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Autore: Lady R Of Rage    10/09/2016    2 recensioni
E' venuta, è andata, ha lasciato nella sua scia soltanto morte e polvere.
E ora che l'umana è sparita dal Sottosuolo tocca a chi resta tenersi i cocci e provare a limitare i danni.
Alphys è morta, in un ultimo, disperato gesto di eroismo verso un amico che non avrebbe mai potuto ringraziarla. Undyne, rinata grazie alla forza della sua determinazione, può soltanto ricordarla e cercare di non soccombere al dolore. Mettaton, fuggito all'ultimo da morte certa, non ha invece via di fuga dai suoi sensi di colpa e da una personalità fittizia che non riesce più a sopportare.
La guerriera determinata e la superstar dal corpo artificiale. Rimasti soli dopo un'apocalisse immeritata, uniti da un comune lutto e da un'altrettanto condivisa responsabilità, diversi nel carattere ma fragili e stanchi allo stesso modo, con in mano il destino di un mondo che a malapena si regge in piedi. Un mondo che ha bisogno di essere protetto, rassicurato, e soprattutto ricostruito.
[Post-Genocide; Mettaton e Undyne sono la BROTP della vita e meritano tante belle cose]
Genere: Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Mettaton, Undyne
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Spoiler!
- Questa storia fa parte della serie '#MTTBrandVitaDiM...'
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Reconstruction

Già di fronte alla porta del palazzo reale, Undyne capisce che c’è qualcosa che non va.
Le gocce di corpo che le scorrono sulla pelle la disgustano, ma deve sopportarlo. Ancora per poco, finché la determinazione non finisce di rimescolarla e ricompattarla come cera sciolta.
Pagherebbe perché l’umana potesse vederla, due volte uccisa e due volte rinata, pronta a vendicare i suoi cari uccisi. Quei poveri cani, così innocenti… in un certo qual modo, gli voleva bene. Le mancheranno le loro leccate e i loro guaiti divertiti.
Ma Alphys… Alphys, come ha potuto?
L’ha vista, negli schermi del rifugio, mentre gli infermieri le ripetevano di non muoversi, di non fare sforzi. Chi erano loro per dirle cosa doveva fare? Soprattutto non mentre la donna che amava si gettava di fronte al coltello dell’umana maledetta, per proteggere col suo corpo quel… coso a cui lei sembrava volere tanto bene.
Morta… morta…
Undyne stringe forte i pugni ancora molli. Piangerà dopo la sua amata. Almeno Asgore, deve essere salvo. Se Asgore è morto, non c’è più speranza.
E’ quasi ironico come tutti quelli che se ne sono andati fossero tutti, in qualche modo, a cui lei voleva bene. Dopo i cani Papyrus, il simpatico Papyrus, che Undyne ne è certa, sorrideva anche nel momento in cui la lama lo trapassava. Dopo Papyrus la sua Alphys, sacrificata per salvare quel…. quel… non le vengono in mente parole per chiamarlo. E dopo di lei anche Sans: Undyne non l’ha visto, non ha fatto in tempo, ma la giacca strappata sul pavimento e la polvere che intasava l’aria del corridoio distrutto non lasciano spazio a dubbi.
“Spero che almeno tu l’abbia fatta soffrire, quella maledetta”
La sala del trono è silenziosa, e l’aria pesa di polvere. Undyne prega, supplica, implora che non si tratti del suo re. Sa benissimo che dietro la sua facciata di “schiappa pelosa” che beve tè ai ranuncoli coi marshmallow impigliati nei peli della barba c’è un guerriero risoluto e pronto a tutto per proteggere i suoi sudditi. Ma l’umana ha battuto lei: nulla è certo, con quella bestia.
E le sue paure si fanno realtà. Undyne porta le mani mollicce al volto, atterrita. Un mantello violaceo ridotto a brandelli giace abbandonato nell’angolo della stanza, accanto a un tridente spezzato in due come un ramoscello e a una corona schiacciata in un angolo. 
