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Autore: MadLucy    03/09/2016    2 recensioni
{Nightstar | Mar'i Grayson | Dick/Starfire-Dick/Barbara hints | pre-Kingdom Come? | raccolta di slice of life | bat uncles | fluff | angst | timeline piuttosto libera | guest stars: Olivia Queen, Nell Little, Lian Harper, Iris West}
É verde e guizzante come l'energia sana della rigenerazione, mora come i suoi nonni che ballavano sulle corde sospese a metri e metri dal suolo. Ha capelli spessi ed elastici e lo stesso arco delle sopracciglia di Dick. Non è un ranuncolo spiantato. C'è posto per lei, con la stessa naturalezza con cui ce n'è per un germoglio sotto una zolla.
Genere: Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bat Family
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Let the stars align



«Ma che diavolo... Alfred, cosa sta succedendo?» 
Il maggiordomo constata che che Bruce ha lasciato la sala dove si sta svolgendo la cena aziendale con una qualche scusa, visto che il rilevatore al suo polso ha cominciato a lampeggiare, indicando che parte del cancello che delimita il perimetro della proprietà è danneggiato.
«Non ne ho idea. Non ho sentito alcun rumore. Sarebbe il caso di mandare qualcuno a controllare?»
«Lo farò io. Tu offri altro vino di là, per farli stare zitti.» Bruce imbocca il corridoio che dà sulla porta ad arco per il cortile interno, ed Alfred, in grado di distinguere le occasioni in cui rispettare gli ordini, dà le disposizioni necessarie ad un paio di cameriere di servizio, prima di seguirlo. A giudicare dal buco nella siepe e dall'esplosione di cenere che sporca il prato nelle vicinanze, il problema è entrato da lì: ma lo spettacolo che si palesa ai suoi occhi una volta avvicinatosi è molto diverso da qualsiasi cosa potesse aspettarsi. É una presenza esotica, uno strascico scompigliato di capelli scarlatti come lo zafferano, sotto il quale l'illuminazione notturna della villa la accende di giallo zolfo. Al corpo prosperoso e abbondante restano addosso pochi centimetri di stoffa, un frammento di manica sul gomito, una striscia attorno alla vita, un lembo appiccicato sul polpaccio, quasi che ciò che portava sia stato strappato aggressivamente. L'espressività che viene a perdersi a causa dell'assenza delle pupille è evocata dalla fiera modellatura dei suoi lineamenti, delle fossette a cui fanno spazio, e più che timore suscita il curioso istinto di fissarla a lungo senza farsi sorprendere. Si regge in piedi con nobiltà, tentando di nascondere quanto male le faccia distribuire il peso su entrambe le gambe -ci sono dettagli che non sfuggono a chi ha combattuto e combatte. 
«So che non vi sono mai piaciuta. A te, a Barbara. Ma questo adesso non importa più.» La voce è bizzarra, roca, però più immatura del corpo. L'equilibrio le sfugge, allunga precipitosamente un braccio e si aggrappa ad un palo del cancello, come una gazzella zoppa. Il capo piegato sotto le spalle, trema di fatica. Alfred rammenta di averla già incontrata, collega eventi e persone.
«Non me ne intendo molto di biologia aliena, master Bruce, ma la cosa più saggia da fare ora sarebbe comunque portarla alla caverna e-»
«No» stronca Bruce, interrompendo con un gesto della mano le sue parole e il suo passo in direzione della ragazza, «potrebbe essere un trucco.»
La fatica maggiore che Koriand'r sta facendo è sorreggere al petto, con il braccio libero, un ingombrante e robusto involto di un tessuto simile per luminescenza e spessore all'alluminio, un sacco adatto ai viaggi tra i varchi spazio-temporali interplanetari. Fa per tenderlo verso di loro, non senza una visibile apprensione ed angoscia. 
«Al contrario di me non ha colpe, e purtroppo ha i requisiti per vivere insieme a voi. Come tutti i tuoi, ha perso la sua casa. E non può averne un'altra.»
Dopo averla scrutata con diffidenza, Bruce incurva l'avambraccio per prendere su di sè il peso del pacco. Non è trasparente da nessuna parte, eccetto un piccolo schermo all'estremità, di una sostanza più morbida, simile alla gomma. All'interno, assicurato su un lato, c'è un cilindro pesantissimo, che si rivela ad un rapido esame una bombola d'ossigeno. Dall'altra parte del visore, seppur sfocato dalla densità della barriera che si frappone, c'è un viso infantile, sopito -i minuscoli semicerchi degli occhi chiusi, la chiazza dei ciuffi sulla fronte. Bruce aggrotta la fronte, la consapevolezza si forma nelle dita e risale fino al cervello, scotta. Deglutisce. 
«Perchè non sei andata direttamente da Dick?» finisce per domandare.
«Non sono venuta a fare questa richiesta a Dick» precisa Starfire, serrando i denti. «Non ho voluto interferire nella vita altrui. Io ho la mia dignità, signor Wayne.»
Bruce s'irrita. Pensa allo stravolgimento che arriverà, alle radici che si sarebbe potuto impiantare gradualmente. Sa cosa si prova. «Quindi il tuo orgoglio ha prevalso sul diritto di un padre di sapere dell'esistenza di suo figlio?»
Koriand'r contempla il quadro che ha affrescato, quella montagna di muscoli che sostiene il suo fagotto grigio. Va bene così.
