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Autore: albalau    01/09/2016    0 recensioni
Piccola storia Post Hades.
E se Atena avesse ridato la vita ai suoi Sanit, ma questi non ricordassero nulla del loro passato di guerrieri? Questa storia narra solo di due Gold che faticheranno non poco per ritrovare il loro passato. Con l'aiuto di tre persone che.... Non aggiungo altro.
Ci si vede dentro!
Genere: Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Aquarius Camus, Scorpion Milo, Sorpresa
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Il sole stava sorgendo. Dal mare si sollevava lentamente, inondando di luce quello che incontrava. Lieve in principio, più forte in seguito.

Abbagliando e regalando vita al creato.

Quello fu lo spettacolo che gli si presentò davanti agli occhi.

Si mise seduto sulla sabbia, lambita dalle tenui onde. Sbatté le palpebre abituandole alla luce. Lo sguardo che vagava intorno, alla ricerca di un “qualcosa” di conosciuto.

Nulla, il vuoto.

Non sapeva come fosse giunto lì. Non sapeva dove fosse.

Nella sua mente nessun ricordo, nessuna immagine. Sembrava che tutto nella sua mente fosse stato cancellato.

Si prese la testa tra le mani, stringendo i capelli. Comprendendo in un istante.

Chi era? Cosa faceva in quel luogo?

Domande alle quali non riusciva a dare una risposta.

Lentamente si alzò, togliendo la sabbia dai suoi vestiti. Una volta in piedi si perse ancora un attimo ad osservare il paesaggio. Sublime, ma qualcosa gli diceva che doveva muoversi, andarsene da quel luogo caldo, ma in qualche modo, famigliare. Non comprendeva questa “voglia”, ma sentiva che fosse la cosa giusta. Come se così facendo, forse avrebbe capito cosa gli fosse capitato.

Ignorava le sue origini, i suoi ricordi, solo un nome gli sorgeva nella testa, rimbombando come un eco.

“Camus”.

Era convinto, sicuro che non fosse il suo, ma altrettanto era conscio che scoprire di chi fosse l'avrebbe condotto anche alla propria di verità. Alla propria esistenza.

Sospirò e si incamminò lungo la riva alla ricerca di qualcuno che avrebbe potuto aiutarlo. O almeno era quello che sperava.

 

 

 

 

 

 

Un freddo gelido gli penetrava dentro, fino alle ossa.

Aprì gli occhi e mise a fuoco ciò che lo circondava.

Neve, ghiaccio.

Una distesa bianca lambiva i suoi occhi, accecandolo quasi.

Si alzò dalla lastra di ghiaccio sulla quale era sdraiato.

Luogo freddo e inospitale sembrava quello. I ghiacci ricoprivano tutto e lui non sapeva cosa fare, dato che ovunque posasse lo sguardo ogni cosa era uguale. Cercò di darsi una spiegazione, ma più pensava e meno capiva. La sua mente era vuota, il nulla vi albergava. Nessun ricordo, nessun indizio.

Eppure avvertiva un senso di inquietudine, come un “assenza”, anche se non se ne spiegava il motivo.

Solo un nome riempiva la sua mente.

“Milo”.

Chi era? Sapeva, sentiva che non era il suo, ma a chi apparteneva?

Voltò più volte gli occhi, fino a che non intravide una piccola costruzione in lontananza.

Si diresse a passi incerti verso quella casa. Non poteva stare fermo, qualcosa gli diceva di muoversi. Sentiva che quel luogo tanto inospitale era la “sua casa”, ma altrettanto avvertiva un'altra sensazione.

Lì non avrebbe scoperto nulla su di sé, altre erano le sue mete e sapeva di dover seguire il suo istinto.

Solo lontano da quel luogo avrebbe capito la sua verità, la sua esistenza.

 

 

 

 

 

 

 

Erano trascorse diverse settimane dal suo risveglio. Ancora non rammentava nulla del passato, ma non gli era andata così male.

