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Autore: Hellspirit    03/05/2009    6 recensioni
Alcune fotografie spingono Ziva a dubitare della fedeltà di Tony. TIVA
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Anthony DiNozzo, Ziva David
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ziva entrò nell’ufficio e come sempre impiegò alcuni secondi per abituare gli occhi alla scarsa illuminazione. Alle sue spalle sentì la guardia che l’aveva accompagnata, o per meglio dire scortata, uscire chiudendo la porta dietro di sé.

L’agente Bashan accantonò in un angolo della scrivania i documenti che stava esaminando. “Ziva, che piacere vederti. Come stai?”

“Perché mi hai fatto venire, Michael?” Gli chiese senza preamboli. Era meglio se si trattava di una cosa importante: in quel momento poteva essere insieme a Tony da Valentino’s a sorseggiare champagne, invece di trovarsi nell’Ambasciata Israeliana.

“C’è una certa... questione di cui apparentemente non sei a conoscenza.”

Incuriosita, Ziva notò come l’uomo che aveva di fronte si passava nervosamente una mano tra i capelli bianchi e cercava di guardarla negli occhi il meno possibile. Se non lo conosceva così bene avrebbe detto che era imbarazzato. Il colmo per uno abituato a ficcanasare in ogni particolare della vita privata delle persone, pensò.

“Forse preferiresti sederti.” Le suggerì indicando un divanetto in pelle nera.

“Perché mi hai fatto venire?” Ripeté lei scandendo bene le parole, non muovendosi di un millimetro.

Con un sospiro Bashan aprì un cassetto, estraendo una busta con delle fotografie ingrandite che consegnò alla ragazza. Lei roteò gli occhi irritata, ricordando di aver già vissuto una situazione simile anni fa in quello stesso studio: la prima foto ritraeva Tony, anche se non riconosceva il luogo in cui era stata scattata.

“Mio padre ti ha chiesto ancora di spiarmi?”

“E’ normale che si preoccupi della tua vita sentimentale, essendo la sua unica figlia.”

Normale?!” Ziva replicò indignata. “Sarebbe normale se mi telefonasse e me lo chiedesse, Michael, invece di affidarsi alle sue spie!”

“Mi limito a seguire gli ordini. E quelli del direttore David sono chiari: scoprire ogni cosa sull’uomo con cui sua figlia convive da sei mesi.”

“... Non viviamo insieme.” Cercò di negare. L’agente Bashan le lanciò uno sguardo scettico, ma preferì non contraddirla.

Anche se odiava ammetterlo, Ziva era spaventata dalla facilità con cui era successo. Lei era sempre stata una persona indipendente e solitaria e mai prima di allora avrebbe immaginato di voler convivere con un uomo che amava più della sua libertà. All’inizio teneva a casa sua solo pochi oggetti per l’igiene personale e alcuni cambi d’abito, a cui nel tempo si aggiunsero le scarpe da corsa, i libri, la piastra, i cd, ... Fino a quando Tony liberò per lei un intero armadio ed una cassettiera per i vestiti e trovò addirittura una sistemazione per il pianoforte in soggiorno, accanto al suo impianto home theater.

Ma lei aveva ancora il suo vecchio appartamento, anche se ci entrava solo per la posta e per tenerlo un minimo pulito, e la rassicurava il fatto di avere un posto dove andare nel caso le cose fra lei e Tony andassero male. Ipotesi che al momento era molto remota. Proprio l’altro giorno lui aveva avanzato l’idea di iniziare a cercare una casa più grande e lei ci aveva riso sopra, sicura che stava solo scherzando.

La voce di Bashan la distolse dai suoi pensieri. “Quanto ti fidi dell’agente DiNozzo?”