«Figlia» corregge fiaccamente. «Si chiama Mar'i. Le piace molto il colore viola. Quanto al resto, presto lo saprete meglio di me. Sono qui perchè sto per morire.»
Bruce è indeciso, ma la compassione sta sostituendo il sospetto. «Ci sono degli amici che possono essere contattati e dare una mano, Alfred.»
«Certamente, master Bruce.»
Alfred si affretta verso Wayne Manor, lui resta lì, accanto alla donna, a cui si stanno piegando le ginocchia.
«Tutto ciò che non potete fare per me, fatelo per lei.»
«Se solo fossi tornata prima...»
«Non prendiamoci in giro.»

***

Vederla esanime sul tavolo operatorio di acciaio, i suoi colori sciapiti dalla luce scialitica, la straordinarietà del suo aspetto svilita dalla freddezza della rifrazione di lampade artificiali contro il metallo, la chioma favolosa che tocca le piastrelle del pavimento pendendo come una bandiera lacera, è un colpo basso. Di quelli che ti schiaffano come una colpa i tempi più facili, della carne che fende l'aria e le circostanze senza chiedere. Non si pente di nulla, eppure c'è una recriminazione a suo carico in quel cadavere addormentato dopo la lotta.
«Abbiamo fatto il possibile, ma la malattia circolatoria era molto avanzata e difficile da contrastare con i mezzi attuali» mormora Bruce.
Dick con la testa fa sì, le sfiora il profilo del naso. É ancora perfettamente tiepido, come quando era una cosa sua, lo teneva fra le labbra nel buio, nella mistura del mollume del dormiveglia. Eppure sono passati tanti cambiamenti su quel viso da allora, tanti giorni senza di lui che ha dovuto e voluto vivere in un altro modo. Quelle sensazioni sono sensazioni fa. Non è rimasta intangibile e cristallizzata ad aspettare di tornare nella sua esistenza. Ha fatto in tempo a marcire. E quando avrà terminato, ogni prova si dileguerà. Forse sarà vero, ma non più reale.
«Se avesse voluto che andasse altrimenti, si sarebbe comportata diversamente» dichiara. 
«Stai tentando di convincere te stesso?»
Dick gli rivolge uno sguardo scontroso. «Ho cercato di far soffrire meno che ho potuto le persone a cui volevo bene. Anche la mancanza di sincerità causa sofferenza.»
Bruce china la testa per squadrare, con una combinazione di distacco e rassegnazione, la donna dalla quale ha sempre messo in guardia l'uomo che considera suo figlio.
«Sai che non te lo rimprovero, ma tu non potrai evitare di rimproverartelo.»
«Non ho rimorsi riguardo l'avere scelto di mettere Barbara prima di tutto, però... Se avessi conosciuto le contingenze... Si sarebbe trovato un compromesso.»
«Ormai sono parole inutili.» Bruce stringe le labbra. «La bambina è in una camera al secondo piano, ancora addormentata. Alfred ha praticato una visita superficiale, e sembra stia bene. Koriand'r le ha indotto il sonno tramite delle erbe, affinchè il viaggio non le risultasse penoso. L'effetto non durerà a lungo, ormai.»
Dick non sa quali siano le parole giuste, le domande appropriate,«le somiglia?» e in realtà sta chiedendo se somiglia a lui.
«Perchè non lo appuri tu stesso?» replica Bruce. Perchè forse non lo voglio appurare, forse voglio sperare che di sopra ci sia la figlia di una coppia baciata dalla fortuna, gente che non fa fatica a tenersi insieme, che quando scoppia un incendio in un quartiere lontano da loro va a dormire e non sogna le foto con le facce intatte delle persone carbonizzate. Una bambina che non debba storpiare la propria personalità secondo un codice di eroi criminali, come un girasole storto in cerca di luce. 
«Non le diremo niente su sua madre.»
Ha paura dei bambini tristi perchè lo è stato. Sa quanto siano più sinceri i loro silenzi e irreparabili le loro solitudini. Sa quanto valore diano alle loro lacrime, quanto ogni stilla di pianto sia un detrito di loro che si stacca. Spera che lei non lo sia e non lo diventi mai. Ha paura delle occhiate che etichettano gli estraneiha paura che lei possa avere paura, parlare in tamaraniano nel sonno supplicando la sua dea felina di venirla a salvare. Quella casa può essere casa e può essere un mausoleo, soprattutto prima, quando non conosci il calore a scoppio ritardato della sua malinconia, che viene con la saggezza. Può essere una tomba di marmo nera e bianca, una teca di ricordi che fanno la polvere, colonie di anticaglie in posa per vecchi nostalgici. 
Bruce non risponde.

***

Eppure starle davanti gli regala la croccante illusione che possa essere semplice. Mar'i Grayson è sfigurata dalla sua nascita sopra le righe, con quella sua faccia aliena, ma proprio come per i bambini deformi basta andare poco oltre per percepire una sostanza familiarmente convenzionale alle creature della sua età. Non è brutta, è piuttosto carina, ma spaesa con gli zigomi così larghi, la morfologia del volto leggermente ellissoidale, la forma degli occhi tirati all'insù, la pelle più ramata di Starfire -quasi terracotta- attributi che, se facevano sembrare sua madre una modella straniera, danno a lei l'aria di una abitatrice di specchi del luna park. É appena sveglia, intimidita, dalle tende del baldacchino, dall'altezza di Alfred, dall'attenzione magnetizzata di Dick, in questo momento sul suo piede scalzo. Il piccolo osso che sporge all'altezza della caviglia, il tallone rotondo. Quand'è arrivata aveva indosso solo la tuta spaziale, non c'era nulla in casa per vestirla, le hanno infilato un pullover arancione di Damian che le fa da miniabito, con solo quel piede che scappa fuori.
