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Autore: Voglioungufo    08/09/2016    3 recensioni
Calypso non vuole mangiare, lei vuole volare via come un piccolo colibrì.
Leo sorride troppo per trovarsi in un posto del genere, ma è un abile bugiardo.
Nico non parla con nessuno, preferisce parlare con la propria ombra.
Will è convinto, lo sa che tutti meritano una seconda possibilità. Tutti.
Dal testo:
"Perché?" chiese solo sfiorandogli il polso con il polpastrello senza premere troppo forte come il tocco delicato di una farfalla. Non poteva capire cosa ci fosse nella sua intonazione, se stupore o rabbia, se dolore o paura o disprezzo, forse era solo incomprensione.
"Ognuno si autodistrugge a modo suo, mio cara" disse con un sorriso sbieco, da furfante, ma negli occhi aveva una luce sprezzante che non gli aveva visto mai. "Il mio modo è solo più evidente del tuo, Raggio di Sole" e mentre lo diceva si coprì il polso impedendole di guardare oltre tutti i suoi peccati, quello sguardo bruciava più del fuoco.
Sorprendentemente, contro ogni logica, lei appoggiò la testa sulla sua spalla come se fosse la cosa più naturale del mondo.
"Autodistruggimi, allora"
Genere: Angst, Fluff, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: I sette della Profezia, Leo/Calipso, Nico/Will, Percy/Annabeth, Quasi tutti
Note: AU, Lime | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
Capitoli:
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Attenzione! La storia seguente presenta tematiche delicate. Vorrei precisare che non promuovo nessun tipo di disordine alimentare. Pertanto, se si è facilmente influenzabile sconsiglio la lettura, non voglio avervi nella coscienza.
 
 
 
IV
Quarantaseipuntosei
**
 
 
 
La prima settimana al College Olympus passò velocemente e senza problemi, il ritmo di quella nuova routine si adeguò subito a quello di Calypso come una seconda pelle. Ormai il dirigersi ai corsi, alla mensa o ai punti di ritrovo era diventato una cosa normale. Le sembrava di vivere in quell’immensa scuola da sempre e così come si era abituata ai nuovi orari si era abituata anche ai nuovi amici e alle nuove bugie che ogni giorno inventava.
L’unico lato negativo della faccenda consisteva nel suo peso, aveva sì un numero soddisfacente e non era ingrassata, ma non era nemmeno riuscita a dimagrire di più. La colpa era sicurissima appartenere a Leo  Valdez che in quella lunga settimana aveva preso il vizio di venirla a prendere la maggior parte delle volte in camera per portarla alla mensa, oppure compariva sempre quando cercava di saltare i pasti senza essere notata. Purtroppo non era mai riuscita a trovare una scusa abbastanza convincente per scollarselo di dosso senza fargli venire dei sospetti. Era sicurissima che in realtà lui non sapesse il vero motivo per cui non si presentasse a volte ai pasti, lo capiva dal modo in cui non la guardava.
Ma doveva stare attenta.
In ogni caso, il week-end arrivò senza intoppi e senza nessuna potenziale minaccia, anche la psicologa non s’era vista, probabilmente volevano lasciarle il tempo per abituarsi. Il sabato avevano corsi solo la mattina ed era felice di prendersi un pomeriggio tutto per sé. Decise di scendere in giardino a leggere e godersi l’ombra di un melo, guardò le copertine dei suoi libri e alla fine scelse qualcosa di leggero, una piccola storia d’amore che le avrebbe permesso di riposare per un po’. Con Orgoglio e Pregiudizio sottobraccio e un piccolo vestitino estivo color crema scese le scale verso il giardino, poche nuvole bianche macchiavano il cielo di un blu acceso.
Il giardino era già stato occupato da alcuni ragazzi che giocavano a baseball con dei cappelli a frontino calati sul viso, tra di essi riconobbe Percy e ricordò di come la mattina a colazione avessero parlato di una sfida che volevano fare con dei certi fratelli Stoll.
Si sedette sull’erba fresca sistemando la gonna attorno a sé, il libro della Austen al sicuro sul grembo e guardò distrattamente i ragazzi correre per prendere tutte le basi. Non ne sapeva molto di baseball, suo padre considerava quello e la maggior parte degli sport esercizi legati alla plebaglia, esercizi che la gente del loro rango poteva solo disprezzare. L’unico sport che andasse bene a suo padre in effetti era la caccia, o comunque cose più nobili come la danza e l’equitazione.
Subito si immerse nella lettura dimenticando i ragazzi che correvano poco distante, le sue orecchie si fecero sorde alle loro grida esaltate e tutto il suo essere si concentrò su quelle piccole parole d’inchiostro e sul frusciare delle pagine quando le sfogliava rapita.
È verità universalmente riconosciuta che uno scapolo in possesso di un solido patrimonio debba essere in cerca di moglie, lesse il famoso incipit. Sicuramente era una verità riconosciuta da suo padre visto il suo modo di valutare i rampolli dell’alta società; forse era quello il motivo per cui amava quel libro. Jane Austen non era una delle sua autrici preferite ma aveva un suo modo semplice e spontaneo di descrivere un luogo o un semplice fatto, leggere le sue parole era molto piacevole e scorrevole. Certamente desiderava con tutta sé stesse avere un padre simpatico e amorevole come il signor Bennet.
Era proprio arrivata al punto in cui faceva la sua famigerata comparsa George Wickham e le sue odiose bugie sul conto del signor Darcy quando Hazel la interruppe dalla lettura salutandola.
“Scusami, credevo stessi guardando la partita. Non credevo leggessi” disse la più piccola notando il libro che teneva sul grembo.
“Non importa” l’assicurò gentile. “Come mai qui?”
“Faccio il tifo per i nostri ragazzi” sorrise “Posso sedermi con te?”
Annuì volentieri. Con Hazel frequentava il corso di botanica e si era facilmente affezionata ai suoi modi gentili e delicati, in confronto agli altri suoi amici lei e Frank erano due cose a parte, calmi e riflessivi e meno scalmanati. Stare vicino a loro era in qualche modo rassicurante.
“Oh, leggevi orgoglio e pregiudizio!” la distrasse sbirciando la copertina, poi nascose un piccolo sorriso con la mano “In effetti sei il tipo”
“Cosa intendi dire?” le domandò indecisa se si trattasse di un complimento o un insulto.
“Che sembri sbucata fuori dalle pagine di un romanzo della Austen” si spiegò meglio “Hai un modo di essere così delicato e discreto da appartenere ad un altro tempo”.
Senza rendersene conto Hazel aveva usato una frase che calzava a pennello con sé stessa perché in effetti la riccia non sembrava affatto una tipica ragazzina d’oggigiorno, dentro i suoi occhi dorati c’era lo stesso scintillio sbiadito che potevi scrutare negli sguardi delle vecchie fotografie in bianco e nero, quelle foto vecchie che trovi un po’ per caso e che guardandole ti ritrovi a pensare a come le cose dovessero essere belle e semplici un tempo nonostante tutto e quindi una forte nostalgia per quell’epoca che non hai nemmeno vissuto ti assale. Stare con Hazel era più o meno la stessa cosa: ti faceva provare una forte e dolce nostalgia.
La pallina da baseball si schiantò contro l’albero al quale erano appoggiate ed entrambe le ragazze sussultarono colte alla sprovvista.
“Ehi, scusate!” la voce era quella inconfondibilmente fastidiosa di Leo e la sua sagoma correva verso di loro con un sorriso birichino sulla faccia. Hazel sospirò divertita e prese la pallina appoggiata ora inerme sull’erba.
“Leo” disse solo come per rimproverarlo, poi con una mossa repentina lanciò la palla incriminata contro il ragazzo con uno scintillio di malizia negli occhi gialli, lui cercò di evitarla colpendola con la mazza ma la mancò e venne colpito al petto.
Ouch!” si lamentò tenendosi il punto leso e piegandosi in avanti con melodrammaticità.
“Bel tiro” si congratulò Calypso.
“Già, la piccola Hazel ha una mira migliore del suo ragazzo. Dovresti giocare al suo posto, sai?” e mentre lo diceva si accucciò per afferrare la palla.
Lei alzò gli occhi al cielo. “Dovresti smetterla di prenderlo in giro. Non è divertente”.
Con un colpo del polso fece andare in aria la pallina e poi la riafferrò al volo. “Dovrei, ma diventa troppo adorabile e, indovina un po’, è divertente” poi si voltò verso Calypso, aveva un cappello da fantino con la frontiera leggermente storta e alcuni ricci incollati alla fronte per colpa del sudore. “Ma guarda un po’, la nostra principessa nella torre si è presentata tra noi mortali. Quale onore” è accennò un buffonesco inchino.
Un moto di rabbia e insofferenza le salì al petto, era tutta la settimana che il riccio la perseguitava con certe uscite. Non si degnò nemmeno di rispondere.
“Ci farai l’onore anche questa sera? Al pub?” arricciò un angolo della bocca.
Sbatté le palpebre confusa. “Pub?” domandò.
Hazel sorrise diplomaticamente. “Non ha pranzato con noi, Leo” gli ricordò.
“Già, giusto!” fece finta di ricordare improvvisamente “La principessa non scende mai alla mensa della plebaglia”.
Strinse i pugni. “Sono arrivata  tardi e ho dovuto mettermi in un tavolo in fondo” mentì senza esitazione.
“Ah sì? Perché non ti ho vista, sai?” non si lasciò scoraggiare.
“Che c’è, mi spii?” scherzò sprezzante al che Leo si accodò di buon grado. Abbassò  la testa con un sorrisetto malizioso mentre cercava al contempo di fare uno sguardo penetrante e seducente fallendo miseramente, sembrava che qualcosa gli fosse finito nell’occhio.
“Anche mentre dormi” sussurrò.
“Quello che Leo intendeva” sbottò Hazel impedendo a Calypso di rispondere per le rime “E’ che giù al paese c’è l’inaugurazione di un nuovo Pub”
Ergo, festa gratis” specificò Leo appoggiando la mazza da baseball alla spalla mentre giocherellava con la pallina.
“E noi pensavamo di andarci” terminò Hazel.
Calypso li guardò poco convinta. “Pensavo che per uscire dalla scuola servisse almeno una Maglia Arancione”
“Infatti” concordò Leo “E noi l’abbiamo” e indicò con la punta della mazza una persona ai lati del parco che controllava i ragazzi come se stesse prendendo la mira. Lo guardò, non sembrava avere molti anni più di loro e aveva dei capelli biondi e un’abbronzatura hawaiana che non passava di certo inosservata.
“Quello è Solace” ricordò Hazel a Calypso“il tipo che ci ha visitate all’infermeria”
 “Ah” considerò “E come siete riusciti a corromperlo?”
“Nico” spiegò semplicemente Leo con una scrollata di spalle “A quanto pare il biondino prova un certo sentimento per Mister Morte”
“Sentimento?” si informò Hazel “Che sentimento?”
Se Calypso aveva capito bene i due dovevano essere parenti, cugini o qualcosa del genere; la parentela a quanto pare era complicate e lei non aveva voluto indagare.
Leo annuì solennemente. “Compassione”
A quella parola il viso di entrambe le ragazze si oscurò, le labbra di Hazel si arricciarono verso il basso e guardò male Leo come se fosse lui la causa di quella pena.
“Andiamo” continuò noncurante della reazione delle due ragazze “Come puoi negare un favore a un ragazzino con un passato così tragico? Sarebbe meschino”
“Tu sei meschino” gli fece notare Hazel “Usare Nico e il suo passato come scusa....”
“Ehi, chi ha menzionato quello? Nico è solo andato a chiedere per favore, il resto è venuto da solo”
“E’ comunque una cosa spregevole” sentenziò “Non puoi manovrare le persone in questo modo. Non siamo macchine
“Sono secoli che non usciamo da questo posto” si giustificò “Abbiamo bisogno di uscire, di andarcene per una sera e dimenticare i nostri problemi. Abbiamo bisogno di vedere le persone normali, di fingerci persone normali
Hazel si alzò in piedi stringendo i pugni. “Noi siamo persone normali!”
Sul volto di Valdez comparve una smorfia che mal s’accostava al solito sorriso giocherellone. “Invece no, e lo sai anche tu”
Ma lei scosse la testa chiudendo gli occhi, sembrava che non fosse la prima volta che discutevano su quell’argomento.  “Noi non siamo sbagliati, Leo, siamo dei ragazzi normali” guardò Calypso “Io torno in stanza, fra un po’ iniziano i turni della doccia”
“Va bene” disse solo, si sentiva tanto un’estranea mentre la guardava allontanarsi.
Leo invece rimase lì, con il suo solito sorriso sarcastico e la pallina che faceva rimbalzare a terra.
“E tu?” le chiese inarcando una sopracciglia “La pensi come lei?”
Strinse il libricino fra le dita. “Non c’è nulla che vada male in me” sancì decisa e senza esitazione.
Leo si limitò a ridere senza guardarla negli occhi, afferrò la pallina al volo. “E’ esattamente quello che diciamo tutti alla psicologa, no?” e detto questo rise ancora, si voltò e tornò dai suoi compagni che ancora lo aspettavano pazienti.
 