A quella domanda Ziva scoppiò quasi a ridere, talmente era ridicola. Quanto si fidava? Gli aveva raccontato di Tali. A nessuno aveva mai raccontato di Tali. Non se lo sapeva ancora spiegare, ma dal primo momento in cui si erano visti aveva capito che poteva fidarsi incondizionatamente, senza il costante timore di venire traditi tipico delle spie. I sorrisi, gli scherzi, i comportamenti immaturi, la sua sola presenza, bastavano a portare pace nel suo mondo pieno di inganni e violenza. Lo amava perché le faceva desiderare di essere una persona migliore.

Per accontentare il suo collega del Mossad e mettere fine a quella farsa, in modo da tornare presto a casa e fare qualcosa di più piacevole, Ziva continuò a esaminare le fotografie. Dopo un altro paio di immagini simili alla prima, si bloccò interdetta vedendo Tony di fronte all’ingresso di un lussuoso hotel che si guardava attorno, come se temesse di essere seguito. Quello che la colpì era la data e l’ora stampati nell’angolo superiore, perché ricordava benissimo quella sera di due settimane fa in cui le aveva detto che andava a vedere una partita di basket con gli amici.

Sicuramente c’è una spiegazione logica, pensò mentre passava alla foto seguente: Tony dentro la hall dell’albergo che con aria familiare salutava il receptionist con un sorriso ed un cenno della mano, dirigendosi verso gli ascensori. Lei deglutì e chiuse gli occhi, non volendo pensare ai possibili significati.

Quella dopo non veniva da una macchina fotografica ma era un fermo immagine di una telecamera di sicurezza: Tony nel corridoio davanti alla porta di una stanza, la numero 708, immortalato nell’atto di bussare.

Alla successiva Ziva sentì una fitta allo stomaco e la gola che si stringeva: la porta era aperta ed una donna molto attraente gli sorrideva invitandolo ad entrare. E’ con lei che mi tradisce? Pensò sopraffatta dalla gelosia, prima di zittirsi mentalmente ed imporsi di non giungere a conclusioni affrettate. In quanto spia conosceva bene il rischio di fraintendere e commettere errori di giudizio mentre si raccoglievano le informazioni. Sapeva che per tutto quello c’era una spiegazione... solo che non riusciva ancora a trovarla.

Guardando il fermo immagine seguente, Ziva sentì il suo cuore spezzarsi. Non era tanto il fatto che Tony era uscito dalla camera dopo 37 minuti, ma era il sorriso sul suo viso a farla stare male. Era un sorriso dolce e genuino, senza traccia di malizia o ironia, che lei conosceva meglio di chiunque altro perché era l’unica persona a cui lo riservava.

Passò velocemente in rassegna le altre foto, sostanzialmente simili alle precedenti a parte la data e l’ora: stesso hotel, stessa camera, stessa donna, stesso sorriso. L’ultima serie di scatti risaliva a tre giorni fa, quando Tony doveva fare una rimpatriata con alcuni suoi ex confratelli.

Ormai non sapeva più a cosa credere. Anche se si trattava di un’altra missione sotto copertura, non si spiegava il perché della sua espressione così felice. A meno che durante l’incarico avesse iniziato a provare dei sentimenti verso quella donna... e c’era già stato un precedente.

“... Potrebbe non essere come sembra.” Ziva disse, più per rassicurare se stessa che il suo collega, mentre posava le fotografie sulla scrivania, fiera che la sua voce non aveva ceduto.

Michael Bashan la osservò attentamente: anche se esteriormente non lo dava a vedere, sapeva che era profondamente ferita da quello che le aveva mostrato. La conosceva fin da bambina e ne era sinceramente dispiaciuto, ma se il suo lavoro gli aveva insegnato qualcosa era che la verità, per quanto dolorosa, andava accettata. “Posso fornirti un’altra prova.”

Avvicinò a sé il computer portatile, iniziò a battere velocemente sui tasti e pochi istanti dopo lo girò verso di lei. Sul monitor c’era un programma di rilevamento GPS, più avanzato di quello usato dall’NCIS, e segnalava che in quel momento il cellulare di Anthony DiNozzo si trovava nell’Ambassador Hotel di Washington, settimo piano, stanza 708.