«Se c'è qualcosa di bello su questo pianeta, è il cibo.» Dick posa una tazza di Crocky Crunches, galleggianti in una buona dose di latte, sul materasso. «Provali e dimmi se non ho ragione.»
Mar'i sbatacchia le ciglia sulla patina liquida che le inumidisce l'orlo delle palpebre, fissa la sua bocca esitando. É distratta dalla porta che si apre e da Tim che entra.
«Quindi è lei? Beh, è... grandicella» commenta, incassando una sfulminata di biasimo da Bruce.
«Avrebbe dovuto essere un momento il più intimo possibile. Non le si può sovraccaricare il cervello di visi sconosciuti.»
«Insomma, sconosciuti, siamo tutti abbastanza uguali qui dentro, e sempre meglio che veda me, uno per tutti, piuttosto che le due alternative, no?»
«Il tempo scorre differentemente a Tamaran,» sintetizza Dick, «non chiedermi come. Aspetta, quasi dimenticavo.» Si protende sul letto e abbassa il capo abbastanza da schioccare un bacio sulla guancia di Mar'i, che, al contrario di stupirsi, indica la tazza ed esclama: «lo posso mangiare?»
«Con il cucchiaio» annuisce Dick, sorridendo e poi, interpretando la sua perplessità e ripensandoci, «ma anche senza, se vuoi.»
Non ha mai visto Alfred tanto poco dispiaciuto di farsi macchiare delle coperte ad una palmo dal naso. Mar'i soppesa il latte con la lingua, lo manda giù, mastica a bocca aperta, sconcertata dal sapore. É verde e guizzante come l'energia sana della rigenerazione, mora come i suoi nonni che ballavano sulle corde sospese a metri e metri dal suolo. Ha capelli spessi ed elastici e lo stesso arco delle sopracciglia di Dick. Non è un ranuncolo spiantato. C'è posto per lei, con la stessa naturalezza con cui ce n'è per un germoglio sotto una zolla.
«Quindi ha una figlia?! Come gli adulti veri?» Jason sbircia scandalizzato da dietro lo stipite della porta. «Ok, sono a disagio.»
«Chi ha una figlia?» Stephanie arriva alle sue spalle, entrando con meno riguardi nella camera. «Oddio! Dick! Sul serio? E dove l'hai tenuta tutto questo tempo? Ciao, bambolina.»
Mar'i abbandona la tazza dei cereali per analizzare la nuova comparsa, con vivace simpatia. Probabilmente il fatto che sia una femmina la rimanda con la mente a sua madre, la ovatta un po'.
«Non mi chiamo bambolina, bensì Mar'i» la contraddice gentilmente. 
«Hai sentito, Steph? Scusala, è un po' tonta» interviene Tim, con condiscendenza. Però la bambina non molla l'osso.
«Come fai ad avere la pelle lilla?»
Stephanie si gratta la nuca, imbarazzata. «Ecco, in verità si chiama ombretto... É un po' come... Dick, aiutami, non c'è il trucco a Tamaran?»
«... non lo so! Non è che mi premesse di informarmi di usi e costumi! E poi sono passati degli anni» si giustifica Dick, e giurerebbe di aver udito Stephanie bofonchiare ancor meno costumi che usi. Forse almeno la notizia della morte di Starfire cesserà queste ridicole prese di posizione su questioni che le nuove reclute non potrebbero mai conoscere.
Damian la coglie più di striscio. Dopo essersi irrigidito di sconcerto, ha sputato l'unica cosa che è riuscito a pronunciare, puntandole l'indice contro: «Quello è mio. Chiunque glie l'abbia dato, avrebbe dovuto chiedere il permesso.»
La risposta di Alfred è cristallina. «Con tutto il rispetto, master Damian, lei non ha nemmeno un conto bancario. Non le appartiene un solo stoppino di candela.»
Il ragazzino serra gli occhi in due fessure, poi sbuffa. «Giusto una poppante serviva qui dentro, adesso la media dell'età cerebrale della casa è ufficialmente prescolare.»
«Ha per caso parlato il più piccolo tra noi, o era il vento?» ironizza Tim. Damian è accigliato nel riscontrare di non avere alcun appoggio al suo partito.
«Come se da queste parti ci annoiassimo così tanto da poterci permettere di fare le bambinaie per Grayson!» protesta. 
«Mar'i è sotto la mia protezione» ribatte Bruce, lapidario. «D'ora in avanti è un membro della mia famiglia quanto te, e tu la rispetterai come tutti.»
Suo figlio incrocia le braccia, imbronciato. «Oh, ma certo.» Però non aggiunge altro.
«Lasciamo perdere Grayson, ma pensavo che Kori ti piacesse» obietta Jason, sostenuto, ottenendo di fargli perlomeno sussultare le spalle. «Ah, Kori. Ma che c'entra...»