Appena giunto nel villaggio che sorgeva al limitare della spiaggia, aveva incontrato una donna alla quale aveva raccontato la sua disavventura. La donna, mossa a pietà, l'aveva accolto in casa sua, nonostante le repliche del fratello. Ma lei si era giustificata che quel giovane dai lunghi capelli biondi non poteva essere malvagio, nei suoi occhi azzurri e limpidi come il cielo e il mare non una sola ombra di malvagità albergava, solo inquietudine di ignorare chi fosse. E il famigliare aveva ceduto e aveva accettato di prendere il giovane con sé sulla sua barca e portarlo ogni notte fuori nelle consuetudini battute di pesca. Giorno dopo giorno anche l'uomo rimase conquistato da quel ragazzo, così puro ma determinato nell'obbiettivo che si prefiggeva. Infatti se decideva che quella notte le reti da riempire dovessero essere cinque, nessuno riusciva a dissuaderlo fino al compimento della sua opera. Nel contempo, però, si era aperto con il pescatore forse più che con la sorella. Gli aveva narrato della sua nostalgia, che non sapeva da cosa derivasse. Di quel nome che lo tormentava. Di un legame che aveva radici solide, ma al contempo estranee. Del freddo che avvertiva la notte, ma non un gelo ostile, bensì ospitale, che lo faceva star bene.

Un gelo che amava.

Andros, il pescatore, era rimasto basito di fronte a quel giovane che avevano accolto. Come poteva provare freddo nella calda e assolata Grecia? Più di una volta aveva scosso la testa, anche se il tono convinto del ragazzo l'aveva fatto ricredere più volte. Ma decise di non lambicarsi il cervello, anzi aveva rassicurato il giovane che presto la sua memoria sarebbe tornata e avrebbe compreso la sua “ossessione”.

Milo, così l'avevano chiamato dato che il loro villaggio sorgeva proprio di fronte a quell'isola, decise che forse erano giuste le parole di Andros. La memoria prima avrebbe deciso di rendergli la “pace”.

Al momento era felice così.

 

 

 

 

 

 

Il ghiaccio scivolava sotto ai suoi piedi, ma non era un ostacolo.

Le prede non gli sfuggivano in nessun modo, anzi sembrava quasi che prevedesse le loro mosse agevolandogli il compito.

Nelle fredde terre la velocità era alla base di tutto se si voleva sopravvivere e lui sembrava averlo compreso in pieno.

I cacciatori del villaggio erano affascinati da quel ragazzo così abile, così capace da catturale in un giorno animali che faticavano a prendere in un mese intero. Un talento naturale.

L'ennesima battuta era giunta la termine e il bottino portato nella piazza del villaggio per essere diviso con gli abitanti. Camus, così era stato chiamato per come non si faceva intimidire da nessun pericolo, anzi lo affrontava senza cedimento alcuno, era divenuto un simbolo di quel luogo, infatti a lui era sempre data la prima scelta. L'uomo che lo aveva accolto in casa sua non poteva che esserne orgoglioso. Però aveva notato, specialmente la sera quando il giovane si sedeva davanti al fuoco osservando le fiamme, quanto la sua mente fosse distante. Dopo qualche giorno si era avvicinato e gli aveva domandato il perché del suo sguardo. Dapprima il ragazzo non aveva aperto bocca, poi le parole erano uscite da sole. Gli aveva narrato della sua inquietudine e di come il fuoco lo attirasse. Come se fossero complementari. Le facce di una stessa medaglia. Era una cosa assai strana, dato che sembrava un tutt'uno col ghiaccio. Gli disse anche del nome che lo tormentava. Andrei lo rassicurò, dicendogli che forse il suo passato stava cercando di riemergere, che forse, inconsciamente, la sua mente si stava risvegliando. Comunque lo avvisò di non pensarci troppo, le risposte sarebbero arrivate da sole, bastava pazientare.

Camus pensò e ripensò a quelle parole, giungendo alla conclusione che erano sensate.

Al momento andava bene così.

 

 

 

 

 

Il sole scaldava l'aria rendendola quasi irrespirabile, quindi Milo decise di andare a trovare un po' di refrigerio nelle colline circostanti, adombrate dagli ulivi. Cammino per circa un'ora, ma alla fine giunse alla sua tanto agoniata meta. Si sdraiò sotto le fronde dell'albero più grande e chiuse gli occhi. Il vento gli accarezzava la pelle, donandogli una pace che da tempo non avvertiva.

Respirava aria pura, avvertiva una placida calma cullarlo. Senza rendersene conto si addormentò.

E sognò.

Distese fredde, ghiacci perenni. Poi, di colpo, assolati paesaggi, mari cristallini.

Scale di marmo bianco, templi antichi. E, in cima all'ultimo di una lunga scalinata, una donna. Sorrideva, dolce e con espressione amorevole guardava verso il basso. Verso quei templi ai suoi piedi. E di nuovo quella sensazione.

