Film > Star Wars
Ricorda la storia  |       
Autore: Stella Dark Star    06/09/2016    1 recensioni
Parte1:Obi-Wan è un uomo distrutto. Dopo la morte dell’amata moglie Leia e del loro secondogenito Benjamin, non riesce a darsi pace e abusa pesantemente di alcol. Il problema è che ha altri due figli che avrebbero bisogno di lui. Alastair è diventato un bel ragazzo di diciannove anni e lavora in una bottega di pezzi di ricambio, apparentemente soddisfatto in realtà vorrebbe di più dalla vita e rimpiange i tempi Jedi. Han, furbetto e simpaticone, ha nove anni e la sua spiccata intelligenza lo ha portato a creare il suo primo giro di affari non esattamente legali.
Parte2:Altri cinque anni sono trascorsi. Obi-Wan con l’aiuto e la presenza fissa del suo Spirito Guida sta diventando un saggio Jedi. Han invece si mette in guai sempre più grossi col contrabbando, soprattutto con un certo Leech proveniente da Nar Kanji, ma la sua vita cambierà radicalmente quando si ritroverà il cuore spezzato a causa della bella Sheila e l’incontro con un wookie gli farà trovare la sua strada anche a costo di rinnegare le sue origini.
(invito tutti a leggere/rileggere la trilogia di Obi-Wan&Leia)
Genere: Introspettivo, Malinconico, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Han Solo, Nuovo personaggio, Obi-Wan Kenobi, Yoda
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
   >>
- Questa storia fa parte della serie 'La saga dei Kenobi'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Parte I
 
Le spalle tese, una mano stretta a pugno sotto il tavolo, gli occhi talmente lucidi che Yoda poteva vedervi dentro il proprio riflesso.
“Tu sai che sentire le tue sensazioni io posso.” La voce ferma e roca del Maestro Jedi non fece che aumentare la tensione di lui. Yoda si sentì costretto ad incoraggiarlo: “Parla, Obi-Wan.”
Lui non avrebbe voluto, poiché in quel momento era troppo vulnerabile per riuscire a controllarsi. Ma poi perché avrebbe dovuto farlo? Il suo mondo era ormai stato distrutto. Deglutì il nodo alla gola e cercò di parlare chiaro: “Se Qui-Gon Jinn è rinato dalla Forza ed esiste un modo per comunicare con lui, allora forse esiste la possibilità che anche..” Niente da fare, la voce gli morì in gola.
“Questo davvero io non so.” Rispose Yoda, sapendo bene qual era la domanda di Obi-Wan.
“E’ una donna forte, sono certo che tornerà da me come Spirito Guida.” Buttò fuori Obi-Wan.
“Il tuo dolore annebbiato la tua mente ha.”
“Se Qui-Gon può tornare, anche lei può. E’ sangue del suo sangue!”
“Troppo fiducioso mi appari, Ob…”
Lui estrasse la mano, ancora chiusa a pugno, da sotto il tavolo e la batté con forza sul ripiano: “Non vivrò senza di lei!”
Vide Yoda sbattere lentamente le palpebre e si sentì uno sciocco. Il respiro affannato e il cuore che gli batteva nelle orecchie non erano certo d’aiuto.
Yoda prese la parola: “Ora i tuoi figli bisogno di te hanno.”
Parole sagge, se non fosse stato che nella sua mente comparve l’immagine del figlio che aveva perduto.
“Cambiare nome tu dovrai, per cominciare una nuova vita su Tatooine con loro. Obi-Wan sicuro più non è.”
Lui fece dei cenni affermativi col capo, almeno su questo erano d’accordo. Con lo sguardo perso nel vuoto, rispose: “Ho già scelto il mio nuovo nome.”
“Quale?”
Solo allora Obi-Wan posò lo sguardo su di lui, ora ogni traccia di agitazione e rabbia erano scomparsi: “Mi farò chiamare da tutti Ben Kenobi.”
Questa volta fu Yoda a fare dei cenni affermativi col capo, non era affatto sorpreso di quella scelta.
Per quanto riguardava Obi-Wan, il colloquio era giunto al termine, tutto ciò che desiderava era lasciare quella base segreta organizzata dal Senatore Organa e partire per celebrare il rito funebre di sua moglie su Naboo. Si alzò dalla poltrona bianca e disse aspro: “Non rinuncerò mai a lei. La troverò. Con o senza il tuo aiuto, Yoda.”
Uscì dalla sala delle riunioni con passo spedito, nonostante all’esterno apparisse totalmente sicuro di sé, in realtà dentro stava ancora morendo. Per quanto sperasse che il suo piano di ritrovare Leia funzionasse, sapeva che comunque non l’avrebbe mai riportata in vita totalmente, senza contare che non c’era alcun modo per riavere il piccolo Benjamin. Si fermò nel bel mezzo del corridoio, in preda ad un repentino attacco di panico. Alzò lo sguardo verso i neon del soffitto: “Ti prego Leia, torna da me. Ho bisogno di te. Ho bisogno di sapere che ci sei. Ho bisogno di sapere che non è la fine. Mandami un segno. Parlami. Leia, dove sei?”
“Sono qui, Obi-Wan.”
La voce gli arrivò come lontana e leggermente riecheggiata, ma lui sapeva bene a chi apparteneva. Si guardò attorno con affanno: “Leia dove sei?”
“Sono qui, amore.”
Lui rigirò su se stesso più e più volte, ma per quanto si sforzasse non riusciva a vedere nulla. La voce continuava a pronunciare il suo nome, però si faceva sempre più distante e fioca.
Esasperato, Obi-Wan gridò: “LEIAAAAA!”
Ebbe un fremito che lo fece svegliare. Cercò di aprire gli occhi, ma la luce dei soli lo accecò. Aveva caldo, era sudato, d’istinto scostò il lenzuolo e rimase così in pantaloni e maglia. Si portò una mano alla fronte, si lisciò all’indietro i capelli madidi. Prese un respiro profondo e tentò di riaprire gli occhi. La luce dei soli invadeva la stanza come un manto di fuoco e rifletteva sulle pareti beige. La stanza era in totale silenzio. Obi-Wan passò con lo sguardo su ogni singola foto in movimento che aveva portato con sé da Coruscant. Ogni momento della vita di Leia e dei loro figli, che fosse stato inciso, si trovava sulle pareti di quella stanza. Si soffermò su una foto che ritraeva Leia sorridente su uno dei prati fioriti di Naboo. Era stato lui stesso a scattarla, il giorno in cui si erano sposati in segreto. Il giorno in cui avevano fatto i loro giuramenti d’amore, credendo di essere invincibili e di poter superare ogni avversità.
