Ziva
entrò nell’ufficio e come sempre
impiegò alcuni
secondi per abituare gli occhi alla scarsa illuminazione. Alle sue
spalle sentì
la guardia che l’aveva accompagnata, o per meglio dire scortata, uscire chiudendo la porta
dietro di sé.
L’agente
Bashan accantonò in un angolo della scrivania
i documenti che stava esaminando. “Ziva, che piacere vederti.
Come stai?”
“Perché
mi hai fatto venire, Michael?” Gli chiese senza
preamboli. Era meglio se si trattava di una cosa importante: in quel
momento
poteva essere insieme a Tony da Valentino’s
a sorseggiare champagne, invece di trovarsi nell’Ambasciata
Israeliana.
“C’è
una certa... questione
di cui apparentemente non sei a conoscenza.”
Incuriosita,
Ziva notò come l’uomo che aveva di fronte
si passava nervosamente una mano tra i capelli bianchi e cercava di
guardarla
negli occhi il meno possibile. Se non lo conosceva così bene
avrebbe detto che
era imbarazzato. Il colmo per uno
abituato a ficcanasare in ogni particolare della vita privata delle
persone,
pensò.
“Forse
preferiresti sederti.” Le suggerì indicando un
divanetto in pelle nera.
“Perché
mi hai fatto venire?” Ripeté lei scandendo bene
le parole, non muovendosi di un millimetro.
Con
un sospiro Bashan aprì un cassetto, estraendo una
busta con delle fotografie ingrandite che consegnò alla
ragazza. Lei roteò gli
occhi irritata, ricordando di aver già vissuto una
situazione simile anni fa in
quello stesso studio: la prima foto ritraeva Tony, anche se non
riconosceva il
luogo in cui era stata scattata.
“Mio
padre ti ha chiesto ancora di spiarmi?”
“E’
normale che si preoccupi della tua vita
sentimentale, essendo la sua unica figlia.”
“Normale?!”
Ziva replicò indignata. “Sarebbe normale se mi
telefonasse e me lo chiedesse,
Michael, invece di affidarsi alle sue spie!”
“Mi
limito a seguire gli ordini. E quelli del direttore
David sono chiari: scoprire ogni cosa sull’uomo con cui sua
figlia convive da
sei mesi.”
“...
Non viviamo insieme.” Cercò di negare.
L’agente
Bashan le lanciò uno sguardo scettico, ma preferì
non contraddirla.
Anche
se odiava ammetterlo, Ziva era spaventata
dalla facilità con cui era
successo. Lei era sempre stata una persona indipendente e solitaria e
mai prima
di allora avrebbe immaginato di voler convivere con un uomo che amava
più della
sua libertà. All’inizio teneva a casa sua solo
pochi oggetti per l’igiene
personale e alcuni cambi d’abito, a cui nel tempo si
aggiunsero le scarpe da
corsa, i libri, la piastra, i cd, ... Fino a quando Tony
liberò per lei un
intero armadio ed una cassettiera per i vestiti e trovò
addirittura una
sistemazione per il pianoforte in soggiorno, accanto al suo impianto
home
theater.
Ma
lei aveva ancora il suo vecchio appartamento, anche
se ci entrava solo per la posta e per tenerlo un minimo pulito, e la
rassicurava il fatto di avere un posto dove andare nel caso le cose fra
lei e
Tony andassero male. Ipotesi che al momento era molto
remota. Proprio l’altro giorno lui aveva avanzato
l’idea di
iniziare a cercare una casa più grande e lei ci aveva riso
sopra, sicura che
stava solo scherzando.
La
voce di Bashan la distolse dai suoi pensieri.
“Quanto ti fidi dell’agente DiNozzo?”
A
quella domanda Ziva scoppiò quasi a ridere, talmente
era ridicola. Quanto si fidava? Gli aveva raccontato di Tali. A nessuno aveva mai raccontato di Tali. Non
se lo sapeva ancora spiegare, ma dal primo momento in cui si erano
visti aveva
capito che poteva fidarsi incondizionatamente, senza il costante timore
di
venire traditi tipico delle spie. I sorrisi, gli scherzi, i
comportamenti
immaturi, la sua sola presenza, bastavano a portare pace
nel suo mondo pieno di inganni e violenza. Lo amava perché
le
faceva desiderare di essere una persona migliore.
