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Autore: _E r i s_    08/09/2016    5 recensioni
| Stingue | Per Fra mia | suppongo parecchio OOC- |
"- [...] Staremmo male entrambi, peggio di così, adesso. -
Il corvino lo fissava, ogni traccia di pena e conforto era sparita dai suoi occhi. Non riusciva a decifrare la sua espressione. Non disse niente, ma Sting comprese di averlo nuovamente ferito. Eppure si sentiva in dovere di fare anche qualunque cosa, nonostante la situazione stesse peggiorando – non avrebbe dovuto accennare a loro, a quel “qualcosa” che erano.
- Voglio solo che tu capisca che-
- Sei tu - lo interruppe il corvino, e la sua voce era priva di qualsiasi emozione. - che deve capire. -
Sting lo fissò allucinato e non comprese; si mise a sedere sulle ginocchia, allontanandosi di un poco dall’altro. Egli si era stancamente alzato, si era seduto sul letto e rimaneva in silenzio, scrutandolo gelido, forse pieno di aspettative, forse auspicando che il biondo se ne andasse. Vedendo che quest’ultimo non reagiva, il Drago d'Ombra non scostò per un attimo lo sguardo, lo fissò più insistentemente, così tanto da mettergli ansia.
- Devi capire tu - riprese con voce piatta. - che io ci sono [...]"
Genere: Fluff, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Rogue Cheney, Sting Eucliffe
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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| personaggi suppongo molto molto OOC, ma con una trama del genere non riuscivo a rispettare i loro caratteri- |
| la seconda parte è ambientata non so esattamente quanto tempo dopo i Giochi, ma penso un mese dopo, circa |

Per Fra, che non si merita un tale obbrobrio
(e che non ha mai letto il manga né visto l'anime, ma shippa questi due) :3



s
eriousness


Giochi della magia – quarto giorno

I suoi passi risuonavano con un rumore sordo nel corridoio vuoto, incerti ma rapidi. Quando la sua mano sfiorò la maniglia gelida, fu come se si fosse ricollegato alla realtà.
Cosa diamine ci faceva lì?
Abbassò lo sguardo sulle proprie nocche, sbiancate dal convulso stringere quel pezzo di ferro.
Nella testa avvertiva un vuoto totale, il dolore che si era manifestato sotto forma di fitte al petto, provate quella stessa mattina, era svanito. C'era soltanto confusione, non sapeva la causa.
"La cosa peggiore che può succedere è che mi picchi" quel pensiero gli balenò in mente, ma nonostante ciò aprì frettolosamente la porta.
<< Rogue. >> a malapena un sussurro; si stupì nell'udire quanto la sua voce fosse divenuta bassa e roca, come se avesse urlato per ore - ed effettivamente era vero. Non sapeva nemmeno perché era lì, probabilmente avrebbe dovuto rimanere dov'era, in camera sua. Ma il corpo si era mosso da solo, aveva sentito l'impellente bisogno di incontrare quelle iridi scarlatte che ogni volta lo pulivano dal veleno che si portava dentro.
E non appena le incrociò, cominciò a realizzare cosa aveva veramente fatto.
Non aveva la più pallida idea di quanto fosse durata quella storia, quella in cui il loro Master li costringeva a tacere, a vergognarsi per ogni singola azione da lui mal giudicata, a spezzare i rapporti.
Quello di Sting e Rouge era sempre stato fragile, forse a causa del loro essere completamente differenti, l'uno il contrario dell'altro. E quella freddezza impostagli da Jenma non aveva fatto altro che far inutilmente creare continue crepe nel loro rapporto sottile come il vetro, che infine si era definitivamente spezzato.
Forse era durata solo qualche mese, forse anni. Non sapeva quando aveva cominciato ad allontanarsi dall'unica persona che avrebbe mai potuto comprenderlo in pieno.
E quel muro, spesso quanto tutte le parole che mai si erano detti in quel periodo, persisteva anche in quel momento, quando Sting si rese conto di star solo usando quello che un tempo era il suo migliore amico.
Perché l'aveva allontanato - lo vedeva, anche se non lo ammetteva, che Rogue era sempre lo stesso ragazzo, quello timido e dai sorrisi pacati - e subito dopo stava pretendendo che lo aiutasse.
Aiutasse a fare che, poi?
I patti di Minerva erano chiari. Se non avesse vinto i Giochi di Magia, non avrebbe più rivisto Lector. Eppure aveva notato l'espressione sconcertata di Rogue, le sue iridi scarlatte lucide e impregnate di pena e aveva pensato che forse aveva ancora una possibilità.
E lui era lì, di fronte a lui, con la medesima pena e nostalgia negli occhi, quella che aveva sempre avuto.
<< Rouge. >> ripeté, e lo disse talmente tante volte che perse il conto, intontito dal suono bellissimo di quel nome.