Si rese conto che in una mano teneva ancora il collo della bottiglia di vino che aveva trangugiato durante l’insonnia. Voltò il capo verso il comò accanto al letto, dove giacevano altre due bottiglie vuote.
Fece un tentativo di alzarsi da quel letto, ma fu colto da un capogiro e un forte senso di nausea, perciò si sporse oltre il bordo del letto e lasciò svuotare lo stomaco nel secchio che teneva sempre lì pronto all’occorrenza. Senza fiato, si distese lentamente, già il contatto del cuscino morbido lo aiutò a sentirsi meglio. Si portò di nuovo una mano alla fronte, in attesa che anche il capogiro passasse. Esausto dalla vita, sospirò tristemente: “Leia, dove sei?”
*
“Ed ecco il tuo resto! Sappimi dire se i pezzi vanno bene. Ieri è venuto un cliente col tuo stesso problema e non ho trovato niente di adeguato.”
L’uomo rispose affabile, portandosi due dita alla fronte per salutarlo: “Puoi contarci, Alastair!”
Soddisfatto del proprio operato, Alastair si concesse un leggero sorriso trionfante. Stava diventando davvero bravo! Con le dita sfiorò distrattamente la merce di piccolo taglio riposta sul banco, pregustando le lodi che avrebbe ricevuto dal Capo una volta riferitogli che aveva risolto un altro mistero meccanico. Si accorse per caso del proprio riflesso su un piccolo scudo metallico, ogni volta che vedeva il proprio viso gli sembrava di scorgere i suoi genitori, dato che aveva preso i tratti da suo padre  e gli occhi da sua madre. Di conseguenza si sentiva diviso in due: provava una stretta al cuore pensando a Leia e una allo stomaco pensando ad Obi-Wan. Si scostò emettendo uno sbuffo, non voleva rovinare un momento di gioia a causa dei proprio guai famigliari. Poi però cedette alla tentazione di specchiarsi ancora, ma questa volta per vedere se stesso. I capelli biondi con la frangetta che gli attraversava la fronte e scendeva verso l’orecchio sinistro, il viso indurito dai tratti marcati che rivelava comunque la sua giovinezza. Si lisciò il mento con una mano: “Magari la barba di tre giorni mi darebbe un aspetto più maturo. Non voglio sembrare un ragazzino. Per la miseria, ho compiuto diciannove anni il mese scorso!”
Il suo esame facciale venne interrotto da acute risate che, dal retro della bottega, si stavano avvicinando accompagnate da passi affrettati.
“Sei mia, Principessa!” Il grido di un bambino si levò al di sopra degli altri suoni.
Dalla tenda all’ingresso della bottega sbucò una ragazzina quasi adolescente, dal viso dolce e i capelli color cioccolato raccolti in due trecce fermate sulle sommità del capo da un nastro.
“Han! Lasciami riprendere fiato!” Gridò divertita, fermandosi giusto un attimo prima di schiantarsi contro il banco di fronte all’ingresso.
Un attimo dopo, dalla tenda sbucò Han, gli occhi brillanti per l’eccitazione della corsa e il viso accaldato. Nonostante la richiesta appena ricevuta,  si lanciò sulla ragazzina e la chiuse in un abbraccio: “Adesso sei davvero mia!”
Alastair fece un passo verso di loro, pronto a sostenere la parte dell’adulto: “Han, lasciala andare. Vuoi forse toglierle il respiro stringendola in quel modo?”
Il fratellino obbedì, senza cambiare d’umore.
“Non preoccuparti, Alastair, sto bene!” Disse la ragazzina, regalandogli un grande e luminoso sorriso.
Lui si schiarì la voce, cercando di mantenere il ruolo: “Ad ogni modo qualcuno doveva fermarlo. Non vorrei perdere il posto a causa di quel mocciosetto di mio fratello.”
Sentendosi chiamare con quell’appellativo, Han gli lanciò un’occhiataccia e incrociò le braccia al petto.
Di nuovo la tenda dell’ingresso si scostò e questa volta rivelò la presenza di un omaccione alto e grosso dall’aria gioviale. Li squadrò tutti e tre e scoppiò in una grassa risata.
“Non mi passa nemmeno per la testa l’idea di licenziarti, Alastair! Da quando ti ho assunto i clienti sono raddoppiati e così anche i guadagni. Sei troppo in gamba per lasciarti andare!”
“Ben detto, papà!” Confermò la ragazzina, con trasporto.
Il padre le carezzò le trecce: “Sono lieto che la mia Principessa sia d’accordo.”
“Lei è la mia principessa!” Sbottò Han, facendo urtare i nervi al fratello maggiore.
“Han! Ti rendi conto di quello che dici?” Lo apostrofò.
Il Capo lasciò un’altra risata: “Io direi che è un tipetto che sa quello che vuole, invece!”
Alastair si lasciò contagiare dal buonumore dell’uomo, ma preferì abbassare il viso per non far vedere che stava sorridendo.
“Or bene, che ne dici piccola? Mi aiuti  a portare dentro la merce rimasta?” Saltò fuori di punto in bianco il Capo.
Alastair s’intromise apertamente: “Non è necessario, lo farò io. Il mio turno di lavoro non è ancora finito.”
“Oh, invece sì! Dopo quello che sei riuscito a fare oggi mi sentirei un mostro se ti chiedessi di restare un minuto di più!”
Il ragazzo gli lanciò un’occhiata sorpresa, al quale lui rispose: “So sempre quello che succede. Anche se per la maggior parte del tempo lavoro nel retrobottega. Perciò…ti faccio i miei complimenti, ragazzo. E adesso và!”
Non ci fu bisogno di aggiungere altro. Alastair gli fece un cenno affermativo col capo e poi si rivolse al fratellino: “Su, andiamo. Papà sarà contento di vederci rincasare prima.”
Il piccolo Han gridò: “Yuppy!” Ma lo fece talmente forte che le sue stesse punte dei capelli tremarono, mentre l’acuto entrò come un ago nei timpani di chi era intorno a lui. Poi scattò di corsa: “A chi arriva prima allo sprinter!”
Alastair sospirò e scosse il capo, cercando di portare pazienza. Fece un cenno di saluto al Capo e si incamminò verso lo sprinter parcheggiato di fianco alla bottega.
“Alastair, aspetta!” La voce della ragazzina lo richiamò, inducendolo a voltarsi mentre lei gli veniva incontro di corsa.
