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Autore: Importantbusinesseu    01/09/2016    4 recensioni
"A Chanyeol non bastavano tutte le dita delle mani per riuscire a contare le sue fobie."
Per chi ha bisogno di un cuore per far battere il proprio.
Genere: Angst | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Baekhyun, Baekhyun, Chanyeol, Chanyeol, Sorpresa
Note: OOC | Avvertimenti: Tematiche delicate
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;Put all the pain in the past.
 
 
A Chanyeol non sarebbero bastate tutte le dita delle mani per riuscire a contare le sue fobie. Tre erano stati gli avvenimenti traumatici nella sua vita, e due erano le ore a settimana che passava dallo psicoanalista, sdraiato sulla pelle consunta di una chaise long che sembrava essere stata recuperata sul ciglio della strada. Chanyeol era sicuro di sentire l'odore di spazzatura ogni volta che appoggiava la testa sul cuscino, ma questo faceva parte della sua eccessiva fissazione per il pulito. Quindi si può dire che avesse già nascosto quattro delle dita della sua mano, e per quanto volesse resistere, anche il mignolo minacciava di sparire insieme a loro. 
Ricapitolando: tre erano gli episodi che lo avevano trasformato nel ragazzo la cui freddezza aveva eretto una campana di vetro intorno a lui, separandolo da ogni essere umano, sebbene i suoi genitori gli stessero sempre alle costole per paura che potesse salire sulla sedia della sua scrivania e fare un salto all'altro mondo. Ed è proprio per questo motivo che in camera sua non c'erano sedie, ma solo il pavimento freddo che non sembrava mai abbastanza lucido. 
L'uomo che spacciavano per psicoanalista, la cui fronte sudata dava sempre un senso di nausea a Chanyeol , sembrava non trovare rimedio ai suo infiniti problemi, ma continuava ad assicurarsi che la famiglia Park accompagnasse il figlio alla seduta settimanale, perché il suo caso era così ingarbugliato da avergli assicurato il mutuo, l'impianto d'aria condizionata nello studio, e l'orologio dorato intorno al suo polso.

-Suo figlio è depresso. –

Era sempre quella la sentenza che riuscivano a cogliere le orecchie di Chanyeol, pronunciate dalla voce nasale del suo analista, mentre veniva coperta un attimo dopo dai sonori singhiozzi isterici di sua madre. Ma gli sembrava sempre la solita scusa di chi non sapeva dare una risposta alle sue angosce. Presto Chanyeol aveva cominciato a convincersi che forse doveva solo dar ascolto agli adulti, e arrendersi ad un'opinione che presto avrebbe costituito l'unica sicurezza.
Difatti non si era opposto quando i suoi genitori l'avevano ritirato da scuola, perché convinti che il pacchetto di sigarette che avevano trovato sotto il letto fosse suo, preoccupati che fosse il collegio ad avere una cattiva  influenza su di lui, piuttosto che loro stessi. 
Ma Chanyeol non fumava:  un manifesto nella sala d'attesa del suo allergologo era bastato a spaventarlo, facendogli esplicitamente  presente che parte della popolazione di fumatori moriva di cancro ai polmoni, ed era abbastanza sveglio da capire che un asmatico come lui rischiasse il triplo.
E così aveva passato gli ultimi anni della sua adolescenza avvolto nelle sue coperte, ascoltando canzoni tristi pur di provare qualsiasi sentimento che non fosse solo paura, ansia e accondiscendenza. Pareva che quel guscio di cotone, avvolto intorno alle sue spalle, lo proteggesse da ogni male esistente, e aveva imparato a nascondersi sotto la trapunta anche quando il sole rendeva il vetro della sua finestra rovente.