Freddo.

Ghiaccio.

Implacabile, privo di ogni sentimento, ma che se veniva scaldato, si scioglieva nel profondo.

Una figura si materializzò.

Di oro era vestita. Scintillante, altera, sublime. I capelli color rubino ondeggiavano sulla schiena, ne adornavano il volto. Un sogno per chiunque potesse osservarla.

Ma per lui era di più.

Era freddo, era caldo, era tutto.

Si svegliò di colpo, ritrovandosi seduto e sudato.

Quel sogno era stato talmente reale da lasciarlo senza fiato. Ancora in preda a quelle sensazioni, a quelle visioni, tornò verso la casa di Andros. Voleva sapere assolutamente se esisteva un luogo simile al suo sogno. Diffidava che avrebbe potuto dargli risposte, eppure sapeva di dover tentare. Troppe similitudini c'erano tra la terra che l'aveva accolto e quella del suo sogno.

Trovò il pescatore intendo ad aggiustare una delle reti rotte due notti precedenti. Si avvicinò cauto, contrario alla corsa appena effettuata e si sedette al suo fianco. Non riuscì nemmeno a dire una sola parola che l'uomo lo anticipò. A modo suo.

Gli narrò delle battaglie perpetuate nei secoli passati, delle leggende del dominio degli Dei ellenici sulla Grecia. Del titolo sovrana che si era guadagnata la Dea Atena. Gli spiegò anche il ruolo che avevano rivestito negli anni vari cavalieri votati alla divinità, in particolare parlò di una leggenda che riguardava dodici cavalieri dalle effigi dello zodiaco che erano l'ultimo baluardo a difesa della giustizia. Quelle parole fecero fremere il cuore di Milo e il desiderio di raggiungere tale divinità si fece spazio in lui. Ma Andros lo mise in guardia, rimarcando che si trattava di leggende, non di storia. Comunque il giovane greco non volle sentire ragioni e chiese come raggiungere il tempio alla dea dedicato. Un sospiro, ma la sua richiesta venne esaudita. Avrebbe dovuto recarsi ad Atene, capitale della loro patria, scalare un monte che si diceva inaccessibile per via delle sue pareti lisce e prive di appigli e, infine, passare attraverso una landa desolata, lastricata da pietre bianche senza alcuna possibilità di trovare acqua e cibo. Solo giunto al termine del cammino avrebbe potuto incrociare gli occhi della dea.

Poco bastò, poche ore e Milo era pronto.

Doveva farlo.

Avrebbe ritrovato la sua vita.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Era rientrato da poco nella piccola casa che gli era stata messa a disposizione. Era stanco per via dell'ultima caccia e si buttò sul divano. Spossato chiuse gli occhi e si addormentò ancora prima di rendersene conto.

Sognò.

Bianche distese lo avvolgevano, ma erano ben diverse da quelle da lui conosciute. Non somigliavano al ghiaccio famigliare, bensì a pietre talmente pure da lasciarlo stordito. E una scalinata.

Enorme, quasi infinita, intervallata da alcune case simili a dei templi antichi,

ognuna con un “custode” al quale chiedere il permesso di entrare e oltrepassare.

Ognuno indossava una veste diversa, ma sempre scintillante. Abbagliante.

Ad un certo punto, però, sentì il suo cuore cedere, fermarsi quasi.

Un uomo alto, con biondi capelli che scendevano lungo la schiena a coprire gran parte del mantello bianco che indossava e, quando si voltò, due occhi azzurri come il cielo. D'oro era la sua corazza, ma avvertiva che c'era di più.

Quel calore da lui cercato, bramato.

Si sveglio di soprassalto, ancora confuso se quello fosse stato solo un sogno o la realtà.

Preso in quei pensieri non si accorse di Andrei che lo scrutava. Per un momento si sentì in soggezione sotto il suo sguardo, ma si riprese quasi subito. Non era da lui mostrare apertamente le sue emozioni, fantasia o realtà che fossero.

Però...

Raggiunse l'uomo che gli aveva dato le spalle per andare nella piccola cucina e si fece coraggio, contro le proprie aspettative.