“Sì?”
“Prima che tu vada, volevo darti questa.” Sollevò la mano e rivelò una piccola ma elaborata rosa del deserto incisa nella roccia.
Le sue guance s’imporporarono nel confessare: “L’ho trovata stamane e…vorrei donarla a te.”
Alastair prese il gingillo dalla sua mano: “Sei sicura? Non preferisci tenerla tu?”
Lei scosse il capo: “Assolutamente. E’ per te.”
“Va bene. Allora…grazie.” Fece per andarsene, ma poi voltò il capo e disse accennando un sorriso: “A domani, Sheila.”
“A domani, Alastair.” Sospirò dolcemente lei, come ogni ragazzina al primo amore.
*
Grazie alla potenza dello sprinter raggiunsero abbastanza velocemente l’abitazione ai piedi delle montagne rocciose, ovvero l’unica che si trovava in quella zona sperduta di Tatooine.
Il primo ad entrare dalla porta automatica fu Han, che fece il proprio ingresso glorioso fingendo di pilotare un X-Wing. Poi fu la volta di Alastair.
“Papà, siamo a casa.”
Si avviò verso il lavello posto appositamente vicino all’ingresso per permettergli di rinfrescarsi e sciacquarsi dalla sabbia. Sentire l’acqua fresca a contatto con la pelle era una sensazione così piacevole che si era sempre rifiutato di asciugarsi col telo per goderne il più possibile.
Non avendo ricevuto alcuna risposta, s’incamminò verso la stanza del padre: “Sarai sorpreso di vederci a casa prima del tramonto. Ma oggi è successa una cosa davvero bel…”
Entrò e rimase senza parole. Non solo vide Obi-Wan addormentato, ma dall’odore che sentiva era chiaro che anche quel giorno non si era lavato, in più le bottiglie vuote che aveva attorno non lasciavano spazio  a dubbi su come avesse trascorso la giornata.
Sbuffò spazientito: “Di nuovo.”
Per fortuna la finestra era costantemente aperta, permettendo così all’aria di attenuare l’odore pungente.
Raggiunse il letto e si sporse per scuotere il corpo del padre: “Papà, svegliati.”
Obi-Wan si svegliò bruscamente, gli occhi arrossati e la gola gonfia a causa dell’alcol.  Diede un’occhiata alla finestra e parlò con voce rauca: “Non è il tramonto. Come mai sei già a casa? E’ successo qualcosa?”
Alastair rispose con pesante sarcasmo: “Sì! Palpatine è venuto qui in vacanza! L’ho visto al mercato!”
“Pal…?” Un attimo di allarmismo e, quando il cervello riuscì a connettere, scosse il capo per la delusione: “Non sei divertente, Al.”
“Oh ma tu lo sei, invece!”
Obi-Wan sollevò lo sguardo su di lui, dandogli così il via per proseguire: “Ma ti sei visto? Sei ridotto a uno straccio. I tuoi vestiti sono sudici, i tuoi capelli anche. La barba scommetto che non ti ricordi neanche l’ultima volta che l’hai tagliata.”
Obi-Wan puntellò un gomito sul materasso e, sforzandosi, riuscì a mettersi seduto. Almeno ora non aveva la nausea. Si scostò una ciocca di capelli dal viso: “Ascolta, Alastair, ce la sto mettendo tutta per…”
“Tu cosa? Mi prendi in giro? E’ da cinque anni che non fai che ubriacarti! Hai abbandonato me e Han a noi stessi!”
“Lo so. Hai ragione ad essere arrabbiato. E mi dispiace per…”
“Dovresti ringraziare il mio Capo per avermi preso a lavorare nella sua bottega quando venimmo a vivere qui. E sua figlia per essersi occupata di Han ogni giorno dopo la scuola. E invece non hai mai messo piede fuori da qui!”
Obi-Wan si obbligò ad alzarsi dal letto, facendo appello a tutte le proprie forze. Fare due passi per raggiungere la finestra fu arduo, ma ne valse la pena. All’esterno vi erano le lapidi con incisi i nomi di Leia e Benjamin, e nella sabbia di potevano intravedere i coperchi dei vasi nei quali giacevano le loro ceneri. Si voltò verso il figlio maggiore: “Non è esatto. Qualche volta sono uscito per loro.”
Alastair contrasse le mascelle per la rabbia, ma poi si impose di calmarsi. Prese respiro e raggiunse suo padre. Guardò fuori, i raggi dei soli sembravano scivolare sulle lapidi come burro.
“Lo so, papà. Hai fatto un ottimo lavoro. Ma la vita non si limita a questo.”
Suo padre sospirò: “Lo so, figliolo. Dovrei reagire. Ma non posso farcela senza tua madre.”
Alastair deglutì e guardò il padre con occhi lucidi: “Non è facile nemmeno per me. Non passa giorno in cui non mi chieda perché è successo.”
Obi-Wan cercò di trasmettergli tutta la comprensione possibile attraverso lo sguardo. In quei rari momenti in cui il figlio si apriva con lui sentiva che tra loro c’era ancora una connessione.
“Eri già grande quand’è accaduto. Porterai questo peso dentro di te per tutta la vita. Han invece avrà dimenticato tutto, ormai.”
“No, non è così.” Disse Alastair scuotendo il capo per dare più enfasi alle proprie parole: “Spesso nomina Ben. E parla della mamma con Sheila come se fosse ancora con noi. Come se non fosse mai accaduto nulla. Nella sua voce non c’è mai tristezza.”
Obi-Wan gli artigliò un braccio, spaventandolo: “Cosa hai detto?”
Alastair sbarrò gli occhi: “Che si comporta come se la mamma fosse ancora viva.”
“Tu credi che… Credi che lui possa vederla?”
“Non ho detto questo. E poi come credi possa essere possibile?” Subito di pentì di averlo chiesto, infatti sollevò una mano e chiarì: “Non voglio saperlo. Grazie.”
In ogni caso, Obi-Wan aveva ormai abbandonato la conversazione, il suo sguardo era ora fisso sulle lapidi all’esterno.
Alastair si schiarì la voce: “Ehm…papà?”
Obi-Wan si voltò di scatto a guardarlo e si accorse di avere ancora il suo braccio stretto nella mano. Si affrettò a lasciare la presa: “Perdonami, Al.”
“Sì, come vuoi. Ehm… Questa sera starò a casa con te e Han, però domani vorrei andare al locale, se per te va bene.”
“Al locale? Sì. Sì, certo. Nessun problema.”