Chanyeol aveva vent'anni e non lasciava mai la sua stanza - che gli regalava l'unico sollievo di un copriletto dal profumo di lavanda- se non quando lo scarrozzavano fino a Busan per frequentare quel gruppo di supporto di chi, come lui, soffriva di depressione maggiore, o così diceva quel buffone del suo psicanalista. Persone che lo facevano sentire soltanto peggio, non volendo ammettere a sé stesso di essere uno squilibrato come loro. Eppure solo a vedere il tessuto dei Jeans dei loro pantaloni, Chanyeol doveva cercare di non farsi prendere dal panico, per evitare di doversi alzare in piedi e spiegare, di fronte a tutti quegli occhi curiosi, la sua assurda paura per i bottoni.
Era sempre stato imbarazzante avvicinarsi alla cassiera del negozio di vestiti e richiedere sommessamente se avessero pantaloni senza alcun bottone, con la sola consapevolezza che chiunque si sarebbe girato verso di lui e l'avrebbe deriso. Oppure, quando in quella scuola maschile aveva presentato il certificato medico per evitare di indossare la divisa della scuola, schivando così la camicia soffocante e sostituendo la zip con una fascia elasticizzata. Chanyeol pensava di essere una sorta di barzelletta della natura, perché era sicuro che anche il più bravo dei dottori ridesse di lui alle sue spalle, così come gran parte delle persone che conosceva, con eccezione dei suoi genitori: così afflitti da aver deciso di dar solo attenzioni a lui da dimenticare di aver un secondo figlio.
Lasciare la scuola non era poi di un gran dispiacere. Avrebbe potuto risparmiarsi tutti quei volti che lo scrutavano come fosse un fenomeno da baraccone. Perfino il peggiore degli sfigati, piuttosto che renderlo soggetto di bullismo, lo teneva lontano perché Chanyeol era soltanto un tumore, un guasto, una cellula impazzita. 
Niente che gli importasse davvero: aveva così tanti motivi per poter rimanere in casa, e li poteva esattamente contare sulle dita delle mani.
Ma apparentemente i suoi problemi sembravano spuntare come funghi, e Chanyeol cominciava a credere di dover rinchiudersi in un ospedale psichiatrico, così da far respirare i suoi genitori. O forse, voleva soltanto liberarsi dallo stress che loro stessi alimentavano, immaginando un letto d'ospedale più confortevole di quella sedia di plastica arancione del gruppo di sostegno. 
Una stanza talmente piccola da fargli credere di essere claustrofobico, perché era sicuro di poter sentire l'odore di sudore bloccargli il respiro e percepire le ginocchia dei ragazzi vicino a lui scontrare le sue.
Ogni volta che pensava alle ginocchia, appariva l'immagine indelebile del sangue che gli macchiava i pantaloni, dopo la sua prima caduta in bicicletta. 
Una chiazza così scura da aver placato le sue lacrime. Una visione così magnetica, mentre la macchia sembrava espandersi così come il suo dolore. Aveva arrotolato l'orlo dei pantaloni per mostrare i profondi solchi sanguinolenti che pulsavano ad un ritmo innaturale. 
E questa era stata la prima crepa che aveva lasciato non solo una cicatrice rosea sulla sua pelle, ma un segno che lo aveva reso, tra le altre cose, un elemento irriducibile della sua equazione, perché per quanto le sue conoscenze di matematica fossero scarse, era sicuro che niente potesse annullarlo se non lui stesso.
L'emofobia aveva costretto la sua famiglia a vivere secondo la dieta vegetariana, sostituendo la carne con le peggiori proteine che lasciavano solo un retrogusto di schifo sul suo palato. Ma era sempre meglio di vedere il sangue colare sul suo piatto, ed evitare quei lettini sgradevoli in ambulanza, dopo essere svenuto nel bagno di casa.
Chanyeol sapeva che i suoi genitori si soffermavano la sera, dopo il lavoro in ufficio, nel centro di Changwon per godersi le tipiche grigliate coreane. Lo capiva dall'aroma che il vapore aveva lasciato impresso nei loro vestiti, quando raffazzonavano una di quelle scuse che aveva registrato ormai nella sua testa.
-Abbiamo fatto tardi perché c'era traffico. – 
Quando in realtà era sicuro che nel suo quartiere non ci fosse anima viva la notte.
Sembravano volerlo trattare come un bambino, e Chanyeol non poteva non sentirsi in colpa quando i suoi genitori gli mentivano, poiché le spese per i suoi farmaci, gli insegnanti privati, e le visite in ospedale, avevano completamente annullato la loro vita, lasciandosi alle spalle una lista di debiti che non consideravano così importanti come la sua salute mentale.
Chanyeol era sicuro di non essere uno psicopatico, di non aver bisogno di antidepressivi che gli avrebbero procurato soltanto profondi buchi nello stomaco, eppure non aveva le forze per ribellarsi. Forse quello era l'unico modo per ripagare i suoi genitori, concedendogli quelle sicurezze infondate, mandando giù quelle medicine che non facevano alcun effetto se non creargli sonnolenza.