Nell'udire quel nome, Bruce sente di non poter rimandare la notizia, una volta invitato a fornire spiegazioni riguardo l'arrivo di Mar'i.
«Voi, seguitemi di sotto. Loro hanno bisogno di stare da soli.»
Mentre tutti si incolonnano per uscire, Alfred propone allegramente: «Sarà meglio che io vada a fare un po' di spesa.» Nei suoi desideri più reconditi sono riposti tutti i manicaretti che hanno popolato l'infanzia di Bruce, di cui questo è il pretesto per recuperare le ricette. 
Dick alza il pollice. «Buona idea. I tamaraniani mangiano moltissimo.»
Il maggiordomo s'illumina deliziato. «Ma non mi dica.»
Presto i passi scemano sulle scale, nella stanza cala il silenzio. Mar'i ha trovato una nappa cucita al bordo della federa del cuscino e ci giochicchia, concentrata. Dick sta per improvvisare una qualche domanda stupida su quel gingillio reiterato e cerebrale, quando: 
«Tu sei papà.» Senza punto interrogativo nè entusiasmo, solo una certezza che striscia in una tana, completando un percorso accidentato fino a una pace, inevitabile e salda.
Dick si interroga su come avrebbe calzato quella parola, anzichè ruzzolarci dentro come una buca sulla strada, se l'avesse sentita fin dall'inizio. E su che storie Starfire abbia narrato a quella piccoletta di suo padre, se il portagonista fosse un personaggio di fantasia o la sagoma di ciò che davvero ha amato di lui. Non è così improbabile riappropriarsene. In fondo è un suono così breve, cos autoconclusivo. 
«Sì, Mar'i.» 
Trattiene un po' il fiato, è agitato quanto lei. Non ci sono anni o ruoli che li dividono adesso, in verità. Sono due persone che condividono un segmento di confusione in un mondo vorticoso, a cui il destino ha fatto lo sgambetto. Mar'i concede un sorriso di fiducia, per rialzarli entrambi, che faccia da scivolo al loro coraggio. 
«Lo so perchè sei bellissimo come mamma. Per quello dovete volervi bene. Siete troppo belli per non farlo.»
Dick non trattiene una smorfia di commozione. Lei è semplicemente la pillola migliore di quello che sono stati insieme, il nucleo pulsante e incarnato del loro microcosmo giovane, del loro ritmo; è la maniera indiretta ed ammiccante in cui si sono fatti la corte ed è la folata di vento rigenerante con cui lui si è arreso a lei, esausto, beato, mentre i suoi problemi galleggiavano via verso nuovi, temporanei, proprietari. 
«Ti stavo aspettando.» Di rado è stato così spontaneo abbracciare qualcuno, strappare la farsa delle convenzioni con quel gettarsi, quell'aggredire di dolcezza fulminante. La schiena piccola, da fata. A Dick va di farla sentire aspettata, sono le stesse parole che Bruce aveva negli occhi quando si è portato a casa lui, come un cucciolo di cane randagio, che può darsi abbia le pulci, e tu continui a tenertelo stretto, a fargli sporcare i sedili. E magari perchè è un po' vero. Forse l'unico trucco che Starfire ha condotto lì è che ogni ragazzino sfondato ha bisogno di una pulce abbronzata, una raganella brillante che saltelli fino a rassodare il suo suolo, assestargli l'autostima e la sicurezza di poter proteggere anche chi ha di fianco. 

***

«Io non avrei mai potuto darti uno di quelli. É un bene che tu lo abbia avuto comunque.»
Barbara non smette di digitare, la nenia disarmonica dei tasti, e fra un intervallo e l'altro c'è lei, il suo annaspare, i suoi mancamenti. Dick è sceso là sotto, nell'antro dei demoni a cui deve rendere conto, nella cantina delle cose che gravano sul suo spirito. Percepisce scricchiolare sotto i piedi la crosta di quella loro sconfitta. Vorrebbe che niente cambiasse, però sa che è un desiderio egoista. Barbara ha il diritto di infuriarsi, di tirargli il portapenne. Invece si adagia fiacca su quel fendente. Non è rabbia, è quiescenza amara, esausta, senza lotta. Dick boccheggia.
«Esiste e basta, non era nemmeno minimamente immaginata, non devi vederlo come qualcosa che ho fatto per compensare... qualcosa che tu...»
«Sterilità. Si dice sterilità.» Barbara compita con puntiglio quasi cinico. «Chiamiamo le cose con il loro nome senza timore. Ovvio che non l'hai fatto per colmare le mie mancanze, Dick. Ma sono meccanismi psicologici che si innescano inconsciamente. Non li controlliamo con la razionalità.» Vaglia sportivamente i propri bug, armeggia con il mouse. 
Dick si avvicina, le siede accanto, su una poltrona d'ufficio. «Avevi detto di essertene fatta una ragione, che in fondo non era così importante, che c'erano altri-»
«Era quello su cui contavo. Una pretesto per odiarti, quando invece ti odio perchè il problema non sei tu.» La voce di Barbara si fa eterea, rarefatta. «Perchè ti devo essere grata che tu ti trascini ancora dietro una steppa secca come me.»
«Cazzate. Nemmeno una sillaba di quello che hai detto è vero.»