Il ragazzo fece per uscire dalla stanza, ma lui lo richiamò: “Alastair?”
Quando lui si voltò lo guardò dritto negli occhi e disse: “Sono fiero di te. Tutto quello che hai fatto in questi anni è ammirevole. Sei dovuto crescere in fretta a causa mia e…vorrei dirti che mi dispiace e che ti sono grato per tutto.”
Fece fatica a credere che suo padre l’avesse detto davvero.  E poi vederlo così lucido era quasi inquietante. Da quanto tempo non accadeva? Cercò di assumere un’aria matura, di ricambiare quel pensiero, ma poi quel muro che aveva dentro gli impedì di aprirsi totalmente. Alla fine la buttò sul ridere: “Va bene, ma promettimi che d’ora in poi ti prenderai più cura di te stesso. Magari iniziando a farti un bagno, per esempio!”
Obi-Wan buttò fuori una mezza risata sbuffata: “E va bene. Però lo farò domani. Adesso ho solo voglia di smaltire la sbornia standomene a letto!”
*
Accanto al lavello una ciotola piena di ciocche lunghe quanto le dita di una mano. All’interno del lavello una serie di mazzetti di barba. Facendo molta attenzione, Obi-Wan passò il rasoio sopra il labbro, il punto più difficile da radere. Sentì il rumore della lama che tagliava un altro strato di quella peluria trascurata per mesi. Prese respiro e ripose il rasoio sul ripiano con la stessa cura con cui, un tempo, avrebbe riposto la sua spada laser. Contò fino a tre e sollevò lo sguardo sullo specchio per vedere il risultato.
Dell’uomo che era stato non era rimasto molto. Anche se aveva solo trentotto anni ne dimostrava almeno dieci di più, a causa delle rughe che gli avevano invaso la faccia precocemente. Al contrario, i capelli lunghi appena sotto il livello delle spalle erano ancora di un bel biondo vivo e solo qua e là si intravedevano dei fili argentei. Il leggero strato di barba che gli ingentiliva il viso gli donava ancora in modo particolare.
“Papà, va tutto bene? Sto per uscire.”
Alastair rivolse lo sguardo verso la porta automatica della sala da bagno, in attesa che si aprisse. Quando ne vide uscire Obi-Wan, rimase letteralmente a bocca aperta.
Dal canto suo, Obi-Wan ne fu divertito: “Non mi riconosci più?”
“Ehm, no! E’ solo che…” Scosse il capo e ritornò serio: “Ci voleva tanto a riassumere un aspetto civile? Accidenti a te.”
“A dir la verità sì. Ho trascorso l’intera giornata lì dentro!” Disse, facendo un cenno alla sala da bagno alle proprie spalle.
“La cena è quasi pronta. Ho già dato istruzioni al droide affinché sistemi la cucina dopo che avrete finito di mangiare.”
“Non ceni con noi? Per una volta che sono sobrio, vorrei stare con te e Han.” Disse Obi-Wan con una punta di delusione nella voce.
“Magari domani, va bene? Ah e ricordati di mettere a letto Han, o starà sveglio tutto la notte a controllare quel suo dannato ripostiglio e il pattume che contiene.”
Il padre sorrise per quel linguaggio rozzo. Certe cose non erano cambiate e, ringraziando tutti i Saggi, forse non sarebbero cambiate mai.
“Non temere, lo farò. Credo di avere ancora qualche ricordo di come si fa il genitore!” E poi finì con un saluto cordiale: “Divertiti, figliolo! Ma ti prego di fare attenzione, lo sai che di notte si aggirano creature poco raccomandabili.”
Alastair sfiorò la pistola laser al fianco, appesa alla cintura: “Certo. Lo farò.”
“E saluta i tuoi amici da parte mia, chiunque siano.”
“I miei amici?”
“Sì! Quelli che incontri al locale ogni settimana!”
Alastair ebbe un momento di esitazione, ma poi cercò di riprendersi: “Ah, quelli. Sì. Sì, d’accordo.” E uscì di casa velocemente.
Rimasto solo, Obi-Wan fece correre lo sguardo senza una traiettoria precisa. Aveva sentito qualcosa, percepito una sensazione negativa nel figlio. Di cosa si trattava?
Sospirò e decise di abbandonare la questione: “Domani gli farò qualche domanda.”
Imboccò il corridoio e raggiunse la stanza del figlio più piccolo. Non appena la porta automatica si aprì, lo sorprese a contare monete da una capiente scatola di latta. Per quanto fosse stato ‘assente’, sapeva che non era normale che un bambino avesse tutta quella grana.
“Hey giovanotto, da dove saltano fuori quelle?”
Il bambino sollevò il viso di scatto e anche lui rimase incantato nel vedere l’improvviso mutamento del padre.
“Che cosa hai fatto, papà?”
Obi-Wan si avvicinò a lui con aria intimidatoria: “Non cambiare discorso. Rispondi.” Si accucciò accanto a lui, sperando che la propria espressione fosse abbastanza severa.
Han ripose nella scatola una manciata di monete e richiuse il coperchio con cura. Rispose con assoluta tranquillità: “Sono i miei guadagni. Frutto di un grande lavoro.”
Lavoro?” Chiese Obi-Wan, sottolineando la parola.
Han emise un mugolio di conferma e proseguì: “Non ho fatto tutto in un giorno, bada. C’è voluto del tempo e molta furbizia. Sta tutto in questo. Se sei abbastanza furbo riesci a far credere ai tuoi clienti di fare un affare e invece poi sei tu a guadagnarci di più.”
“Aspetta un momento! Chi sarebbero questi clienti? E di che affari stai parlando? Non dirmi che hai allungato le mani su cose non tue.”
Han rispose offeso: “Certo che no! Non sono mica un ladro! E’ cominciato tutto quando siamo venuti a vivere qui. Io ho trovato un pezzo di ferraglia e quando un uomo ha dimostrato particolare interesse per quello che possedevo sono riuscito a convincerlo a darmi qualcosa che avesse molto più valore. Da allora ho imparato molti trucchetti e gli affari sono andati sempre meglio!”
Obi-Wan era totalmente incredulo: “Stai scherzando, vero? Avevi solo quattro anni quando giungemmo qui!”
Han incrociò le braccia la petto: “Ho l’aria di uno che scherza?”
In effetti guardandolo si vedeva bene che era un bambino astuto e in gamba.
“E…oltre alla ferraglia, cosa usi per i tuoi affari?”