Eppure si sarebbe volentieri risparmiato le analisi del sangue.

Tutti sembravano alla ricerca incessante di una qualche anomalia che potesse giustificare il suo senso di stanchezza, quando in realtà era soltanto il suo metabolismo altalenante che si prendeva gioco di lui. Ma Chanyeol era certo che i dottori lo costringessero a sottoporsi a continue iniezioni, con la sola speranza di non aver perso anni di studio per una laurea che non sembrava trovare nessuna possibile cura per lui.
-Park Chanyeol - aveva detto la voce giovane dell'infermiera.
Aveva fatto finta di non ricordarsi il suo nome, intanto essere depressi doveva anche implicare disturbi della memoria, e lui era sicuro che l'infermiera avesse sbirciato nel suo fascicolo senza riconoscere il nome delle sue fobie, traendo conclusioni affrettate come tutte le persone che dicevano di essere medici.
Solitamente Chanyeol mandava suo fratello minore al posto suo, la loro somiglianza sembrava ingannare quelle facce stanche che non sembravano nemmeno ricordare come si facesse un prelievo. Eppure Bohyuk aveva spifferato tutto a sua madre, e nonostante la sua carta d'identità gli assicurasse di essere ormai adulto, si faceva trascinare dalla donna in quella stanza così bianca da accecargli gli occhi. Una volta chiusa la porta niente gli avrebbe impedito di piangere avvertendo l'odore metallico di una siringa. Scosso da violente palpitazioni, la madre gli avrebbe forzato i polsi per gestire la sua crisi.
-Rilassati, non sentirai niente. –
-Non ti azzardare a dirmi cosa provo. Non me ne faccio niente delle tue stronzate. -

Era chiuso nel bagno dell'ospedale per scacciare il sapore salato delle sue lacrime, le quali sembravano scendere presuntuose senza il suo permesso. Aveva strofinato così forte le mani sul suo volto per cancellare il riflesso sullo specchio davanti a lui, un'espressione che gli sarebbe sempre parsa cerea, il cui pallore non gli suscitava niente. Non riusciva a provare emozioni concrete, era difficile persino pensare. Intorno ai suoi occhi scuri, erano ricamate le ombre nere della notte, testimonianza di tutte le ore insonni trascorse a guardare la porta chiusa di camera sua. La visione dell'oscurità pronta a esibire tutte le sue paure di fronte agli occhi.
I suoi zigomi pronunciati, le guance scavate, le spalle sporgenti, tutti i segni della sua accondiscendenza erano evidenti sul suo corpo. Chanyeol non sapeva cosa significasse essere felici, per lui la felicità era una leggenda metropolitana, un appiglio per chi ha una visione esageratamente soggettiva della vita, nutrendosi delle proprie insoddisfazioni come fosse pane. Era un aggettivo che gli insegnavano alle elementari, e che l'analisi grammaticale riteneva un sentimento più che astratto.
Quel tipo di felicità che non sembra arrivare mai, che non la si apprezza finché non la si perde. Chanyeol credeva che la felicità fosse una condizione che lo escludesse, ma forse era solo perché non aveva capito che un simile stato d'animo potesse manifestarsi in diverse forme.
E Chanyeol non sapeva che, in quel preciso momento, un ragazzo aveva accostato l'orecchio sulla porta per ascoltare i suoi singhiozzi.