“La camera è intestata a Beverly Tyler, divorziata da quattro mesi, laureata all’Università dell’Ohio nello stesso anno dell’agente DiNozzo. Tre anni fa ha ereditato dal padre una famosa casa d’aste internazionale e una catena di gioiellerie. Si tratterrà nella capitale fino a domenica per organizzare un’asta di beneficienza.”

Ziva continuò a guardare il monitor lottando con se stessa per mantenere il respiro ad un livello normale. Aveva la sensazione che le sue gambe stessero diventando come gelatina ed era tentata di accettare l’invito a sedersi, ma preferiva morire piuttosto che mostrarsi debole davanti a Bashan.

Si avvicinò lentamente alla finestra dall’altro lato della stanza, prese il cellulare e premette il tasto 1 delle chiamate rapide. Il loro rapporto era troppo importante per farlo finire senza tentare di salvarlo, perciò voleva concedere a Tony un’altra possibilità. Squillò a vuoto per quasi un minuto e Ziva doveva ricorrere a tutta la sua forza di volontà per scacciare dalla mente certe immagini fin troppo vivide.

“Hey, Zee! Tutto bene all’ambasciata?” Lo sentì finalmente rispondere. Era solo la sua immaginazione oppure aveva il fiato corto?

“Sì... nulla di importante. Mi dispiace per la nostra cena, Tony.” Ne era veramente dispiaciuta: sapeva che era una cosa stupida e non doveva addossarsene la colpa, ma non poteva fare a meno di pensare che se non gli avesse dato buca ora non sarebbe con quella donna.

“Tranquilla, rimanderemo a domani. Il proprietario è un mio amico e...”

“Dove sei?”

“Johnny mi ha invitato a casa sua a vedere una partita e farci qualche birra.

Ziva non credeva possibile che il suo cuore si potesse spezzare per ben due volte, ma si sbagliava... di nuovo. “... Vi state divertendo?”

“I Buckeyes stanno giocando da cani e l’arbitro è un incompetente, ma so che odi il football e non ti voglio annoiare. Sbaglio o... sei gelosa?” Ancora una volta era riuscito a leggerla come un libro aperto, cogliendo qualche invisibile traccia nella sua voce. “Heh, hai paura che mi sia innamorato di Johnny e che potremmo scappare insieme sui monti, stile Brokeback Mountain?!”

“Ci vediamo dopo.”

“Ok. Ti a...” Lei riattaccò prima che Tony potesse finire la frase.

Ziva restò davanti alla finestra, senza fissare nulla in particolare. Cosa aveva quell’altra donna che lei non aveva? Cosa gli dava che lei non riusciva a dargli? Gli aveva donato il suo cuore, ma evidentemente non era abbastanza. Era perché non gli aveva mai detto ti amo? Eppure sapeva quanto era difficile per lei esternare certi sentimenti e non le aveva mai fatto pressioni, rassicurandola che bastavano i suoi occhi a dirglielo.

Si detestava per quei pensieri così da donnicciola, ma si detestava ancora di più per essersi lasciata sopraffare dai sentimenti ed aver abbassato le difese, mandando all’aria anni e anni di duro addestramento. Sicuramente Bashan provava pena per lei: era considerata la migliore spia e assassina di Israele, eppure non si era nemmeno accorta che il suo fidanzato la tradiva. Era più facile e meno doloroso concentrarsi sul suo orgoglio ferito piuttosto che sul suo cuore infranto.

“Mio padre lo sa?”

“No, ho preferito parlarne prima con te.”

La ragazza emise un sospiro di sollievo perché, nonostante tutto, non odiava Tony così tanto da desiderarlo morto. Sapeva che suo padre avrebbe mandato subito una squadra di killer, il suo distorto modo di dimostrarle affetto.

“Se vuoi possiamo...”