**
Annabeth fissava il foglio bianco sulla scrivania con sguardo assente, teneva ancora stretta in pugno la gomma consumata. Nella stanza era sola, sia Piper che Reyna erano scese in giardino per dare man forte ai ragazzi contro gli Stoll e Clarissa; anche Annabeth amava il baseball, quando era piccola aveva visto molte partite ed era sempre solita indossare un cappello della sua squadra preferita che in quel momento stazionava abbandonato sul copriletto. L’unica cosa in disordine.
Guardando la stanza della tre ragazze risultava semplicissimo tracciare una linea immaginaria a sancire il confine fra la parte destinata a Piper e Reyna e quella invece utilizzata da Annabeth. La bionda utilizzava specialmente la parte vicino alla scrivania addossata alla finestra con il letto singolo e in quello spazio non una cosa –tranne il berretto, come già detto – era fuori posto. Il letto era fatto con le coperte ben stirate e prive di pieghe, solo una sveglia digitale semplicissima da un colore non troppo sgargiante occupava il comodino, i cassettini erano tutti chiusi e i libri o i vestiti al loro interno era piegati con cura e precisione. Sulla scrivania ogni cosa era posta in maniera funzionale, un portatile stava aperto perfettamente a novanta gradi in un angolo a portata ma comunque non occupava troppo spazio, le matite stavano poste in riga con la punta perfettamente temperata da quella con il tratto più fino a quello più grosso, i righelli erano allineati a seconda della grandezza e la lampada puntata sul foglio bianco che aveva posto perfettamente dritto.
Sbatté le palpebre e con la gomma riprese a cancellare sul foglio ogni traccia appena visibile dello schizzo che aveva fatto, poi prese una scopetta per pulire la scrivania e per terra da ogni residuo di gomma.  Forse la sua ossessione nel tenere ogni cosa in ordine era maniacale, anzi, sicuramente lo era ma non poteva proprio farne a meno. La sua mente tendeva a riflettere l’ambiente che la circondava, il disordine equivaleva a un’accozzaglia rumorosa di pensieri assolutamente impossibile da decifrare che le causava una certa isteria, oltre che un sostanzioso mal di testa. Al contrario, un luogo asettico e ordinato le permetteva di analizzare le cose con calma e sicurezza mostrando una mente molto organizzata e intelligente.
Ad Annabeth piaceva migliorare e progettare palazzi, passava ora sui suoi album da disegno a calcolare, misurare e schizzare con fare professionale, era certa che prima o poi sarebbe riuscita a realizzare il suo sogno di diventare architetta. Aveva già progettato cinque migliorie per il college. Quel pomeriggio era partita con l’intenzione di riprodurre un arco di trionfo ma si era presto accorta che alcuni conti non tornavano minando la sicurezza della costruzione e aveva cancellato tutto presa da un attimo di panico. Gli attacchi di panico erano normalissimi per lei e potevano scatenarsi in qualsiasi momento per qualsiasi cosa, ma nonostante questo ormai era una vera esperta nell’arginarli prima che fosse troppo tardi, conosceva tutti i trucchi. In ogni caso, da quel momento non era più riuscita a ideare qualcosa, ogni volta che qualche idea le veniva in mente la cancellava subito dopo senza pietà finché il foglio non tornava bianco immacolato. Probabilmente Leo avrebbe trovato la soluzione, Leo era bravissimo con i conti e sapeva sempre trovare la soluzione ad ogni problema, la sua mente era un ingranaggio perfettamente oliato. Peccato non funzionasse allo stesso modo con le questioni umani, anzi ogni volta che si trovava in una situazione di empatia andava in tilt e fuggiva via. Oppure se ne usciva con battute idiote. No, Leo necessitava quanto Nico di una lezione sulla questione.
Si passò una mano sulla fronte massaggiandosela, poi si alzò di colpo dalla sedia girevole e prese un profondo respiro contando fino a dieci. Fatto questo prese il cappello dal letto e lo rimise al suo posto dentro l’armadio, anche lì i vestiti erano disposti per colore e perfettamente in ordine. Quando rinchiuse le ante si sentì meglio, volendo avrebbe ordinato anche la parte destinata a Piper e Reyna ma ricordava ancora bene la reazione delle due ragazze quando una volta lo aveva fatto, meglio evitare. Reyna non era veramente un problema, era ordinato sommato tutto, ma Piper tendeva a dimenticare sempre le ante degli armadi aperti e a disseminare vestiti per tutta la sua parte di stanza, era una disordinata cronica.
In realtà Annabeth non sapeva esattamente da dove nascesse quel bisogno maniacale di ordine che esigeva la sua mente, secondo la psicologa Estia era il suo unico modo per mantenere un certo controllo sulla realtà, probabilmente era per non cadere nella stessa situazione di suo padre, un uomo brillante ma che spesso tendeva a perdere la presa sulla realtà confondendo presente e passato. Il disordine era confusione e irrazionalità, l’ordine invece razionalità e controllo.
Sistemò la matita al suo posto accanto alle altre, la guardò un pochino e poi la riprese insieme al temperino perché la punta si era consumato e non andava bene. Stonava con le altre.
Teneva la lampada spenta perché i raggi del sole illuminava direttamente la scrivania dalla finestra aperta, da lì poteva vedere uno sprazzo di cielo celeste e sentire gli schiamazzi dei ragazzi in giardino. Erano fastidiosi e la deconcentravano. Sentì chiaramente un urlo di vittoria di Percy e un sorriso spontaneo le curvò le labbra. Percy non era solo il suo ragazzo, era anche il suo migliore amico e il suo rivale e la sua meta; un po’ tutto il suo mondo, insomma. Quando anni fa l’aveva conosciuto lo  aveva trovato insopportabile, Percy era il disordine allo stato pure, non poteva essere controllato  ed era irrazionale e infantile; le ricordava tanto il mare con le sue onde impossibili da ordinare, non poteva essere imbrigliato o catturato, si agitava, si ribellava, era libero e basta. Percy era testardo, si comportava sempre in maniera stupida, non faceva mai quello che gli diceva e la prendeva sempre in giro. Ma era gentile e leale, la consolava sempre dopo uno dei suoi attacchi di panico e non si faceva scoraggiare dal suo bisogno maniacale di ordine. Inevitabilmente, erano diventati amici. Poi migliori amici. Alla fine si era accorta di essersi innamorata di lui e l’aveva baciato perché se avesse aspettato lui a quell’ora sarebbero stati ancora in quella imbarazzante situazione di stallo. Percy era una certezza, nonostante tutto.
Percy non aveva nulla di eccessivamente strano, frequentava il College Olympus solo perché la sua iperattività e insolenza lo avevano fatto espellere parecchio volte, una volta aveva pure distrutto una palestra e conoscendolo non era difficile crederci. Bastava pensare a tutti i guai che combinava lì. In ogni caso era liberissimo di andarsene almeno durante il periodo estivo, ma lui restava lì non perché fosse la scuola di suo padre o perché ci lavorasse sua madre.
Per lei.
D’altro canto nemmeno Annabeth aveva chissà quale patologia che le impediva di lasciare la scuola in estate, gli attacchi di panico ormai sapeva gestirli abbastanza bene e la convivenza con Piper le avevano insegnato a sopportare il disordine altrui (almeno in una certa misura), semplicemente il College Olympus era la sua casa. Tornare in California da suo padre e dalla sua matrigna era assolutamente fuori discussione, da tempo aveva smesso di etichettare quel posto come ‘casa’, precisamente da quando aveva sette anni.
Lanciò un’occhiata distratta al giardino, un fascio di luce le illuminava una parte di viso e alcuni ciuffi biondi. Da lì poteva vedere i ragazzi giocare, Leo stava tornando proprio in quel momento dopo essersi allontanato brevemente dal campo, tutti lo aspettavano impazienti. Poco distanti altri ragazzi giocavano a pallacanestro o si riposavano sull’erba
Quella era la sua casa.
 