-Tieni. – gli aveva sorriso il ragazzo, assicurandosi che Chanyeol avesse stretto le mani intorno alla tazza di thè che gli aveva preparato. Aveva visto lo zucchero di una bustina fermarsi sul fondo della tazza, e ciò poteva solo confermargli che il ragazzo lo considerava debole. Quel sorriso lo metteva soltanto a disagio. Non meritava commiserazione di uno sconosciuto.
-Brutta giornata? – aveva chiesto poi, sedendosi sul bordo del divanetto davanti a lui. Chanyeol si era spinto inconsciamente indietro sulla sedia, facendo sogghignare il ragazzo.
Stava ridendo di lui? Perché gli stava ancora parlando?
-Sei di molte parole, vedo. –
-Non ho molto da dire. – aveva detto incerto, ma non perché la ritenesse una bugia, ma piuttosto non voleva illudersi che un qualunque infermiere potesse mostrare interesse per un paziente. Tanto meno per lui. Il riflesso sul suo specchio gli sembrava soltanto un incubo.
-È finito il mio turno, se hai bisogno chiedo ad un altro volontario di farti compagnia. – Chanyeol aveva scosso la testa segno di disapprovazione.
-Spero di vederti in giro Chanyeol – e così era scomparso in un corridoio dell'ospedale, tra le tenute bianche che correvano da una parte all'altra creando confusione nella sua testa. Avrebbe voluto chiedergli come conoscesse il suo nome, e soprattutto perché non fosse scappato da lui, sapendo chi era realmente. Chanyeol aveva bevuto il thè al limone che riscaldava le sue mani, non gli importava se non l'avrebbe più rivisto.