“Qualunque cosa. A me basta che un cliente dica cosa desidera e io trovo il modo di fargliela avere. Però ho notato che i pezzi di ricambio per navi spaziali sono i più richiesti.”
“E adesso vorresti farmi credere che t’intendi di pezzi di ricambio?”
“Passando ogni pomeriggio alla bottega con Alastair ho imparato a riconoscerli tutti. Presto mi piacerebbe costruire qualcosa con le mie mani e spostarmi in altre zone per allargare il giro dei miei affari.”
Ma quello era davvero un bambino? Per quanto Obi-Wan rifacesse i conti il risultato non cambiava, suo figlio aveva nove anni. E allora perché i suoi discorsi erano così impressionanti?
Restò ad osservarlo mentre riponeva la scatola di latta in una specie di rifugio che conteneva molte altre cose dei generi più disparati. Era quello che Alastair aveva chiamato ripostiglio, evidentemente. Osservò i capelli del figlioletto, di un castano chiaro così diverso dal colore dei suoi; quella pelle costantemente abbronzata dal sole che alla luce dei neon assumeva una sfumatura dorata, l’esatto contrario della sua, che invece era molto chiara e delicata. Avrebbe potuto definirlo un figlio del deserto! E poi quel talento naturale per gli affari  e l’interesse per la meccanica, da chi li aveva presi? Lui di certo non sapeva distinguere un solo pezzo e mai nella galassia avrebbe potuto costruire qualcosa! Quel filo di pensieri gli riportò alla mente Anakin. Lui all’età di Han aveva già costruito uno sguscio con le proprie mani e poi aveva addirittura vinto una Corsa. Quei due avrebbero potuto andare d’accordo, anzi si assomigliavano così tanto che avrebbero potuto essere… Gli si mozzò il respiro. Con quel pensiero aveva offeso la memoria di Leia. Han non era figlio di Anakin. Come prova c’erano i documenti che un tempo erano custoditi a Coruscant e che lui stesso aveva esaminato in alcune occasioni. La somiglianza con Anakin era solo una coincidenza, uno scherzo del destino.
Scosse il capo e parlò tra sé: “Sei davvero uno sciocco, Obi-Wan.”
Han lo sentì. Chiuse l’anta del suo prezioso rifugio e si avvicinò al padre, sfoggiando un sorriso affettuoso: “Non preoccuparti, papà. Non è colpa tua se non capisci quello che faccio. L’importante è che sia io a capirlo.”
Obi-Wan gli sorrise e gli passò una mano sul capo: “Avanti, giovanotto! La cena sarà ormai pronta!”
*
Alastair emise un forte gemito, i capelli biondi incollati alla fronte sudata e i muscoli delle braccia tesi. Ancora un istante e rotolò sul fianco, completamente esausto. Una mano dalle dita affusolate scivolò sul suo petto, per accarezzare i riccioli chiari. Subito dopo delle labbra sfiorarono la guancia di lui con un bacio. Letteralmente azzurra dalla testa ai piedi, la Twi'lek posò il capo sulla spalla di Alastair.
Lui sospirò infastidito: “Non ti starai montando la testa, vero?”
La donna strinse la mano a pugno, evidentemente colta in flagrante: “Credi davvero di essere l’uomo dei miei sogni?”
Alastair rispose con noncuranza: “Non lo credo affatto. Però ho notato che ultimamente sei diventata appiccicosa.”
Lei si sollevò su di un gomito e batté il pugno sul petto di lui, infastidita: “E tu ultimamente sei irritante. Solo perché mi paghi non significa che puoi mancarmi di rispetto.”
Lui strinse le labbra, pesando quelle parole, poi se ne uscì con un: “Vero. Però non ti pago per lamentarti.”
“Perché ti comporti così? Dopo un anno credevo che ci conoscessimo abbastanza bene per…
Lui la interruppe per replicare: “Per cosa? Sposarci e mettere su famiglia? No, grazie. Ho già abbastanza problemi.”
“Non è colpa mia se tuo padre è un ubriacone fallito.” Fece appena in tempo a finire la frase che uno schiaffo le arrivò in pieno viso. Alastair ora era in posizione seduta e la guardava con sguardo furente: “Non ti permettere. Mio padre non è un fallito, è un uomo disperato.”
La ragazza si premette una mano sulla guancia colpita, cercando di inghiottire le lacrime. Non voleva creare scompiglio, aveva sbagliato tutto.
“Lo so. Perdonami.”
Lui la tenne sotto tiro ancora per un po’, ma poi decise di lasciar perdere. In fondo non era lì per litigare. Si rilassò e si sdraiò di nuovo: “Avanti, vieni qui. Tra poco tornerò a casa.”
Lei si sentì meglio, nonostante tutto, e fu lieta di stringersi a lui. La verità era che aveva commesso l’errore di innamorarsi e faceva sempre più fatica a tenere nascosti i propri sentimenti. Veramente in lei non vedeva altro che una donna di piacere?
Ricordava la sera in cui si erano conosciuti, come fosse stato ieri. Lo aveva visto al locale, ovviamente, era seduto al banco a bere un drink in totale solitudine. Era bello e attraente, il suo sguardo sembrava puro ghiaccio. Gli si era avvicinata con curiosità e…
“Sei sicuro di avere l’età per entrare qui?”
Alastair si era voltato, il sopracciglio sollevato in segno di sorpresa: “Oggi è il mio diciottesimo compleanno. Quindi sì, ho l’età per farlo.”
Lei aveva preso posto sullo sgabello accanto a lui, sorridente e sempre più incuriosita: “E perché sei qui tutto solo? Non hai degli amici? Una famiglia?”
“Ah quella…” Aveva risposto, facendo una smorfia. “Sì, ma non mi andava proprio di festeggiare. La mia vita fa schifo.”
Lei lo aveva osservato mentre trangugiava il resto della bevanda, quindi aveva fatto cenno al barman di prepararne altri due.  Quando Alastair aveva visto mettersi di fronte un altro drink, aveva sbattuto gli occhi un paio di volte, come per verificare di non essere già ubriaco.
“Offro io. Ma tu in cambio dovrai permettermi di renderti felice, almeno per questa notte. E a metà prezzo.”
Alastair l’aveva guardata con sospetto, ma poi aveva sollevato il bicchiere per un brindisi, accettando così la proposta. E da allora, ogni settimana si erano visti.
Tornando improvvisamente al presente, lei sentì il bisogno di stringersi ulteriormente a lui e sentire il suo corpo caldo come se appartenesse più a lei che a lui: “Almeno riesci a considerarmi un’amica?” Chiese speranzosa.