“Troppo tardi”
In cuor suo si maledice per essere venuta. Non è nemmeno del tutto corporea, non ancora. Cosa pensava di fare? Morire una terza volta?
“Sciocca, sciocca, sciocca”
Due lacrime solitarie scendono dai suoi occhi. Nient’altro di più. Il suo corpo malformato ancora non ce la fa. Odia essere impotente, e mai lo è stata così tanto prima.
Appena riapre gli occhi lo vede, sdraiato sul fianco in mezzo ai fiori.

La coincidenza è così irritante che le verrebbe da ridere.
“Di tutti quelli che potevano restare, perché tu? Papyrus era simpatico e gentile, Sans era affettuoso e forte come un macigno, Alphys… la mia Alphys, era la creatura più dolce e preziosa che fosse mai esistita, Asgore era il nostro sovrano, buono e coraggioso… tu cosa saresti? A cosa sei mai servito? Non abbiamo alcun bisogno di te, maledetta lattina”.
Alphys colpita dall’umana cade a terra, già parzialmente dissolta, e lui scappa. Scappa, il maledetto, il codardo, la stupida e vuota soubrette di acciaio e circuiti, e si dilegua con quelle ridicole alucce prima che l’umana possa uccidere anche lui.
Salvo poi tornare indietro.
Probabilmente crede che le ceneri dei mostri siano una crema di bellezza.
Undyne non ha tempo da perdere con quel maledetto vigliacco. 
-Alzati.- ordina.
Si volta atterrito. Appena la riconosce, la sua espressione si rilassa e le labbra si allungano in un sorriso elegante e simmetrico. Una mezzaluna perfetta, tracciata al compasso.
-Undyne.- sussurra. -Sei venuta a chiedermi l’autografo?-
-Alzati.- ripete Undyne, senza modificare minimamente il tono della voce.
-Tesoro…- Mettaton sbatte le ciglia voluttuosamente. Le labbra sogghignano con la sua aria da principessa di ghiaccio.
Odioso, odioso, odioso.
-Immagino che non mi farai la cortesia di offrirmi un braccio.-
Undyne si morde le labbra dall’irritazione, sentendo con disgusto la sensazione molliccia dell’incompletezza.
-Alzati.-
-Il tuo vocabolario è parecchio limitato, tesoro.-
Gli occhi di Mettaton la trafiggono con il suo sguardo di sufficienza. Undyne non ce la fa più.
Si getta contro di lui e lo afferra per il braccio, tirando con forza.
-Adesso vieni con me.- ringhia, come se avesse di fronte un nemico secolare.
Il braccio di Mettaton si sfila dal torso e le pende dalla mano come una spada rotta. Il robot geme appena. Probabilmente non gli importa niente nemmeno di quello.
Undyne smette di respirare, inorridita.
“Un ammasso di metallo senza giunture. Come un’armatura senza elmo: inutile”
 -Potevi dirmelo subito, anziché fare il monologo.- sibila nella sua direzione. 
Mettaton tira fuori la punta della lingua. -Sai che noia, in quel modo.-
Undyne ansima affannosamente, trattenendosi a stento dal pestare i piedi. 
“Che nervi, questo qua”
Il robot si puntella sul gomito rimanente, mettendosi in posa come una modella.
-Rinfilami il braccio.- dice con calma disarmante. -Sono magnetici. Tornano al loro posto.-
Undyne segue il consiglio, con gesti sbrigativi.
“Alphys è perduta per sempre, ma lui può essere rimesso insieme senza sforzo. Non è un’ingiustizia, questa?”
-Ti porterò al rifugio con gli altri.- dice in tono da comando.
-Potrai riposarti, rifocillarti ed essere curato. Sei insopportabile, ma sei anche tu un cittadino del Sottosuolo.-
-Troppo buona, cara.- risponde la star, passandosi una mano nei capelli.
Undyne finge di non averlo sentito. Lo solleva a fatica, constatando di essere ormai quasi del tutto solida. Una sensazione di effimero conforto dopo tutto quello che è accaduto.
