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Autore: PanStitch    06/09/2016    3 recensioni
Salve cari lettori,
la mia storia parla principalmente della coppia Harley/Joker e ne analizza il pensiero distorcendolo leggermente da quello che il film vuole fare intendere. Io adoro questa coppia ed è così che mi immagino la loro storia d'amore: malata, triste, profonda e dannatamente sbagliata ma perfetta e splendida al tempo stesso.
La storia parte dal principo, senza grossi salti temporali. Spero di regalarvi una buona lettura.
Ps: le frasi in verde sono tratte dal film e/o dal fumetto e dunque sono di proprietà intellettuale degli autori.
Genere: Azione, Romantico, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harley Quinn, Joker, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: Movieverse | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'A mad, mad love.'
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La notte calò improvvisamente su Gotham portando con sé un venticello autunnale che le fece salire un brivido su per la schiena.
Chiuse la finestra dello studio e nella stanza cadde un silenzio glaciale.
Sentì il monumentale portone aprirsi e corse fuori, nel corridoio, per scorgere almeno per un secondo l’uomo di cui il signor Arkham aveva così timore.
Il tempo sembrava essersi fermato, il cuore le batteva forte in gola e dovette deglutire con forza per rimandarlo al suo posto.
L’Arkham era sempre stato un luogo abbastanza spettrale: un' enorme villa vittoriana all’esterno, un labirinto dipinto di bianco ed ingrigito dagli anni all’interno…spesso Harleen si chiedeva se quello strano colore fosse dovuto alla malinconia soffocante dei pazienti.
All’improvviso, nella penombra del corridoio, apparve un uomo legato su una sedia a rotelle con al seguito cinque poliziotti e tre fra i più importanti specialisti della città.
Era uno spettacolo orrendo per la donna ma non potè fare a meno di osservarlo dalla testa ai piedi: uno splendido viso dai lineamenti delicati si intravedeva sotto una maschera troppo simile ad una museruola che lasciava scoperti solo due splendidi occhi azzurri e strani capelli verdi evidenziatore; delle cinghie strettissime erano avvolte attorno ai suoi polsi ed alle caviglie procurandogli orribili segni ad ogni piccolo movimento.

“Joker…” sussurrò terrorizzata appoggiandosi al muro, quasi il solo pronunciare il suo nome potesse ucciderla.
Per un momento i profondi e glaciali occhi del nuovo paziente intrappolarono i suoi, poi sparì dietro la porta numero 37.
Quella sera Harleen non riuscì a dormire. La sua mente era invasa da una lunga serie di pensieri astratti ed illogici; e quello sguardo…aveva terrorizzato migliaia di persone ma non lei.
Si convinse che la sua fosse stata una richiesta d’aiuto, in fondo era stato trattato come una bestia ed era sicura di aver visto dentro di lui qualcosa di buono, intrappolato dietro ad un muro di malvagità.
Quello sguardo le trasmise solitudine, inquietudine ed un' infinita tristezza nascosta da un velo di misticità e sicurezza.

Alle sette in punto, ancora vestita e truccata dalla mattina precedente per andare a lavoro, si catapultò all’Arkham con una sola idea in mente: farselo affidare come paziente.
Bussò con insistenza alla porta del capo.
“Signor Arkham, ho bisogno di parlarle con urgenza! Apra questa maledettissima porta.”
Sentì la chiave girare nella serratura e si fiondò all’interno della stanza, poi prese a camminare avanti ed indietro cercando di trovare le parole giuste da dire.
“Signor Arkham voglio essere la responsabile del signor Napier. So che mi ha detto di stargli alla larga ma vede, io sono convinta di poterlo aiutare. L’ho letto nei suoi occhi ieri sera…lui ha bisogno di me. Non è giusto che sia costretto a stare legato come un animale…io posso parlare con lui, ne sono sicura. Inoltre… ho sempre desiderato scrivere un libro su di lui e questa potrebbe essere la svolta decisiva che aspettavo da tutta la vita. La prego, non mi neghi questa opportunità.”
Il signor Arkham rimase in silenzio per un lungo istante, poi aggrottò le folte sopracciglia grigie e scosse la testa.
“Assolutamente no, dottoressa Quinzel. E’ per il suo bene.”
Harleen, infuriata, uscì sbattendo la porta alle sue spalle. Si diresse verso la sua stanza a passo pesante ma una volta arrivata alla numero 37 si fermò di colpo.
Una stranissima sensazione la avvolse in un abbraccio, non era curiosità ma qualcosa in più. Sapeva di non comportarsi in modo professionale ma fu come se una strana forza invisibile la costringesse a dare una sbirciatina…e così fece: si avvicinò al piccolo vetro e si incantò ancora a guardare quegli splendidi occhi color del ghiaccio per pochi istanti prima di essere interrotta da un colpo di tosse alle sue spalle.