Lui rimase inizialmente muto, lasciandola sulle spine, ma poi disse tranquillamente: “Se imparerai a fartelo bastare, sì.”
*
Obi-Wan prese un respiro profondo, gli occhi chiusi e la mente che pian piano si stava svuotando. Con Han addormentato, Alastair assente e il droide domestico in standby, in casa regnava la quiete. Non sarebbe stato difficile concentrarsi. Solo sperava di avere ancora un residuo delle abilità Jedi, ormai assopite a causa del forte abuso di alcol. Una volta placata la tensione, partì per un viaggio all’interno di se stesso, esplorando la Forza che si celava in lui. Era come trovarsi in un intreccio di gallerie, ognuna di colore diverso. E lui si sentiva librare, mentre le percorreva una ad una. Man mano che si inoltrava, i colori si facevano sempre più tenui e rilassanti, a prova che la meditazione stava funzionando. Una parte della sua mente ringraziò Qui-Gon Jinn per tutti i preziosi insegnamenti che gli aveva dato. E fu proprio quel pensiero a permettergli di andare più a fondo. Al posto dei colori ora vi erano delle immagini, seppur leggermente sfocate poteva riconoscere i luoghi in cui aveva vissuto e le persone che aveva conosciuto. Ad un certo punto vide un giovane Qui-Gon tenere per mano un bambino biondo, ovvero lui. Andò verso quell’immagine e improvvisamente si aprì una nuova galleria. Era interamente dedicata ai ricordi che aveva del suo Maestro, le immagini ora erano nitide e in movimento. La maggior parte di quei ricordi erano lieti e piacevoli,  a dimostrazione dell’affetto che aveva provato per quell’uomo. La verità era che Qui-Gon non era solo un Maestro o un amico. Era stato in tutto per tutto un padre.
Quella consapevolezza fece aprire una nuova galleria, la più bella di tutte. Era luminosa come un bel giorno di estate, ma anche fresca come la brezza mattutina. Era pura gioia. E lì dal nulla comparvero un paio di occhi blu. Per lui fu come un lampo a ciel sereno. Lentamente la figura prese forma, prima lei e poi tutto l’insieme, rivelando così l’immagine completa della prima volta che si erano parlati, ovvero nella Sala Comandi della nave con la quale erano fuggiti da Naboo dopo aver salvato la Regina Amidala. Rivedere con gli occhi di oggi quella quindicenne sfacciata e provocante, lo fece sorridere. Eppure era chiaro che, fin dal primo istante, non aveva desiderato altro che stare con lei. Proseguendo, rivide altri ricordi di vecchia data, come il loro primo bisticcio quando lui aveva frainteso il suo rapporto con Qui-Gon, la loro prima volta fra le lenzuola in una bella stanza del palazzo di Coruscant, il giorno del loro matrimonio segreto. Erano entrambi così giovani…
Ancora una volta si aprì una galleria dal nulla. Questa conteneva solo immagini legate ai suoi figli. In una in particolare vide Alastair, serio e concentrato, con la spada laser in pugno durante un allenamento. E poi Han, di cui la maggior parte lo ritraevano nella culla e solo alcune quando aveva qualche anno in più e giocava felice nei prati di Naboo. Poi fu la volta di Benjamin, col suo visetto tondo e gli occhi colmi di bontà. I ricordi che aveva di lui erano così pochi… Non era stato un padre presente e ora quel vuoto si stava manifestando davanti ai suoi stessi occhi. Le immagini presero a scorrere più velocemente, alternando momenti felici ad altri più seri, quando era stato severo con lui per via delle sue scarse capacità Jedi. I sensi di colpa gli attanagliarono lo stomaco. Rivide l’Ingresso del Tempio di Coruscant. I pavimenti erano disseminati di corpi senza vita. E sapeva che se sarebbe andato avanti avrebbe visto anche quello di Benjamin. No. Non ce la faceva. Chiuse gli occhi dell’anima per fuggire da quel dolore.
Nel riaprirli si rese conto che non si trovava più in una galleria, ma in luogo completamente diverso. Qualcosa di reale e inquietante. Poteva sentire il calore intenso che si espandeva nell’aria, la stessa aria soffocante che gli bruciava le vie respiratorie. Tutto attorno solo lava e oscurità. E all’improvviso si sentì soffocare. Questa volta non era per il calore, era…una mano che gli stringeva la gola.
“Anakin, no!”
Riconobbe la voce di Leia e si rese conto che era davvero Akanin a stringergli la gola con la mano. Nonostante avesse la mente intorpidita a causa della stretta, riuscì a tirare un calcio e a liberarsi. Una volta atterrato Anakin, corse da Leia.  Sapeva fin troppo bene perché era lì. Ogni passo verso di lei era un disperato tentativo di cambiare il passato.
“Perché sei qui? Dovevi restare a Coruscant.” Sentì il tono della propria voce, avrebbe voluto essere un rimprovero ma la preoccupazione era talmente forte che gliela incrinò.
“Non potevo. Non voglio perdere anche te.”
E lui non voleva perdere lei. L’amava troppo. Ma come fare a dirglielo? Era un ricordo, non poteva cambiare le cose.
“Ti prego, vattene. Me ne occupo io.” Sperava che la nota di disperazione nella voce la convincesse, sperava che lei avrebbe girato sui tacchi e se ne fosse andata, sperava…
“No! Non ti ascolterò mai più! E’ da tutta la vita che siamo separati! Sono stanca, Obi-Wan!”
La vide passare oltre, si voltò a sua volta. Assisté al suo alterco con Anakin come un fantoccio senza vita. La testa gli stava scoppiando. Non voleva fare lo spettatore, voleva trovare un modo per farla andare via da lì. Qualunque cosa. Qualunque.
Quando udì Anakin tentare di convincerla ad andarsene, credette di avere una speranza. Posò una mano sulla spalla di lei e disse speranzoso: “Fa come dice.”