Il ragazzo lo scrutava, era sicuro che l'avrebbe cacciato. Sting si sentiva distrutto, ma non voleva nemmeno immaginare la consapevolezza che si portava dietro il corvino, quella dell'essere "utile a convenienza".
Il biondo, con la vista appannata dalle lacrime che mai se n'erano andate, rimase sull'uscio della porta, la mano sulla maniglia, come a dirgli che se ne sarebbe andato, se avesse voluto.
Ma il mago dell'Ombra si limitò ad abbassare lo sguardo cremisi, lasciando all'altro il compito di comprendere la risposta. E la confusione di Sting era troppa, così si chiuse rapidamente la porta dietro le spalle e mosse qualche passo in avanti, e quando fu a un metro e mezzo dal corvino non seppe più che fare e che dire.
Frosh non c'era, ma avvertiva il suo odore e quello delle lacrime che aveva versato.
Non aveva voce, sembrava essere totalmente morta nella sua gola. Il suo respiro accelerava e continuava a divenire più rapido, la testa vorticava.
Fu sicuro che avrebbe avuto un capogiro, uno svenimento - e magari quando si sarebbe svegliato avrebbe constatato che era tutto un terribile incubo.
Così si ritrovò sulle ginocchia, in preda ai singhiozzi, ma le lacrime non uscivano - non ne aveva più.
Il capo tra le mani, che stringevano saldamente le ciocche color grano, le gambe tremanti.
Fu questione di attimi e si ritrovò incastrato nell'incavo tra il collo e la spalla di Rogue e per poco non pensò che fosse un'allucinazione, il suo odore era troppo forte e reale.
Lui c'era sempre, anche dopo tutto il male inflittogli da colui di cui si fidava di più, era sempre lì.
<< Tranquillo. >> aveva detto, ma Sting non lo aveva udito o forse aveva fatto solo finta per non dover ribattere.
Il biondo avvertì le dita affusolate del ragazzo andarsi a posare lievemente, con la delicatezza di un battito d'ali di farfalla, sul suo capo, carezzandoglielo. Lasciò andare un sospiro di sollievo, avvertendo quel calore che tanto gli era mancato farsi spazio nel suo petto.
Si era scordato della sensazione che provava ogni volta tra le braccia del ragazzo che adorava.
<< Scusa. >> mormorò, e non comprese se quelle scuse fossero riferite al non aver protetto Lector o al fatto di essersi allontanato da lui.
Avvertì la presa intorno alle sue spalle divenire ancora più salda, ed allora allungò tremante le braccia verso la vita sottile del compagno e la cinse, spingendolo verso sé.
Rogue, però, si irrigidì improvvisamente e il biondo fu tentato di alzarsi e scappare da Sabertooth e da lui.
Ma rimase fermo, immobile, esalando quei lenti e pesanti sospiri a malapena.
Sapeva che se si fosse alzato, se avesse cercato sostegno da sé, se l'avesse nuovamente abbandonato, Rogue avrebbe tentato in tutti i modi di riportarlo al suo fianco senza riuscirci. Perché era così che finiva ogni singola volta da quando si erano uniti a quella gilda.
E Sting si rammaricava altrettante volte di non riuscire a stargli accanto come avrebbe voluto; il peso che gravava sulle sue spalle, quello del dovere, lo distoglieva da ciò di cui aveva più bisogno.
Si limitò a rimanere paralizzato tra le sue braccia, il viso contorto in una smorfia tra il consapevole e sofferente, incapace di proferire altra parola che non fosse “scusa”.
Non sapeva se Rogue stesse ascoltando, non gli importava, non voleva sentire i suoi “non hai niente di cui scusarti”, mormorati col tono di chi sa di star mentendo anche a sé stesso. Era sempre stato un suo vizio – ma Sting, in determinati casi, lo definiva una disgrazia – quello di mentire, non necessariamente agli altri, ma piuttosto a sé stesso, illudendosi da solo. Si illudeva, si ripeteva che colui che gli era sempre stato vicino durante l’infanzia ma che poi gli aveva voltato le spalle fosse ancora lo stesso, ma nemmeno Sting sapeva se era cambiato anche lì, nel suo Io. Era certo di una cosa: solo con Lector si dimostrava quello “stesso” di prima, ma Lector non c’era più e non avrebbe avuto motivo di dimostrare al mondo che Sting Eucliffe non era mai realmente cambiato, che fingeva di essere così serio, turpe.
Aveva messo così tanto da parte Rogue che ormai non comprendeva più come comportarsi con lui; se l’avesse continuato a trattare freddamente, l’avrebbe ferito. Se di punto in bianco – come in quel momento – avesse ricercato l’intimità che era andata persa anni prima, avrebbe fatto altrettanto.
Ma in quel frammento di secondo era solo egoismo, il suo, e quindi, quando avvertì la mano pallida dell’altro giovane sfiorare delicatamente la sua, incurante del resto l’afferrò, ignorando la probabile fitta che quel gesto avrebbe causato.