**
Calypso!”
Il grido di Rachel attraversò le pareti sottili che dividevano la stanza dal bagno raggiungendo chiaramente le orecchie dell’interpellata, la quale si prese un secondo per respirare e passarsi una mano sul viso pallido e magro prima di dire:
“Ho quasi finito!”
Dall’altra parte della porta si sentì un grugnito ma la castana non ci fece troppo caso e riprese sollecitamente a ripulire la doccia. Era una scena che si ripeteva quasi ogni sera. Passò la mano sul muro in mattonelle chiare, poi nel ripiano doccia; non era una cosa molto gradevole ma doveva farla se non voleva attirare domando indiscrete.
D’altronde, ormai aveva iniziato a perdere fin troppi capelli.
 
**
Will si chiedeva se avesse fatto la scelta giusta, ne aveva parlato anche con la signora Jackson per un suo parere anche perché non era del tutto sicuro di poter acconsentire ad una cosa del genere. In fondo era anche il nuovo venuto, davvero poteva prendersi la responsabilità di acconsentire e accompagnare un gruppo di scalmanati adolescenti in una gita fuori sede?
Be’, tecnicamente stanno al paese. In un pub. Ma comunque...
La signora Jackson non lo aveva rimproverato per la sua scelta, gli aveva solo consigliato di avvertire il vice-direttore e magari portare qualche altra Maglia Arancione con sé.
“Verrei io se non fossi già impegnata a sistemare le faccende per la prossima settimana” gli aveva detto, poi con cipiglio serio “Fa’ attenzione, però”
Lui era scattato come un soldatino.
Anche Chirone non aveva avuto nulla da ridire, gli aveva solo ripetuto di fare attenzione e di farli tornare tutti al College entro il coprifuoco, gli aveva anche detto quali Maglie Arancioni portare con sé.
Sarà divertente, si disse cercando di risultare il più possibile convincente. Quando andava al liceo non era mai stato dentro ai pub di sera, a dir la verità non aveva mai attraversato la fase di ribellione adolescenziale. Era sempre stato un ottimo studente paziente e comprensivo con i propri compagni, nei primi anni era stato eletto all’unanimità come rappresentante di classe. I professori lo adoravano in ugual misura e procedeva un’esistenza placida e tranquilla. Almeno fino a quella cosa ma si rifiutava di accettare quel periodo come una fase dell’adolescenza, era stato qualcosa di più complesso e particolare. Se non fosse stato per quello, il suo ultimo anno di liceo lo avrebbe passato allo stesso modo dei precedenti: rappresentante di classe, ottimi voti e buoni amici con cui sorseggiare tazze di tè.
Il tè, l’unico che non lo avrebbe mai tradito.
Dopo essersi fissato per buona mezzora allo specchio decise che tentare di domare la sua chioma bionda era pressappoco impossibile e indossò una felpa azzurra che faceva orribilmente a pugni con la sua maglia arancione. Ma d’altro canto Will non aveva mai avuto buon gusto in fatto di vestiti, suo padre glielo ripeteva sempre.
Suo padre, Apollo, un quarantenne con una crisi di mezz’età leggermente anticipata ancora convinto di essere un ragazzo. Su certe cose era fantastico avere un padre del genere, come per i biglietti a tutti i concerti disponibili e immaginabili; su altre era leggermente imbarazzante, molto spesso Will si era ritrovato a dover fare la parte della persona responsabile e rimproverare il genitore per le sue bravate. Forse era per questo che tutti dicevano che era sempre sembrato più grande e maturo per la sua età. Pensare a suo padre gli fece comparire una ruga sulla fronte, esattamente nel punto in cui aveva aggrottato le sopracciglia. Se ben sapeva quell’estate aveva ben pensato di passarla in giro per l’America in un furgone con solo la chitarra. Sì, stava passando la sua fase hippie.
Si passò un mano sul mento, quella sera era stranamente pensieroso. In realtà era uno che pensava sempre e troppo, spesso la cosa gli veniva rimproverata, ma quando era agitato diventava ancor più riflessivo quasi a voler escludere il resto del mondo rifugiandosi nella propria testa. Più che essere agitato, si sentiva vagamente ridicolo a dover controllare dei ragazzi che erano pressoché suoi coetanei.
Ma è il mio dovere, punto e stop.
Insomma, si era già immaginato di dover avere compiti del genere, anche se non si sentiva propriamente come nelle sue fantasie. Non era affatto sicuro di sé stesso, tanto per cominciare. Per il resto, poteva aspettarsi con precisione matematica che qualcuno dei ragazzi sarebbe riuscito a fare qualche bravata sotto il suo naso. In particolare lo preoccupava quel Valdez, oltre al loro primo e infelice incontro aveva avuto molte altre occasioni per tastare la sua ironia pungente e a tratti offensiva. Lo rassicurava sapere che altre Magliette Arancioni lo avrebbero accompagnato.
Questa è la prima e ultima volta che acconsento di prima persona, si promise. Poi, senza altri preamboli uscì dalla stanza assegnategli.
Nell’atrio, il punto di ritrovo, erano già presenti gruppi di ragazzi che chiacchieravano allegramente fra loro, alcuni anche vestiti molto bene. Guardò l’orologio, all’orario stabilito per andare al paese mancava poco meno di cinque minuti e quindi lanciò uno sguardo attorno per capire in quanti sarebbero stati. In un angolo vide Nico con uno sguardo omicida, strano visto che era stato proprio lui a proporre quella serata. Stava seduto in una panca vicino ai suoi compagni di stanza e altri amici ma non sembrava per nulla essere interessato all’animata conversazione degli altri. Sembrava essere lì contro la sua volontà.
Uno degli uomini con la maglietta arancione lo guardò, poi indico il proprio orologio sul polso sillabando qualcosa con le labbra. Will annuì in risposta, era quasi ora di andare. Posò lo sguardo sugli ultimi ritardatari che velocemente scendevano le scale, poi fece un cenno agli altri adulti.
Nonostante la situazione paradossale in cui si trovava non riuscì a non provare una sorta di soddisfazione interiore quando mosse dal suo ordine silenzioso le Maglie Arancioni avevano iniziato ad avvertire i ragazzi che si partiva.
Si sentì potente.
 
 
 