La prima volta era stato il caso, la seconda poteva solo essere una coincidenza.
Chanyeol era riuscito a evitare le sue due ore settimanali dall'analista. Sua madre lo aveva accompagnato fino a quel palazzo di mattoni rossi e, una volta allontanatasi, Chanyeol aveva girato l'angolo scoprendo i festoni dorati di un quartiere cinese. Il cappuccio della felpa nera gli copriva il viso, facendolo sentire al sicuro da ogni oggetto che sembrava tagliare il suo sguardo. Nelle tasche dei pantaloni, le sue dita giocavano nervosamente con le monete fredde che non aveva mai avuto modo di spendere, perché qualsiasi cosa intorno a lui gli sembrava soltanto effimera.
Un vento gelido lo prese alla sprovvista mentre procedeva barcollando per le strade deserte. Non sapeva dove fosse diretto, sperava solo che quel marciapiede lo avrebbe portato lontano. Nonostante fosse stanco le sua gambe si muovevano velocemente, sembravano riconoscere la strada che calpestavano, come se l'avesse vista in uno dei tanti film che guardava chiuso nella sua stanza. Il soffio persistente dell'aria sferzava sul suo volto, costringendolo ad entrare nel primo negozio non appena la pioggia aveva cominciato a martellare sul tessuto nero della sua maglia. Era possibile che le gocce fossero più scure dello stesso nero?
L'odore antiquato proveniva da lunghi corridoi di scaffali incastonati da libri più vecchi di lui e, alla fine di quelle corsie che erano sicuramente tre volte il corridoio di casa sua, si apriva una sala gremita di studenti universitari e ragazzini in divisa. Tutto quello che Chanyeol pensava di desiderare: leggere libri che non fossero proibiti dal suo medico, accompagnato dalla fragranza amara del suo Americano take-away. Percepire un silenzio diverso che fosse l'insieme di più respiri, ed essere scosso da una lieve agitazione che l'avrebbe reso vivo. Invece Chanyeol aveva solo una fotocopia sbiadita di un certificato appeso sul frigo della cucina.
-Posso prendere in prestito un libro? – aveva chiesto ingenuamente.
-Haksaeng questa è una biblioteca. – aveva risposto la donna, guardandolo divertita dai suoi occhiali a punta.
–L'orario di chiusura è alle ventidue. – aveva esordito prima di tornare a leggere la sua rivista gossip.
Chanyeol si era seduto dietro una scrivania, le gambe incrociate per non toccare il pavimento, e la schiena ricurva sul libro la cui copertina aveva catturato la sua attenzione: Norwegian Wood. Pagine che sembravano parlargli, emozioni che parevano essere morte una volta ingoiati gli psicofarmaci. Chanyeol poteva solo sperare che la bibliotecaria non avesse notato le sue lacrime bagnare i bordi della carta giallastra. Aveva provato tante volte a spiegare sé stesso, come fosse uno di quei problemi la cui incognita era così facile da frustrarlo, ma prima di poter iniziare, quelle lacrime da bambino uscivano dal buio. Era giusto così, se voleva piangere avrebbe potuto farlo, doveva solo lasciarle cadere.
-È bello? – Chanyeol si era irrigidito riconoscendo la voce calda del ragazzo dell'ospedale, colto sul fatto mentre piangeva come una ragazzina. Si era limitato ad annuire in silenzio, e si era voltato per vedere quel sorriso semplice inciso sulla pelle olivastra.
-Ci conosciamo? – aveva domandato all'improvviso il ragazzo dell'ospedale.
-Ci siamo incontrati all'ospedale due settimane fa - aveva risposto, avvicinando il pollice sotto la sua guancia per catturare le ultime lacrime. Chanyeol era solo freddo, rigido, e le dita del ragazzo parevano scottarlo.
-Come sai il mio nome? Non mi sembrava di averlo mai specificato. –
-Tua madre pensava fossi scomparso, e mi hanno mandato a cercarti – aveva risposto scrollando le spalle. Il pensiero della donna che aveva reclamato la scomparsa del figlio lo fece sogghignare: aveva cercato Chanyeol per tutto l'ospedale convinto si trattasse di un bambino di cinque anni, per poi fare una piacevole scoperta.
-Mi chiamo Baekhyun – si era presentato, un entusiasmo che Chanyeol non riusciva a spiegare. Lui non era nessuno, era solo un fantasma.
-Certo - si era mostrato indifferente, sperando di cacciare via il senso d'ansia che gli infondeva la mano di Baekhyun sulla sua spalla. Non voleva essere toccato, avrebbe potuto farsi male.
-Non sei capace di fare il difficile, fattelo dire - e aveva riso così tanto nel vedere lo sguardo perso di Chanyeol. Baekhyun pensava che non ci fosse niente di sbagliato, per lui era soltanto carino.

Si dice che la terza volta sia destino, e Chanyeol l'aveva imparato in uno dei drama coreani che, sebbene fossero ridicolamente surreali, talvolta riuscivano a trasmettergli un qualcosa che giudicava più che il niente.
Sua madre era sparita dentro la farmacia di Changwon da più di mezz'ora, la fila era così lunga quella domenica mattina che Chanyeol aveva deciso di sedersi su una panchina. L'idea di essere in mezzo alla gente non lo allettava, così aveva guardato il riflesso della strada dietro di lui sulla vetrina. Completamente ipnotizzato dalle macchine che sfrecciavano dietro la sua schiena, regalandogli una brezza artificiale che gli trasmetteva freschezza, in quella mattina troppo calda per indossare una felpa.
-Solo io penso che sia destino? –
-Io credo sia solo dannatamente inquietante – il suo cuore sembrava battere ansioso riconoscendo la presenza di Baekhyun accanto a lui, come fosse una vampata spiacevole. Chanyeol aveva caldo.
-Ti va di uscire insieme? –
-Non siamo amici. –
-Non ancora. – Baekhyun aveva sorriso, Chanyeol l'aveva visto nel riflesso del vetro. Per un attimo gli era sembrato di vedere gli angoli della propria bocca accennarne uno in risposta. Gli sembrava impossibile, ma non sapeva che presto avrebbe sorriso solo per lui.