“No.” Ziva rispose subito, sapendo già cosa voleva proporle il suo collega. Era talmente abituata al loro modo di agire che aveva anche una buona idea di come avrebbero fatto: quella donna, Beverly Tyler, sarebbe stata accusata di aver trafugato e venduto dei reperti archeologici israeliani, finanziando con quei soldi Hamas e, dopo averle cancellato gran parte dei diritti con l’accusa di terrorismo, l’avrebbero consegnata a lei su un piatto d’argento per essere interrogata. Era uno dei privilegi nell’essere la figlia del direttore del Mossad, e se a tradirla fosse stato un qualsiasi altro uomo probabilmente avrebbe accettato la gentile offerta.

Chiuse gli occhi, ripensando alla sua espressione mentre usciva da quella stanza: non poteva ferire chi rendeva Tony così felice.

 “C’è un altro favore che puoi farmi, Michael.”

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Il tempo sembrava condividere il suo stesso umore, perché stava piovendo a dirotto. Dal suo punto d’osservazione sull’altro lato della strada, Ziva non perdeva di vista nemmeno per un attimo l’ingresso dell’Ambassador Hotel, tamburellando nervosamente con le dita sul volante della berlina nera di proprietà dell’ambasciata. La sua Mini rossa era troppo individuabile per un appostamento.

Un tuono riecheggiò in lontananza e lei distolse brevemente gli occhi per controllare l’orologio. Non doveva aspettare ancora a lungo: basandosi sugli orari delle foto, aveva calcolato che gli incontri di Tony duravano in media mezzora.

Come aveva fatto a non accorgersene? Anche se la sua fama di donnaiolo non era certo un mistero, si era convinta che era cambiato, che finalmente era diventato l’uomo che lei sapeva poteva diventare. Era stata proprio una stupida ad illudersi di aver finalmente incontrato la persona giusta con cui avere una relazione stabile e duratura.

Non fidarti di nessuno, Ziva. Ricorda che mostrando affetto, amicizia, compassione alle persone mostrerai la tua debolezza e loro la useranno per ferirti. Le parole di suo padre le risuonavano nelle orecchie e per la prima volta rimpianse di non averlo ascoltato.

Un improvviso movimento davanti all’albergo attirò la sua attenzione, ma era solo un signore anziano che stava chiamando un taxi. Sospirò, rendendosi conto che non sapeva ancora cosa fare: stava aspettando che Tony usciva, ma per dirgli cosa? Forse era meglio andare a casa, portare via le proprie cose e restituirgli la sua copia delle chiavi: sarebbe uscita per sempre dalla sua vita in maniera semplice ed indolore, risparmiandosi di dover sentire le scuse che avrebbe inventato.

Ma il vero problema era il lavoro. Non pensava che sarebbe riuscita a sopportare di vederlo ogni giorno, come se non fosse successo niente, però non voleva nemmeno tornare in Israele, dove era apprezzata unicamente come assassina. Stare con Tony le aveva fatto capire che non era solo quello e, se lo voleva, poteva diventare una persona diversa.

Anche se non aveva la cittadinanza americana era lì, a Washington, che si sentiva veramente a casa e dove aveva avuto la fortuna di incontrare la sua nuova famiglia. Gibbs, con i suoi atteggiamenti burberi ma a modo suo affettuosi, era la figura paterna che suo padre non era mai stato; Ducky era lo zio eccentrico ma saggio, sempre pieno di storie da raccontare; McGee era come un timido cugino su cui si poteva sempre fare affidamento; Abby era talmente simile a Tali che era impossibile non volerle bene. E poi c’era Tony.

Proprio in quel momento lo vide uscire dall’ingresso e dirigersi verso il parcheggio di fianco all’hotel: l’aveva riconosciuto subito, nonostante la giacca alzata per coprirsi la testa dalla pioggia. Senza preoccuparsi di prendere un ombrello, Ziva scese rapidamente dalla macchina e lo seguì a breve distanza. Non sapeva ancora cosa gli avrebbe detto, ma sentiva il bisogno di affrontarlo una volta per tutte.