Calypso non era mai stata ad una vera festa, tutte quelle a cui aveva presenziato si erano svolte direttamente nella Villa Ogygia ed erano state sempre organizzate dai suoi genitori. In genere erano dei ricevimenti mirati per convincere l’imprenditore Tizio o Caio che fosse ad entrare in affari con la società ed erano per questo sontuosi ed eleganti con i migliori vini e migliori musicisti. Ogni volta se ne stava in un angolo con un bicchiere di analcolico in mano in silenzi mentre l’ennesimo figlio dell’alta società che le era stato presentato enumerava i propri svariati pregi.
Motivo per cui aveva sempre immaginato le feste che frequentavano i ragazzi della sua età come enormi discoteche piene di luci colorate, foschia e musica martellante.  Una sala bui illuminata solo dalle luci psichedeliche dove si ballava e ci si ubriacava con estrema facilità. In certi libri che leggeva erano sempre raffigurate in quel modo, solitamente era sempre lì che la protagonista incoronava il suo sogno d’amore. Ecco, lei si era immaginata una cosa del genere.
Nulla di più lontana dalla realtà.
Il pub era confortevole e dai colori caldi, la luce era soffusa ma rischiarava bene il luogo per nulla caotico. I tavoli erano quasi tutti riparati da dei separé per una migliore privacy ed erano stati ritagliati dal legno di pino. Il bancone era addossato  un parete piena di mensole su cui erano disposti in ordine tutti gli alcolici, le etichette ben in vista. Più appartata c’era una stanza semicircolare dove si poteva ballare e una band locale suonava dal vivo ma a sentire gli altri era ancora troppo presto perché la gente si mettesse in pista.
“E questo avverrà quando noi dovremmo tornarcene al College” ava aggiunto triste Rachel. A quel punto Piper l’aveva guardata meglio in maniera critica, poi aveva sopraggiunto:
“E’ la luce o i tuoi capelli non sono crespi?”
La rossa fece un sorriso orgoglioso mostrando tutta la dentatura. “E’ stata Calypso. O meglio, Cal possiede una piccola industria di balsami per capelli di ogni genere!” spiegò “Ha anche tantissime creme per il corpo e il viso”
“E tu nei hai approfittato” ironizzò Piper.
“Ma certo, guardate” e allungò il mento in direzione degli altri “Le sue creme fanno miracoli, in tre giorni mi è sparito George, il brufolo che aveva sul mento”.
Ave atque vele, George!” proclamò solennemente Leo alzando il menù “Propongo un brindisi per la sua coraggiosa morte.
Jason storse il naso ma fu Reyna a prendere la parola al suo posto. “Vale. Ave atque vale², Valdez. Se vuoi usare il latino almeno non dire certi strafalcioni” lo corresse pedante, lui sventolò la mano incurante.
“Sì, sì. L’importante è che arrivi il messaggio”
“Gli adulti ci stanno controllando” gli ricordò Annabeth, stava comodamente seduta accanto a Percy, spalla contro spalla “Non fare stupidaggini” aggiunse.
A Calypso Annabeth non stava molto simpatica, nonostante avesse i capelli ricci li teneva sempre in ordine e vestiva in maniera impeccabile ma senza essere appariscente, tutto in lei era impeccabile in realtà, senza contare che aveva della lunghe gambe snelle. Per questo, e per essere la fidanzata di Percy, provava sempre forti fitte d’invidia e odio per lei.
“E chi fa mai stupidaggini” protestò aprendo il menù e scorrendo con gli occhi vispi il listino, la cosa bella era che per quella sera tutti i prezzi erano dimezzati. Hazel gli tirò dispettosa una ciocca di capelli ricci facendogli comparire sul volto una smorfia che era un misto tra l’offesa e il divertita. Sembrava che il piccolo diverbio avuto poche ore prima fosse completamente dimenticato.
“Voglio una pizza. Anche Frank vuole una pizza” disse il riccio alzando finalmente gli occhi dal menù.
L’interpellato assunse un’espressione esasperata. “Abbiamo appena finito di mangiare”
“E adesso ci vuole lo spuntino” continuò imperterrito “Dai, bisogna farlo, lo spuntino. Pizza, pizza, pizza. Raggio di Sole è d’accordo”
Pizza. Calorie. Grasso. Cicciona. “No” disse secca senza aggiungere altro, preferì controllare se servissero qualcosa di meno calorico.
“A me la pizza non dispiacerebbe” disse Percy mettendo con noncuranza un braccio attorno le spalle di Annabeth.
Leo sorrise e lo indicò. “L’Uomo Pesce approva”
“Non chiama...”
“Potremmo prendere delle bruschette. Sono più leggere, vista l’ora” lo interruppe Piper.
Continuarono a discutere su cosa fosse meglio prendere o meno e finì per annoiarsi a sentire il loro battibeccare allegro, si appoggiò con il mento alla mano pensando che tanto qualsiasi cosa avesse preso lei non l’avrebbe mangiata. Sembravano tutte cose fin troppo caloriche. I rumori e le luci soffuse le stavano facendo venire una sorta di sonnolenza nonostante non fosse troppo tardi, posò lo sguardo sul volto di tutti i presenti studiandoli senza troppa partecipazione. Anche Jason era molto bello, aveva i lineamenti perfetti da principe azzurro ma c’era qualcosa nel suo sguardo che la lasciava un pochino perplessa. Gli occhi azzurri erano attenti e vigili, non calcolatori, questo no... ma sembrava che facessero fin troppa attenzione a ciò che li circondava, come se controllassero che tutto andasse bene. Anche i suoi movimenti erano controllati, come se si stesse muovendo in un mondo fatto di ceramica e lui temesse di rompere tutto in mille pezzi affilati come lame. Stava vicino a Piper e la guardava attento come se volesse assicurarsi che lei stesse davvero bene, gli stava vicino in una posizione di inconsapevole protezione. Allo stesso modo ogni tanto spostava lo sguardo dallo sua fidanzata per scandagliare gli altri assicurandosi che tutto stesse andando bene. Quando si posarono su di lei fece un timido sorriso e assentì con il capo. Non lo seppe precisamente perché, forse voleva solo rassicurarlo che tutto andava bene.
“Jason, Jason” lo chiamò con voce lamentosa Leo e nel mentre lo colpì alla testa con lo spigolo del menù che teneva in mano. Il biondo distolse lo sguardo da lei per fissare offeso l’amico, nel mentre si portò anche una mano sul punto leso.
Vedendo di avere la sua attenzione il messicano continuò: “Mi vai a prendere un Jack Daniels?”
“Vacci tu” lo apostrofò, poi aggiunse “E non bere quella robaccia”
Leo  ignorò spudoratamente l’ultima parte e spiegò paziente. “Devo ricordarti che l’ultima volta che ho chiesto da bere mi hanno riso in faccio dicendomi che aveva quattordici anni?”
“E hanno fatto bene” sbottò Annabeth “Sei minorenne”
“Ma Jason non sembra minorenne, a lui non faranno storie” e appoggiò con fare amichevole un gomito sulla spalla dell’amico il quale lo guardò con aria di rimprovero.
“Non ti compererò dell’alcol illegalmente”
Leo alzò gli occhi al cielo sbuffando. “Giusto, dimenticavo di star parlando con Mister Legalità”
“Vado io” Reyna parlò ancor prima che Jason potesse illustrargli gli svariati motivi per cui bere alcool fosse dannoso per la salute, per carità non che avesse poi torto ma trovava il suo rigido regime da astemio esagerato. “Qualche bicchiere non ha mai fatto male” aggiunse con una scrollata di spalle.
“Peccato che per Leo non sia quasi mai qualche bicchiere” sospirò funesta Hazel ma talmente piano che nessuno la sentì.
“Senti, senti” la richiamò Percy con il listino aperto “A me prenderesti un laguna blu?”
Annabeth sgranò gli occhi e gli mollò un colpetto sulla spalla. “Percy!”
“E’ blu!” si giustificò l’interpellato.
“Be’, già che ci siamo...” sbuffò una ciocca rossa di capelli Rachel “io scelgo un caipiroska. Sono maggiorenne, e ha un contenuto alcolico minimo” aggiunse prevenendo l’occhiataccia di qualche astemio.
“Io voglio una pepsi” disse Frank scatenando l’ilarità del riccio.
“Ma davvero?” ribatté sarcastico “Stiamo ordinando alcolici e tu te ne esci con una pepsi?” e riprese a ridere.
“Be’, anche io scelgo la pepsi” lo sfidò la piccola Hazel in difesa del fidanzato “E’ un problema, Valdez?” aggiunse minacciosa al che Leo alzò le mani in segno di resa senza non smettere prima di ridere.
“Tu prendi qualcosa, Cal?” lo ignorò allora la sua compagna di stanza.
Scosse la testa, non era il caso di bere un tè verde così vicini all’ora di coricarsi, la teina le avrebbe resa difficile dormire. “Magari dell’acqua” disse piano. Leo sbuffò ancora ma ancora fu ignorato.
“Nico?”
Calypso non si era nemmeno resa conto della presenza dell’inquietante ragazzino sempre vestito di nero, eppure era lì in un angolo a guardarli come se fossero la causa di tutti i loro mali. A dir la verità quando notò di essere fissato la sua espressione si fece ancora più corrucciata.
“Una tequila”
No!” dissero perentori Jason, Hazel, Reyna e Percy come se fossero un’unica entità con una tale forza che sembrava si stessero opponendo a una scelta di vita e di morte.
“Allora niente” sbuffò inacidito.
“Senti, Reyna” la chiamò Piper agitando la mano per distrarre gli altri dalle loro intenzioni iper-protettive verso il più piccolo “A me prenderesti questo analcolico alla frutt— ”
“Eh, calma!” la interruppe brusca l’altra ragazza con un cenno della mano alzando gli occhi al cielo “Per chi mi avete presa? Per una cameriera?”
Frank da bravo gentiluomo si alzò subito di scatto colpendo con un ginocchio la tavola come un soldatino e si offrì di accompagnarla farfugliando.
“Vengo anch’io” s’apprestò a dire Jason, evidentemente dovevano soffrire di quella sindrome maschile che porta i ragazzi a fare le capriole mortali per aiutare le giovani fanciulle in difficoltà. Anche se, per amor del vero, Reyna poteva essere qualsiasi cosa tranne che una giovane fanciulla indifesa. Aveva tratti del viso affilati e pungenti, due occhi scuri che brillavano di un’intelligenza bellicosa e il suo corpo era alto e muscoloso, leggermente androgino ma comunque con delle curve prettamente femminili. In sostanza, sembrava la tipica ragazza capacissima di mandare a tappeto un boxer senza battere ciglio. Tutto, dal suo portamento alla piega delle labbra, le conferiva forza e sicurezza; la sua espressione era quella di chi era abituata ad ottenere qualsiasi cosa con le sue sole forze.
“Annabeth, tu prendi qualcosa?” chiese Piper decidendo di accompagnare anche lei gli altri al bancone. In fondo dovevano anche prendere una teglia di pizza e per quanto Frank e Jason fossero possenti senza un altro aiuto la cosa sarebbe stata alquanto complicata.
La bionda scosse la testa con un sorriso gentile. “No” poi aggiunse: “divido l’acqua con Calypso” al che le sorrise dall’altra parte del tavolo.
La Nightshade si sforzò di ricambiare il sorriso, anche se le sembrava di aver ingoiato un limone acido, e strinse le mani a pugno sotto la tavola.
 