Lei tira avanti come un kamikaze. «Non avere scelta è già abbastanza irritante, ma l'idea che un altro se lo impedisca per carità verso di te... Quello mi faceva venire voglia di ammazzarci tutti e due.»
«Una donna senza figli sarebbe senza futuro? Una coppia senza figli sarebbe inutile?» la incalza Dick, risentito. «Non pensi che siamo già abbastanza utili a questo mondo? Non possiamo avere neanche una casa in cui essere fini a noi stessi? Non lo meritiamo?»
Barbara lascia le mani in grembo, come oggetti inservibili. Il ticchettio tace. 
«A volte è come dici tu, mi sento forte, grande, realizzata, votata al bene superiore. Poi mi guardo intorno, le mie macchine, i miei schermi, le mie stronzate... Un mucchio di fili...» Apre le braccia, indica tutto, le sue pupille galleggiano nell'acquario di titanio in cui vive. «E tutto questo per cosa, a che scopo? Tra quarant'anni non servirò più ai miei computer, alla mia città, non potrò consolarmi con i bei ristoranti e il bel fidanzato, e cosa sarò? Una povera matusalemme che crepa senza avere lasciato, non dico un segno, ma il suo segno nel mondo. Possono esserci le mie azioni, il mio involucro, la mia maledetta testa, ma la persona dove diavolo finisce?» É rabbonita dall'unico scoppio di fervore, si affloscia ancora. Sorride con disprezzo ai margini sottilissimi del proprio riflesso su un monitor celeste. «Invecchiando certe cose grandi smettono di bastarti, ti impunti sulle cose piccole, frigni per le bezzecole, le smancerie.»
Quando ha cominciato piroettando nel vuoto non poteva ipotizzare che sarebbe finita sottoterra, circondata di asetticità, di roba che non resta incollata, che ti lascia scoperta, con il cuore blu. Non c'è futuro lì dentro, è tutto immobile. Adesso Barbara sa come andrà, Dick non vorrebbe abbandonarla ma sarà qualcosa di automatico, formare un tunnel a parte. Scappare da quel covo di dolore. Dal giudice benestante e arido di quell'inferno tecnologico. Somiglia ai suoi computer, la stessa memoria lunga, cumulativa, le stesse risposte istantanee formate da milioni di frammenti, di pixel raggrumati in un patchwork. C'è un gusto ipnotico in quello sfogo masochista.
«É logico che tu ti sia procurato l'intera solfa» commenta, felice di incriminarlo, «le persone come te dovrebbero fare molti figli. Non sei in torto. La vita deve fare il suo corso.»
Barbara non convoglia più la vita, invece, è arsa, sterpaglia, un alimentatore di popoli robot, un conduttore di corrente, impulsi elettrici che sostituiscono quelli nervosi. 
Dick comprende che quell'andazzo non va assecondato, per poterla riportare alla lucidità dell'attitudine a vivere e all'offuscamento di quella vista tragica.
«Mar'i è stata concepita durante una relazione di cui eri a conoscenza, e Kori adesso è morta. Capisco che ti faccia soffrire, ma preferirei non tirarla più in ballo. Ora ascoltami, perchè dico ciò che va detto. Questa bambina è un'orfana. Non ha mai avuto un padre e non ha più una madre. Tutti noi dobbiamo essere i suoi genitori. Ogni rancore e gelosia va messa da parte per dare la priorità al suo equilibrio. La felicità che porta giungerà anche a te. La storia della nostra famiglia dimostra che la genetica è condizione sufficiente ma non necessaria per l'amore. Ed è l'unico modo che abbiamo per andare avanti -se vuoi ancora andare avanti.»
Barbara ascolta a malapena. Pensa a Jim Gordon. A come lei si tendeva sulle punte per farsi prendere in braccio. A come le ha baciato la testa fasciata di bende in ospedale. Sono panni enormi in cui infilarsi. All'improvviso Nightwing le pare solo un Robin, un minuto ragazzino che inciampa nel mantello, un dodicenne. Quando sale le scale, crede che abbia solo interpretato il suo silenzio come un rifiuto e abbia reciso il ponte, però lui scende di nuovo qualche minuto più tardi. Ha sulle spalle un peso caramellato, con una fronda di capelli corvini e fluidi come liane, con la bocca a bocciolo, fresca di sorgente, nuova di zecca, con il profumo dell'impunità e l'aspetto di Starfire mitigato dalla sua tavolozza di tonalità. Dick si abbassa fino a metterla all'altezza del suo punto di vista, affinchè si guardino faccia a faccia. 
«Lei è zia Babs, nonchè la donna più intelligente che io conosca» decreta. «Puoi imparare un sacco da lei.»
Barbara ricambia lo sguardo con scaltrezza, da dietro gli occhiali. «In alternativa, faccio dei buoni popcorn.»
«Cosa sono?» chiede Mar'i, arrossendo.
«Ma allora sei ignorante sul serio!» 
Dick si finge intento nell'analizzare un dossier, permette che si annusino, che si battibecchino, che sua figlia sparpagli i cd, che Barbara scarichi un videogioco in cui devi accudire un animaletto sorridente.

***

«Le dobbiamo fare costantemente la guardia, quindi stabiliremo dei turni» ha sentenziato Bruce, calendario alla mano. Nessuno ha avuto alcunchè da ridire, eccetto Damian.
«Ma perchè?»