Ignaro di tutto, Tony si avvicinò alla sua Mustang e frugò nelle tasche in cerca delle chiavi. Stava per salire quando sentì un rumore alle sue spalle, si girò e vide la ragazza a pochi metri da lui. Sobbalzò come se avesse visto un fantasma. “Ziva! Cosa ci fai qui? E perché sei in modalità ninja?”

Ripresosi dallo spavento, si abbassò la giacca per guardarla meglio e restò senza fiato: era bellissima sotto la pioggia, con l’acqua che le scendeva sul viso e le arricciava i capelli castani, completamente a suo agio anche in quel temporale. Per colpa del buio non riusciva a leggere bene l’espressione nei suoi occhi, e ciò lo metteva un po’ in apprensione.

“Per quanto tempo speravi di tenermelo nascosto?”

A quella domanda lui deglutì e si passò una mano tra i capelli bagnati, un gesto che faceva sempre quando era nervoso. “Non ho la minima idea di cosa stai dicendo, guanciotte dolci... Sicura che non hai sbagliato persona?”

Lei, a dispetto della rabbia che le ribolliva in corpo, scoppiò in una breve risata amara. “E’ questa la tua scusa migliore?”

Ora che era stata scoperto Tony emise un sospiro di sollievo, sentendosi libero da un peso che lo opprimeva. “Allora sai tutto, vero? Avrei dovuto immaginarmelo, con te è impossibile avere dei segreti... Beh, almeno mi hai risparmiato la fatica di preparare il discorso. Pensavo di prendere spunto da quello di Richard Gere in Se sca...”

Prima che potesse aggiungere altro Ziva gli tirò uno schiaffo, talmente forte che il rumore risuonò nel parcheggio deserto.

Lui si asciugò con il dorso della mano il sangue che gli era uscito dall’angolo della bocca, disorientato dalla piega che avevano preso gli eventi. Si sentiva come se fosse stato investito da un treno, sia fisicamente che emotivamente: certo, aveva messo in conto che lei poteva anche rispondergli di no, ma tutto si era aspettato tranne una reazione così estrema. “Non capisco... Cosa...?”

Senza aggiungere nulla gli voltò le spalle e, prima che potesse allontanarsi, Tony la afferrò per il polso. Aveva l’orribile sensazione che se lei ora usciva da quel parcheggio sarebbe anche uscita dalla sua vita, per sempre.

Approfittò della loro vicinanza per guardarla finalmente negli occhi, provando una fitta al cuore per il miscuglio di emozioni che vi turbinavano dentro: rabbia, dolore, rancore, tristezza, delusione, solitudine. Si odiava sapendo che ne era lui la causa, anche se onestamente non sapeva il perché. “Mi dispiace, davvero, per qualunque cosa. Mi dispiace... Ti amo.”

Ziva non si lasciò intenerire dalle sue parole e da quello sguardo da cucciolo abbandonato. “Mi fidavo ti te, Tony.” Gli disse in poco più di un sussurro, con la voce priva della solita vena combattiva. Si sentiva emotivamente svuotata e voleva solo tornare a casa, nel proprio appartamento, a dormire per giorni. “Spero che quella donna ne valga la pena.”

Lui, ancora più confuso, sbatté rapidamente le palpebre per liberarsi dalle gocce di pioggia e si guardò attorno, cercando le telecamere della candid camera. “... Quale donna?”

“Non insultare la mia intelligenza.” La ragazza roteò gli occhi, stanca di tutta quella sceneggiata. “Il Mossad ha scoperto e documentato i tuoi incontri segreti con Beverly Tyler.”

A quella notizia Tony spalancò gli occhi, non sapendo come replicare per via dei sentimenti contrastanti che provava: irritazione per il Mossad che si immischiava nuovamente nella loro vita privata, sollievo perché si trattava solo di un gigantesco equivoco, rimorso perché avrebbe potuto risparmiarle tutta quella sofferenza dicendole subito la verità, ma anche un po’ di delusione perché non si era fidata di lui.