-Non aspettarti un trattamento di riguardo perché sei tu. Verrai trattato esattamente come gli altri. E non pensare che avrai tempo di firmare autografi, mi capisci?-
Mettaton sembra non fare caso alle sue parole. Si accoccola nella sua stretta, reclinando la testa sul suo petto.
“Mi ha preso per la sua babysitter, per caso?”
Non è pesante, non tantissimo, ma è freddo come i blocchi di ghiaccio di Ice Wolf. Undyne non sa se sia per via del metallo o per via delle sue condizioni in quel momento. Di fianco alla finestra di una casa ridotta a un cumulo di macerie giace una tenda strappata. La raccoglie e avvolge con essa la creatura smembrata fra le sue braccia. Poi procede a ritroso, lungo la città distrutta di New Home, sorreggendolo per tutto il tragitto.
Nel silenzio della città morta, persino Mettaton tiene a freno la sua parlantina. Evidentemente nemmeno una diva come lui è immune al silenzio del lutto.
Oppure è debole, troppo debole per parlare.
O spaventato.
Oppure, Undyne lo sospetta ardentemente, il suo silenzio non è che una spalla fredda. Come i bambini che irritati dai genitori si rifiutano di rispondergli.
Con le braccia raccolte in grembo, i capelli ridotti a una matassa indistinta, il viso crepato e macchiato, il corpo androgino coperto completamente dalla tenda sfilacciata, Mettaton ha la fragilità virginale di una statua degli umani, che Undyne ha visto ogni tanto in certi anime o manga. Il rosa della corazza è impolverato, graffiato in più punti, quasi quanto una delle sue armature.
Continua a tacere, semincosciente, cullandosi da solo con le braccia scosse dagli spasmi.
Arrivano al rifugio senza che abbia compiuto alcun altro movimento: una grotta nascosta nella zona delle cascate, dall’accesso celato da numerosi massi. Uno stanzone naturale arredato alla meno peggio con cuccette, tende di stracci e fornelli da campo. 
“Alphys… che grande cosa hai fatto”
-Lei era davvero brava.- sussurra Mettaton fra le sue braccia, con il tono di una bambina di fronte al suo primo idolo. -E’ davvero triste che non possa vederne i risultati.-
-Taci, stupida diva.- sibila Undyne scuotendolo. -Non puoi nominarla. Non dopo quello che hai fatto.-
Una guerriera non dovrebbe odiare chi sta dalla sua parte, Undyne lo sa bene, ma la repulsione che Mettaton le suscita è qualcosa di insopprimibile per lei.
“Tu non le volevi bene. L’hai tradita, stupido sciocco. Dovevi morire con lei…”
Sì, morire con lei. Alphys sarebbe morta per lui, senza dubbio. E sarebbe morta anche senza di lui. Se non fosse fuggita dal rifugio… se non fosse corsa nel Core a scontrarsi con quell’umana… a intercettare col suo fragile corpicino il coltello della bestia, mentre Mettaton giaceva a terra, impotente… fragile… sconfitto…
Uno spettacolo indegno della televisione. 
A Papyrus, povero Papyrus, che lei mai più avrebbe rivisto, era sempre piaciuto.
“Andiamo, Undyne… è simpatico… è così vivace…”
Undyne deglutisce per trattenere un singhiozzo. 
“Tu lo avresti salvato? Anche tu, come Alphys, saresti morto per lui? Metà del Sottosuolo lo avrebbe fatto. A quanto pare Mettaton ha un che di magnetico verso di loro”.
-E’ ferito.- dice Undyne agli infermieri, che sopraggiungono appena la vedono. -Riparatelo. Io sto bene. Voglio solo tornare a letto.-
Sono due strani esseri con la testa a forma di gemma e un leone dalla folta criniera. La vista di Mettaton sembra essere per loro quella di una vera benedizione.
-Grazie per avercelo portato, Undyne.- dice il leone, la voce che gli trema.
Undyne annuisce, chiedendosi cosa possano provare per quella creatura così falsa e misera.
“Superficiale. Viziato. Narcisista.
Disperato. Disilluso. Fragile come il vetro.”