«Perchè vola» taglia corto suo padre. «Per le emergenze, ci sarà sempre Alfred. Ma lui ha le sue mansioni di cui occuparsi, perciò dobbiamo spartirci i giorni della settimana, sette quanto noi.»
«Dick si prende il sabato» assoda Jason rapidamente.
«E io la domenica, visto che non ho i doposbornia da smaltire» conferma Barbara. Tim esita.
«Faccio il babysitter, se devo, ma non sono esperto... non cambio pannolini e cose del genere.»
«Ha ad occhio e croce sei anni, Tim. Tu a sei anni mettevi il pannolino?» domanda Stephanie con cortese ironia.
Damian si vede affibbiare il venerdì e non gradisce affatto l'intera faccenda. Non ha niente contro di lei, ma non capisce perchè debba essere un problema suo. Perlomeno non è più il marmocchio di casa. Per tenerla buona basta accenderle i cartoni animati e darle un barattolo di gelatine zuccherate, però quando si mette a fluttuare sopra la sua testa soltanto perchè lui non lo sa fare la abbatterebbe con la scopa. Invece deve arrampicarsi sui mobili e saltare. E se si rompe qualcosa, le sente lui.
«I vecchi te lo hanno proibito, quindi piantala o spengo la tv e butto il telecomando nella fontana» sibila Damian, che può sfogarsi solamente quando è certo di non essere ascoltato. Mar'i obbedisce con una mestizia da cane bastonato, non senza un pizzico di vittimismo. E se queste minacce arrivano alle orecchie di qualcun altro, subito viene archiviata l'infrazione e lui accusato di gratuita crudeltà. Mar'i passa bipolarmente da volergli uno stucchevole bene dell'anima quando ottiene quello che vuole al lanciargli peluche selvaggiamente se le sottrae qualcosa per punizione.
Soltanto una volta i loro rapporti sono stati teneri come quelli dei film, ed è stato perchè Damian, dopo una lunga riflessione, ha affermato: 
«Conoscevo tua madre. Era... è intelligente. E buona.»
«É la miglior mamma che esiste» canticchia Mar'i, colorando con un pennarello verde l'intero bulbo di vetro dell'occhio di una bambola. «E quando torna, facciamo una gran cena e la zia Babs le fa i popcorn. Lei è stata qui ma non conosce quelle cose.»
Damian prova una fitta sgradevole alla bocca dello stomaco. «Non preferisci stare qui a quel tuo pianeta bislacco?»
«Preferisco stare qui con mamma» ripete ostinatamente lei. La sola persona a cui presta ascolto è Bruce, che, non appena la vede sfiorare ciò che le è stato vietato o sollevarsi ad un centimetro da terra, pronuncia un no che, pur in medio registro, fa rimbombare le pareti. Verso di lui prova un'ammirazione reverenziale mista ad una tenace volontà di compiacerlo, ripagata dallo stile che il suo nonno adottivo ha nel dimostrare affetto, invisibile e soffuso ma radicato come una facoltà cognitiva. Perciò in quelle occasioni si dimostra docile e posata, le gambe conserte sotto la gonnellina color ciliegia. 
In quanto al rapporto padre-figlia, progredisce sui generis.
«Io faccio il supereroe e quella pestifera mi ha detto che il cugino di Dora l'esploratrice è più coraggioso di me» brontola indignato, quando la sente rincasare, suscitando la soddisfatta ilarità di Damian. «É già molto più matura di te, Grayson.»
Oggi è turno di Jason, che, per unire l'utile al dilettevole nelle sue giornate, ha un espediente infallibile. 
«Ho portato Mar'i a giocare da Lian» annuncia con noncuranza, quando tutti sono a conoscenza del fatto che così intanto può vedersi una partita di baseball con Roy Harper. Dick inarca un sopracciglio di fronte alla maglietta fradicia e i capelli che colano a picco sulle spalle, aggravati d'acqua. «Com'è andata?» indaga.
«Secondo te, come può andare facendo a gavettoni con la figlia di un arciere?» gli rigira la domanda Jason, sarcastico. «Ha ricevuto una batosta di quelle micidiali.»
Mar'i però sembra incantata. «Mi ha dato un asciugamano e una tazza di cioccolata, poi! Credo che stiamo costruendo un legame di amicizia» rivela raggiante, con una commozione sacrale. Lian è una bimba robusta, ben piazzata, con un paio di codini castani piantati in testa che le balzellano sulle orecchie, un muso un po' schiacciato da cucciolo di shih tzu e la determinazione più ferrea che si sia mai vista in un corpicino così piccolo, che tende a diventare estremamente protettiva con qualunque amico capiti sotto la sua ala, malgrado la sua concezione di divertimento un pizzico brutale.
«É fantastico, tesoro» caldeggia Dick, aggiustandole una ciocca arricciata dall'umidità dietro l'orecchio. Damian alle sue spalle si tocca una tempia, con espressione eloquente.
«Damian mi prende in giro perchè non ha amici» proclama Mar'i candidamente, facendolo avvampare di sdegno e imbarazzo.
«Ti prendo in giro perchè sei fuori come un balcone, e non è vero che-»
«Come dicevi? sì, è parecchio sveglia» conferma Dick con un ghigno. «Ma adesso non prendere ancora freddo, tutta strafonta.»