Incrociare di nuovo la lama laser con Anakin non fu così difficile come credeva. Era stato suo allievo, era stato suo amico, era stato come un fratello. Ma poi lo aveva tradito. Prima gli aveva portato via Leia e poi aveva ucciso uno dei suoi figli. Era davvero troppo per perdonare. Ebbe una scarica di adrenalina che lo fece sentire vivo come non mai. Era il momento di pareggiare i conti. Avrebbe sistemato tutto, avrebbe salvato Leia, ed entrambi avrebbero pianto sulla tomba del loro bambino e poi avrebbero cominciato una nuova vita insieme, prendendosi cura di Han e Alastair. Tutto sarebbe cambiato. Adesso aveva il potere di rimediare ad alcuni dei propri errori, non c’era niente che poteva impedirglielo. Niente tranne…
Una finta. Anakin aveva fatto una finta e lui c’era cascato in pieno. Come aveva potuto essere così stupido? E poi si rese conto che qualcosa non andava. La lama avrebbe dovuto trafiggerlo al fianco, invece non sentì nulla. A parte…il corpo di Leia che scivolava contro il suo. Il mondo attorno a lui divenne irreale, nelle orecchie solo il forte pulsare del battito del cuore.
No. Non di nuovo. Non poteva vivere quel momento ancora, era troppo straziante. Un’altra lama nel petto, un altro momento di profonda agonia che l’avrebbe lacerato senza più possibilità di guarire. Si buttò in ginocchio, prese Leia tra le braccia.
“No, no, no, no. Leia. Amore.”
Perché? Perché doveva accadere di nuovo?
“Ho troppe cose da dirti, ancora. Ho troppe cose da fare insieme a te.”
Perché? Perché non poteva cambiare il passato?
“Voglio portarti via da Coruscant. E comprarti una casa dove vivere assieme ai nostri figli. I nostri…”
Perché? Perché non c’era un modo per tornare indietro e salvarla?
“Ogni giorno della mia inutile e miserabile vita lo dedicherò ad amarti come meriti. Saremo una vera coppia. Una vera famiglia. Te lo prometto.”
Perché? Perché la vita doveva essere così spietata?
“No. Leia, torna da me. Torna da me, non farmi questo.”
Perché? Perché? PERCHE’?
*
“Obi-Wan.”
La voce velata entrò nella sua testa all’improvviso, ma senza turbarlo. Era delicata, gentile, familiare. Era la voce di…
“Leia…” Pronunciò quel nome come una preghiera proibita.
“Sono io, amore. Apri gli occhi.”
No, non voleva farlo. Aprirli significava ritrovarsi da solo, rendersi conto che era stato tutto inutile, che il dolore straziante vissuto ancora una volta non aveva portato a niente.
“Amore mio, non temere. Adesso puoi vedermi.” Un attimo di attesa e riprese: “Fidati di me, ti prego.”
Era terrorizzato. Promise a stesso di togliersi la vita se non avesse visto Leia per davvero. E non si trattava di un gesto estremo, perché dopo quell’illusione la vita sarebbe stata solo un peso per lui, perciò era meglio farla finita. Strinse i denti. Prese un bel respiro. Aprì gli occhi così lentamente che la luce giallognola della stanza gli parve quasi la luce del sole. E poi la vide. Nemmeno nei sogni più vividi avrebbe potuto vederla più bella di così. Il suo viso delicato, i grandi occhi che lo guardavano con amore, i capelli dorati e la veste che lui le aveva messo il giorno della cerimonia funebre. A ricordargli la realtà fu solo quella leggera trasparenza nel corpo di lei, simile a quella di un ologramma.
“Leia!” Disse con appena un filo di voce, per poi sentirsi un nodo alla gola.
Lei sorrise candida: “Amore mio, ho atteso così a lungo questo momento.”
Ora che finalmente l’aveva davanti non sapeva cosa dire. La gola gli stringeva come se avesse avuto un cappio al collo, il cuore sembrava voler scoppiare nel petto. L’unica cosa che avrebbe davvero desiderato fare era andarle incontro e stringerla forte a sé, sentire il suo calore, il suo profumo, riprendere in mano il passato e tenerlo stretto. Ma non era possibile…
“Il mio corpo non esiste più. Mi dispiace.” Disse lei, dimostrando così che poteva sentire i suoi pensieri e le sue sensazioni.
Obi-Wan fece uno sforzo enorme per liberare la gola da quel nodo e poter parlare: “Perché non sei tornata da me? Ho creduto di impazzire in questi anni.” Aveva voglia di piangere, di far uscire tutto il dolore, ma cercò di trattenersi.
L’espressione di Leia si velò di tristezza: “Non è come credi, amore mio. Io non mi sono mai separata da te. Ti sono sempre stata accanto. Ma tu non potevi vedermi.”
“Perché? Dove ho sbagliato? Ho fatto di tutto, sono ricorso a qualunque pratica Jedi, ho…”
Che senso aveva quella conversazione?
“Non eri pronto, per questo. Ora lo sei. Dovevi ritrovare la Forza in te e ci sei riuscito.”
“Forza? Rivivere i momenti che mi hanno strappato il cuore dal petto mi avrebbe reso più forte?”
“Lo so che sei turbato, ma ti prego, non reagire così.”
Alcune lacrime ribelli scivolarono dagli occhi di lui: “Ho commesso tanti di quegli errori, Leia. E non potrà mai porvi rimedio.”
Leia fece alcuni passi, si inginocchiò di fronte a lui: “Non lasciare che io sia un motivo per odiare la tua vita.”
Obi-Wan ebbe uno scatto improvviso che gli fece allargare le braccia nel tentativo di abbracciare sua moglie. Ma ovviamente non ci riuscì, abbracciò il niente. Il respiro si fece ansante per la disperazione.
“No, amore non farlo. Guardami. Guardami negli occhi.”
Lui obbedì, lo sguardo di lei era luminoso nonostante la semitrasparenza.
“Sono qui con te. Non temere.”
Dovette deglutire l’ennesimo nodo alla gola: “Ti voglio da impazzire. Devo trovare il modo di…di…”
“Non esiste un modo. Non finché sarai vivo. Solo allora avremo l’eternità per noi.”
Quelle parole gli fecero balzare un’idea nella mente, ma prima ancora che potesse rendersene conto, lei lo apostrofò: “Non pensarci nemmeno. Hai ancora molte cose importanti da fare, una missione da portare a termine.”
“Io non sono niente, ormai. Perché vuoi che resti qui a soffrire?”
“Perché i nostri figli hanno bisogno di te. Hanno sempre avuto bisogno di te.” I suoi occhi ora erano pieni di lacrime, Obi-Wan desiderò di poterle cogliere. Un altro desiderio impossibile.
“Se la cavano benissimo senza di me. Sono solo un peso per loro. Avevo promesso che sarei diventato un buon padre e invece ho fallito. Ho fallito fin da quando Benjamin è stato…” Il suo sguardo si accese all’improvviso: “Ben… Tu sai dove…?”