Si sedette su una delle due sedie che erano intorno al tavolo e incrocio le mani tra esse. Narrò del suo sogno, della sensazione che gli aveva lasciato dentro e di quel calore percepito. Non se lo spiegava e sperava che il suo interlocutore avesse una risposta. Per molto tempo non udì nulla, almeno fino a che non gli venne posata una tazza fumante davanti e che Andrei si fosse accomodato. Quando aprì bocca Camus restò esterrefatto. L'uomo gli narrò di una leggenda, di una dea di un paese lontano. Di una dea e di alcuni valorosi guerrieri, provenienti dalle varie parti del mondo, si radunassero intorno a lei per difenderla.

Difendere la dea e la pace nel mondo.

Di guerre passate, lontane, ma che mai erano state dimenticate. Precisò, comunque, che la maggior parte dei racconti appartenevano a leggende, a miti e non si poteva sapere quanto veritieri fossero. Camus insistette nel conoscere il nome di questa divinità e dove fosse il suo dominio.

Athena e Atene.

La calda e assolata Atene.

Così distante dalla fredda Siberia che l'aveva accolto, così diversa.

Eppure...

Il cammino sarebbe stato impervio, le difficoltà molte, ma era certo che in quel luogo avrebbe trovato risposta ai dubbi che albergavano nel suo cuore.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Andros non aveva mentito. La scalata di quel monte era stata davvero difficoltosa e più di una volta era stato sul punto di mollare, tornare indietro. Ma ogni volta che questo pensiero sfiorava la sua mente, le immagini di quel sogno tornavano prepotentemente ad invadergli la mente costringendolo a proseguire. Con un ultimo sforzo si issò sulle braccia e crollò a terra, stremato. Il respiro ansante, il corpo stanco, ma l'animo felice. Una difficoltà era stata superata. Con fatica si mise seduto, lasciando che il vento gli rinfrescasse la pelle sudata. Dopo quell'attimo di refrigerio si alzò in piedi, non era ancora giunto a termine il suo cammino. Buttò la sacca sulle spalle e s'incamminò sull'unica strada che gli si apriva davanti agli occhi. Un passaggio stretto tra le rocce, che si apriva su una pianura, priva di vita.

La pianura della morte.

O meglio era così che il pescatore l'aveva chiamata.

Milo sospirò rammentandone i pericoli, ma era più deciso che mai ad andare oltre, a raggiungere il suo obbiettivo.

S'incamminò, ignaro di quello che avrebbe scoperto, ma ansioso nel conoscerlo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Il caldo di quel luogo lo soffocava. Lui, abituato a ben altro clima, quello della Grecia era asfissiante. Comunque non interruppe il suo cammino, troppa la voglia di comprendere il motivo del suo legame con quella terra.

Giunse ai piedi di un monte. Le pareti impervie, gli appigli scarsi, ma non si perse d'animo. Riuscì a scalare la parete con relativa facilità. Oltrepassò quella landa deserta senza soffrire più di tanto i morsi della fame e della seta.

La voglia di sapere era superiore a tutto.

Marciò per più di mezza giornata senza che incontrasse anima viva, doveva ammettere che non fosse davvero semplice raggiungere quel luogo, ma alla fine quello che cercava si materializzò davanti ai suoi occhi increduli.

Il suo sogno.

Tutto come nel suo sogno.

Una scalinata bianca di fronte a lui e, in cima ad essa, un piccolo tempio.

D'improvviso seppe che non sarebbe stato il primo a palesarsi ai suoi occhi. E quel luogo gli parve fin troppo famigliare.

Come era possibile?

Decise. Dopo una profonda riflessione, alla quale non si diede pena a rispondere alle domande che si era posto, proseguì senza indugi.

Presto avrebbe saputo, avrebbe capito.

 

 

 

 

 

 

 

 

Era giunto al sesto tempio e anche in questo, come nei precedenti da lui incontrati, cercò l'effige che lo identificava, trovandola appoggiata alla base di una colonna.

Il sesto segno dello zodiaco.

La leggenda non gli parve mai così vera e perché dubitarne visto le “case” precedenti?

Solo che, a dispetto delle costruzioni da lui varcate, quella era completamente distrutta, sia all'esterno che al suo interno. Come se qualcosa l'avesse fatta esplodere. Un una violenta fitta alla testa lo colse, costringendolo a piegarsi su se stesso. Delle immagini comparvero all'improvviso.

Tre guerrieri vestiti d'ombra e altri tre adornati d'oro.

Una luce sfolgorante che si scontrava.

Un dolore immenso che si espandeva.

Aprì gli occhi, trovandosi ansante e sudato.

Era stato un altro sogno?

Oppure un incubo?