“Un brindisi per George, il brufolo scomparso” esclamò Leo alzando il suo bicchiere di Jack Daniels e al contempo staccando un morso di pizza. Il risultato fu quello di spandere metà contenuto del bicchiere sui jeans di Jason e sputacchiare qualche pezzo di pomodoro.  Nico, dal suo angolino, alzò gli occhi al cielo, ma nessun altro parve farci caso; tutti sembravano più impegnati a onorare la scomparsa del brufolo di Rachel.
E dopo si lamentano se vengono considerati pazzi...
L’unica che sembrava possedere un baluardo di intelligenza e amor proprio era Calypso, constatò, che mentre tutti gli altri ridevano come cretini inventandosi i brindisi più assurdi si limitava a sorrisi timidi e sguardi fugaci. Ma questo dipendeva dal fatto che era nuova, ergo doveva ancora integrarsi bene in quella loro compagnia. Tempo due settimane e sarebbe diventata la migliore amica di Leo Valdez, era disposto a scommetterci sia le sue carte rare di mitomagia che l’ultimo episodio di Games of Thrones. E se tirava in ballo il Trono di Spade, la cosa era seria. E sempre parlando della Serie Tv lui era lì solo perché era stato ricattato dai suoi amorevoli compagni di stanza: a quanto pare Leo poteva fargli saltare la connessione Wifi e impedirgli di guardare il nuovo episodio. Quindi tutti potevano anche smetterla di cercare di farlo intervenire nella serata, al massimo avrebbe potuto brindare alla sua voglia di vivere.
Oh, ma guarda: non esiste.
“Calypso, non prendi una fetta di pizza?” chiese Piper con voce talmente squillante da distrarlo dai suoi piani omicidi.
“No, grazie” la risposta era stata invece detta con voce leggera e quasi si era persa nel brusio generale della stanza. Sicuramente Leo doveva essersela persa perché con la bocca piena staccò  un trancio di pizza e la spiaccicò sulla bocca della ragazza castana.
“Ma certo che la vuole!” esclamò con fare ovvio sotto lo sguardo assassino di Calypso che si puliva la bocca dal pomodoro “E se anche non la volesse, ormai è troppo tardi” aggiunse con una faccia da schiaffi e Nico dovette rivedere la sua scommessa.
Ok, forse fra un mese diventeranno migliori amici. E se nel frattempo Leo maturerà.
“Non fare quella faccia, Cal” disse Percy in difesa del riccio “E’ strano che tu non voglia nemmeno una fetta” e per rimostranza di ciò se ne prese una.
Lo sguardo della ragazza si fece lentamente incerto e poi titubante, infine parve decidersi e timidamente, come se sperasse che qualcuno la fermasse, allungò una mano a prendere la fetta più piccola. La masticò nel tempo in cui una persona normale ne ingoia tre, ma poi se ne prese un’altra con una strana espressione indecifrabile.
Nessuno, a parte lui, sembrò farci caso. In realtà aveva la sua teoria a riguardo perché Leo era un pettegole e gli aveva raccontato di tutte le volte che non la vedevano alle mensa. Chiunque avrebbe fatto due più due. O forse, era lui troppo sospettoso.
Che gente patetica” la voce infastidita di Minosse lo distrasse dalle sue elucubrazioni, il fantasma stava cercando un punto in disparte a abbastanza vicino a Nico, ma la sala era talmente affollata che le persone continuavano ad attraversarlo come se niente fosse.  Il corvino si limitò ad annuire, in circostanze normali gli avrebbe pure rivolto la parola ma c’era troppa gente e non voleva che nel volto degli altri comparisse quello sguardo tra il condiscendente e l’esasperato.
A volte non capisco come tu possa considerare queste persone amiche” continuò sprezzante lo spettro “Non fanno altro che trascinarsi il situazioni che detesti
Distolse lo sguardo puntandolo sul legno del tavolo, per quanto le parole di Minosse risultassero cattive era lui stesso a pensarle la maggior parte delle volte. Anche se si rendeva conto che loro si comportavano così solo per aiutarlo.
“Tu non hai bisogno di aiuto” gli ricordò Minosse indovinando i suoi pensieri “Sei solo più sensibile”
I dottori invece dicevano che era solo traumatizzato e per questo vedeva la morte ovunque; ma secondo Nico non era lui a immaginarsela: la morte era davvero nascosta ovunque e pareva che soltanto lui se ne accorgesse. Lo aveva spiegato una volta sola fiducioso che lo psichiatra comprendesse ma quello si era subito sprecato in discorsi filosofici che lo avevano messo alle strette demolendo tutto quello che aveva detto. Ma lui lo sapeva, anche se non riusciva a spiegarlo in maniera completa sapeva di aver ragione. Lui non vedeva i fantasmi per un trauma infantile, ma perché aveva imparato ad accettare la morte e l’accoglieva come una vecchia amica. Forse, l’unico motivo per cui non riusciva a incontrare il fantasma della madre e della sorella, era proprio perché rifiutava la loro morte.
 
A Leo girava già un po’ la testa, ma la cosa non lo sorprendeva affatto. Il Jack Daniels era molto alcolico e lui reggeva da schifo, probabilmente la causa era la sua bassezza e statura mingherlina. Non che per lui fosse un problema, chiaro, anzi si trovava molto economico e gli bastavano pochi bicchieri per andare fuori di testa. Di sicuro si divertiva più lui di Reyna che reggeva come un carro armato, ma quella donna era un carro armato quindi la cosa non doveva sorprenderlo più di tanto.
Agitò il bicchiere vuoto attendendo che si sciogliessero i cubetti di ghiaccio, poi si spalmò contro Jason come se fosse una comoda poltrona.
“Me ne prendi un altro?” miagolò stiracchiandosi e rischiando di colpire l’amico al viso.
Lui se lo scrollò pazientemente di dosso “Scordatelo, amico. Sei già mezzo fuori”
“Non è vero” si lagnò “Guarda: sopra la panca la capra campa, sotto la panca la capre crepa!” lo guardò con espressione di trionfo “Se fossi ubriaco non riuscirei a dirlo”
Jason lo guardò con rimprovero e Piper si sporse verso di lui severa. “Se continui a bere questa robaccia ti si rovinerà il fegato” lo sgridò.
“Ma sentitela, Miss Salutista” sbuffò contrariato.
Al tavolo erano rimasti solo loro e un incazzatissimo Nico –forse ce l’aveva ancora con lui per la questione del ricatto. Diamine, com’era rancoroso! – mentre Percy e Annabeth erano usciti a prendere un po’ d’aria e gli altri erano tutti a ballare sulla pista. Anche se era abbastanza sicuro che anche Reyna avrebbe avuto qualche remore a prendergli qualcos’altro.
“E d’accordo” sbuffò abbandonando con un tonfo il bicchiere sul tavolo “Vado io” si alzò dalla panca e con sollievo constatò di reggersi piuttosto bene sulle gambe, erano solo quelle strani luci a confonderlo.  L’atmosfera rilassata che c’era appena arrivati era stata sostituita da una più scatenata, da discoteca, sicuramente complice la canzone dei Green Day che avevano iniziato a suonare.
“Ok, gente” disse lisciandosi la camicia bianca, era una macchia d’olio quella che aveva sulla manica? “Papà Leo va a rimorchiare, non fatemi preoccupare”
“Tu non far preoccupare noi” sussurrò Piper mentre quello si allontanava leggermente traballante e storto.
 
