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Autore: johnlock221b    14/09/2016    3 recensioni
«Sherlock, stai bene?» chiese, posando la mano sulla mia fronte.
Scivolai via dalla sua mano, e sfoggiai il mio sorriso migliore. «Tutto bene, solo un brutto sogno. Pancakes?» chiesi, indicando le macchie di poltiglia sul grembiule.
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Mycroft Holmes, Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Me ne stavo seduto sulla poltrona, le gambe strette fra le braccia, il violino in frantumi a terra e il frammento con l’incisione a forma di J in bilico sul ginocchio. L’avevo fatta fare poco più di un anno fa, in occasione del suo compleanno. Gli era piaciuta così tanto.

John. Il solo pensare a lui mi faceva andare il cuore in frantumi. Erano giorni, settimane ormai, che ero fermo in quella posizione, la signora Hudson mi portava i pasti regolarmente, ed ogni giorno, regolarmente li riportava indietro esattamente come me li aveva portati. Mycroft era venuto a trovarmi più volte in queste settimane che in un’intera vita assieme. Cercava di tirarmi su il morale da buon fratello, e mi aveva dimostrato di poterlo essere davvero. Apprezzavo ogni suo sforzo, ma non avevo la forza, la voglia o la capacità di rendergliene atto. Ero stato io a trovarlo, io avevo constatato con tutta la lucidità di cui ero capace che era morto, e successivamente avevo, con tutta la lucidità, che rabbia e senso di vendetta conferivano, trovato il responsabile. Se non fosse stato per Mycroft e Lestrade ora sarei in prigione. Avrei voluto ucciderlo, mutilarlo, torturarlo per giorni, solo per mettere a tacere il mio dolore e la mia collera. Ma Mycroft mi ricordò che John non l’avrebbe mai voluto, e dovetti dargli ragione. Chiusi gli occhi e riuscii, per la prima volta ad abbandonarmi al sonno.

«John» chiamai, non appena aprii gli occhi. Maledette vecchie abitudini.

«Sherlock, mi hai chiamato?» la testa bionda di John sbucò dalla porta della cucina, un meraviglioso sorriso sulle labbra e, dalla quantità di poltiglia di farina e uova che aveva sul grembiule, stava preparando i pancakes.

Lo guardai per un istante che mi parve infinito. Era come me lo ricordavo. Basso, il portamento da soldato anche in grembiule da cucina, i taglio di capelli ancora da soldato nonostante fosse in congedo da anni, gli occhi di un blu così intenso che nessun pittore sarebbe mai riuscito a coglierne il colore, e il suo sorriso. Dio quel sorriso. Quel suo sorriso sempre a metà fra la sorpresa e l’ammirazione. Quel suo sorriso che riservava solo a me e a nessun altro.

«Sei.. John sei vivo.» balbettai, tirandomi in piedi dalla poltrona così rapidamente che rischiai di inciampare. John mi rendeva così strano e vulnerabile che solo con lui mi ritrovavo ad essere goffo.

«Sherlock, certo che sono vivo.» rispose, il viso preoccupato, ma un leggero accenno di sorriso sulle labbra. «Mi dici che ti prende?»

Corsi verso di lui e mi gettai fra le sue braccia. Mi strinse forte ed io affondai con la testa nel suo collo, respirando quel profumo che mi era così dannatamente famigliare, che ogni volta che lo sentivo per casa mi faceva fremere il cuore perché voleva dire che lui era lì. Nelle ultime settimane lo sentivo sfumare sempre di più, anche se mi sarebbe bastato entrare in camera sua e prendere una sua camicia per sentirlo di nuovo. Sapeva di quel suo dopobarba da due soldi e di abiti puliti. Non avevo idea di come facesse ad essere lì, vivo, reale davanti a me, ma non mi importava. Volevo solo abbracciarlo, inebriarmi del suo profumo, e perdermi nel sapore delle sue lebbra.

«Mi sei mancato così tanto» sussurrai, la voce appena rotta dalle lacrime che stavano lentamente bagnando la sua camicia.

Mi prese per le spalle e mi allontanò quel che bastava per guardarmi in faccia.