O qualcosa di più?

Scosse il capo, asciugando con il polso il sudore formatosi sulla fronte. Prese un respiro profondo Milo e continuò la salita. Oltrepassò il tempio con l'effige della Bilancia e giunse a quello dello Scorpione.

Appena varcò la soglia avvertì una strana sensazione.

Casa. Ecco cosa gli emanava quel luogo.

Senza rendersene conto cominciò a esplorare il tempio in ogni sua parte, con passo lento toccando con le mani le colonne, sfiorando i marmi. Ogni tocco, per lui, era sinonimo di pace. Giunse, infine, ad una porta di legno scuro. Sembrava in ottimo stato, nonostante lo stato di abbandono di quel tempio. La curiosità, una curiosità che non sapeva di avere, ma che sentiva parte di sé, lo spinse ad aprire l'uscio. Quello che vide lo lasciò, per l'ennesima volta, senza fiato.

Una grande stanza si apriva. Un grande letto era posizionato al centro con la testiera intarsiata appoggiata al muro. Le ampie aperture, prive di vetri, rendevano visibili uno scorcio della baia di Atene. Da quel punto si vedeva il porto antico e il luogo dal quale i pescatori prendevano il mare al calar del sole.

Stesso luogo da dove lui, più di una volta, era partito insieme ad Andros.

Scrutò anche l'interno della piccola stanza adiacente, trovandovi una grande vasca. Tornò con gli occhi sulla camera principale e, di nuovo, una vertigine lo prese alla sprovvista, costringendolo ad aggrapparsi alla colonna lì vicino. Chiuse di nuovo gli occhi e nuovi flash invasero la sua mente, ma diversi da quelli visti poco prima.

Due giovani parlavano, o meglio, uno parlava gesticolando con enfasi, l'altro seduto ad ascoltarlo. Rimproveri sulle sue esternazioni. Battute di rimando.

Poi...

Corpi vicini, troppo vicini.

Sospiri, ansiti.

Calore.

Calore che brucia, che annulla e rinasce.

Si trovo nuovamente a corto di fiato e sempre più confuso.

Con fatica riuscì ad abbandonare quel posto e continuò la sua salita. Superò i templi con le effigi prima del Sagittario e poi del Capricorno. Ma a quello dell'Acquario... Le gambe si bloccarono, come il respiro, al contrario il suo cuore aveva cominciato a battere sempre più furiosamente nel petto. Deglutì a fatica e cercò di riprendere il controllo di sé. Non poteva fermarsi, non ancora. Eppure...

Entrò ancora con più lentezza che nella casa dello Scorpione, quasi temesse di disturbare qualcuno. Pensiero assurdo visto il silenzio che lo circondava. Voleva correre, togliersi di dosso la sensazione che l'aveva avvolto, ma non ci riusciva. Si fermò al centro del grande passaggio. Un gelo improvviso gli penetrò nel corpo, ma stranamente non lo trovava sgradevole, bensì... scosse la testa, non poteva pensare in alcun modo che il gelo fosse caldo. Però era proprio il termine giusto. Fece qualche passo, doveva uscire da lì, i turbamenti che quel tempio gli stavano dando lo agitavano troppo, ma quando fu quasi fuori, si fermò nuovamente. Le stesse immagini “viste” all'ottava casa gli apparsero di nuovo, ma per breve tempo. Un'altra era prepotentemente venuta a lui e questa era molto meno gradevole.

Un corpo privo di vita, avvolto da braccia forti che lo cullavano con amore. Lacrime che solcavano silenziose un volto famigliare, ma allo stesso tempo estraneo. Un sordo dolore al petto.

Ancora una volta, con fatica, si riprese, cercando di scacciare quella sensazione di abbandono.

Doveva proseguire. Ma sentiva che in quel luogo aveva lasciato il cuore.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Aveva cominciato la sua scalata, Camus. Ignorava dove l'avrebbe condotto, quanto lungo sarebbe stato il suo cammino, ma poco importava.

L'unica cosa certa era mettere pace dentro di sé.

Giunse ad un tempio, ma era molto diverso dai cinque precedentemente passati.

Solo macerie si palesavano ai suoi occhi. Con passo tremante, non se ne spiegava il motivo, scavalcò i cumuli di pietre, ma ad ogni passo che faceva, gli sembrava che quelle pietre cadessero su di lui. Fu un attimo.

Si accasciò, rigoli di sudore scesero sul suo viso, sul suo collo.