Accantonando tutte le considerazioni, decise di non ripetere lo stesso errore e di dirle semplicemente la verità. “E’ vero che ti ho mentito, ma non per il motivo che credi. Conosco Beverly dall’università e, appena ho saputo che si trovava qui a Washington, sono andato da lei per...” Tolse dalla tasca interna della giacca una scatoletta blu e la guardò pensieroso. “So che è una cosa molto importante e... non volevo rovinare tutto scegliendo quello sbagliato. Non è stato semplice farlo fare su misura e c’è voluto più tempo del previsto, ma... Beh, spero che tu voglia accettarlo.”

Ziva, con lo sguardo fisso sulla scatoletta che lui le stava porgendo, aprì la bocca per parlare ma dalla sua gola non uscì nessun suono. Tony si accorse della sua esitazione e tentò di spezzare la tensione con una risata. “Tranquilla, non devi per forza rispondermi adesso. Lo so che è presto e che viviamo insieme solo da sei mesi...”

La ragazza deglutì e si sentì bruciare gli occhi, grata per la pioggia che le scendeva sul viso. La tentazione di aprire il coperchio era quasi irresistibile, ma non poteva, non dopo le cose orribili e ingiuste che aveva pensato su di lui. “Chiedimelo tra un po’ di tempo.” Gli disse con un sorriso che non lasciva dubbi sulla sua risposta.

Lui ricambiò il sorriso, sentendosi immensamente sollevato: fin dall’inizio la sua intenzione era di trovare l’anello perfetto e di nasconderlo da qualche parte, aspettando senza fretta il momento giusto. Chiederle di sposarlo in quel parcheggio, sotto la pioggia, senza uno straccio di discorso e solo per provarle che non aveva nessuna amante... Non era molto romantico.

Con le dita Ziva gli sfiorò delicatamente il taglio sul labbro, che lei stessa aveva provocato, e vide Tony chiudere gli occhi e abbandonarsi a quella carezza. Si sentiva in colpa per la sofferenza che gli aveva causato e nessuna scusa poteva espiare la sua mancanza di fiducia.

Ti amo.” Le parole le uscirono dalla bocca prima che la mente potesse razionalizzarle, provenendo direttamente dal suo cuore. Era stato più facile del previsto e, ora che l’aveva detto, non riusciva a ricordare perché ne era stata così spaventata.

Si alzò in punta di piedi e lo baciò con passione, accarezzandogli i capelli e premendo il più possibile il corpo contro il suo. Tony, dopo un attimo di sorpresa, ricambiò con altrettanta foga stringendola tra le braccia. Erano talmente persi in loro stessi da non rendersi conto che la pioggia aveva smesso di cadere.

“Ci sono alcune cose che non capisco.” Ziva ammise quando si separarono per riprendere il respiro, decisa a non lasciare nessun dubbio. “Perché non hai risposto subito al cellulare?”

“Stavo controllando l’anello al microscopio di Beverly, perché so che conosci bene i diamanti e volevo assicurarmi che non avesse difetti. Mi ha ripetuto così tante volte come usare quel coso che credo di averla fatta impazzire!”

“Quando hai risposto sembravi senza fiato.”

“Uh, perché...” Quello era un particolare che preferiva nascondere, ma si era ripromesso di essere sincero. “Beh, visto che eravamo compagni di università ed ora è una miliardaria, non mi aspettavo un prezzo così alto... E’ persino più avida di mio cugino Crispian! Ma ne è valsa la pena e spero di non dover comprare mai più un anello di fidanzamento.”

“Lo spero anch’io... per il tuo bene.” Nonostante il sorriso amabile sul volto di Ziva, lui percepì chiaramente la velata minaccia.

Tony le cinse con un braccio la vita e la baciò dolcemente sulla tempia, accompagnandola verso la sua Mustang. “Adesso andiamo a casa, ci facciamo una bella doccia calda e poi... diamo ai nostri cari amici del Mossad qualcosa su cui spettegolare.”

  
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