Per
accontentare il suo collega del Mossad e mettere
fine a quella farsa, in modo da tornare presto a casa e fare qualcosa
di più
piacevole, Ziva continuò a esaminare le fotografie. Dopo un
altro paio di
immagini simili alla prima, si bloccò interdetta vedendo
Tony di fronte
all’ingresso di un lussuoso hotel che si guardava attorno,
come se temesse di
essere seguito. Quello che la colpì era la data e
l’ora stampati nell’angolo
superiore, perché ricordava benissimo quella sera di due
settimane fa in cui le
aveva detto che andava a vedere una partita di basket con gli amici.
Sicuramente
c’è una spiegazione logica,
pensò mentre passava alla foto seguente:
Tony dentro la hall dell’albergo che con aria familiare
salutava il
receptionist con un sorriso ed un cenno della mano, dirigendosi verso
gli
ascensori. Lei deglutì e chiuse gli occhi, non volendo
pensare ai possibili
significati.
Quella
dopo non veniva da una macchina fotografica ma
era un fermo immagine di una telecamera di sicurezza: Tony nel
corridoio
davanti alla porta di una stanza, la numero 708, immortalato
nell’atto di
bussare.
Alla
successiva Ziva sentì una fitta allo stomaco e la
gola che si stringeva: la porta era aperta ed una donna molto attraente
gli sorrideva
invitandolo ad entrare. E’ con lei
che mi
tradisce? Pensò sopraffatta dalla gelosia, prima
di zittirsi mentalmente ed
imporsi di non giungere a conclusioni affrettate. In quanto spia
conosceva bene
il rischio di fraintendere e commettere errori di giudizio mentre si
raccoglievano le informazioni. Sapeva
che per tutto quello c’era una spiegazione... solo che non
riusciva ancora a
trovarla.
Guardando
il fermo immagine seguente, Ziva sentì il suo
cuore spezzarsi. Non era tanto il fatto che Tony era uscito dalla
camera dopo
37 minuti, ma era il sorriso sul
suo
viso a farla stare male. Era un sorriso dolce e genuino, senza traccia
di
malizia o ironia, che lei conosceva meglio di chiunque altro
perché era l’unica
persona a cui lo riservava.
Passò
velocemente in rassegna le altre foto,
sostanzialmente simili alle precedenti a parte la data e
l’ora: stesso hotel,
stessa camera, stessa donna, stesso sorriso. L’ultima serie
di scatti risaliva
a tre giorni fa, quando Tony doveva fare una rimpatriata con alcuni
suoi ex
confratelli.
Ormai
non sapeva più a cosa credere. Anche se si
trattava di un’altra missione sotto copertura, non si
spiegava il perché della
sua espressione così felice. A meno che durante
l’incarico avesse iniziato a
provare dei sentimenti verso quella donna... e c’era
già stato un precedente.
“...
Potrebbe non essere come sembra.” Ziva disse, più
per rassicurare se stessa che il suo collega, mentre posava le
fotografie sulla
scrivania, fiera che la sua voce non aveva ceduto.
Michael
Bashan la osservò attentamente: anche se
esteriormente non lo dava a vedere, sapeva che era profondamente ferita
da
quello che le aveva mostrato. La conosceva fin da bambina e ne era
sinceramente
dispiaciuto, ma se il suo lavoro gli aveva insegnato qualcosa era che
la
verità, per quanto dolorosa, andava accettata.
“Posso fornirti un’altra prova.”
Avvicinò
a sé il computer portatile, iniziò a battere
velocemente
sui tasti e pochi istanti dopo lo girò verso di lei. Sul
monitor c’era un
programma di rilevamento GPS, più avanzato di quello usato
dall’NCIS, e segnalava
che in quel momento il cellulare di Anthony DiNozzo si trovava
nell’Ambassador Hotel di
Washington, settimo
piano, stanza 708.