Secondo la signora Nightshade la danza era un’arte che qualsiasi fanciulla di buona famiglia doveva assolutamente conoscere con estrema facilità, motivo per cui Calypso aveva studiato per anni la danza classica ed era stata istruita a dovere sul valzer, il minuetto e altri balli. Evidentemente, il resto del mondo non aveva la stessa idea della famiglia Nightshade su cosa fosse la danza, Calypso ebbe modo di verificarlo di prima persona. Dopo che la cover band aveva terminato la sua esecuzione e un DJ aveva riempito l’aria di una musica ritmica e abbastanza martellante la maggior parte dei ragazzi presenti nel pub si era messa a ballare nella piccola pista. Ballare... pardon, saltellare a ritmo.
Nonostante le prime perplessità si era presto resa conto che quel dimenarsi lasciandosi trasportare  da un ritmo quasi sempre uguale era divertente e non poté evitare un sorriso sulle proprie labbra. Anche Rachel sorrideva mentre saltellava rischiando di pestare i piedi a tutti e i capelli rossi si aprivano come tanti raggi solari attorno a lei, Reyna invece era più composta ma anche lei sorrideva amichevole e divertita. L’impaccio iniziale era totalmente svanito e ormai anche la castana aveva capito quando era ora di saltellare, alzare le mani  e girare.
Hazel e Frank si erano appartati poco distante, nonostante non si fosse ancora fatta un’idea precisa del ragazzo li trovava una coppia molto dolce.
Reyna chiese qualcosa ma né lei che Rachel capirono cosa intendesse.
“Vi va di bere qualcosa?” ripeté con parecchi decibel di più “Io sto morendo di sete”
Insieme sgusciarono tra la folla fino al bancone.
“Prendimi qualcosa di leggero, fai tu” disse Rachel a Reyna, poi guardarono con aspettativa Calypso.
“Io non... non...” balbettò. Il fatto è che non aveva mai pensato di bere qualcosa di alcolico, non perché facesse male ma perché sapeva quante calorie potessero avere. Senza contare che la birra faceva venire pure la panza.
Rachel le mise una mano sulla spalla con familiarità. “Se sei astemia dillo pure, ti accettiamo senza problemi. Guardo, sopportiamo pure Jason che ogni volta che guarda come se soffrissimo di chissà quale malattia! Sopporta solo Reyna perché è maggiorenne”
“Calypso” disse invece l’altra “non voglio influenzarti, ma bere ogni tanto non fa male. L’importante è essere coscienti dei propri limiti e non esagerare mai. Come diceva sempre Aristotele, virtus in medium stat”
La Nightshade sorrise, conosceva quel detto, e decise che magari per quella sera poteva fare un’eccezione. “Che cosa mi consigli?”
Lei ci pensò su brevemente, poi disse: “Ti piace il caffè?”
Gli occhi di Calypso di illuminarono. “Lo adoro” specialmente perché era uno di quei alimenti a caloria negativa, bruciava energia!
“Allora il White Russian ti piacerà. Ha lo stesso aspetto del cappuccino” dopodiché si fece largo tra la ressa al balcone.
Tornò poco dopo e si fece aiutare a trasportare i due bicchieri la birra che aveva preso per sé, Calypso costatò immediatamente che Reyna aveva ragione. Quel cocktail sapeva proprio come il suo adorato caffè, anche se aveva uno strano retrogusto.  Era talmente buono che bevve un lungo sorso, salvo poi rendersi conto di non aver fatto una mossa saggia: gli occhi le bruciavano.
“Piano, piano” rise Rachel vedendola anche tossire. Si sentì sprofondare dalla vergogna e preferì fare i successivi sorsi con calma e cautela. Funzionò.
Quando tutte e tre ebbero finito tornarono alla pista da ballo dove Hazel e Frank li stavano cercando preoccupati.
“E’ che non abbiamo l’orologio e non riusciamo a capire che ore sono!” urlarono per sovrastare la musica a mo’ di spiegazione. A Calypso quel drink che sapeva di caffè non aveva fatto nulla all’inizio ma adesso si sentiva leggermente instabile e la testa pesante, pensò che quello fosse il suo limite. Forse c’entrava anche ilo fatto che non aveva mai bevuto prima. Rachel le prese una mano facendole fare una giravolta cosa che non l’aiutò molto, strizzò gli occhi e per non cadere dovette aggrapparsi a un ragazzo lì vicino.
“Scusa!” gridò Rachel al posto suo con una leggera risata, lo sconosciuto scrollò le spalle.
“Figuratevi, siamo così appiccicati che è inevitabile” poi aggiunse qualcosa sui piedi pestati ma il volume della musica era troppo alto e lo sovrastò. Però il ragazzo sconosciuto aveva altri amici sconosciuti.
“Oh, ma quello è il motto della repubblica romana!” gridò uno indicando la maglietta di Reyna, era viola con la scritta SPQR. Fino a quel momento aveva pensato si trattasse di una marca, guarda un po’.
Reyna spalancò gli occhi sorpresa e anche Frank che stava lì vicino parve impressionarsi, in senso positivo ovviamente.
“Studi latino?” gli domandò la ragazza urlando.
“Studiavo” la corresse “Ho seguito un corso qualche anno fa”
Anche Calypso conosceva il latino, insieme a  un sacco di lingue morte, la sua insegnante era una donna bassa e tozza con il seno rifatto e un naso lunghissimo sempre truccata. Una volta l’aveva vista in vestaglia da notte con degli occhiali da lettura con la montatura rosa e la pantofole, ovviamente senza trucco, era stato uno spettacolo agghiacciante. E non capiva perché le venisse in mente la sua precettrice proprio in quel momento.
Intanto il gruppetto di ragazzi stavano ancora conversando con Reyna  e gli altri, motivo per cui le sembrò molto strano appoggiarsi brevemente a uno di quegli sconosciuti per riprendere l’equilibrio a dirla tutta il ragazzo ridacchiò e le disse qualcosa porgendole il bicchiere.
“Come, scusa?” chiese educata. La musica si era fatta così forte solo nella sua testa? In effetti apprezzava molto di più quella classica.
Il ragazzo le mise in mano il bicchiere mezzo vuoto –o mezzo pieno, dipende dalla prospettiva – e ripeté con una risata soffocata. “A me fa schifo, te lo regalo!”
“Oh, grazie” disse fissando il liquido ambrato “Che cos’è?”
Quella sua domanda fece scoppiare definitivamente a ridere il ragazzo anche se lei non capiva cosa ci fosse di così divertente. “Non lo so” ammise “Ho chiesto al banco di farmi qualcosa di buono ma boh, fa schifo”
Calypso bevve un sorso titubante ma riprese a tossire con le lacrime agli occhi.
“Ehi, piano, piccola!” si preoccupò il ragazzo sbattendole una mano sulla schiena e aggiunse: “L’ho detto io che ‘sta merda fa schifo”   
In realtà dopo l’iniziale bruciore non lo trovò tanto malaccio, forse era anche più buono di quello che le aveva preso Reyna, aveva un retrogusto di liquirizia. Per questo si affrettò a rassicurarlo e bevve un altro sorso cercando di cacciare in gola la nuova ondata di tosse.
“E brava, la piccola” si congratulò il ragazzo arruffandole i capelli e facendole versare metà contenuto sui suoi piedi, poi si rivolse con un vocione agli altri ragazzi ancora intenti a parlare con Reyna e Rachel.
“O-i, secchioni” strepitò “Qualcuno vuole ballare o intendete formare un club della cultura sul posto?”
 
