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Autore: Shichan    02/05/2009    2 recensioni
Forse, si era detto Allen a volte, era destino.
O forse, molto più semplicemente era il modo più comodo di lasciar scorrere le cose - anche se Kanda era insopportabile esattamente come il primo giorno.
A volte accadeva che alcuni nuovi arrivati, specie fra i Finder, dessero vita a quelli che in qualche modo potevano essere chiamati "pettegolezzi".
Allen non dava più peso a quelle chiacchiere, perché c'era dell'altro; pensava sempre a Mana, ma ormai non piangeva più.
Genere: Triste, Malinconico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Allen Walker, Altro personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Disclaimer: i personaggi utilizzati non sono di mia proprietà, ma della sensei Hoshino

Disclaimer: i personaggi utilizzati non sono di mia proprietà, ma della sensei Hoshino.

Le parti in corsivo, fatta eccezione per il dialogo finale, sono © del manga (volume 1), così come il quadro a cui si fa riferimento (quel coso assolutamente inquietante a fine volume 1).
Note: e dunque, ormai mi arrendo. O scrivo oneshot pov Allen, o non se ne fa nulla .___.

Comunque. Ho scelto di proposito di non collocarlo cronologicamente nel manga: perché mi sarei dovuta dannare a rileggermi tutti i volumi e siccome voleva essere una cosa... "naturale", conoscendomi avrei fatto piani e congetture e avrei rovinato tutto.

Perciò, sottolineo che quando si parla di "pagliaccio", non sto parlando per forza dell'Innocence di Allen (e nemmeno sto sottilmente facendo notare che Walker faccia ridere i polli XD *fissa moyashi/makoto*)

Dedica: al mio "Mana Walker".

 

Neither this

Né l'uno, né l'altro

 

La prima volta che aveva messo piede all'interno dell'Ordine Oscuro, Allen Walker se la ricordava bene.

C'è chi dice che sia normale, che tutti gli Esorcisti, o i Finder e persino la Sezione Scientifica lo ricordino con precisione; molti sostengono che trattandosi dell'inizio di una nuova vita sia ovvio ricordarlo.

Allen aveva in mente, in maniera piuttosto nitida, l'incontro subito precedente al suo arrivo alla sede dell'Ordine: il bambino di nome Jean, per esempio. Quello affrontato in quella città non era stato né il primo combattimento contro un Akuma, né tanto meno l'ultimo.

Eppure era vivido nella sua mente, più di altri.

All'inizio Allen si era detto che la causa era il secondo incontro con il Conte del Millennio: trattandosi del nemico degli Esorcisti per eccellenza, era comprensibile che il combattimento in sua presenza fosse più semplice da ricordare.

Ma la verità Allen la sapeva: non era l'aspetto del Conte o la sua voce, quel qualcosa che gli riportava alla mente quell'incontro forse voluto dal destino o forse dettato dalla pura e semplice casualità.

E non si trattava nemmeno di un Akuma particolarmente ostico; erano state le parole del Costruttore a colpirlo, più di un proiettile o di un'intera arma.

 

«Tu sei Allen Walker. Sei quel moccioso che fece di suo padre un Akuma!»

 

Non era una rivelazione, per lui; e i ricordi, quelli erano sempre lì, nella sua mente, anche senza bisogno di qualcuno che glieli riportasse a galla.

Forse, ricordava il suo ingresso all'Ordine per la tristezza su cui aveva rimuginato nel tragitto da quella città alla sede principale.

A volte ancora oggi, quando pensava a quell'episodio così lontano che il tempo avrebbe dovuto annebbiare, rendendolo sempre più vago, tremava un po'. La voce di suo padre che lo malediva, il dolore all'occhio sinistro e l'odore fastidioso del sangue che gli oscurava quella vista che - ma allora non poteva immaginarlo - non avrebbe comunque perso.

Sarebbe solo cambiata.

La figura del Conte così grottesca e spaventosa per un bambino che, tuttavia, gli era apparsa semplicemente come la salvezza, come la possibilità di scappare da quella tristezza e da quella solitudine a cui la morte di Mana aveva lasciato campo libero.

E poi la paura, la Dark Matter che lo sovrastava, e parlava - e le urla di quel padre che voleva a tutti i costi salvare.

Infine... quella mano disgustosa, che si muoveva e lo trascinava, contro la sua volontà, contro le sue grida di disperazione e paura; agli occhi dell'Allen Walker bambino, un mostro che non riusciva a fermare e che era apparso all'improvviso stava per uccidere il padre a cui voleva tanto bene.