“Harley! Che stai facendo?”             
Harleen sobbalzò e si premette forte le mani al petto, non aveva sentito nessuno arrivare, tanto era presa dai suoi pensieri.
“David! Mi hai spaventata, non farlo mai più! E comunque il mio nome è Harleen…non Harley!”
“Certo, Harley. Cosa ci fai davanti alla stanza del signor Napier?”
Harleen sospirò, si osservò le mani ed alzò lo sguardo verso gli occhi verdi del suo interlocutore.
“Stavo curiosando. Sono anni che aspetto un caso come questo fra le mani ma il signor Arkham pensa che sia troppo pericoloso per me.”
“So bene delle tue aspirazioni, ci conosciamo da tanto di quel tempo che ormai ti conosco come le mie tasche. C’è qualcosa di più...”
“Io penso di poterlo curare.”
David, un ragazzo prestante dalla pelle scura e dagli occhi smeraldo, scoppiò in una grossa risata facendo arrossire e vergognare la biondissima dottoressa, che alzò i tacchi e tornò nel suo studio.
Passarono i giorni, ogni cittadino di Gotham parlava della cattura del re della criminalità: ogni telegiornale, ogni programma televisivo parlava di lui e spesso una troupe televisiva si fermava per ore davanti al manicomio criminale per intervistare i suoi medici.
Nella sua mente la psichiatra non faceva che ripetersi quanto fosse ingiusto non poter avere un suo momento di fama, in fondo era la migliore in tutta la città nel suo campo. La routine e la solitudine la stava logorando, ogni giorno le sembrava uguale al precedente e la noia la divorava…il suo unico piccolo sfogo era guardare quegli occhi così intensi dietro al vetro della stanza numero 37.

Arrivò il venerdì e con lui una fitta pioggia ed il suo turno di fare la notte.
Si preparò come ogni altro giorno, si recò a lavoro e percorse il sinistro corridoio fino alla sua stanza preferita per osservarlo un po’ prima di cominciare a sgobbare.
L’uomo tremava leggermente, coperto solo da un paio di pantaloni di cotone ed una camicia di forza legata stretta dietro la schiena; alla sua vista Harleen non resistette e decise di tornare il più in fretta possibile nel suo studio.

Dopo pochi minuti sentì qualcuno bussare con delicatezza alla sua porta ed andò ad aprire.
“Dottoressa…la stavo cercando.” mormorò l’uomo grattandosi la testa.
“Sì? E cosa voleva chiedermi, dottor Arkham?” chiese sorpresa.
“Purtroppo mi vedo costretto ad acconsentire alla sua richiesta.
Nessun medico vuole più lavorare con il paziente numero 104, gli ultimi che ci hanno provato sono diventati i pazienti numero 304, 305… siamo arrivati al paziente numero 317.
Se lei è davvero convinta di volerci provare, non posso impedirle di farlo…in fondo è il nostro dovere di medici curare i pazienti, le chiedo solo di stare attenta.” si chiuse la porta dietro le spalle e sparì nel corridoio.

 
  
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