“La
camera è intestata a Beverly Tyler, divorziata da
quattro mesi, laureata all’Università
dell’Ohio nello stesso anno dell’agente
DiNozzo. Tre anni fa ha ereditato dal padre una famosa casa
d’aste
internazionale e una catena di gioiellerie. Si tratterrà
nella capitale fino a
domenica per organizzare un’asta di beneficienza.”
Ziva
continuò a guardare il monitor lottando con se
stessa per mantenere il respiro ad un livello normale. Aveva la
sensazione che
le sue gambe stessero diventando come gelatina ed era tentata di
accettare
l’invito a sedersi, ma preferiva morire piuttosto che
mostrarsi debole davanti
a Bashan.
Si
avvicinò lentamente alla finestra dall’altro lato
della stanza, prese il cellulare e premette il tasto 1 delle chiamate
rapide. Il
loro rapporto era troppo importante per farlo finire senza tentare di
salvarlo,
perciò voleva concedere a Tony un’altra
possibilità. Squillò a vuoto per quasi
un minuto e Ziva doveva ricorrere a tutta la sua forza di
volontà per scacciare
dalla mente certe immagini fin troppo vivide.
“Hey,
Zee! Tutto bene all’ambasciata?”
Lo sentì finalmente
rispondere. Era solo la sua immaginazione oppure aveva il fiato corto?
“Sì...
nulla di importante. Mi dispiace per la nostra
cena, Tony.” Ne era veramente
dispiaciuta: sapeva che era una cosa stupida e non doveva addossarsene
la
colpa, ma non poteva fare a meno di pensare che se non gli avesse dato
buca ora
non sarebbe con quella donna.
“Tranquilla,
rimanderemo a domani. Il proprietario è un mio amico
e...”
“Dove
sei?”
“Johnny
mi ha invitato a casa sua a vedere una partita e farci qualche birra.”
Ziva
non credeva possibile che il suo cuore si potesse
spezzare per ben due volte, ma si sbagliava... di nuovo. “...
Vi state
divertendo?”
“I
Buckeyes stanno giocando da cani e l’arbitro è un
incompetente, ma so che odi
il football e non ti voglio annoiare. Sbaglio o... sei
gelosa?”
Ancora una volta era riuscito a leggerla come un libro aperto,
cogliendo
qualche invisibile traccia nella sua voce. “Heh,
hai paura che mi sia innamorato di Johnny e che potremmo scappare
insieme sui
monti, stile Brokeback Mountain?!”
“Ci
vediamo dopo.”
“Ok.
Ti a...”
Lei riattaccò prima che Tony potesse finire la frase.
Ziva
restò davanti alla finestra, senza fissare nulla
in particolare. Cosa aveva quell’altra donna che lei non
aveva? Cosa gli dava
che lei non riusciva a dargli? Gli aveva donato il suo cuore, ma
evidentemente
non era abbastanza. Era perché non gli aveva mai detto ti amo? Eppure sapeva quanto era
difficile per lei esternare certi
sentimenti e non le aveva mai fatto pressioni, rassicurandola che
bastavano i
suoi occhi a dirglielo.
Si
detestava per quei pensieri così da donnicciola, ma
si detestava ancora di più per essersi lasciata sopraffare
dai sentimenti ed
aver abbassato le difese, mandando all’aria anni e anni di
duro addestramento.
Sicuramente Bashan provava pena per lei: era considerata la migliore
spia e
assassina di Israele, eppure non si era nemmeno accorta che il suo
fidanzato la
tradiva. Era più facile e meno doloroso concentrarsi sul suo
orgoglio ferito
piuttosto che sul suo cuore infranto.
“Mio
padre lo sa?”
“No,
ho preferito parlarne prima con te.”
La
ragazza emise un sospiro di sollievo perché,
nonostante tutto, non odiava Tony così tanto da desiderarlo
morto. Sapeva che
suo padre avrebbe mandato subito una squadra di killer, il suo distorto
modo di
dimostrarle affetto.
“Se
vuoi possiamo...”
“No.”