<< Scusa. >> lo ripeteva meccanicamente, nemmeno si accorgeva della sua voce, unico suono che risuonava in quella camera come un eco.
<< Va bene. >>
<< Non va bene. >>
<< Sì, invece. >>
<< No. >> avvertì il freddo avvolgerlo nello stesso istante in cui comprese di essere stato scostato; allora osservò allucinato Rogue, non lo afferrò e pregò di tenerlo stretto solo per timore – il loro rapporto si sarebbe spezzato definitivamente se l’avesse fatto, ne era sicuro.
Vide solo quei due opali cremisi osservalo, tremavano al contempo come se non avessero voluto incontrare il suo sguardo. Sting non sapeva dire quale tra i due fosse più ferito.
<< Ti ho detto che va bene. >>
<< Non va bene. >> ripeté, alzando di poco la voce.
<< Sì. >>
<< No. >>
<< Scemo. >> pigolò il giovane dagli occhi cremisi, e dopo quelle parole il biondo si concesse qualche attimo per osservarlo.
Un lieve sorriso amaro increspò le labbra del corvino per un misero secondo, ed Eucliffe lo scrutò estasiato, in trance, rivedendo in quel minuscolo gesto il suo migliore amico, quello per cui aveva cominciato a provare inconsapevolmente sentimenti ben più forti.
Quello che aveva inconsapevolmente ferito, quello che aveva inconsapevolmente pregato di rimanere al suo fianco, quello che aveva inconsapevolmente fatto invaghire di sé e quello che aveva inconsapevolmente occupato il centro di tutto per lui da tempo immemore. O forse ne era più che conscio, ma non riusciva ad ammetterlo perché sapeva che prima o poi avrebbe dovuto affrontarlo e non riusciva a capacitarsene.
Non seppe dire per quanto rimase con tanto d’occhi a scrutarlo; non vedeva Rogue sorridere veramente da tanto tempo.
Poi la voce persistente nella sua mente – lo stai solo prendendo in giro, domani lo tratterai come un estraneo – lo fece ritornare alla realtà e saettò repentinamente con lo sguardo altrove, intontito.
Non si ascoltava mentre parlava, lasciava le parole scivolare via dalla sua gola senza nemmeno pensarci razionalmente.
<< Mi manchi. >> non mi sei mancato, perché quel muro tra loro c’era ancora e quelle parole non sarebbero bastate a demolirlo.
<< … >>
Rogue lo fissava, e, solo quando si accorse di quanto fosse distante quello sguardo, si rese conto di ciò che aveva appena pronunciato.
<< Non devi rispondere. >> fece, e alzò in un movimento rapido le spalle, guardando il pavimento. << Non voglio sapere. Non c’è bisogno che tu dica qualcosa. Staremmo male entrambi, peggio di così, adesso. >>
Il corvino lo fissava, ogni traccia di pena e conforto era sparita dai suoi occhi. Non riusciva a decifrare la sua espressione. Non disse niente, ma Sting comprese di averlo nuovamente ferito. Eppure si sentiva in dovere di fare anche qualunque cosa, nonostante la situazione stesse peggiorando – non avrebbe dovuto accennare a loro, a quel “qualcosa” che erano.
<< Voglio solo che tu capisca che- >>
<< Sei tu >> lo interruppe il corvino, e la sua voce era priva di qualsiasi emozione. << che deve capire. >>
Sting lo fissò allucinato e non comprese; si mise a sedere sulle ginocchia, allontanandosi di un poco dall’altro. Egli si era stancamente alzato, si era seduto sul letto e rimaneva in silenzio, scrutandolo gelido, forse pieno di aspettative, forse auspicando che il biondo se ne andasse. Vedendo che quest’ultimo non reagiva, il Drago d'Ombra non scostò per un attimo lo sguardo, lo fissò più insistentemente, così tanto da mettergli ansia.
<< Devi capire tu >> riprese con voce piatta. << che io ci sono. Che, anche se continuassi a voltarmi le spalle, io ci sarei. Che, anche se non volessi più vedermi, io ci sarei. Che, se un giorno decidessi che non sono più nessuno, ci sarei comunque. >> a quelle parole Sting smise di respirare e si strinse nelle spalle, a disagio. << Ma non voglio stare qui ad aspettarti sempre, come solo un idiota farebbe. Non so per quanto ci sarò per te, Sting. Io ora ci sono, ma tu non ci sei per me, e non voglio continuare a costringerti a starmi accanto. Io continuerò ad esserci fin quando non comprenderò che da solo posso stare. Poi ti lascerò in pace. Sei tu che devi capirlo. >> si interruppe, atono, scrutandolo imperturbabile. << Io ho capito fin troppo. >>
Il biondo si alzò e, incurante dell’occhiata seria del corvino, scappò via.
Passò la notte insonne, girandosi e rigirandosi tra le lenzuola sfatte e candide, il pensiero persistente del “migliore amico” ancora in testa.
“Non capisco mai niente, ogni cosa che tocco si distrugge”.