Gli infermieri lo tolgono dalle sue braccia e lo conducono verso una tenda chiusa da un lenzuolo inchiodato ai bordi. Undyne riconosce due vecchie amiche di Alphys, il coccodrillo e la gatta. Non sembrano quasi loro, vestite di bianco e struccate. Lo zelo con cui si occupano del robot in pezzi è qualcosa di mai visto.
Undyne si chiede se qualcuno, esclusa forse Alphys, si occuperebbe mai in quel modo di lei.
Da dentro la tenda, una voce grida “Mettaton? E’ vivo? Lo avevamo visto morire! Che bello, è un miracolo!”.
Undyne dovrebbe essere disgustata da ciò, ma per qualche motivo sente qualcosa di altro.
Interesse, forse?
E una strana idea si fa avanti nella sua testa.
“Che sciocchezza. Perché dovrei fare una cosa simile? Con lui, peraltro? Probabilmente il suo problema principale è lo smalto alle unghie. Che ne sa, lui, di cosa serve adesso?”
E lei, lei lo sa?
Ha combattuto tante di quelle battaglie… possibile che una cosa del genere la spaventi?
In ogni caso, decide mentre si rannicchia in una cuccetta vuota nell’angolo dello stanzone, ci penserà domani. Ha troppo sonno per fare piani per il futuro.
Forse i sogni la aiuteranno a superare Alphys.

-Undyne?-
Cosa vuole adesso? 
Riparato per metà, una pesante coperta nera sulle spalle, e due occhi dilatati e impiastricciati di ombretto sciolto a metà, sembra una casalinga ubriaca uscita direttamente dalla peggior telenovela umana. 
Non è sicura se ha voglia di interagirci. E’ notte e lei ha sonno. Dovrebbe averlo anche lui. 
“Perché deve essere così… dipendente? Da solo non sai reggerti? Quelle gambe di cui ti vanti tanto non funzionano di dovere?”
-Cosa ti succede?- domanda coprendosi la faccia assonnata con la mano. L’altro si avvicina a passetti timidi, nulla a che vedere con le falcate con cui calcava il palcoscenico durante l’attacco dell’umana.
Si appoggia al bordo del suo letto come se non si reggesse in piedi, e la guarda con aria quasi tenera.
-Ho avuto un incubo. Posso dormire con te?-
Undyne è indecisa se mettersi a ridere sguaiatamente o tirargli un ceffone, salvo poi rendersi conto di avere troppo sonno per fare entrambe le cose.
“Mi ha davvero preso per la sua tata”
Comunque sia, pensa che sia meglio un approccio sbrigativo.
-No. Tornatene a letto.- dice girandosi dall’altra parte del letto.
Non si muove, nemmeno di un millimetro.
Gli occhi di vetro continuano a luccicare con una paura quasi infantile. Per essere una macchina è parecchio espressivo. Forse è per questo che piaceva tanto ai mostri.
-Non c’è una tua fan per farti le coccole?-
Mettaton sbatte le ciglia e si passa una mano sugli occhi. Quando la ritira, il guanto è macchiato d’olio.
-Non voglio le coccole, Undyne. Basta.- dice con una voce fredda che non è la sua.
-Ma ti prego… lascia che stia con te. Anche per terra. Non riesco a dormire.-
Undyne sospira violentemente. Una diva in cerca di attenzioni è l’ultima cosa che vuole sopportare in quel momento.
Come se la sua antipatia verso di lui non fosse abbastanza, la sua presenza e la sua voce metallica le ricordano orribilmente Alphys.
“Proviamo ad accontentarlo.” decide, girandosi nuovamente verso il robot in pezzi. “Magari gli basta un regalino per stare buono”.
-A terra va bene.- dice accennando con un gesto stanco della mano al pavimento vuoto di fianco alla sua cuccetta.
-Sempre che tu stia comodo… immagino che una star come te non sia abituata al duro pavimento.-
Mettaton si passa nuovamente i guanti sul viso. -Ho una schiena d’acciaio. Non mi darà fastidio.-
Ridacchia appena, con un’espressione tutto fuorché divertita. Poi, con gesti affaticati, si volta sulla schiena e si mette a giacere come una statua tombale, le mani raccolte al petto e le gambe tese.