Chanyeol non aveva mai avuto amici, né tantomeno li aveva mai voluti. Ci sono persone che nascono per essere sole, e altre che invece bisogna tenerle sempre per mano. La prima volta che Baekhyun gli aveva stretto la mano si era sentito a disagio, e aveva contato i suoi passi per non pensare alle dita intrecciate intorno alle sue, e ai loro palmi bollenti scontrarsi ad ogni passo.
-Gli amici si tengono per mano? –
-Solo i migliori amici. – aveva risposto, accarezzando con le dita il profilo delle sue nocche. Chanyeol non riusciva a capire perché lo trovasse gradevole, poteva solo pensare alle unghie impresse nella carne, e immaginare la sua pelle sanguinare mentre veniva strappata via. Aveva tirato la sua mano indietro, e gli aveva chiesto di riportarlo a casa.

Baekhyun era nella sua camera, così pulita da ricordare quella di un catalogo di arredamento, e teneva in mano il barattolo con le sue caramelle, così almeno si era giustificato.
-Chanyeol, non sono scemo. È il mio lavoro – si era seduto sul letto accanto a lui, e aveva posato la mano sul suo ginocchio, aspettando una spiegazione. Un tocco che gli sembrava di percepire attraverso il tessuto del pigiama, ma che questa volta non aveva respinto. L'affetto lo incoraggiava, era quello di cui aveva sempre avuto bisogno. Era una sensazione così dolce da sovrastare il sapore amaro che era rimasto impresso sul suo palato.
E così aveva trovato le forze per contare tutte le sue fobie sulle dita delle mani, e più si avvicinava alla fine più aveva paura di perdere l'unica persona che sembrava trasformare la sua equazione da negativa a positiva.
-Chiudi la mano, e stringila in un pugno. – e così aveva fatto.
-Aprila. – aveva detto, il suo tono di voce sempre morbido, e non si sarebbe mai stancato di ascoltarlo. –Che cosa vedi? –
-Niente. –
-Le tue paure non esistono. È solo frutto della tua immaginazione, non c'è niente di cui aver paura. –
Chanyeol aveva nascosto la testa nella spalla del ragazzo, sperando che quello che gli avesse detto fosse vero. Ma adesso c'era una paura ancora più grande che faceva battere il suo cuore come le ali di un pettirosso: avrebbe voluto che lui non lo lasciasse mai.