Ziva rispose subito, sapendo già cosa voleva
proporle il suo collega. Era talmente abituata al loro modo di agire
che aveva
anche una buona idea di come avrebbero fatto: quella donna, Beverly
Tyler,
sarebbe stata accusata di aver trafugato e venduto dei reperti
archeologici
israeliani, finanziando con quei soldi Hamas e, dopo averle cancellato
gran
parte dei diritti con l’accusa di terrorismo,
l’avrebbero consegnata a lei su
un piatto d’argento per essere interrogata.
Era uno dei privilegi nell’essere la figlia del direttore del
Mossad, e se a
tradirla fosse stato un qualsiasi altro uomo probabilmente avrebbe
accettato la
gentile offerta.
Chiuse
gli occhi, ripensando alla sua espressione
mentre usciva da quella stanza: non poteva ferire chi rendeva Tony
così felice.
“C’è
un altro
favore che puoi farmi, Michael.”
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Il
tempo sembrava condividere il suo stesso umore,
perché stava piovendo a dirotto. Dal suo punto
d’osservazione sull’altro lato
della strada, Ziva non perdeva di vista nemmeno per un attimo
l’ingresso dell’Ambassador
Hotel, tamburellando
nervosamente con le dita sul volante della berlina nera di
proprietà dell’ambasciata.
La sua Mini rossa era troppo individuabile per un appostamento.
Un
tuono riecheggiò in lontananza e lei distolse
brevemente gli occhi per controllare l’orologio. Non doveva
aspettare ancora a
lungo: basandosi sugli orari delle foto, aveva calcolato che gli incontri di Tony duravano in media
mezzora.
Come
aveva fatto a non accorgersene? Anche se la sua
fama di donnaiolo non era certo un mistero, si era convinta che era
cambiato,
che finalmente era diventato l’uomo che lei sapeva
poteva diventare. Era stata proprio una stupida ad illudersi di aver
finalmente
incontrato la persona giusta con cui avere una relazione stabile e
duratura.
Non
fidarti di nessuno, Ziva. Ricorda che mostrando affetto, amicizia,
compassione
alle persone mostrerai la tua debolezza e loro la useranno per ferirti.
Le
parole di suo padre le risuonavano nelle orecchie e per la prima volta
rimpianse di non averlo ascoltato.
Un
improvviso movimento davanti all’albergo attirò la
sua attenzione, ma era solo un signore anziano che stava chiamando un
taxi.
Sospirò, rendendosi conto che non sapeva ancora cosa fare:
stava aspettando che
Tony usciva, ma per dirgli cosa? Forse era meglio andare a casa,
portare via le
proprie cose e restituirgli la sua copia delle chiavi: sarebbe uscita
per
sempre dalla sua vita in maniera semplice ed indolore, risparmiandosi
di dover
sentire le scuse che avrebbe inventato.
Ma
il vero problema era il lavoro. Non pensava che
sarebbe riuscita a sopportare di vederlo ogni giorno, come se non fosse
successo niente, però non voleva nemmeno tornare in Israele,
dove era
apprezzata unicamente come assassina. Stare con Tony le aveva fatto
capire che
non era solo quello e, se lo
voleva,
poteva diventare una persona diversa.
Anche
se non aveva la cittadinanza americana era lì, a
Washington, che si sentiva veramente a casa e dove aveva avuto la
fortuna di
incontrare la sua nuova famiglia. Gibbs, con i suoi atteggiamenti
burberi ma a
modo suo affettuosi, era la figura paterna che suo padre non era mai
stato;
Ducky era lo zio eccentrico ma saggio, sempre pieno di storie da
raccontare;
McGee era come un timido cugino su cui si poteva sempre fare
affidamento; Abby
era talmente simile a Tali che era impossibile non volerle bene. E poi
c’era
Tony.
Proprio
in quel momento lo vide uscire dall’ingresso e
dirigersi verso il parcheggio di fianco all’hotel:
l’aveva riconosciuto subito,
nonostante la giacca alzata per coprirsi la testa dalla pioggia. Senza
preoccuparsi di prendere un ombrello, Ziva scese rapidamente dalla
macchina e
lo seguì a breve distanza. Non sapeva ancora cosa gli
avrebbe detto, ma sentiva
il bisogno di affrontarlo una volta per tutte.