Undyne lo squadra nella penombra, appena illuminato da una fredda luce trasversale.
“In fondo non sei malaccio… senza tutto quel trucco addosso.”
Il viso di vetro è coperto di crepe, come una maschera appena calpestata, ma il biancore dello smalto le piace, le ricorda gli ambienti a lei familiari: la neve di Snowdin, i flutti candidi delle Cascate, le ceneri pallide di Hotland, o il marmo niveo delle case di New Home.
Ma il bianco immacolato è presto rigato da tracce nere e spesse, come le zampe di un insetto parassita. Undyne non può far finta di non vederlo. 
La grande star sta piangendo. Ha una mano a coppa sulle labbra, per silenziare i singhiozzi, ma Undyne è vicina abbastanza da sentirlo distintamente. Gli occhi di vetro fotografico, di un vivace color ciclamino, uno dei capolavori di Alphys, gocciolano fiotti di olio nero sul bellissimo viso di smalto candido. Sembra un clown triste.
“Sembra? Lo è.”
E nel silenzio, Undyne ode un nome. Un nome che le fa male come mille umani.
-Alphys… Alphys…-
Undyne stringe la coperta, irritata. Quell’irritante macchina sembra programmata apposta per premere tutti i suoi tasti peggiori.
“Adesso gli insegno io, a nominarla. Come osa? Come si permette?”
I pugni le si stringono quasi istintivamente. Undyne ha desideri crudeli, inadatti a un’eroina.
Vorrebbe gettarsi di scatto su quell’insopportabile mucchio di rotelle, chiudergli la bocca con la mano, premere così forte da crepare ancor di più il suo viso finto, ricacciargli in gola quelle parole, insegnargli nel modo più rapido e facile tutte le cose che nemmeno una diva come lui può fare.
Ma Undyne non dimentica chi è. E ricorda anche Alphys, la dolce, la pacifica, il cui nome esce a sussurri dalla bocca scolpita della star assieme a singhiozzi convulsi.
-Vieni su.- dice a voce bassissima. Allunga le braccia muscolose verso Mettaton, perché le prenda e si tiri su. E’ debole, affaticato e chiaramente ferito. E’ con un certo sforzo che Undyne riesce a trarlo a sé, mettendolo a sedere al suo fianco. Mettaton trae a sé il lenzuolo del giaciglio e lo porta al volto, imbrattandolo di olio nero. E’ seduto nella posizione del loto e ondeggia avanti e indietro come un bambino spaventato.
Undyne gli toglie con un gesto secco il lenzuolo dalle mani. -Basta. Sporchi tutto. Ci devo dormire, con questo coso.-
Mettaton annuisce, portando le mani al volto con lentezza agghiacciante. Si copre la bocca e si mette a mugolare.
-Alphys io… io non volevo… ho avuto paura… paura di morire, io… mi dispiace…-
-Su, adesso…- Undyne allunga la mano verso il volto del robot, e lo sfiora con l’unghia.
-Adesso stai tranquillo. Alphys non vorrebbe vederti così.-
-Alphys non vorrebbe essere tradita dal suo migliore amico.-
Non c’è espressione nella voce di Mettaton, di solito così costruita ed enfatica. Ha il tono monotono che ci si aspetterebbe da un robot meno bello e avanzato, non da un capolavoro come lui.
Ma anche se nel pronunciare quelle parole avesse avuto la dizione più perfetta della sua luminosa carriera, Undyne non le avrebbe odiate di meno.
Lo prende da dietro la nuca, come per sbatterlo a terra con una mossa di lotta, e stringe con le dita aguzze la sua testa incorniciata da capelli di plastica annodati e impolverati.
-Guardami. Guardami, razza di sciocco.-
Mettaton strozza un urlo nelle labbra d’acciaio. E’ spaventato quasi come se l’umano fosse ricomparso.