Ogni pomeriggio lo trascorrevano nella sua stanza, sdraiati sul pavimento, spalla contro spalla, ascoltando il cd di Tablo dagli auricolari, e leggendo i libri di Murakami dai quali ne era dipendente. E se prima Chanyeol aveva saltato una seduta dal suo psicanalista, ora aveva cominciato a saltarne due, tre, finché lui stesso non aveva cominciato a chiamarlo a casa, frustrato per aver perso il suo miglior paziente.
-Sono convinta che Chanyeol non abbia bisogno di visite al momento. Sta bene. – 
Sua mamma rideva esultante nel sentir uscire quelle parole dalla sua bocca, e Chanyeol vedeva come i suoi occhi si erano fatti raggianti, risvegliati da quell'inverno che alleggiava tra le pareti di casa sua.
Chanyeol credeva di stare bene, il riflesso luminoso sul suo specchio non sembrava respingerlo. La sua pelle non era di una sottile trasparenza, non gli ricordava la lastra di un vetro spezzato, o una sembianza paranormale di un film dell'orrore, ma improvvisamente aveva assunto il colore del sole, delle giornate all'aperto all'ombra di un albero, e delle macchie di caffè sul bordo del suo bicchiere di carta. I solchi che segnavano le sue guance erano scomparsi, mostrando delle soffici gote che sua madre non smetteva di pizzicare. Il tessuto della felpa pareva avvolgergli alla perfezione le spalle, e non aveva più sentito il bisogno di sprofondare nelle sue maglie per nascondere il profilo sporgente delle sue ossa. Nessuna delle sue paure avrebbe potuto abbandonarlo finché il sangue avrebbe continuato a scorrere nelle sue vene, fin quando la luce del giorno si sarebbe spenta dietro la linea del tramonto, lasciando spazio alla notte. Avrebbe continuato ad aver paura, ma il suo era un sentimento che sembrava affievolirsi ogni giorno di più dietro al sorriso del suo migliore amico.
Baekhyun continuava a spronarlo, ad afferrare la sua mano quando era in difficoltà, senza mai permettergli di mollarla anche quando tutto ciò che avrebbe voluto fare era crollare sul suo letto e ascoltare canzoni tristi. Lo aveva convinto a iscriversi nella sua stessa scuola serale per poter passare del tempo insieme, incoraggiandolo a scrivere quando era sicuro di non aver nessun talento. 
Erano usciti di nascosto la notte per scoprire la bellezza di Changwon, e avevano comprato caramelle al supermercato per abbandonarsi a quella dolcezza, distesi su un prato che rendeva umidi i loro vestiti e i loro occhi costellati dal luccichio delle stelle. Baekhyun lo aveva portato in un centro commerciale ed era quasi riuscito a convincerlo ad indossare dei Jeans neri. Lo accompagnava ad ogni esame del sangue e lo distraeva con le sue battute squallide, rendendo indistinguibili le lacrime di paura da quelle di felicità. Bevevano il loro caffè in biblioteca, e si scambiavano sguardi che potevano solo erompere in risate clamorose che avrebbero innervosito la bibliotecaria.
Chanyeol aveva solo bisogno di un cuore che lo aiutasse a risvegliare il suo, per sbrogliare i nodi dei suoi problemi che lo avevano reso quella persona fredda che nemmeno il calore delle coperte poteva annullare.
-Chanyeol-ah– Baekhyun cercava di attirare la sua attenzione, strofinando il naso contro la sua guancia, e Chanyeol avrebbe voluto non ridere. Il suono della propria risata gli era ancora estraneo.
-Sei insopportabile. – si era voltato verso il minore, infilando il dito tra le pagine del libro per non perdere il segno. Una volta avrebbe pensato che la carta avrebbe potuto tagliarlo, ma finché stringeva i pugni niente sembrava fargli male.
Aveva incrociato il suo sguardo, scorgendo un'espressione nuova che gli suggeriva desiderio. Chanyeol riusciva a udire l'eco dei suoi battiti spingersi verso il suo torace, mentre percepiva il bruciore colorare le sue guance. Aveva paura che il suo cuore si rompesse da un momento all'altro, il naso di Baekhyun si era avvicinato al suo fino a toccarlo, e i suoi occhi magnetici gli avevano mozzato il fiato. Chanyeol si era tirato indietro anche se avrebbe voluto baciarlo. 
Lo voleva davvero?
Era sdraiato sulla schiena, mentre cercava di controllare il proprio respiro, senza riuscirci completamente. Baekhyun sembrava divertirsi, qualsiasi cosa facesse riusciva sempre a farlo sentire bene. Non c'era mai tensione tra loro due, erano buoni amici. Ottimi amici.
Baekhyun si era sdraiato al suo fianco, e aveva lasciato una scia di baci sulla sua mascella, uno più dolce dell'altro. Erano baci madidi, ma Chanyeol riusciva solo a percepire ogni angolo della sua pelle infiammarsi.
-Gli amici si baciano? –
-No, gli amici non si baciano. – Ma Chanyeol si era girato sulla sua spalla, e aveva premuto le labbra su quelle del ragazzo.
Delle labbra così morbide da costringerlo a schiudere la sua bocca, nonostante fosse impacciato tanto da far sorridere Baekhyun su quella sottile linea rosea. Il calore del suo fiato lo faceva impazzire, e Baekhyun aveva cominciato a torturare ogni centimetro di quelle labbra che tanto aveva bramato, solo per sentire il cuore di Chanyeol battere per lui. Aveva gustato quelle soffici labbra, finché la sua stretta decisa aveva avvicinato i fianchi del ragazzo ai suoi. Non voleva ci fossero più distanze tra di loro. Le loro gambe attorcigliate, le loro lingue che si intrecciavano in un gioco vizioso e le loro mani che si stringevano sempre di più per paura di rompere quel contatto ormai fondamentale.
Chanyeol soffriva perché non avrebbe mai voluto che quel bacio finisse.

