradiso se dentro hai l'inferno.
La pioggia si infrangeva rumorosamente contro la finestra dell'aula in cui si era accomodata. 
La testa china sul telefono, le dita che accarezzavano con incertezza lo schermo per paura di alterale il numero di parole che stava fissando.
Le consumò tutte prima di averci capito qualcosa.
Per quel vizio di dare un nome a ciò che non si conosce, la ragazza definì quello un brutto periodo. Era un brutto periodo perché non riusciva a tenersi occupata in quell'attesa infernale.
Al cadere dell'ora della lezione di Letterature Comparate, l'aula venne assalita da quella che Elena chiamava ‘la generazione dal pollice piegato'. Aveva coniato questa formula osservando il comportamento dei suoi giovani colleghi: stavano tutti attaccati al telefono, come se stessero aspettando la risposta ad una domanda che non avevano il coraggio di fare, quella scena, quella giovinezza che si faceva vecchia a forza di aspettare le straziava il cuore. Era fermamente convinta che le generazioni future sarebbero nate con il pollice piegato a causa di quell'assurda abitudine dei padri.
Dopo mezz'ora di attesa, tutti si convinsero che il professor Montecchi avesse dato buca, e l'aula iniziò a svuotarsi lentamente; Elena, dal canto suo, si convinse che non avrebbe mai ricevuto risposta dalla casa editrice che aveva contattato. Che cosa stupida pensare che un po' di inchiostro macchiando della carta strappata alla natura potesse dare un senso alla sua esistenza. 
Quante ore sprecate, buone a non far nulla di diverso. Quante speranze distorte, quante carezze all'unica cosa che le era cara in quei momenti: una pagina, chiara, silenziosa. Non sapeva più che dirsi, e non capiva per quale motivo dovesse continuare a dirsi qualcosa. Ogni giorno a cui sopravviveva, era un giorno in più che allungava la sua agonia. Andare alla ricerca di parole che potessero piacere a qualcuno, e non trovare niente. Scriveva mezza pagina e ne era contenta, solo ed esclusivamente perché la sua vita era così povera di felicità, che amava illudersi che qualche rigo in più potesse aiutarla a dispiegare pian piano il disegno della sua esistenza. E con che coraggio si sarebbe detta che una volta svelato quello sarebbe svanita anche lei con esso? Voleva semplicemente smetterla di aggiungere pezzi; voleva strappare tutte quelle pagine e cancellare se stessa insieme a loro.
Iniziò ad arredare il tunnel in cui si trovava usando la luce che vedeva in fondo a questo per leggere meglio le parole con cui si stava stordendo.
La sua mano si rifiutò di scrivere parole che non avrebbe letto mai nessuno; e perse l'unica cosa che le era rimasta. Non era mai riuscita a portare a compimento nulla, senza mai a lasciarsi la soddisfazione di riempirsi la bocca con frasi di senso compiuto.
Capì che la letteratura avrebbe fatto per sempre parte della sua vita quando le fu raccontato di un tale che si era perso perdendo la donna che amava, e che passando per l'inferno alla fine la ritrovò in paradiso più bella e più radiosa che mai. Stupide altre materie che le sottraevano tempo per leggere. Stupidi rumori, stupide chiamate e stupidi caffè. Le uniche persone che valeva la pena di incontrare stavano incollate nelle pagine dei libri. Emma Bovary esisteva, il signor Heathcliff era fatto di carne ed ossa e Zeno Cosini se ne stava ancora a fumare la sua ultima sigaretta.
Di colpo, fuori la porta, si udì infrangersi qualcosa in un gran trambusto di grida ed esasperazione. Elena non si mosse, il virus che aveva nella testa le impediva di agire.
Qualcuno però si era mosso ed era andato a cercare il professore, e del professore aveva trovato ben poco.
L'università fu evacuata ed arrivarono degli agenti del dipartimento di polizia più vicino.
   
 
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