Immagini prepotenti gli invasero la mente.

Un uomo, guerriero forse, dai lunghi capelli biondi, sfidava altre tre figure.

Un colpo, che inconsciamente apostrofò proibito, lanciato su di lui.

Un altro lanciato, ma i bersagli erano altri tre guerrieri. Guerrieri d'oro.

E uno di loro...

Spalancò gli occhi nocciola, incredulo di ciò che aveva visto.

Molto similari al suo sogno quei combattenti. Ma, allo stesso tempo, avvertiva una certa vicinanza. Vicinanza che si era fatta più forte quando aveva visto gli occhi di uno di loro.

Azzurri come il cielo terso, assurdamente brucianti come un incendio.

Ansimante riprese il controllo di se. Lentamente si alzò in piedi, ancora frastornato.

Possibile che i suoi sogni richiamassero la verità?

Verità che lui ignorava?

Assurdo!

Lui sentiva quale fosse la sua terra, era intrisa dentro al suo animo. Eppure...

Scosse il capo, scacciando quelle immagini e proseguì il cammino.

Aveva passato un tempio ancora, prima di giungere a “quello”.

Non sapeva cosa gli fosse preso, ma appena i suoi occhi inquadrarono il simbolo appartenente alla costellazione dello Scorpione, qualcosa in lui si mosse.

Feroce, potente.

Immagini confuse erano comparse nella sua mente.

Due uomini, due essenze che si univano e un calore travolgente.

Un caldo anomalo, così distante da lui. Eppure così...così avvolgente.

Entrò nel tempio, guardandosi attorno come se da un momento all'altro qualcuno potesse apparire. Ma nessuno apparve davanti a lui.

Socchiuse gli occhi, quasi afflitto e si apprestò a superare l'ennesimo “ostacolo”. Ma proprio quando stava per fuggire, perché era quello che stava facendo, dall'ottava casa, immagini violente fecero breccia nella sua mente.

Corpi sudati.

Corpi uniti.

Ghiaccio e fuoco congiungersi.

Tutto ciò ebbe il potere di mandarlo in confusione, oltre che farlo tremare. Come se l'intero suo essere gridasse di non scappare, di accettare quello che gli stava accadendo. Ma lui non poteva.

Il suo unico obbiettivo era scoprire il perché dei suoi sogni.

Sapere e capire.

Nulla era più importante.

Proseguì il suo cammino, fino a quando giunse all'undicesimo tempio.

Si bloccò non appena riconobbe il simbolo dell'Acquario.

Era suo.

Non comprendeva il perché di quel senso di possessione, eppure lo sentiva.

Varcò con passo lento l'ingresso, fermandosi a guardare l'interno. Il lungo corridoio, il passaggio che conduceva nella parte più interna. Di colpo capì a dove portava, come se in quel luogo ci fosse cresciuto, vissuto.

Era inconcepibile quel pensiero, eppure...eppure...

Scosse la testa deciso a continuare, ma si bloccò dopo pochi passi.

Un freddo violento lo colse, un dolore si propagò nel suo cuore. Chiuse gli occhi e altre “visioni” gli apparvero.

Un giovane dai capelli chiari che si stagliava contro il suo avversario, colui che regnava su quel luogo.

Parole forti che gli dolevano il cuore, ma che sapeva essere necessarie.

Una violenta battaglia, dove il “custode”aveva ceduto, lasciando a quel ragazzo un prezioso compito.

Poi un'altra scena gli era apparsa.

Il guerriero d'oro da lui sognato che si chinava su una corpo ormai privo di vita. Lacrime salate che scendevano dai suoi occhi.

La dolcezza usata per sollevarlo e stringerlo contro il suo petto.

Aprì gli occhi di scatto, portandosi una mano al petto. Perché il cuore gli doleva così tanto? Era come se si fosse spezzato.

Prese un profondo respiro, cercando di calmare il suo battito e per recuperare la sua lucidità.

Doveva andare avanti. Era certo, che alla fine, le risposte che cercava sarebbero giunte.

 

 

 

 

 

 

 

 

L'ultimo gradino infine era giunto. Un ampio spazio si apriva davanti a lui e, in fondo, una statua imponente sembrava proteggere tutto.