Quell'arto mai desiderato, quell'arma inconsapevole, strisciava e si muoveva, in maniera così innaturale e così nauseante, seguendo il sangue, seguendo il terrore.

Ed arrivava a suo padre, quel padre che non lo era per legami di sangue e che non era più umano ma che lui, Allen, voleva ugualmente accanto a sé.

La preghiera per essere distrutti.

La richiesta di fuggire.

Un rumore metallico, e una marionetta vuota che sussurra "ti voglio bene" poco prima di rompersi definitivamente.

Il desiderio di morire. Le lacrime.

Ed un uomo che ti concede una via di salvezza che non vuoi e non meriti; vuoi solo tuo padre. E loro non ti permettono di stare con lui.

Era solo questo, che Allen Walker vedeva davanti ai suoi occhi.

 

«A quanto pare, anche tu sei un apostolo posseduto da Dio.

Non diventeresti un Esorcista?»

 

Allen ricordava bene il suo ingresso all'Ordine Oscuro.

Gli erano rimasti in mente i commenti fatti dalle guardie poste all'ingresso, quelle viste una volta entrato: dopo il trauma di un portone parlante che lo accusava di essere un Akuma e di un Kanda che tentava di affettarlo - anche se quello, lo faceva ancora.

Non le aveva guardate direttamente quelle guardie, eppure aveva colto, sentito.

L'incredulità, la sorpresa e la curiosità.

E una buona dose di scetticismo.

Con quella totale assenza di tatto - a quanto pare è stato maledetto! - e la conferma che cercava per appartenere ad un luogo che non era "casa" e non era "estraneo".

Era solo un posto come tanti altri, con persone come tante altre e una stanza per sé; impersonale come un albergo, freddo come una prigione.

Lo chiamavano "Home", lo chiamano ancora in quel modo e forse ora ci riesce anche Allen; ma prima no. Non c'era casa, per lui - perché quella era con Mana, e se suo padre era morto, allora la sua casa era come distrutta.

E non poteva essere ricostruita.

 

Col tempo era cambiato tutto.

Le "persone" erano diventate "compagni". La "prigione" una "casa"; i commenti non c'erano più, le guardie non lo osservavano neanche quando passava.

Perché l'abitudine rende familiare anche l'insopportabile o quello di cui si ha paura.

Forse, si era detto Allen a volte, era destino.

O forse, molto più semplicemente era il modo più comodo di lasciar scorrere le cose - anche se Kanda era insopportabile esattamente come il primo giorno.

A volte accadeva che alcuni nuovi arrivati, specie fra i Finder, dessero vita a quelli che in qualche modo potevano essere chiamati "pettegolezzi".

Allen non dava più peso a quelle chiacchiere, perché c'era dell'altro; pensava sempre a Mana, ma ormai non piangeva più.

Era brutto, quando se ne rendeva conto, chiuso nella sua stanza tra una missione e l'altra.

Si sedeva per terra, appoggiandosi al bordo del letto con la schiena e guardava alla parete, proprio come il primo giorno.

Pensava a Mana, anche ora - specialmente ora.

Ricordava quando avevano creato quel codice, quel gioco fatto solo per loro, quel loro piccolo grande segreto. Qualche volta, si intristiva.

Pensava al fatto che era un tempo che non sarebbe tornato più.

Però poi, Allen piegava la testa all'indietro e posava lo sguardo su quello strano quadro che aveva trovato lì appeso alla parete e che non aveva mai tolto.

Quello strano giullare incatenato, con quell'enorme bara sulle spalle e quella grande croce disegnata su di essa.

E... sorrideva; sfiorava con attenzione la superficie della tela, i colori appena raggrumati in alcuni punti che rendevano il contatto leggermente irregolare. Lo toccava come si tocca qualcosa di estremamente fragile e prezioso.

Sorrideva perché conosceva tutto di lui, dopo averlo osservato silenzioso e impassibile lì nella sua stanza, dove Allen non era "Walker", non era "il distruttore del tempo".

Dove lui era ancora quel bambino che pregava, pregava, aveva fede in Dio ed ogni sera chiedeva a quel Signore misericordioso di ridargli il suo papà.

O di permettergli di svegliarsi e dire che sì, era stato solo un brutto sogno.

Sorrideva perché lui era proprio come quel quadro.

Un pagliaccio che, da dietro la maschera, non mostra mai il suo vero volto.

