Comunque, tornando in tema, non aspettatevi una narrazione classica; ho voluto privilegiare una progressione per "impressioni", quindi parecchi collegamenti mancheranno e dovranno essere intuitivi. Inoltre, non ho letto i romanzi in cui compare Dolphin: la mia versione di lei è un risultato di letture e opinioni personali (a parte che, da quanto ho sentito, si dice ben poco sul suo carattere).
Ultimo avvertimento: il personaggio di Fibrizo inizia in character e... beh, evolve. Se alla fine vi sembrerà ooc, tenete conto della trama... quel poco che si capirà ^^; Doveste trovarvi disorientati, un ottimo punto di riferimento sarebbe Kaleidoscope - in fondo, Storie dagli oceani è una sua diretta derivazione. Anche se in realtà quel che ho pubblicato non arriva a coprire tutte 'ste robe, lol. Prendetela come volete, visto e piaciuto (o no).
[editato il 7/11/12]
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La voce del mare, la voce della terra
"Lontano, in alto mare, l'acqua è azzurra come petali di bellissimi fiordalisi e trasparente come cristallo purissimo, ma è molto profonda, così profonda che un'anfora non potrebbe mai toccarne il fondo, e bisognerebbe mettere uno sopra l'altro molti campanili prima di arrivare alla superficie. Laggiù abitano le genti del mare."
Hans C. Andersen, La sirenetta
Erano
nati
da pochi anni, un solo istante nei loro involucri immortali, e
già
la risata di Fibrizo scuoteva la terra. Ricordava le sue piccole dita
guizzare come strumenti di clavicembalista mentre ordivano le prime,
ambiziose trame. I suoi occhi erano verdi come la gelosia.
Ma
era lei
l'invidiosa. Negli antri oceanici dove Shabranigdu l'aveva confinata,
si rodeva al pensiero del potere e del comando che gli erano stati
concessi. Gli altri lo seguivano, quasi l'ossequiavano; detestava
emularli.
Il
giorno
in cui scoprì di avere una scelta, rise – un suono
che le scaldò
la gola. Il piccolo principe la scherniva senza pretesto: gliene
avrebbe dato uno. Ma lui constatò con disinteresse,
perché il mare
gli era sempre stato indifferente.
Dopo
la
disfatta del loro signore Dolphin si addormentò. Che
interesse aveva
lei, per il mondo? Il sonno l'avrebbe ristorata.
Invece,
cullato dal mormorio del pianeta, la cambiò per sempre.
Ere,
epoche
intere dentro i suoi occhi – impressioni sconosciute ad
altri.
Vestigia di emozioni morenti e germogli di nuove. Il grido di una
nazione sconfitta; il vagito di un neonato. Ogni suono condensava in
luce, illuminando la sua caverna mentre lontano, oltre le barriere
della superficie, i suoi fratelli continuavano a dibattersi e
smaniare per ragioni incomprensibili.
Li
sognava,
ogni tanto. Parte di lei ne aveva bisogno, sfiorata dal timore che,
dimenticandoli, potesse perdere anche se stessa. Forse avrebbe dovuto
raggiungerli, ricongiungersi alle vie del loro signore. Forse. Ma era
così struggente fluttuare nel silenzio...
L'eco
dentro il suo petto regolarizzò.
Dolphin...
Dolphin...
Come
una
corrente artica, fredda, remota, fu la sua voce a
destarla.
Per la prima volta dopo secoli le sue palpebre si aprirono
(carezzarono il mare), lasciandole vedere delfini e banchi di tonni
dorati – in alto, così in alto da proiettare ombre
da nubi.
L'acqua era azzurra come il cielo, appena spolverata di farine
viventi, attraversate dal sole. A pochi palmi dalle sua mani razze
maculate sollevavano sabbia dal fondale, bianco come perle.
Era
il
segno del tempo: i ghiacciai avevano rubato la sua coperta e correnti
eroso la sua roccaforte, lasciandola a riposare fra i coralli. Era
giunto il momento.