«Io e Mar'i andiamo a fare il bagno» assente prendola per mano Stephanie, che invade sempre i turni degli altri per portarla fuori a comprare scarpe, spade laser o castelli delle bambole più labirintici di Alcatraz, provvisti di suppellettili e servizi da tè in porcellana in miniatura, il cui fascino frega più lei che altri. Mentre versa il sapone nell'acqua della vasca per fare la schiuma, si informa sul pomeriggio, sulla sua amica.
«Voglio presentarti anche un'altra bambina che conosco» sorride. Fin dal primo istante ha rimuginato che, con quel caratterino nonchè affiliazione con il mondo del soprannaturale che si ritrova, avrebbe potuto essere una buona compagnia per la sua giovane fan, con la fedele macchina fotografica al collo e la fittissima ed esuberante nube di ricci africani, un diavoletto mingherlino che la segue ovunque per immortalare le sue imprese.
«Quella che ti ricorda me?» Mar'i si sfila le foglie del cortile degli Harper dalla chioma, che presto necessiterà di un ridimensionamento. «Zio Tim ha detto che ti ricordo una bambina a cui volevi tanto bene.»
Stephanie, in una sera in cui scorreva una particolare certezza d'unione, è stata onesta con lui, ha ammesso quanto prendersi cura di Mar'i la imbocchi di raffiche possenti, al periodo subito prima e dopo l'adozione. Tim lo sapeva già. Le ha rammentato quanto fosse stata giusta quella decisione, quanto valorosamente altruista, e quanto quella sofferenza non potesse mai essere insultata dall'amore per Mar'i.
«Sì» mente, pacificata, «è furba e fuori di testa come te. Si chiama Nell.»

***

«Lo fanno tutte le sere» medita Mar'i, confusa, «ma ogni sera è diverso! Non è come i film.» Addita la presentatrice del telegiornale delle otto, storcendo il naso.
«Lo registrano tutti i giorni alla stessa ora per dare sempre le nuove notizie, come i giornali. Si chiamano programmi in diretta» illustra Tim, con pazienza. 
«Quindi devono essere sempre puntuali!» la sbalordisce. «Sennò le cose che succedono volano via e ce ne sono altre! E mancano dei pezzi.»
Tim pesca una patatina fritta dalla ciotola sul tavolo. «Sì, pensa che ansia.»
Mar'i lo imita e ne addenta una. «E voi, avete anche voi i programmi in diretta, che correte via sempre di corsa?»
«Magari! No, siamo solo vigilanti.» Tim fantastica un po' su come sarebbe avere delle ristrettezze orarie da cui non dipendano vite umane, e non è poi così ansiogena come situazione.
«Cosa sono i vigilanti?» insiste la bambina. 
Jason sente di dover fare le veci della dura realtà, perciò solleva il mento dal piatto. «Tizi in calzamaglia colorata che saltellano in giro a salvare i cittadini, senza ricevere talvolta neanche una briciola di gratitudine, che nel tempo libero fanno i nerd informatici per hackerare i computer dei criminali invece di farsi tirate di Dungeons & Dragons.»
Mar'i lo squadra impietosita. «Non ti piace molto il tuo lavoro, zio Jason?»
Lui rotea gli occhi. «Oh, no, non è quello, è che bisogna avere un po' di autoironia nella vita.»
«I vigilanti sono persone che scelgono di aiutare quando si accorgono che la polizia ne ha bisogno» corregge Dick, raddrizzando quell'infausto verdetto. Sua figlia ci riflette su.
«Questo è la mamma, una vigilante?»
«Sì, certo.»
Questo le rischiara dolcemente il viso. «Allora posso esserlo anch'io?»
«Per ora sei giovane.» 
Mar'i gonfia le guance, capricciosa. «Ma se lo fa anche Damian, che è un bassotto!»
«Tra qualche anno» promette Dick. «Intanto puoi disegnarti la tuta.»
Ed è ciò che ha fatto dopo cena, distendersi a pancia in giù sul pavimento, in camera sua, infervorandosi con i pastelli per dare forma al costume della sua immaginazione. In particolare, terminata l'opera, il viola è ridotto ad un mozzicone.
«Ho la tuta» informa Damian, non appena il ragazzino viene a verificare che non sia ronzata fuori dalla finestra. Agita il cartoncino, trionfante, per sottoporlo al suo giudizio. Il quale scruta inespressivo il disegno, senza sbilanciarsi. Ha delle maniche gonfie a campana, una fusciacca di velluto, una scollatura a v che mostra le spalle, una specie di collare, vari merletti e frange, stivali alti, più una tiara d'argento con una punta rivolta in basso sulla fronte.
«Ti serve anche un nome» le comunica brusco. «Da supereroina. La gente che conta lo eredita, tu sei di seconda categoria e puoi inventartelo.»
Mar'i non pare offesa dal denigrante privilegio. «E come lo scelgo?»
«In base a ciò che ti piace, ti rappresenta, o che sai fare bene, di solito» conclude Damian, dopo un breve riepilogo mnemonico. 
«Come le tartine e le m maiuscole?» Va molto fiera della propria calligrafia, e lo stesso viene liquidata. 
«No, meno ridicolo di così.»
Spalanca le braccia, agitandole e inarcando il dorso delle mani con grazia. «Potrei essere una farfalla!»
Damian scarta annoiato. «C'è già.»