“La realtà è una brutta bestia, soprattutto per le dive”
-Quella bestia ha battuto tutti noi. Papyrus, poi me… due volte… poi Sans, e alla fine anche Asgore. Tu cosa pensavi di fare? Non hai mai combattuto in vita tua. Alp… lei… non avresti potuto salvarla.-
Le viene quasi da urlare. Solo il pensiero delle centinaia di mostri che riposano nel rifugio assieme a loro, probabilmente ancora più spaventati di lei e persino di lui, riesce a trattenerla. Continua a stringere le mani di Mettaton, che non smettono di tremare assieme al resto del suo corpo.
-Sareste morti insieme. E allora, cosa sarebbe rimasto?-
-Tu saresti rimasta. Tu sei forte e coraggiosa, non come me. Da sola puoi rimettere a posto tutto.-
Undyne lo guarda intenerita e impietosita. Quella carcassa sbullonata che si faceva chiamare superstar ha letteralmente qualche rotella fuori posto.
-Non da sola, sciocchino. Tu mi aiuterai.-
Gli occhi di Mettaton si dilatano ancora. 
-Tu sei pazza.- 
Aveva cercato di imprecare, ma la voce si era spezzata a metà della frase in qualcosa che sembrava un singhiozzo. 
“Quanto ancora devo sopportarlo?”
Debole, è così debole. L’immagine la inquieta in modo inaspettato. Sembra una persona completamente diversa dalla creatura luccicante, impeccabile, che infiammava i palcoscenici e incantava tutti gli spettatori. Ha la mestizia e l’espressione rassegnata di un fantasma delle cascate.
Improvvisamente si ricorda la realtà: dietro quel metallo sfavillante c’è un fantasma. Un fantasma che aveva conosciuto, con cui aveva parlato; un fantasma eternamente desideroso di essere apprezzato, e determinato fino all’ultimo per soddisfare la sua ambizione al punto da sacrificare sé stesso.
Un fantasma debole, stanco, deluso, gonfio di sensi di colpa e dalle guance bagnate di lacrime nere.
Un fantasma con un nome che lei sapeva.
-Happstablook.- dice in tono freddo e granitico.
Gli occhi della creatura metallica si allargano come fiori dischiusi nell’alba. Anche la bocca si apre, per metà, in un espressione di sorpresa o di spavento. 
-Happstablook, sto parlando con te.- ripete Undyne. -Voglio che tu mi aiuti.-
Mettaton si passa per la terza volta i guanti sul viso, cercando di fermare un flusso senza freno di olio color ossidiana. Le labbra si muovono appena, ma nessuna parola esce dalla bocca d’acciaio.
-Calmati e ascoltami. Dobbiamo ricominciare a vivere.-
Le mani avvolte nei guanti macchiati tremano come foglie secche. Undyne le prende di getto, stringendole e placandone il tremore con la sua forza di guerriera.
-Ricominciare a vivere, capisci? Io… te… il Sottosuolo. Ce la dobbiamo fare.-
Mettaton sbatte freneticamente le palpebre, incorniciate dalle lunghe ciglia finte.
Undyne prende un profondo respiro, e stringe con più forza le mani meccaniche.
-Ho bisogno di una star, e tu sei l’unica disponibile. Io so tenere la gente al sicuro, questo sì, ma… bisogna che si sentano sicuri, e io non so farlo. Questo è compito tuo. Se le tue canzoncine sciocche possono farli stare tranquilli… magari addirittura strappargli un sorriso… io voglio che tu canti. A squarciagola.-
Mettaton ansima come se avesse appena corso per chilometri. -Alphys…- sussurra appena, tremando forte.
-Alphys non tornerà. Dobbiamo accettarlo… non so come…-
Anche la sua voce si è spezzata. La nostalgia è un avversario troppo forte persino per una guerriera valorosa come lei. Alphys, la sua amata Alphys, distrutta da quell’orribile essere che chiamavano “umana”… 
E lei là, nel rifugio che la stessa Alphys aveva progettato, assieme alla sua ultima creazione rimasta: la più bella, la più viva.