| How can your love be so close when I'm so far away? |


Dopo i Giochi della magia

Scrutava senza particolare attenzione ogni angolo del salone della gilda, “solo per passare il tempo” aveva detto prima a qualche compagno. Avrebbe potuto andare a casa – nel caso quella roba, costantemente incasinata a causa della presenza di una zazzera bionda, avesse potuto definirsi “casa” -, ma il nuovo master l’aveva costretto – per non dire supplicato – di rimanere.
Non che non volesse, ma la stanchezza del torneo e della battaglia contro i draghi, avvenuta qualche tempo prima, aveva cominciato a farsi sentire, e reggere fino a tarda sera lì era abbastanza faticoso.
Doveva subire i concerti improvvisati di Orga, i litigi e le risse che si andavano creando sempre più spesso, e soprattutto l’assenza del suddetto master, che stava chiuso giorno e notte nel suo ufficio – i primi tempi si addormentava lì e finiva per rimanerci anche tutta una giornata.
Non era poi tanto spiacevole avere quel tipo intorno, ora che “l’era del terrore” del primo master era passata, ma di certo ritrovarselo così allegro e pimpante era stato un duro colpo per Rogue, che a malapena reggeva la sua complessa personalità prima, quando era freddo e serio – o perlomeno fingeva di esserlo. O forse lo era davvero; del suo cambiamento caratteriale il Cheney non aveva mai compreso niente.
Avvertì un forte odore familiare inebriargli le narici e quando udì dei passi di fianco a sé non se ne stupì nemmeno.
<< Non te lo permetterò. >>
Rogue si voltò lentamente verso la fonte di quella voce, che per lui pareva avesse sovrastato il continuo chiasso nel salone della gilda, che – purtroppo – non cessava nemmeno la sera.
<< Cosa? >> fece, osservando gli occhi di Sting ricambiare l’occhiata.
<< Di diventare come quell’uomo, >> sorrise. << non te lo permetterò. >>
Il corvino lo scrutò perplesso, mettendo su una di quelle smorfie che in genere riuscivano a persuadere il biondo, qualunque argomento si trattasse.
<< E perché me lo dici adesso? >>
<< Ci stavo pensando. >> gli occhi turchini del ragazzo si andarono a posare sui compagni, che, tra boccali di birra e risse, ridevano spensierati come bambini. << A com’era prima, dico. Dopo aver saputo di quell’uomo… mi sembri un po’ cambiato. >>
<< Dopo i Giochi tutti sono cambiati. >>
<< Già. Adesso sono tutti felici. >>
<< Io sarei felice se non mi costringessi a rimanere fino a questi orari. >> lo corresse Rogue, e gli lanciò uno sguardo schizzinoso che Sting evitò di proposito. << È quasi mezzanotte, vorrei andare a casa. >>
<< Stavo parlando seriamente. >> sbottò il biondo, stringendosi nelle spalle. << Sembri più maturo. >>
<< Detto da te non è un complimento. I tuoi standard di maturità sono sotto i piedi, probabilmente. Tradotto, significa che mi stai dando dell’idiota. >>
<< … >>
<< Prova a ribattere. >>
<< Nah, credo tu abbia ragione. >> Sting ciondolò avanti e indietro, osservando i compagni fare a botte. << Dovrei fermarli? >> fece poi, rivoltando il capo verso Rogue. << Non vorrei distruggessero l’atrio come l’ultima volta. >>
<< È il tuo lavoro. >>
<< Oggi sei particolarmente loquace! >>
<< … >>
<< Stavo scherzando… >> nonostante ciò che aveva detto poco prima, rimase fermo, poggiato contro la parete.
Rogue lo scrutò solo per qualche secondo, non lasciandosi scappare l’espressione persa del compagno – Sting non era mai stato particolarmente bravo a nascondere i suoi pensieri e sentimenti, non con il corvino, almeno.
<< Tutto bene? >>
<< Ho solo lavorato un po’ troppo. >>
<< Dovremmo tornare a casa. >>
<< No, no. Solo una boccata d’aria. >>
Lo vide staccarsi improvvisamente dal muro e prendere a camminare verso il portone, incurante della rissa e ignaro della forchetta che per poco non gli aveva trapassato il braccio destro.
Lo notò uscire ed a quel punto lo imitò e si mosse a passi lenti, come guidato da un’altra entità – e ne aveva anche abbastanza di “altre entità”.
Ricordava quando, durante la battaglia contro i draghi, l’Ombra gli aveva di nuovo parlato. Capitava spesso anche quando era piccolo, quando era solo un bambino incapace di controllare il proprio potere. Tutte le volte che andava fuori controllo o sentiva quella voce strascicante parlare, era sempre Sting che, in un modo o nell’altro, lo faceva ritornare in sé. Anche durante quella sanguinosa battaglia, quando nella sua mente albergava solo la confusione dovuta alle parole pronunciate da quell’ombra, era stato Sting che, come un raggio di sole che perfora l’oscurità della notte, era andato a salvarlo.