Sorella...
Garv ci tradisce. Vuoi prendere il suo posto?
Non
voleva.
Ma andò, poiché il mondo la chiamava alla sua
distruzione.
Gli
occhi
di Fibrizo sapevano corrodere.
«Cercare
un accordo? Sei impazzita?»
«Non
è
nostro fratello?»
Una
risata
– se possibile ancor più crudele della prima,
quand'era stato una
scintilla di pura potenzialità.
«Ti
sei
istupidita, Dolphin. Non credevo che il mare ti avesse lavato anche
l'interno del cranio.»
Certo,
avrebbe dovuto immaginarlo; non era l'alleata adatta a lui. Se non
fosse stata così orgogliosa, Zelas sarebbe stata perfetta.
Lo stesso
Dynast. Eppure non riuscì ad andarsene: assistette muta ai
suoi
maneggi, sempre in attesa di qualcosa.
Poi,
un
giorno, il deserto che le asciugava i polmoni cantò, uscendo
dal
proprio riserbo. Il sollievo fu doloroso; anche quel luogo arido
nascondeva la vita. Era un miracolo.
E
una
tragedia, poiché il rifiuto implicito negli occhi di Fibrizo
le
diede finalmente consapevolezza della propria anomalia. Nessun demone
ascoltava i palpiti benigni del mondo; nessuno li cercava, capiva,
amava. Era il principio sbagliato. Una lenta morte
per
intossicazione. Mentre lei camminava per boschi e città
compiacendosi del loro respiro, cedendo ogni giorno un po' di se
stessa, i suoi consanguinei prosperavano e si moltiplicavano nel
male, la loro vera culla. Una culla che si sarebbe trasformata in
tomba per la figlia reietta.
Presto
l'avrebbero mangiata. Avrebbero scorto i riverberi della luce di
Ceiphied dentro di lei...
Alzò
il
viso, lasciando che il corpo freddo e vivo della cascata le
scrosciasse dalla fronte alla schiena.
Forze
del
bene e forze del male coesistevano sulla linea di una separazione
molto labile. Forse, addirittura, un confine reale non c'era. Se ne
rendeva conto solo ora: e quante eccezioni alla regola aveva
ascoltato, durante il lungo sonno? Migliaia, centinaia di migliaia.
La nozione la spaventò. Lo sapevano gli altri? O la
scoperta, così
semplice e ineducata, avrebbe attirato su di lei gli occhi di LoN?
Col
passare
di altro tempo, il timore perse significato.
«Lo
senti?» chiese una notte.
Fibrizo
sembrava stanco – il suo sguardo più spento
– ma la scrutò lo
stesso con sufficienza, appoggiato al davanzale.
«Che
cosa?»
Sapeva
che
lui sentiva. Dolphin ascoltò la voce della terra e chiuse
gli occhi,
toccandogli una guancia.
Così,
senza dire altro.
Quando
non
ci pensava il subordinato della Grande Bestia, talvolta loro due
seguivano insieme gli individui che suscitavano il loro interesse.
Umani, elfi, draghi; nessuna distinzione. Era una strana routine,
intessuta di feste, cerimonie, guerre, mietiture, alluvioni. Vite di
tutti i giorni scorrevano innanzi ai loro occhi con vividezza, dando
presenza fisica alle visioni passate di Dolphin.
Fibrizo
passava oltre, altezzoso. Lei indugiava, in silenzio, voltandosi per
imprimere nella memoria ogni superficie e colore.
Una
notte,
il fruscio di una clessidra sotto una volta di pietra.
«Perché
non te ne vai?»
«Non
ti
servo più?»
«Mi
annoi.
Sei inutile.»
Ma
Dolphin
non poteva andarsene. Era troppo tardi per tornare a dormire.