Un pagliaccio incatenato al suo passato senza possibilità di fuga.

Un pagliaccio che piangeva per il peso della morte che aveva sulle spalle.

Forse, quella era l'unica cosa che sapeva fare bene: era stato evidente fin da quando, raccolto dalla strada da Mana, ne era diventato l'assistente negli spettacoli da artista di strada che l'uomo faceva.

Gli piaceva far sorridere le persone - ed ora c'era sempre e solo così tanto dolore.

Amava il sorriso di Mana, e quel suo scompigliargli con gentilezza i capelli, complimentandosi per quei piccoli trucchi riusciti che ai suoi occhi sembravano elogi per una grande impresa.

Adorava il calore della sua mano sulla propria testa, un calore così umano e familiare, così rassicurante che Allen ne era sempre stato sicuro: lui e Mana sarebbero stati insieme per sempre.

Ma con l'ingenuità di un bambino non aveva considerato quel dettaglio, quella piccola, forse insignificante ma devastante verità.

I "per sempre" non esistono.

Vorrebbe piangere, Allen, quando pensa a Mana. Vorrebbe piangere come il giorno della sua morte.

Anche ora che è cresciuto, che sa che può combattere.

Vorrebbe sedersi, anche a terra, non ha importanza; portare le gambe al petto, circondarle con le braccia, come quando si è bambini e si ha paura o si sta male.

E piangere, piangere, senza controllo; urlare tutta la disperazione, e la spossatezza che sente addosso ogni volta che pensa a suo padre.

Vorrebbe ricordare il suo sorriso, il sorriso di Mana che non potrà più rivedere e provare le stesse cose sentite il giorno che lo hanno sepolto, sotto la terra fredda che poi li ha divisi; e a quel punto, piangere proprio come allora.

Per il dolore, e la paura della solitudine.

Ma Allen non riesce più a farlo: sente solo quel fastidioso nodo alla gola, che a volte si stringe così tanto che gli mozza il respiro e lo costringe ad aprire bocca come per parlare e prendere aria che altrimenti non arriverebbe ai polmoni.

Lo trova irritante, ma di arrabbiarsi non ha la forza; si rende conto che ancora pensa che potrebbe incrociare il volto di Mana e si dice che è uno stupido.

Che non è ancora davvero un Esorcista lui, e non è più un essere umano.

Troppo debole per riuscire a pronunciare: "mio padre è morto".

Troppo forte per piangere quando pensa a lui.

 

«Allen-kun, cosa stai guardando?»

Si volta verso la propria sinistra, Allen, e osserva la figura di Linalee, in piedi e che gli sorride. Lo fa anche lui, di rimando - per riflesso, per abitudine - e scosta lo sguardo dalla finestra: «Nulla, guardavo fuori. Mi sto un po' annoiando, in realtà.» replica, e mente.

Ma in fondo, lui ha mentito spesso.

«E' bello, vero? Nevica proprio ora che siamo quasi a Natale.» gli fa notare lei, con l'entusiasmo di una bambina nella voce.

Lui sorride - solo perché non sa quale altra espressione adottare in quel momento, come un attore che ha scordato le battute e tenta un'improvvisazione.

«Già. Ti piace la neve, Linalee?» chiede, per non fare cadere il silenzio o forse per non smorzare l'entusiasmo di lei.

«Molto! A te, no, Allen-kun?»

 

«Mana, Mana guarda! Sta nevicando!»

«Ti piace la neve, Allen?»

Sorride, stringendosi sotto la coperta che utilizzano entrambi.

Fa un po' freddo, in verità, ma va bene lo stesso.

E' così bella e bianca, la neve.

E quando cade dal cielo, Allen ha imparato che Mana lo prende,

lo lascia sedere sulle sue ginocchia,

e gli permette di addormentarsi a quel modo.

«Sì, moltissimo!»

 

«Sì. Piace molto anche a me, Linalee.» replica - e stavolta no, non ha bisogno di mentire.

 

 

 

 

 

Note finali

Semplicemente qualche riga di cui approfitto biecamente per ringraziare chi ha letto "Say it to me".

Un grazie quindi a makotochan (in arte, moyashi XP); Mistral (mi ha fatto davvero tanto piacere >w<); Aki_ (grazie di seguirmi sempre >*<).

Un grazie speciale a Kodamy (perché mi è preso un mezzo colpo quando ho visto la recensione per i motivi che ti ho detto e perché sei una santa donna che risolleva il mio ego ù_ù/).

   
 
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