  Alla fine Nico era uscito da quel pub. Un po’ perché la musica gli stava facendo venire il mal di testa, un po’ perché si vedeva che Piper voleva starsene un po’ da sola con il suo fidanzato per fare cose da... sì, fidanzati. Così si era alzato con la scusa del bagno e poi aveva imboccato l’uscita, rispetto al caldo umido che c’era dentro il pub l’aria estiva fuori era fresca. Si chiese se fosse il caso di andare a sedersi sul marciapiede in un punto appartato e aspettare gli altri o tornarsene da solo al College, in fondo non era tanto lontano e il letto era una buona prospettiva. Alzò lo sguardo al cielo nero leggermente nuvoloso e con la luna a metà, non si vedevano che poche stelle. Nella strada camminava il fantasma di un barista che guardava il pub con nostalgia, quando si accorse di essere fissato spalancò gli occhi sorpreso e poi si avvicinò al ragazzino.
“Credevo che nessuno potesse vedermi” disse tutto felice.
“Normalmente è così” si rassegnò, avrebbe potuto fare finta di niente ma sapeva quanto i fantasmi si sentissero soli, un po’ come lui.
“Perbacco!” esclamò, poi tornò a fissare l’entrata del pub “Sai, una volta mi apparteneva questo posto. Era di mio nonno e pensavo che anche i miei figli avrebbero mandato avanti la tradizione e invece quei pusillanimi alla mia morte hanno venduto tutto e se ne sono andati in città. Bah” fece una smorfia di disgusto “Sono contento che qualcuno lo abbia riaperto, anche se hanno ristrutturato un pochino”
“Ah-ah” non seppe come altro commentare quel lungo monologo.
“E dimmi, ragazzo, la fanno buona la birra?”
“Non l’ho bevuta” riferì incolore “Sono minorenne, non posso bere”
Il fantasma del pub aggrottò la fronte. “Oh, già. Ai miei tempi era la migliore” garantì, poi gli scoccò uno sguardo critico “Non mi sembri molto felice”
Scrollò le spalle, ora ci mancava che anche i morti lo psicoanalizzassero. E a proposito, che fine aveva fatto Minosse?
“Animo, animo” lo spronò il vecchio fantasma “Almeno tu che sei in vita. Mi piacerebbe tanto bere una birra, o fare l’ultimo tiro di sigaretta. Tu fumi?”
Scosse la testa.
“Bravo, non iniziare mai. È solo un brutto vizio che non ti porta nulla di nuovo, credi a me. Ai miei tempi avere la sigarette in bocca era cool, dopo siamo morti tutti con i polmoni neri. Bah” tirò su con il naso sdegnato “non iniziare mai” ripeté.
“Da quanto tempo sei qui?” gli domandò.
La faccia del fantasma si fece pensierosa. “Oh, dunque, vediamo. Era il 1923 o 1932? Ohibò, non rammento. In che anno siamo, ragazzo?”
Nico non rispose dandosi mentalmente dello stupido, per i fantasmi il tempo scorreva in modo diverso dai mortali. Per alcuni anni erano solo pochi giorni e certi non si accorgevano nemmeno di essere morti.
“Sicuramente un sacco di tempo” continuò quello a ruota libera “Lo sai, questo pub passava nella mia famiglia di generazione in generazione e io speravo che i miei figli ci lavorassero, così come i miei nipoti. Invece quegli ingrati appena ho tirato la cuoia hanno messo tutto in vendita” ripeté amareggiato, evidentemente quella storia non riusciva proprio a digerirla. Forse era quel fatto a impedirgli di raggiungere l’Oltretomba.
Capiva che il fantasma del pub volesse qualcuno con cui sfogarsi dopo decenni ma Nico non voleva ascoltare un vecchio fantasma con il disco incantato, per cui con un sorriso il più possibile cortese cercò di svincolare da quella spinosa situazione.
“Proprio degli ingrati” lo assecondò “Mi dispiace, ma ora io dovrei proprio andarmene...”
“Andare dove, esattamente?” a chiederlo però non era stato il fantasma del pub, ma un ragazzo biondo con un raccapricciante accostamento di arancione e azzurro. Will Solace evidentemente non sapeva vestirsi in maniera decente.
“Al college” ribatté monocorde per nulla turbato.
“Oh, è un tuo amico? Può vedermi anche lui? Salve!” disse invece vivacemente il fantasma del pub, per quanto possa essere vivace un fantasma ecco.
Will che ovviamente non poteva vederlo non rispose al saluto, si limitò a inarcare una sopracciglia sorpreso. “Manca un’ora al coprifuoco” gli fece notare e fu una costatazione così ovvia che Nico nemmeno si prese la briga di rispondere alcunché, per cui la Maglia Arancione continuò: “Non ti stai divertendo?”
Mise le mani in tasca e si ingobbì. “No”
“Mi dispiace” disse sinceramente colpito il biondo quasi fosse colpa sua “Credevo ci tenessi”
Al che alzò gli occhi al cielo, pensando che erano gli altri a tenerci ma non disse nulla per buona pace di tutti.
“Ho sonno” disse invece e fece per allontanarsi lungo la strada.
“Ehi, non avrai intenzione di andare via da solo” esclamò contrariato.
In condizioni normali Nico si sarebbe limitato a un’alzata di spalle o a qualche battuta mordace, ma quella non era una condizione normale. Non lo sapeva con precisione, ma il fantasma del bar che continuava a guardarlo lo turbava profondamente, cioè non nel senso... no, non era turbato dalla paura, era un modo diverso di essere turbati. Quasi tristezza, ma nemmeno. Forse vuoto? Quel fantasma stava lì a guardare il tempo passare, gli umani sbriciolare e lui sarebbe restato ancora lì senza capire quanto tempo effettivamente fosse passato.. Era turbato perché nessuno se ne rendeva mai conto, ecco. La vita è proprio un buco nero.
Per questo invece di alzare le spalle o fare una battuta mordace –come avrebbe fatto in condizioni normali – disse senza nessuna particolare emozione: “Non sono solo”
Will lo guardò perplesso, poi guardò di nuovo la strada e infine inclinò il capo sospettoso. Come si guarda una verdura palesemente tale ma che tua madre vuole farti passare per la settima meraviglia culinare.
“Ma non c’è nessuno” gli fece infatti notare.
Nico scosse la testa cocciuto, una parte di lui continuava a gridargli di non dire una parola di più, che non era il caso di mettere l’ennesimo sconosciuto a corrente delle sue stranezze. Un’altra parte invece rideva sprezzante e lo spronava a continuare solo per vedere l’emozione dello sconcerto, poi della paura e infine del disagio sul volto di quel ragazzo troppo biondo. I capelli brillano alla luce dei lampioni in quel buio.
“Non sono solo” ripeté “Ci sono i fantasmi”
Silenzio. Nico aspettò pigramente una reazione dell’altro lanciandogli uno sguardo di sfida.
Forza, dillo che non c’è niente. Dillo anche tu che sono solo un visionario.
“Davvero?” arricciò le labbra il biondo.
Alzò gli occhi al cielo. “Davvero”
“Oh, e... quanti sono?” si informò urbanamente.
La cosa era davvero scocciante, perché non lo guardava come il pazzo quale era?
“Tantissimi, la strada ne è piena” borbottò solo per spaventarlo. In realtà oltre il fantasma del pub c’era solo un ubriacone che attraversava di continuo un lampione, la cosa sembrava divertirlo. Aveva metà del busto spappolato, sicuramente era stato investito mentre camminava per quella via brillo. E in ogni caso c’era Minosse con lui, Minosse era e sarebbe stato per sempre con lui.
Will rimase in silenzio con la fronte corrucciata a valutare tutte quelle informazioni, probabilmente indeciso se chiamare il College o direttamente un manicomio, fissava la strada vuota e buia con la testa leggermente inclinata. Poi parve decidersi a parlare.
“Senza offesa per i fantasmi, ma non mi sembrano degli accompagnatori sicuri”
Nico lo guardò storto mordendosi la lingua, come prego?
“Intendo” ricominciò il più grande notando il suo sguardo “intendo che i fantasmi sono immateriali, no? Quindi se per strada incontri un maniaco come possono aiutarti? Attraversandolo?” aveva inarcato così tanto le sopracciglia da farle sparire dietro la frangia bionda “Saranno pure di buona compagnia, ma preferisco accompagnarti. Almeno io posso tirare un pugno al malintenzionato”
Strinse le labbra e i pugni, leggermente offeso, sicuramente Minosse si sarebbe sentito offeso, ma non ribatté nulla. Il ragionamento del biondo aveva senso ed era logico, solo lo lasciava perplesso il modo in cui aveva accettato quella sua capacità di vedere i morti. Come se fosse normale. No, non si fidava.
“Devi solo aspettare un secondo” continuò Will sotto il suo sguardo sospettoso “Avverto le altre Magliette Arancioni e poi torno da te. E, Nico” lo chiamò prima di girarsi e andare via, lo fissò serio “Non muoverti. Abbiamo alcune cose su cui discutere durante la strada”
Oh, ovvio che sì. Alzò gli occhi al cielo. Così imparava a spiattellare il suo segreto a un’idiota de genere.
 