Milo percorse con calma gli ultimi metri che lo separavano da “Lei”. Era come attirato da quella figura di donna. Si fermò vicino alla base della statua e sollevò lo sguardo. Dovette socchiudere gli occhi per via dei raggi abbaglianti del sole, anche se ormai era al crepuscolo. Si accorse però, con stupore, che non era il sole ad abbagliarlo, ma la statua stessa.

E la riconobbe.

Atena.

La sua Dea.

D'improvviso tutti i ricordi sopiti tornarono a lui, come un fiume in piena, che tutto travolge, che tutto annienta. Che tutto distrugge.

Ma lui non era annientato era...rinato.

I suoi amici. I suoi compagni.

La lotta, l' inganno.

La compassione, il dubbio.

E l'amore. Sopratutto l'amore.

Abbassò gli occhi, le lacrime che gli offuscavano la vista. Il tormento che aveva vissuto nell'ultimo periodo, il buio che l'aveva avvolto adesso era scomparso.

Era stata lei, la sua Dea, a riportarlo alla vita.

Eppure...eppure...

 

 

 

 

 

 

 

 

Era finita. La lunga salita era giunta al termine e, con lei, anche i suoi dubbi.

Quella statua, la sua Signora, aveva compiuto ancora una volta il miracolo.

Appena i suoi occhi avevano incrociato quelli della Dea i ricordi era riaffiorati di colpo.

Ricordi dolorosi, ricolmi d'angoscia, ma anche di affetto e...d'amore.

Il suo cuore aveva trovato di nuovo la pace, ritrovando “lui”.

Lui che lo attendeva e che ora lo guardava.

I suoi occhi, i suoi capelli. Il suo profumo.

Tutto.

Era giunto finalmente...

 

 

 

 

 

 

 

Milo credeva che le gambe non lo reggessero per via dell'emozione feroce che l'aveva colto. Si strofino gli occhi un paio di volte, giusto per essere sicuro di non sognare ancora. Ma no, era lì, era ancora lì.

Prese a muoversi, vedendo che anche Camus faceva lo stesso.

Si trovarono uno di fronte all'altro, pochi centimetri a dividerli.

La sua mano, tremante, si posò sul volto del giovane. Mano che l'altro strinse con un calore che non sapeva di possedere.

-Sono qui per te.- mormorò Milo con trasporto nella voce, con amore.

-E io per te.- rispose Camus con lo stesso sentimento.

La Dea per cui avevano combattuto, per la quale si erano sacrificati, i aveva fatti tornare in vita e solo per vederli uniti.

 

 

 

 

 

 

EXTRA

 

 

 

-Tutto è bene quel che finisce bene.-

-E questa dove l'hai sentita?-

-Oh avanti Kardia! Per quanto siano passati più di duecento anni mi sono tenuta informata, sai?- lo rimbeccò la fanciulla seduta al suo fianco.

-Lo sapete, divina Sasha, che la cultura non è mai stata il suo forte.-

-Piantala Degel! Se dovessi spiattellare in giro io quello che ti ho insegnato...la tua reputazione andrebbe a rotoli.- ribatté Kardia in direzione dell'altro uomo.

Che arrossì, conscio a che “argomento” l'altro si riferisse.

-Smettila, altrimenti è capace di lasciarti in “bianco” per i prossimi cinquant'anni.-

Kardia guardò male Sasha, che aveva avuto l'ardire di dire certe parole. Anche se...in effetti il pericolo c'era. Eccome!

-Va bene, lasciamo stare. Comunque...siamo stati bravi!-

-Non lo nego, anche se non è stato facile.- confermò Degel.

-Già. Comunque hanno avuto quello che meritavano.- disse la giovane fanciulla.

-Adesso speriamo che anche gli altri abbiano fatto il loro dovere.-

-Non ne dubito mon petit amour. Altrimenti dovranno affrontare l'ira di Sage e Hakurei!-

I tre si guardarono per poi scoppiare a ridere. E sì, sarebbe davvero stato divertente vedere i due “vecchietti” rincorrere i loro compagni. E magari armati di bastone.

-Meglio andare. Il futuro che adesso attende Camus e Milo non potrà che essere radioso e pieno d'amore. L'amore che a voi, miei cavalieri, è stato precluso, ma che in un modo o nell'altro avete raggiunto.-

-Già scricciolo.- concluse Kardia, porgendo la mano a Degel che la strinse senza esitazione.

Sasha guardò ancora per un attimo i due cavalieri, per poi portare gli occhi sui suoi accompagnatori.

E non poté fare a meno di sorridere.

 

 

 

 

 

  
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