Quel pensiero gli fece drizzare in tempo le orecchie così da poter udire distintamente una sedia infrangersi contro il muro dietro di sé, proprio ad un pelo da lui.
Fece per dirne quattro ad Orga – che quella sera era particolarmente brillo e in quel momento ridacchiava, osservando l’espressione improvvisamente persa di Rogue -, ma il pensiero di Sting lì fuori, da solo – ed era risaputo quanto il biondo odiasse stare da solo – lo colpì in pieno e le parole gli morirono in gola; si limitò ad un’occhiata furiosa verso il suo quasi-assassino, e accelerò il passo verso l’uscita.
Non seppe dire come uscì intatto – in genere tornava a casa sempre con qualche livido o graffio sul viso.
Come fece per mettere piede fuori, nel cortile, vide la figura slanciata del Drago bianco semi-accovacciata su una delle panche che stavano nel cortile, così, abbandonate – lì non ci stava praticamente mai nessuno; “fate le risse fuori e non distruggete nulla” aveva detto una volta Sting “piuttosto che stare dentro, fare casino e far pagare i danni a me”. Nessuno chiaramente l’aveva preso in considerazione.
Rogue trasalì qualche secondo, come se ne fosse stato sorpreso – gli capitava di tanto in tanto di sentirsi a disagio col “gemello” -, poco dopo gli si avvicinò da dietro e, quando fu di fianco alla panchina, allungò una mano a sfiorare la spalla del ragazzo.
Egli sobbalzò furiosamente e le sue pupille, improvvisamente dilatate, si posarono rapidamente sul corvino, che, saltato in aria a sua volta per quel gesto, aveva portato la mano in grembo.
<< Rogue. >> esalò il biondo, affannoso. << Mi hai fatto spaventare. >>
<< L’ho notato. >> mormorò il Drago d’Ombra con tono saccente, e tutto ciò che ne ricavò fu uno sguardo irritato da parte del compagno.
Il corvino rimase qualche secondo in piedi, indeciso sul da farsi. Poco dopo si decise e si sedette all’angolo della panchina, particolare che fu notato da Eucliffe, che stava esattamente al centro.
<< Non c’è bisogno che tu stia così lontano. >> gli lanciò un’occhiata sbieca. << Mica mordo. >>
“Non ci giurerei” avrebbe voluto dire Rogue, ma comprese che non era il momento. Si mosse impercettibilmente di più verso il centro di quella panchina, nascondendo il lieve filo di porpora sulle guance dietro la frangia corvina. Gli capitava spesso di imbarazzarsi con lui vicino, anche per situazioni ridicole – come un contatto visivo che durava più di dieci secondi, le loro gambe che involontariamente si sfioravano sotto il tavolo, durante una di quelle competizioni riguardanti il cibo che tanto i membri della gilda adoravano – e l’ultima volta aveva dovuto assistere il suddetto master, evidentemente aveva mangiato troppo in fretta e non erano passati dieci minuti che era già accovacciato in bagno a vomitare, nemmeno fosse stato ubriaco fino al midollo.
<< Che cos’hai oggi? >> proferì poi il corvino, spezzando il silenzio, senza insicurezza nella voce.
<< Tu oggi sei loquace ed io silenzioso. Per una volta i ruoli si sono invertiti. >> ridacchiò il dragon slayer della luce. << Capita di tanto in tanto. >>
<< Sono serio… >>
<< No, perché oggi io sono come te e tu come me, quindi non sei serio. >>
<< Ma cosa diamine stai dicendo? >>
<< Sono io quello serio, per oggi. >>
<< … Sting. >>
<< Rogue. >>
A quel punto il biondo si lasciò scappare una breve risatina, alzando il capo ad osservare le stelle.
Rogue lo squadrò perplesso, ma decise di non proferire parola. Avrebbe solo peggiorato la situazione, che già sembrava abbastanza grave – e non sapeva dire perché.
<< Stanotte le stelle sono davvero belle, vero? >> osservò poi il neo-master, non scostando lo sguardo dal manto scuro sopra la propria testa.
Il corvino lo guardò il silenzio, non sapendo cosa dire.
Già, cos’avrebbe dovuto dire?
<< Sono strano. >> improvvisò poi il biondo, facendo nascere sul viso del Cheney una smorfia confusa. << Non c’è bisogno che tu me lo dica, lo so già. >>
<< Non capisco… >> il drago d’ombra lo sibilò confuso, stringendosi nelle spalle per il freddo pungente che si faceva sempre più presente in quella nottata d’inverno.
Ci mancava solo che prendesse a nevicare.