Al bancone c’era parecchia coda e per un ragazzo della statura di Leo era abbastanza difficile farsi largo fra quella moltitudine. Specialmente se il pavimento ondeggiava in quel modo. Comunque, la parte più difficile non fu arrivare al banco sano e salvo, ma convincere il barista che sì, era maggiorenne ma purtroppo aveva dimenticato la carta di identità a casa.
“Che peccato” aveva esalato fintamente depresso “Me la porto sempre dietro, che disdetta”
“Ragazzo, avrai sì o no quattordici anni” lo rimproverava il bar-man accigliato. Al che dovette mordersi la lingua per non gridargli dietro che erano sedici –sedici!—e mandare a monte il piano.
“No, ne ho diciotto. Lo so che sembro giovane, ma ehi, nessuno le vuole le rughe e diciotto anni”
Mille moine dopo, supplice e un tentativo di corruzione aveva scocciato così tanto il barista da farsi allungare un bicchierino di whiskey. Non era quello che aveva in mente, ma a quanto pare il tizio non si era fidato a dargli qualcosa di più forte.
La buttò giù in un sorso nascondendo la smorfia per il bruciore che aveva sentito lungo la gola, nonostante tutto non riusciva ancora ad abituarsi a quel gusto infuocato. Ma gli piaceva e poi era divertente, lo faceva sentire come se tutte le cinture di sicurezza si sganciassero mentre stava seduto su una montagna russa.
Fissò quello che era rimasto sul bicchiere, un altro sorso piccolo a occhio e croce, e decise di custodirlo per un po’. Si stiracchiò e lanciò uno sguardo in direzione del loro tavolo, erano rimasti solo Piper e Jason a pomiciare allegramente. Fece una smorfia. Era felice che loro fossero felici e che avessero trovato il grande amore e blablabla, ma quando i due erano in procinto di mettersi assieme Leo si era opposto fermamente. Era stato molto egoista in realtà, ma in quel momento si era reso conto che così sarebbe restato solo.
Hazel aveva Frank, Percy aveva Annabeth e dopo c’era il loro trio. Che, da un giorno all’altro, era diventato un duo. Leo restava la ruoto di scorta. Purtroppo, le cose stavano così. Aveva un bel rapporto con Nico, era vero, ma non quello che aveva con Jason o Piper, il corvino era troppo riservato, troppo schivo, troppo chiuso in sé stesso e non avrebbe permesso a nessuno di entrare nel suo mondo. E Leo, giustamente, se ne stava fuori.
Si batté una mano sulla fronte, non era il caso di farsi venire una sbronza triste, era anzi meglio darsi da fare per rendere la serata interessante. Iniziò a camminare verso la pista da ballo tenendo ciò che restava del suo sudato Whiskey in alto come e fosse il Santo Graal ma il pavimento ondeggiava ancora, anche più di prima, e finì addosso a qualcuno.
“Ops” rise ed ebbe qualche difficoltà a inquadrare la persona contro cui era andato a sbattere. All’inizio non vide nessuno ma poi i suoi occhi misero a fuoco e notò la ragazza dal semplice vestito bianco primaverile che le lasciava le lasciava scoperte le spalle e sembrava catturare le fioche luci psichedeliche mimetizzandosi perfettamente nell’ambiente. Aveva i capelli di un colore indefinito fra il marrone e il biondo, come se fossero color sabbia. Non era invisibile come aveva pensato all’inizio, ma si mimetizzava perfettamente con l’ambiente tanto era faticoso notarla. Aveva un viso semplice, carino, ma ogni volta che Leo sbatteva le palpebre lo dimenticava.
“Mi d-dispiace” farfugliò la ragazza, aveva un voce sottile sottile e a tratti nemmeno si sentiva. Era una voce difficile da ricordare, così uguale alle altre.
In quella ragazza tutto era semplice e normale, così tanto da risultare quasi banale. Forse fu per questo che la trovò fantastica.
“Ma tranquilla, è stata colpa mia” le assicurò mettendo su un sorriso un po’ storto, poi si accucciò. Era più bassa di lui –miracolo! – ma dai lineamenti del viso sembrava essere più grande di lui di qualche anno. “Sei da sola?” le chiese. Era davvero difficile memorizzare il suo viso.
“Sola” confermò la ragazza abbassando lo sguardo e Leo si dimenticò subito di che colore fossero i suoi occhi. Be’, quella poteva essere un’occasione.
Inarcò una sopracciglia divertito. “Davvero?” poi inclinò la testa “Io mi chiamo Leo Valdez” e le tese la mano.
La ragazza la guardò sorpresa, poi fece un timido sorriso. “Eco. Solo Eco”
“Solo Eco?” inarcò anche l’altra sopracciglia. “Be’, solo Eco, ti dispiace farmi un po’ di compagnia?”
Eco parve sentirsi un attimo a disagio per quella domanda, si guardò la punta dei piedi ma poi risollevò lo sguardo su di lui annuendo con un accenno di sorriso. Adesso che la guardava dritta negli occhi notò che questi erano del colore dell’acqua salata.
“Come mai qui?” le chiese buttando giù l’ultimo sorso di whiskey che gli restava e appoggiò il bicchiere su un tavolo a caso. Ok, ora era sufficientemente brillo.
Eco si guardò attorno nervosa, poi puntò lo sguardo sul front-man della cover band che aveva suonato fino a poco prima. “Per la musica. Credo” disse distogliendo velocemente lo sguardo. Aveva un modo particolare di parlare, quasi si mangiasse le parole o avesse paura di dirne troppe.
Anche Leo guardò il cantante, era il tipico ragazzo bello che sapeva di esserlo; aveva il viso cesellato, con le labbra e gli occhi che sposavano alla perfezione la grazia femminile con la bellezza maschile, la fronte era incorniciata da folti capelli scuri e aveva la corporatura di un ballerino, flessuoso e muscoloso in un equilibrio perfetto e un atteggiamento regale. Sembrava essere un modello di una qualche rivista d’elite.
Lo sguardo rubato di Eco era stato veloce e sicuramente nessun altro ci avrebbe fatto caso, ma Leo conosceva benissimo lo sguardo che avevano le persone dal cuore spezzato. Quella alle quali qualcuno aveva spezzato il cuore, Leo conosceva molto bene la sensazione e inevitabilmente sentì una sorta di collegamento con quella ragazza.
Forse fu per questo che mezz’ora dopo si trovavano nel retro del pub a baciarsi. Non era la prima volta che baciava una ragazza ma sempre si sentiva un novellino, non si sentiva adatto e capace e per questo finiva sempre per baciare un po’ a caso. A dir la verità anche Eco lo stava baciando un po’ a caso. Gli aveva messo le braccia sul collo e se lo premeva contro incastrando le dita fra i riccioli, era appoggiata con la schiena contro il muro di mattoni ma non sembrava trovare scomoda la posizione. Leo la teneva per la vita stretta con le mani callose stropicciandole il vestito senza stringere troppo per paura di farle male o di spezzarla come se fosse un delicato meccanismo.
Non ricordava esattamente perché avessero iniziato a baciarsi, non ricordava nemmeno chi dei due avesse iniziato e nemmeno come ci fossero arrivati nel retro. Sapeva solo che ad un certo punto aveva sentito l’aria fresca della sera punzecchiarlo e il respiro della ragazza si era infranto sul suo collo mentre la stringeva un goffo abbraccio. Era snervante essere sempre così goffo con le ragazze.
La linguetta di Eco gli accarezzò il labbro inferiore e lui strinse gli occhi ancor di più, i loro nasi si sfioravano in continuazione e non sapeva chi avesse il controllo della situazione in mano, probabilmente nessuno dei due. Sicuramente Leo aveva perso ogni freno per colpa della sbronza. Scivolò con una mano sulla schiena, la mise in mezzo alle scapole premendosela contro e lei strinse con più forza i ricci tirandoli leggermente facendogli anche un po’ male. Aveva il cuore che gli batteva come un tamburo sul petto e nonostante la fresca aria serale aveva così caldo che temeva di andare in autocombustione. Le baciò l’angolo della bocca sfiorandogli con le ciglia la guancia, lei inspirò forte e poi riprese a baciarlo. Fece scendere le sue mani stringendo i capelli più corti e ribelli della nuca, poi le posò sulle sue guance stringendo il suo viso e portandolo più in basso e quasi perse l’equilibrio. Per reggersi dovette staccare una mano dal suo fianco ed appoggiarla al muro.
Poi, improvvisamente Eco si staccò guardandolo stupefatta,aveva le labbra rosse come fragole e lucide come se ci avesse avena passato il lucidalabbra. Leo si accorse con un certo disagio che staccandosi gli era scivolata un po’ di saliva da un angolo della bocca.
Si fissarono negli occhi a disagio e, per la prima volta, Leo riuscì a vederla chiaramente in viso; era davvero carina e i suoi occhi erano molto più azzurri di quanto si fosse reso conto, un blu oltremare. Perché non era riuscito a notarlo subito?
Eco aveva ancora le mani sul suo viso quando mormorò con quel suo modo strano di pronunciare le parole. “Scusa, io non...”
Anche se era solo un flebile sussurro Leo capì immediatamente cosa intendesse e fece un sorriso, perché alla fine quella restava davvero la sua unica arma. Quella ragazza era già innamorata di un altro, lo aveva visto subito, e ormai aveva donato tutta sé stessa a quell’amore anche se senza speranze. Probabilmente era una cosa idiota.
“Hai ragione” disse solo, pensandoci bene anche lui era un perfetto idiota. Un perfetto idiota al quale una principessa aveva congelato il cuore. Forse fu per questo che non si sentì né triste né offeso, provò solo uno strano senso di compatimento e affetto per quella ragazza. Aveva un viso veramente bellissimo, non era banale come aveva pensato all’inizio, in quel momento era veramente particolare e meraviglioso. Quegli occhi.
Eco avvicinò ancora il viso al suo ma questa volta lo baciò su una guancia, poi lo scostò con dolcezza. Lui la lasciò andare senza trattenerla con uno strano sorriso mesto e nostalgico, quando si girò per guardarla ancora però era già lontana e si confondeva con il paesaggio. Avrebbe voluto dirle qualcosa, qualcosa di importante ma non sapeva nemmeno lui cosa. Infine risolse di stare zitto, mise le mani in tasca e appoggiò la schiena al muro di mattoni rossi. Gli tornò alla mente quello che aveva pensato prima. La settima ruota, quella di scorta. Nonostante tutto, lui viveva in un mondo a parte rispetto ai suoi amici ed era solo. Scosse la testa  e si lasciò scivolare fino a terra, doveva scacciare quei pensieri che da sempre gli martellavano in testa. Si sentiva strano, ma allo stesso tempo conosceva quella sensazione. Stava scivolando via dalla realtà, ben presto perse la presa sul pavimento e gli sembrò di sollevarsi dal proprio corpo e fluttuare nel cielo privo di consistenza. Si passò una mano sul viso e fu strano perché non gli sembrava che quella mano gli appartenesse. Gli sembrava di essere dentro una boccia dei pesci rossi con un spessissimo muro di vetro tra lui e il resto del mondo e lo isolava da qualsiasi rumore. Ben presto iniziarono a fischiargli le orecchie, appoggiò la testa al muro per guardare il cielo ma il lampione illuminava troppo e dava a tutto una luce fluorescente. O forse era lui che vedeva le cose troppo brillanti, chi lo sa. Sicuramente non avrebbe mai dimenticato il viso di Eco, almeno una persona era riuscita a vederla veramente e si meritava che almeno una persona comprendesse il suo valore.
Leo chiuse gli occhi, ma il ricordo del sorriso di Eco stava già scomparendo.
 
 
 
 
 
 
 
NON SPARATE!
Vi chiedo scusa in ginocchio per avervi abbandonate per un mese ma sono stata in vacanza in un luogo dove internet veniva guardato con sospetto e il wifi era considerato una creatura mitologica °-° non potevo perciò aggiornare. Per farmi perdonare vi ho preparato 30 pagine e c’è un bel po’ di roba su cui pensare, si entra nel vivo della storia ormai! Avete molto da commentare.
Vorrei solo focalizzare la vostra attenzione su due particolari.
La scena di Calypso in doccia. Molto breve e può creare confusione, I Know, ma perdere capelli è un sintomo dell’anoressia, e non sto parlando dei quattro peli che si perde al cambio di stagione. In questo caso cadono ciocche intere, e il capello è debole, opaco e facilmente spezzabile. Altri sintomi sono l’acne, per la mancanza di non mi ricordo cosa la pelle si irrita e ti ritrovi la faccia piena di brufoli, inoltre le eschimesi si creano con più facilità ; i denti perdono lo smalto e si cariano più facilmente. Insomma, diventi davvero fragile. Motivo per cui Calypso ha tutti quei prodotti per il corpo, la pelle e i capelli. Cerca di compensare, in qualche modo.
Altra cosa: l’alcool. Non potevo non metterlo perché è un fatto strettamente in rapporto con i giovani. Spero di non aver scritto cazzate e cose che possano andare OOC. Non volevo fare nelle solite ff dove l’alcool scorre a fiumi e tutti si ubriacano allegramente senza problemi, volevo dare un senso. Ed è anche vero che tratto tematiche delicate, quindi dovrei smetterla di giustificarmi xD
Per il resto, io sono d’accordo con Reyna. Bere è bello ma fa male, non esagerate. Ci sono più cose negative che positive alla fine.
 
Eeeee, non credo di aver null’altro da dire. Se non che la coppia LeoxEco mi piace e ho voluto inserirla brevemente. C’è anche l’accenno di un’altra coppia che sarà vitale per la storia ^^ ma nel prossimo sarà più chiaro.
 
Spero non mi abbiate abbandonato tutte nel frattempo (tutti? Ci sono boyz? Non mi sembra, nel caso date un colpo!)
 
   
 
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