Poteva contare tutte le sue fobie sulle dita delle mani, ma ogni volta che avrebbe avuto paura gli sarebbe bastato chiudere i palmi e scacciare via ogni cosa che lo spaventasse. 
Ogni volta avrebbe pensato a quante volte avesse stretto i pugni intorno alla maglia di Baekhyun, solo per sfilargliela. Avrebbe pensato alle sue dita stringersi intorno al lenzuolo, e non avrebbe avuto paura di vedere le macchie scure nascoste sotto la sua felpa, perché erano segno d'amore. Avrebbe ricordato il pugno che aveva tirato contro lo specchio quando aveva scoperto di essere stato tradito. Aveva visto il sangue colare in quella stanza buia, e la sua carne pulsare per le ferite che il vetro aveva inciso, ma non aveva provato paura, soltanto rabbia. E ognuno si aspettava che sarebbe crollato sulla sedia arancione del gruppo di supporto, guardando le ginocchia coperte dal tessuto di Jeans, o che avrebbe occupato due ore a settimana nello studio di un psicanalista per parlare di emozioni che non lo sfioravano nemmeno.
Tre erano stati i traumi nella sua vita: una caduta in bicicletta, una bambola con i bottoni cuciti sugli occhi, e essersi innamorato del suo migliore amico.
  
;Come back home 

-Hai mai amato qualcuno così tanto da star male? – aveva chiesto la ragazza che camminava al suo fianco, avvolta in un cappotto azzurro.
-Mi sono innamorato, ma non ho mai potuto amarlo davvero. –
E mentre camminavano verso casa, mano nella mano, Chanyeol poteva solo pensare a quanto fosse fredda quella mano esile. La teneva stretta come fosse preziosa, nascondendola dentro la tasca del suo giubbotto per paura che qualcuno potesse rubargliela. Le monete tintinnavano ad ogni passo, stuzzicando la curiosità della giovane. Chanyeol non si sarebbe mai stancato di vedere le due singolari lentiggini tinteggiate sul suo naso. 
Aveva ritrovato la felicità in quelle piccole macchie che la rendevano unica ai suoi occhi. Come le lentiggini era comparsa in un giorno di sole, assorta nella lettura del suo libro preferito. La stretta della sua mano era delicata, non gli ricordava le scottature di due palmi esigenti che si infiammano, le quali avevano lasciato soltanto profonde bruciature sulla pelle. 
Il suo era un calore leggero, lo rassicurava. Gli ricordava casa. 

-Perché? – avevano chiesto i grandi occhi marroni di lei.
-Perché gli amici non si baciano, Jisoo.–
Ma l'amore che provava nei confronti di Jisoo non lo faceva star male, sapeva che quelle due tenui macchie color caffè erano permanenti così come il loro legame.
_________________
The love of my young days is ending like this.
You have to be happy.
Even if a long time passes by, we'll still remember each other.
Those times when there was still "us".
-2NE1 Missing you.

 a/n: Buonasera a tutti! Non vi ruberò molto tempo, ma questa nota è davvero importante.
La One Shot ha delle tematiche piuttosto singolari, questo perchè mi sono state assegnate quattro parole e, un po' perchè era da tanto che non scrivevo, un po' perchè non avevo voglia di aprire i libri e studiare, ci ho scritto una breve storia. 
Le parole erano: sangue, jeans, bacio e lentiggini.
Potete trovare la versione originale su wattpad, soltanto che la ship iniziale era sui Seventeen. (Meanie)
Non sono molto attiva su efp, ma speravo di ricevere alcuni commenti, recensioni, pareri, e chi più ne ha più ne metta, al fine di migliorarmi. :) (ero piuttosto curiosa di conoscere il pubblico di efp lol)
Grazie per l'attenzione, la vostra Spazzola.
 
   
 
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