<< Nemmeno io ti capisco sempre. È coerente, visto che oggi tu ti comporti come me e quindi non capisci. >> anche Sting si strinse lievemente a riccio, in sé, tentando di scaldarsi. << Di conseguenza, non puoi capirmi. >>
<< Sting, dacci un taglio. >>
<< Alt! >> sibilò il biondo, gonfiando il petto, al che il corvino non seppe se infuriarsi o semplicemente arrendersi all’evidenza che il suo migliore amico era totalmente andato. Forse era colpa del freddo che gli aveva dato alla testa; lasciava sempre la finestra del suo ufficio aperta, magari era entrato un po’ di vento che lo aveva completamente bloccato. << Io non ti dico mai di finirla, pertanto nemmeno tu lo devi fare per oggi! >>
<< Sting… ma- >> Rogue avvertì le braccia cadergli, avrebbe voluto alzarsi ed andare via. Alle volte, per quanto fosse infantile e stupido, anche quel master dall’aria serena aveva i suoi misteri, e purtroppo erano davvero troppi.
<< Semmai dovrei dirtelo io, di finirla. >> sorrise lievemente quest’ultimo. << Tu lo fai sempre con me, quindi oggi lo devo dire io. >>
<< Stai prendendo la cosa troppo sul serio. >>
<< Io non direi mai una cosa del genere. >> ammiccò poi. << Quindi oggi non lo devi fare nemmeno tu, dato che sei come me. >>
Fu allora che vide il drago d’ombra assottigliare pericolosamente lo sguardo, segno che stava per dare in escandescenza. Quando lo fece, infatti, non se ne stupì.
<< Sting, cavolo! Volevo solo sapere a cosa pensi! >>
<< Ecco, questo è esattamente un comportamento da me! >> ridacchiò lievemente il master, per poi ricomporsi, vedendo lo sguardo ancora accigliato del compagno. Improvvisamente la sua espressione si incrinò in una smorfia seria e Rogue si chiese se non fosse davvero stato il caso di chiamare uno psicologo. << Fatti i cavoli tuoi. >>
“Ma cosa-?”, il mago dell’oscurità sgranò gli occhi e rimase qualche secondo a squadrarlo, confuso, non metabolizzando quelle parole.
<< Ma… >> esordì poi, non spostando lo sguardo scocciato. << Io non rispondo così! >>
<< Visto che mi reggi il gioco? >> il biondo sorrise ancora, non scostando mai gli occhi dalle stelle. << Ma per oggi sono io quello serio, visto che- >>
<< Che ti comporti come me, ho capito. >>
Sting ridacchiò lievemente, per poi voltarsi con lentezza ad osservalo. << Per oggi sono serio, quindi ti dirò chiaramente le cose come stanno. >>
Al sentire quelle parole, Rogue avvertì un brivido solcargli la schiena.
“Le cose come stanno”, già, come stavano veramente le cose?
<< Sai, anche se non sembra… >> esordì Eucliffe con voce calma e piatta, tanto che il Drago d’Ombra per poco non si strozzò con la propria saliva nell’udire quel tono mai utilizzato dal biondo. Gli faceva uno strano effetto.
Senza contare che Sting, tra i due, era quello che scappava. Scappava sempre, ogni situazione seria che gli si parava davanti per lui era come uno scherzo. Semplicemente la evitava.
<< … ma ultimamente penso molto. >>
Avrebbe davvero voluto ribattere che sì, l’aveva notato e se si trovavano lì a parlare era proprio per quello, ma la sua innaturale insicurezza – e predisposizione all’ascolto – gli impose di rimanere in silenzio, col solo suono dei passanti che ogni tanto si giravano a guardarli e a strillare “Kami, sono i Draghi gemelli!”, più che altro ragazzine – già, quelle ragazzine che tanto gli si appendevano alle braccia, ma non gli dava poi tanto fastidio, se ne liberava in poco. Il punto era Sting, che invece non le sopportava e finiva per strillare chissà quale insulto. Eppure pensava che le ragazze gli piacessero.
Non appena quel pensiero gli sfiorò la mente, non poté fare a meno di arrossire furiosamente. Ringraziò tacito i kami che gli avevano permesso quelle ore di oscurità. Se Sting l’avesse visto – giornata dello “scambio” o meno -, lo avrebbe preso in giro a vita.
<< Penso a… >> il biondo improvvisamente si bloccò, per poi voltarsi nuovamente verso il corvino, che aveva lo sguardo liquido puntato in avanti. << Oi, Rogue. Ma mi stai ascoltando? >>
<< Sì. >> mormorò meccanicamente l’altro, particolare che il master non mancò di notare – Cheney notò con la coda dell’occhio la sua occhiata perplessa.
<< Dicevo, >> riprese poco dopo Eucliffe. << e non ridere, >> aggiunse poi, mettendo su un lieve broncio. << perché sei una peste e lo so che ti metteresti a ridere come se non ci fosse un domani, se lo dicessi… >>
<< Vai dritto al punto. >>
Udì Sting grugnire, e non gli diede nemmeno tutti i torti.
<< Ricordi cos’è successo durante i Giochi di Magia? >>
<< Come scordarlo? La batosta di Natsu-san la ricorder- >> ma non fece in tempo a concludere la frase.