Ignaro
di tutto, Tony si avvicinò alla sua Mustang e
frugò nelle tasche in cerca delle chiavi. Stava per salire
quando sentì un
rumore alle sue spalle, si girò e vide la ragazza a pochi
metri da lui. Sobbalzò
come se avesse visto un fantasma. “Ziva! Cosa ci fai qui? E
perché sei in
modalità ninja?”
Ripresosi
dallo spavento, si abbassò la giacca per
guardarla meglio e restò senza fiato: era bellissima sotto
la pioggia, con
l’acqua che le scendeva sul viso e le arricciava i capelli
castani, completamente
a suo agio anche in quel temporale. Per colpa del buio non riusciva a
leggere
bene l’espressione nei suoi occhi, e ciò lo
metteva un po’ in apprensione.
“Per
quanto tempo speravi di tenermelo nascosto?”
A
quella domanda lui deglutì e si passò una mano
tra i
capelli bagnati, un gesto che faceva sempre quando era nervoso.
“Non ho la
minima idea di cosa stai dicendo, guanciotte dolci... Sicura che non
hai
sbagliato persona?”
Lei,
a dispetto della rabbia che le ribolliva in corpo,
scoppiò in una breve risata amara. “E’
questa la tua scusa migliore?”
Ora
che era stata scoperto Tony emise un sospiro di
sollievo, sentendosi libero da un peso che lo opprimeva.
“Allora sai tutto,
vero? Avrei dovuto immaginarmelo, con te è impossibile avere
dei segreti... Beh,
almeno mi hai risparmiato la fatica di preparare il discorso. Pensavo
di
prendere spunto da quello di Richard Gere in Se
sca...”
Prima
che potesse aggiungere altro Ziva gli tirò uno
schiaffo, talmente forte che il rumore risuonò nel
parcheggio deserto.
Lui
si asciugò con il dorso della mano il sangue che
gli era uscito dall’angolo della bocca, disorientato dalla
piega che avevano preso
gli eventi. Si sentiva come se fosse stato investito da un treno, sia
fisicamente che emotivamente: certo, aveva messo in conto che lei
poteva anche
rispondergli di no, ma tutto si era aspettato tranne una reazione
così estrema.
“Non capisco... Cosa...?”
Senza
aggiungere nulla gli voltò le spalle e, prima che
potesse allontanarsi, Tony la afferrò per il polso. Aveva
l’orribile sensazione
che se lei ora usciva da quel parcheggio sarebbe anche uscita dalla sua
vita,
per sempre.
Approfittò
della loro vicinanza per guardarla
finalmente negli occhi, provando una fitta al cuore per il miscuglio di
emozioni che vi turbinavano dentro: rabbia, dolore, rancore, tristezza,
delusione,
solitudine. Si odiava sapendo che ne era lui la causa, anche se
onestamente non
sapeva il perché. “Mi dispiace, davvero, per
qualunque cosa. Mi dispiace... Ti
amo.”
Ziva
non si lasciò intenerire dalle sue parole e da
quello sguardo da cucciolo abbandonato. “Mi fidavo
ti te, Tony.” Gli disse in poco più di un
sussurro, con la voce priva della
solita vena combattiva. Si sentiva emotivamente svuotata e voleva solo
tornare
a casa, nel proprio appartamento, a
dormire per giorni. “Spero che quella donna ne valga la
pena.”
Lui,
ancora più confuso, sbatté rapidamente le
palpebre
per liberarsi dalle gocce di pioggia e si guardò attorno,
cercando le
telecamere della candid camera. “... Quale donna?”
“Non
insultare la mia intelligenza.” La ragazza roteò
gli occhi, stanca di tutta quella sceneggiata. “Il Mossad ha
scoperto e
documentato i tuoi incontri segreti con Beverly Tyler.”
A
quella notizia Tony spalancò gli occhi, non sapendo
come replicare per via dei sentimenti contrastanti che provava: irritazione per il Mossad che si
immischiava nuovamente nella loro vita privata, sollievo
perché si trattava solo di un gigantesco equivoco, rimorso perché avrebbe potuto
risparmiarle tutta quella sofferenza dicendole subito la
verità, ma anche un
po’ di delusione
perché non si era
fidata di lui.