«Una... lucciola!» ritenta lei.
«C'è già.»
«Una libellula!»
«C'è già. Chi prima arriva meglio alloggia, cara» la punzecchia, davanti al suo cipiglio. Mar'i si rilassa, gironzola fino al balcone, si aggrappa al parapetto di pietra. La risposta glie la soffia quella luna distante, che è come un neo tra le lentiggini, la selva che cela la tasca del suo pianeta, rannicchiato nell'etere, a portata di sguardo e di pensiero, ma che frustra così tanto i suoi piedi.
«Ci sono.» Esibisce un palmo e designa: «Nightwing,» ripete con l'altra mano, «Starfire», e infine li congiunge, facendoli collimare dai polsi ai polpastrelli. «Nightstar!»
Damian scrolla le spalle, però i suoi occhi sorridono. «Non è malaccio. Un po' sdolcinato, ma c'è chi ha fatto di peggio.»
Mar'i sospira di gioia, aggiunge una stella alla targa della sua tiara. «Fra poco Starfire sarà molto contenta che Nightstar sia sua figlia. Per tutte le cose belle che farà.»
La tenerezza con cui lo dice sembra quasi benedire la lei del futuro, accarezzarla con estasiata partecipazione. Damian trasforma la smorfia in approvazione. 

***

La macchina è sempre puntuale come un orologio svizzero, per questo, quando Mar'i guarda l'orizzonte speranzosa all'una e dieci, non viene mai delusa: certo che ormai non lo fa da un po' di mesi, perchè di abbandonare la sua comitiva di amiche non ha proprio fretta. Ad ogni modo rimane grata e graziosa, non è ancora in quel periodo dell'adolescenza in cui diventi ostile e antipatico. 
«Ciao, pà» esclama espansivamente, sbattendo la portiera dell'auto in proporzione all'entusiasmo nel vederlo.
«Ciao a te.» Dick le sorride, ammaliato. «Dì ciao anche a Damian.»
Dal sedile posteriore proviene un grugnito. 
«Che ci fa qui?» si sorprende Mar'i.
«Dobbiamo fare un salto in un posto, prima di casa, ed è ben accetto.»
«Fai sul serio? Un lavoro? Vestita così?» La ragazzina indica il proprio top a fascia, i jeans svasati, le zeppe di legno decorate di strass e i vistosi occhiali da sole ambrati, il cui scopo è mimetizzarla tra le alunne umane. Non c'è divertimento migliore, soprattutto mano a mano che suo padre si fa più permissivo riguardo al partecipare a piccole rapine da sventare eccetera, però non c'è neanche niente di peggio dell'essere snobbata dai criminali che si mena, e se già una dodicenne non ispira troppa strizza, una in borghese meno che mai.
«Tanto tu dovrai solo assistere» minimizza Dick. «Com'è andata a scuola?»
«Bene. Olivia ha proposto che dovremmo trovare un'alternativa a Teen Justice League, come titolo di squadra, ma Iris dice che rifarsi alle tradizioni attribuisce più importanza» snocciola Mar'i, sfilando la cartella dalle spalle e incuneandola nella nicchia tra il sedile e il cruscotto.
«Beh, se lo dice Iris!» ride suo padre.
«Lei è splendida, papà, e vederla mi ricorda sempre quanto sono brutta, ma non posso farne a meno, la sua compagnia è troppo meravigliosa.»
«Immagino.»
Non stanca, rincara: «E controlla già i suoi poteri alla grande, quando a me scompaiono le sfere di energia prima che riesca a lanciarle... Devo iniziare a farti la guardia, sai?» dirotta il discorso. «Credo che tu piaccia a quella banda di assatanate. Il che è disgustoso. Non sto dicendo che sei vecchio, ma sei vecchio!»
«Senza dubbio» concorda Dick, divertito.
Mar'i si volta insinuante in direzione di Damian. «In quanto a te... Posso dare il tuo numero a una mia amica?»
Damian accavalla una gamba sull'altra e considera la richiesta con scetticismo. «Quanti anni ha, otto?»
«Oh no, lei è più grande di noi, va già all'high school. Allora posso?»
Inesplicabilmente a disagio, il ragazzo si corruccia. «No, cioè... Dipende. Com'è?»
«Lucy è davvero carina» garantisce Mar'i gongolando, «e mi chiede sempre di te. Sarebbe il caso che ti dessi una mossa. Single alla tua età, rischi di restare zitello a vita.»
«Perchè tu, invece, una frotta di fidanzati, no?»
Lei alza il naso, impettita. «Sono ancora acerba, sto lavorando sulle mie potenzialità.»
«E ci lavorerai per un bel po'» assicura Dick, quasi velatamente minaccioso.
Mar'i non ha smesso di aspettare che sua madre arrivi, però non aspetta che nella sua vita si ripetano fotogrammi del passato, non c'è più il capo di un ritorno da ravvolgere all'origine. É una fede come lo è Tamaran, sta in alto, la veglia, forse non la toccherà, ma irradia luce lì dove è riposta la sua fiducia, su quel suolo terrestre così scabro, tra la bellezza che spunta a ciuffi nei suoi difetti. Non ci sono contrasti nel suo presente, la bruma più opaca si condensa nel futuro, che i sessanta chilometri orari della macchina non raggiungeranno ancora nell'immediato pomeriggio.
  
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