<< Natsu-san? >> lo interruppe. << Cosa c’entra ora Natsu-san? >>
<< Beh… tu sei abbastanza ossessionato da lui. >> lo mormorò con talmente tanto naturalezza che per poco il biondo non si offese, e si trattenne dal ridere nel vedere la sua espressione scocciata.
<< Ma- >> il mago di luce gonfiò le guance in maniera bambinesca e per poco non imporporò, stringendo le labbra. << È ammirazione! >> incrociò le braccia al petto ed accavallò le gambe con fare teatrale, che però non colpì minimamente il compagno – contro le sue aspettative. << E per la cronaca non intendevo quella batosta. >>
<< Ed allora quale? È stata una settimana molto movimentata. >> commentò ironicamente il dragon slayer dell’ombra, tanto che il biondo si lasciò sfuggire uno sbuffo, strofinando la mano destra sull'avambraccio sinistro per scaldarsi un po'.
<< Quella che ti ho dato io. >> fece poi in un sibilo secco, a voce bassa.
<< Sapessi quante batoste mi hai dato… >>
<< Rogue- >>
<< La sincerità sta alla base del nostro rapporto, lo dici sempre tu, sai? >>
<< Oggi ti stai proprio sprecando. >>
<< … >>
<< Dicevo, >> riprese allora il mago di luce, con un filo di nervosismo nella voce tramante. << volevo scusarmi, ecco. Pensavo a questo. Pensavo a quanto sia stato idiota con te, a lasciarti indietro. In fondo sei l’unica persona che ho. >>
Probabilmente si pentì delle proprie parole, dato che rimase una manciata di secondi immobile, per poi imporporare furiosamente, ma non aggiunse altro. Per una volta era sincero, forse.
Rogue voleva ribattere – anche se era rimasto a corto di parole -, ma il rossore aveva preso possesso anche del suo viso ed aveva finito per guardare altrove.
Si sentiva in una di quelle fiction di cui tanto Yukino gli parlava – non pensava fosse quel tipo di ragazza, francamente.
Di tutti quegli intrecci perlopiù insensati ed amorosi.
<< … >>
“Amorosi”. Si morse senza esitare la lingua, con una forza inaudita solamente per aver pensato una cosa del genere, ma, quando meno se l’aspettava, la voce del mago gli riempì nuovamente le orecchie.
<< Eh, >> fece, lasciando andare una risatina. << sembra una delle fiction di Yukino-chan! Ultimamente è proprio fissata. >>
E si era anche scordato che Sting era la sua esatta metà, il suo contrario, tutto ciò che lui non aveva. Quindi aveva anche scordato che ogni suo singolo pensiero, anche prima di passare dalla sua stessa mente, veniva già intuito dal biondo almeno quindici secondi prima.
<< Ehi, hai intenzione di dirmi qualcosa? >> egli mugolò, stringendosi nelle spalle. << È abbastanza imbarazzante. >>
“No”, avrebbe detto Rogue, ma quel ragazzo a deprimersi ci metteva davvero poco, perciò optò per il silenzio tombale.
L’ansia gli attanagliò lo stomaco – sapeva cosa Sting avrebbe detto, il punto era quanto sarebbe durato.
Gli lesse negli occhi scuri ogni singola parola che avrebbe pronunciato, e probabilmente il biondo se ne accorse, poiché parlò con leggerezza. Non c'erano segreti tra loro due.
<< Comunque, >> Sting si schiarì la voce e scrollò le spalle, stiracchiando nel frattempo le gambe, stendendole. << Non era questo quello di cui fondamentalmente volevo parlarti. >>
“Appunto”.
<< Volevo dirti che ci ho pensato… >> esalò in un sospiro. << A quella cosa del capire, dico. E credo di aver capito. >> strinse i pugni sulle ginocchia, tirando lievemente la stoffa dei pantaloni neri.
Rogue si ritrovò ad osservarlo in silenzio, scrutandone il profilo perfetto e gli occhi scuri che brillavano della luce delle stelle, la riflettevano. Si ritrovò a pensare che Sting fosse proprio come le stelle, che illuminavano incessantemente il cielo notturno. E forse lui era il cielo notturno che aveva bisogno di essere illuminato, o forse era la luna che non brillava mai di luce propria e aveva bisogno per forza delle stelle per farsi notare.
Scosse il capo, intontito.