Accantonando
tutte le considerazioni, decise di non
ripetere lo stesso errore e di dirle semplicemente la
verità. “E’ vero che ti
ho mentito, ma non per il motivo che credi. Conosco Beverly
dall’università e,
appena ho saputo che si trovava qui a Washington, sono andato da lei
per...”
Tolse dalla tasca interna della giacca una scatoletta blu e la
guardò
pensieroso. “So che è una cosa molto importante
e... non volevo rovinare tutto
scegliendo quello sbagliato. Non è stato semplice farlo fare
su misura e c’è voluto
più tempo del previsto, ma... Beh, spero che tu voglia
accettarlo.”
Ziva,
con lo sguardo fisso sulla scatoletta che lui le
stava porgendo, aprì la bocca per parlare ma dalla sua gola
non uscì nessun
suono. Tony si accorse della sua esitazione e tentò di
spezzare la tensione con
una risata. “Tranquilla, non devi per forza rispondermi
adesso. Lo so che è
presto e che viviamo insieme solo da sei mesi...”
La
ragazza deglutì e si sentì bruciare gli occhi,
grata
per la pioggia che le scendeva sul viso. La tentazione di aprire il
coperchio
era quasi irresistibile, ma non poteva, non dopo le cose orribili e
ingiuste
che aveva pensato su di lui. “Chiedimelo tra un po’
di tempo.” Gli disse con un
sorriso che non lasciva dubbi sulla sua risposta.
Lui
ricambiò il sorriso, sentendosi immensamente
sollevato: fin dall’inizio la sua intenzione era di trovare
l’anello perfetto e
di nasconderlo da qualche parte, aspettando senza fretta il momento
giusto.
Chiederle di sposarlo in quel parcheggio, sotto la pioggia, senza uno
straccio
di discorso e solo per provarle che non aveva nessuna amante... Non era
molto
romantico.
Con
le dita Ziva gli sfiorò delicatamente il taglio sul
labbro, che lei stessa aveva provocato, e vide Tony chiudere gli occhi
e
abbandonarsi a quella carezza. Si sentiva in colpa per la sofferenza
che gli
aveva causato e nessuna scusa poteva espiare la sua mancanza di fiducia.
“Ti amo.” Le
parole le uscirono dalla bocca prima che la mente potesse
razionalizzarle,
provenendo direttamente dal suo cuore. Era stato più facile
del previsto e, ora
che l’aveva detto, non riusciva a ricordare perché
ne era stata così
spaventata.
Si
alzò in punta di piedi e lo baciò con passione,
accarezzandogli i capelli e premendo il più possibile il
corpo contro il suo. Tony,
dopo un attimo di sorpresa, ricambiò con altrettanta foga
stringendola tra le
braccia. Erano talmente persi in loro stessi da non rendersi conto che
la
pioggia aveva smesso di cadere.
“Ci
sono alcune cose che non capisco.” Ziva ammise
quando si separarono per riprendere il respiro, decisa a non lasciare
nessun
dubbio. “Perché non hai risposto subito al
cellulare?”
“Stavo
controllando l’anello al microscopio di Beverly,
perché so che conosci bene i diamanti e volevo assicurarmi
che non avesse
difetti. Mi ha ripetuto così tante volte come usare quel
coso che credo di
averla fatta impazzire!”
“Quando
hai risposto sembravi senza fiato.”
“Uh,
perché...” Quello
era un particolare che preferiva nascondere, ma si era ripromesso di
essere
sincero. “Beh, visto che eravamo compagni di
università ed ora è una
miliardaria, non mi aspettavo un prezzo così
alto... E’ persino più avida di mio cugino
Crispian! Ma ne è valsa la pena e
spero di non dover comprare mai più un anello di
fidanzamento.”
“Lo
spero anch’io... per il tuo bene.” Nonostante il
sorriso amabile sul volto di Ziva, lui percepì chiaramente
la velata minaccia.
Tony
le cinse con un braccio la vita e la baciò
dolcemente sulla tempia, accompagnandola verso la sua Mustang.
“Adesso andiamo
a casa, ci facciamo una bella doccia calda e poi... diamo ai nostri
cari amici
del Mossad qualcosa su cui spettegolare.”