Leia fece un cenno affermativo: “Sì. E’ in un luogo meraviglioso. E’ un bambino felice. Il suo unico rimpianto della vita terrena è di non aver saputo in tempo che tu eri suo padre. Ma ora lo sa e ti ama tanto.”
Obi-Wan aveva resistito, ma come poteva adesso? Aveva bisogno di piangere. Ne aveva bisogno.
Abbassò il capo e lasciò che i singhiozzi si liberassero dal petto: “Mio figlio. Il mio piccolo Ben.”
“Non fartene una colpa.”
Lui rialzò il capo, il viso arrossato per lo sforzo del pianto: “Ho perso lui, ho perso te. Alastair e Han non mi sopportano. Ti prego, non obbligarmi a restare qui.”
“Il tuo futuro è già stato scritto. Non puoi venire con me adesso. Luke Skywalker diventerà…”
“Luke?” Chiese incredulo lui. Il pianto improvvisamente interrotto: “Cosa c’entra Luke con me?”
“Devi occuparti del suo addestramento Jedi. E’ molto importante che tu lo faccia.”
“Io non… Io non capisco. Cosa…?” S’interruppe quando si accorse che la figura di Leia si stava muovendo, come trasportata dal vento. Si alzò in piedi spaventato: “Leia? Cosa succede?”
Lei era sorpresa quanto lui: “Non lo so.”
“Non andartene. Fermati!”
“Non posso. Qualcosa mi sta trascinando via.”
Obi-Wan allungò una mano, come se potesse afferrarla e tenerla con sé: “Leia! Aspetta!”
All’esterno, nella notte profonda e silenziosa, Alastair balzò fuori dallo sprinter. Si voltò di scatto quando sentì un grido agghiacciante provenire dall’interno dell’abitazione.
Si precipitò all’ingresso, allarmato e spaventato allo stesso tempo: “Papà!”
Lo trovò nella sua stanza, faccia a terra, con un braccio allungato verso qualcosa di invisibile. Corse al suo fianco e l’aiutò a mettersi seduto: “Papà. Cos’è successo? Perché gridavi?”
Lo sguardo di Obi-Wan era acquoso, quasi assente, la sua voce spezzata: “Tua madre. Tua madre era qui, Alastair.”
Alastair sentì una rabbia ceca salirgli alla testa. Lasciò suo padre a terra e si rimise in piedi, gridando come un ossesso: “La mamma è morta! Maledizione, lo vuoi capire? E’ morta! Non tornerà più!”
“No, devi credermi. Io l’ho vista!”
Suo figlio gli diede un calcio in pieno stomaco: “Sei un vecchio pazzo! Non ti sopporto più!”
Mentre suo padre boccheggiava per il dolore, rannicchiato a terra come un insetto, Alastair fece una cosa che non faceva da molto tempo. Strinse i pugni fino a conficcare le unghie nella carne e si lasciò andare al pianto.
Nel corridoio fuori dalla stanza, Han se ne stava in disparte. Aveva visto tutto. Si voltò e camminò lentamente fino a tornare alla propria stanza, i piedi che strisciavano sul pavimento, la testa china. Rientrò nella propria stanza, si fermò e risollevò il viso verso il nulla: “Non posso fare niente, mamma.”
Salì sul letto e sistemò con cura le coperte: “Sono tutti e due orgogliosi. Non vorrebbero che io li vedessi in quello stato. Domattina staranno meglio, vedrai.”
Si sdraiò, posò la testa sul cuscino e allungò lo sguardo sulla proiezione di stelle che illuminava la stanza: “Loro non capiscono. Non ancora. Altrimenti non piangerebbero.”
Sbadigliò senza pudore, i suoi occhi erano pieni di sonno. Lanciò un ultimo sguardo alle stelle e si accorse di un luccichio che proveniva da una in particolare. Era il pianeta Corellia.
Un attimo prima di scivolare nel sonno, sorrise e bisbigliò al nulla: “Buonanotte mamma.”
*
La luce rossa dell’alba scivolò lentamente sul deserto. Fece capolino da una finestra e andò a posarsi sul capo di Alastair. Dapprima seduto a terra, le gambe incrociate, le spalle ben dritte e gli occhi chiusi, sentì il calore della luce dei soli ed aprì gli occhi. Il suo guardo era di ghiaccio. Si alzò agilmente e si diresse verso un mobile posto accanto ad una delle pareti, dalla parte opposta del letto. Allungò la mano per afferrare qualcosa ancora nascosta nell’ombra. Tornò al centro della stanza, la luce ancora alle spalle. Allargò le gambe e si mise in posizione. Dall’oggetto stretto nel pugno si levò un raggio di luce verde e un ronzio invase la stanza. Alastair roteò il braccio e diede il via all’allenamento con la spada laser.
Un paio di stanze più in là, la luce dell’alba aveva completamente invaso l’interno e i suoi riflessi luccicavano ovunque. Ma non fu questo a svegliare Obi-Wan. Fu più che altro una sensazione, qualcosa di piacevole e leggero che gli parve di percepire anche a contatto con la pelle. Era come se il petalo di un fiore gli stesse accarezzando la guancia. Decise di aprire gli occhi, di superare la pigrizia, ormai svuotato di ogni speranza. E la vide lì, sdraiata accanto a lui, la mano protesa verso il suo viso. Leia, il suo Spirito Guida. Il lieve sorriso che aveva sulle labbra disse più di mille parole. Il tempo della separazione era finito, da quel momento in poi avrebbero trascorso ogni istante insieme, sia nella vita che nella morte.
Da un cuore felice ad un altro colmo di speranza, in città c’era chi sognava ad occhi aperti. Le dita che si muovevano agilmente tra i capelli per creare un’elaborata treccia, gli occhi rivolti al riflesso nello specchio ma in realtà persi in piacevoli fantasie. Sheila sospirò e scostò lo sguardo su una foto in movimento che teneva sul ripiano della toeletta. Una foto di Alastair, evidentemente scattata di nascosto mentre lui lavorava al banco esterno della bottega.
Solo una persona stava ancora dormendo, cullata dal buio artificiale e dalla proiezione di un sistema solare. La bocca socchiusa dal quale faceva capolino una gocciolina di saliva. Gli occhi chiusi in una linea serena, i capelli spettinati. Han si mosse nel sonno e si girò sull’altro fianco. Non aveva pensieri, non aveva turbamenti. Il tempo gli apparteneva. Il pianeta Corellia continuava a brillare sopra di lui.
  
Leggi le 1 recensioni
Ricorda la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Film > Star Wars / Vai alla pagina dell'autore: Stella Dark Star