<< Ho capito cosa intendevi dire. Che io sono stato distante, e forse lo sono ancora. Credo di aver sempre avuto paura che tu mi scaricassi. >> il giovane dagli occhi celesti fece una pausa che durò pochissimi secondi, ma al corvino, che aveva drizzato improvvisamente le orecchie, parvero millenni interi. << Non so dirti perché, forse ero – o sono davvero così egoista che sono andato a pensare a come sarei finito se mi avessi scaricato, e ti assicuro che non sarei finito affatto bene. Quindi ti ho scaricato io, non curandomi di come saresti invece finito tu. E mi dispiace per questo. Forse non ti importerà, forse mi scaricherai a prescindere, però… >> si bloccò, e sulle sue labbra nacque una fragorosa risata che spiazzò non poco il mago d’ombra, che ovviamente notò la nota amara nella sua voce. Non sapeva più che cosa dirgli. << … questa volta sono io ad esserci. >> il biondo si voltò verso di lui, un sorriso a solcargli il volto e per la prima volta in vita sua gli parve completamente sincero. << solo che non so dove tu sia. Se sei qui… o se mi hai già scaricato. >>
Vi fu un attimo di silenzio, e fu proprio in quell’attimo che Rogue – nonostante fosse riluttante all’idea – decise di rispondere.
<< Idiota. >> sibilò; lo sguardo scarlatto fisso sulle nocche bianche. << Io non mi muovo. >>
E non si era mai mosso; forse quella del “non ti voglio più aspettare” era sempre stata un’assurda stupidaggine, perché, volente o nolente, lui Sting l’avrebbe sempre aspettato. Più che altro perché con quel suo carattere non avrebbe mai retto da solo.
<< Penso che questo già implichi molto. >> fece Sting, calmo.
Poi fu un attimo e per poco non si ritrovò sdraiato su quella panchina, con la schiena a pochi centimetri da essa. Le mani del biondo che stavano abbandonate vicino ai suoi fianchi per sorreggerlo, mentre stava chinato in avanti, e le sue labbra che sfioravano con delicatezza quelle del corvino.
E non capì niente di ciò che successe, perché Sting si allontanò troppo in fretta, con un sorriso talmente luminoso che nemmeno la luce delle stelle era comparabile ad esso.
Socchiuse le palpebre non seppe per quante volte, per poi scattare a sedere come una molla, sfiorandosi con le dita affusolate le labbra.
Cosa diamine era appena successo?
Voltò gli occhi cremisi verso il biondo, che ancora si ostinava a mantenere quel sorriso che avrebbe volentieri definito irritante.
<< Che cos’era? >> mai si pentì talmente tanto di aver parlato; la sua voce era incredibilmente stridula – e sembrava davvero una ragazzina alle prese col suo primo bacio. Il che sarebbe stato anche vero, se non fosse stato per il fatto che aveva diciannove anni e soprattutto era un ragazzo.
<< Il riassunto di tutto quello che ti ho detto finora. >> mormorò con fare ovvio e spavaldo l’altro. << E se accetterai le mie scuse, accetterai anche ciò e tutto quello che ne consegue, quindi pensaci bene prima di parlare. >> lo disse con talmente tanta nonchalance che Rogue intuì che sapesse già la risposta che avrebbe dato, e fu anche tentato di urlargli nelle orecchie un sonoro “sparisci” giusto per farlo spaventare, ma sapeva che poi farglielo riammettere sarebbe stata un’impresa. Ed era davvero stanco di dover costringere Sting ad ammettere l’evidente, quindi era meglio prendere la palla al balzo.
<< Va bene. >> replicò senza troppi preamboli, senza nemmeno pensarci razionalmente. << Accetto le scuse, quella cosa e tutto ciò che ne consegue. >>
Forse era ammattito – gli stava praticamente dicendo in faccia che lo amava, anche se Sting già lo sapeva, come lui in fondo sapeva di essere ricambiato -, ma era risaputo che, dopo i Giochi della Magia, la gilda di Sabertooth era divenuta una delle più “problematiche” di tutto il continente. Non a caso tutti i membri sembravano aver un alter ego che avevano nascosto fino alla conclusione di quei Giochi, che tanto avevano sperato di vincere ed invece avevano miseramente perso – non che la cosa importasse poi tanto.
Vide Sting allargare il sorriso – e non capiva davvero come facesse; soprattutto considerando che lui stava arrossendo e balbettando come una sciocca ragazzina, nonostante tentasse anche in quel momento di darsi un contegno – lo stesso contegno che davanti a Sting perdeva categoricamente ogni singola volta.
<< Perfetto. >> esalò poi il biondo, ed in poco le loro labbra si unirono di nuovo.
E probabilmente erano davvero tutti ammattiti, lì dentro. Ma in fondo il loro obbiettivo era sempre stato quello di assomigliare a Fairy Tail, e ci stavano riuscendo abbastanza bene.


Due ombre, poco distanti da quella fatidica panchina ma nemmeno troppo vicine,
 confabulavano sotto voce, paurose di essere udite.

<< Lector. >>
<< Sì, Fro? >>
<< Cosa stanno facendo Sting-kun e Roro-kun? >>
<< … >>
<< Lector? >>
<< Non possiamo capire. >>
<< Perché? >>
<< Cose da draghi. >>
<< Anche Fro la pensa così! >>


| Hold me now, 'til the fear is leaving |





*i due versi in inglese sono presi da due canzoni di un gruppo musicale statunitense,
 i Red, e i rispettivi titoli sono "So far away" e "Hold me now"



  
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