Sono deboli, vestiti di stracci, feriti e stanchi, per una battaglia che non volevano combattere.
Ma se Undyne, capitano delle guardie dalle braccia segnate da numerose cicatrici, era almeno pronta per lottare, Mettaton era completamente privo di difesa. Tutto quel ferro non è bastato a proteggere un’anima scoperta.
E mai prima di allora Mettaton è mai apparso così nudo e vulnerabile. 
“Sta cadendo a pezzi. Proprio come me”
Undyne scaccia con tutte le sue forze il pensiero dell’amica morta. Inutile pensare ai morti. Chi non tornerà non ha più bisogno di nulla.
Chi è rimasto, chi deve mettere insieme i pezzi sparsi dovunque, ha bisogno di un vero aiuto.
Di un’eroina, magari.
-Vieni qui.-

Non è un sogno, non è un’illusione ottica. Undyne lo sta abbracciando. Lo tiene fra le braccia come una bambina sfuggita a un trauma, accarezzandogli i capelli artificiali, asciugandogli le lacrime con la mano palmata e con l’unghia aguzza e rossastra. Gli occhi di vetro del robot stillano getti d’olio caldo e pastoso, ma da sotto la patina nerastra brillano di conforto.
Undyne non si sente sciocca, né patetica, e men che meno si vergogna. Forse, in fondo, anche lei aveva bisogno di un abbraccio.
Avrebbe preferito riceverlo da Alphys, o da Asgore, o da Papyrus, ma Mettaton è tutto quel che c’è, e per ciò che vale non è la cosa peggiore.
Il robot ansima debolmente, cercando di trattenere i singhiozzi e il tremore. Undyne sorride e gli prende il volto tra le mani.
-Domani ti voglio vivace e sorridente come ti conosco. Avremo una lunga giornata di lavoro, e tu dovrai fare del tuo meglio.-
-Sì… sì, Undyne… lo farò…- la sua voce è ancora spezzata, e ancora non si capisce se si tratta della debolezza o delle emozioni. Comunque sia, appare genuino. Undyne lo apprezza enormemente.
Cosa darebbe per averlo conosciuto per davvero, prima del massacro.
Lo aiuta a sdraiarsi sul fianco, coprendolo con cura con la coperta.
-Ricostruiremo il Sottosuolo. Io e te. Insieme.-
Ora che Mettaton ha smesso di piangere si limita ad appoggiare la guancia al suo petto, come un bambino con la sua balia. Ma la luce nei suoi occhi è quella di un uomo. Un uomo pronto a ricominciare.
-Il m-mio albergo è ancora… ancora in piedi. Potremmo r-rifugiarci là.-
-Così ti voglio, prima donna. Bellissima idea.- Undyne si sente quasi euforica. L’eccitazione del futuro la fa quasi ubriacare. E dall’espressione di Mettaton capisce che anche lui comincia a sentire la stessa sensazione.
-Quando staremo meglio, potremo ricominciare. Ci prenderemo cura l’uno dell’altra.-
Accarezza la spalla di Mettaton con la punta del dito. -Posso anche farti da mangiare, se ti fa piacere. Ogni tanto... lei ti scaldava un po’ d’olio motore, se non erro. Forse quello che uso per lucidare l’armatura può piacerti. Non deve essere difficile da fare.-
-S-sarebbe una prelibatezza, Undyne.- mormora lui in risposta. Gli occhi si chiudono, il corpo smette di tremare. Sembra abbandonarsi al sonno.
“Dormi, stupida diva. Dormi e riposati. Ci aspetta una lunga battaglia”.
Circonda con il braccio la spalla di Mettaton, come per proteggerlo.
-Per loro.- sussurra.
Le labbra dell'infelice si muovono appena mentre le risponde, la voce ancora spezzata.
-P-per l-loro.-
-Per lei.- prosegue Undyne, in tono più fermo.
Stavolta la risposta non è balbettata, né strascicata. Nel suo tono trabocca qualcosa di simile alla determinazione che la riempie come ossigeno.
Sente che potranno andare d'accordo.
-Per lei.-
  
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