La
pazzia
di cui bisbigliavano, e che forse era vera, le ispirava pena per quei
suoi falsi fratelli; il loro spirito soffiava come vento sul deserto,
smuoveva montagne di sabbia – impartivano la morte
ignorandone la
natura. Solo chi non apprezzava la vita poteva esistere in
quell'ignoranza.
«Il
Ragnarok?»
«Sì.
La
fine del mondo. La rinascita!»
A
Fibrizo
brillavano gli occhi; un lucore funereo fra le ombre dei sepolcri. Fu
sommersa dalla tristezza.
«E
cosa
puoi saperne, tu?»
Lui
corrugò
la fronte, irritato. «Che vuoi dire?»
«Non
sei
neanche mai nato.»
Fu
poco
dopo che glielo chiese, mostrandole un lato sconosciuto di
sé.
Dolphin avrebbe voluto scoprire da quanto sapeva, come, e
perché ne
parlava solo ora, ma non lo fece. Non le avrebbe rivelato il motivo
della lunga discrezione.
«Tu
stai
morendo, vero?»
Iridi
scure
come alghe. Gli offrì un sorriso. Da tempo conviveva con la
consapevolezza.
«Perché?
Cos'è successo?»
«Non
lo
so.»
Mentiva,
e
Fibrizo se ne accorse. Invece d'infuriarsi, s'avvicinò con
aria
incerta. Le sembrava quasi di sentirli, i suoi pensieri, allettati
dall'ipotesi di un tradimento, di un complotto. Ma il silenzio che
scese era carico di calma; si trovavano vicini da troppo tempo
perché
l'accusa avesse sostanza.
Vide
i suoi
splendidi occhi studiarle il viso, e fu come una carezza.
Ricambiò
lo sguardo, inclinando il capo. Era giovane e vecchio come il primo
giorno in cui l'aveva visto.
«Va
tutto
bene» lo rassicurò, anche se a lui non importava
affatto.
Con
quieta
cautela, gli cinse le spalle e lo baciò.
«La
costringerò... la distruggerò e sarò
io il padrone di tutto!»
Il
suo vero
motivo (se ce n'era stato uno al di sopra dell'ambizione) le sarebbe
rimasto ignoto per sempre. Ma quelle erano le ultime parole che le
aveva rivolto e lei le avrebbe ricordate.
Raccolse
le
mani a coppa, sconfitta. Il prezzo del suo fallimento era la
solitudine; non era riuscita a mostrargli la luce. Fibrizo non
esisteva più al mondo.
Nei
palmi
raccolse fuliggine, mista a polvere del deserto.
Se
solo
tu avessi capito, Fibrizo. Avevano ragione loro. Avevano ragione
loro.
Sopra
di
lei, l'emisfero celeste tuonò.
Non
lasciarmi...
Ma
l'aveva
fatto. Guidato dall'egoismo, dall'impulso bestiale dei demoni, come
sempre.
Giurò
che
non gliel'avrebbe perdonato.
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Prologo classificatosi ottavo (su una cinquantina :) nel contest Da lì dove tutto nasce: il prologo di una storia di Kate Kitty, col giudizio
Grammatica, lessico e punteggiatura: 10/10
Non saprei che scrivere, giuro, se non che grammaticalmente, lessicalmente e nella punteggiatura è un testo perfetto! °–°
Originalità: 9/10
Abbastanza originale… no, che dico? E’ veramente tanto originale, forse nell’inizio e nella fine del capitolo c’è qualche accenno di cliché ma per il resto è molto originale.
Trama*: 8/10 e Stile: 9/10 e Gradimento personale: 8/10
La trama è abbastanza basilare però, nel senso che con lo stile non riesce a infondere “troppo”, è come vedere un film perché devi vederlo ma alla fine di ciò che succede ai personaggi non t’importa poi molto. Scusa se, SICURAMENTE, ti farà arrabbiare questa cosa, ma è quello che mi viene da pensare, e ovviamente se ho messo un giudizio alto significa che comunque l’ho gradita, che è stata particolare a suo modo e piacevole.
Finalmente una recensione per questa storia ;_;