«Sherlock, ma di che parli? Ci siamo visti anche ieri sera.» la preoccupazione dei suoi occhi era palese. Che avessi sognato tutto e mi fossi finalmente risvegliato? Era probabile dopotutto, non era la prima volta che sognavo la morte di John eppure…

«Sherlock, stai bene?» chiese, posando la mano sulla mia fronte.

Scivolai via dalla sua mano, e sfoggiai il mio sorriso migliore. «Tutto bene, solo un brutto sogno. Pancakes?» chiesi, indicando le macchie di poltiglia sul grembiule.

«Con succo d’acero e cioccolato fuso, come piacciono a te.»

«Ti amo» dissi, lasciandogli un bacio tra i capelli e andando a sedermi a tavola.

«Ne vuoi parlare?» chiese sedendosi sulla sedia di fronte alla mia e porgendomi il piatto di pancakes.

«No, non ne vedo il bisogno, era solo uno stupido sogno.» risposi, iniziando a mangiare quei deliziosi pancakes.

«Te l’ho mai detto che quando mangi fai proprio schifo?» e si mise a ridere. Fermai la forchetta a mezz’aria, e lasciai che le mie orecchie godessero di quel meraviglioso suono che era la sua risata. Ricordo che me ne innamorai la prima volta che la sentii. Eravamo appoggiati alla parete del corridoio qui a Baker Street ed avevamo appena finito di fuggire dalla polizia, dopo aver importunato un tizio in taxi. Era il nostro primo caso assieme. Non avevo mai sentito una melodia che mi scaldasse il cuore come la risata di John.

«A che stai pensando?»

«Al nostro primo caso assieme, e di come mi innamorai della tua risata quello stesso giorno.» Arrossì ed io non resistetti più. Dio quando lo amavo quando arrossiva.

Feci il giorno del tavolo e lo feci alzare. Lo presi in braccio e iniziai a baciarlo. Quanto mi mancavano le sue labbra. Lo posai delicatamente a terra e continuai a baciarlo, mentre sentivo le sue mani tra i miei ricci. Quando lo face per la prima volta mi resi conto che era la sensazione più che bella che avessi mai provato in vita mia. Lo baciai con tutto l’amore che avevo in corpo, lo assaporai, e le mie mani seguirono i contorni del suo corpo, imprimendo nella mia pelle ogni dettaglio, anche il più insignificante. Sentivo le lacrime scendere lungo il mio viso. Lui era vivo, ed era lì. Ed era mio.

John si stava stringendo forte a me, quando all’improvviso sentii un forte gusto di sangue sulle labbra. Allontanai John per vedere se lo avessi morso, ma sulle labbra non aveva nulla. John barcollò all’indietro, allontanandosi da me. Una macchia di sangue si stava aprendo sul torace. Spalancai gli occhi in preda al terrore, mentre John stramazzava a terra. Mi inginocchiai accanto a lui, afferrando la coperta che stava sul divano. La premetti con forza contro la ferita e cercai di tenere John il più vigile possibile.

«John, John ascolta la mia voce, guardami andrà tutto bene. Te lo prometto.»

«Sherl..» i suoi occhi divennero vitrei e vidi la vita lasciare il suo corpo.

«JOHN» urlai, sentivo il cuore straziato, in mille pezzi. Mi piegai sopra il corpo di John, nell’incavo del suo collo, le mani piene di sangue strette fra i capelli. Le lacrime e il sangue mi impasticciavano i ricci, ed ogni parte del mio corpo tremava.

«John…»

«Sherlock»

«John…»

«Sherlock per l’amor del cielo svegliati.» la voce di Mycroft era bassa e rotta dall’emozione.

Mi svegliai di soprassalto, il frammento del violino insanguinato tra le mani. Lo avevo stretto così convulsamente da tagliarmi e riempirmi di schegge. I capelli erano sudati e appiccicati al collo.

Mycroft mi sfilò il frammento di mano e si diresse in bagno, tornando poco dopo con una bacinella, un asciugamano, del disinfettante, una fascia e una pinzetta. Mi face immergere le mani nell’acqua e mi pulì la ferità, il più delicatamente possibile. Una volta pulita estrasse ogni scheggia e frammento che era rimasto e disinfettò la ferita. Mi fasciò la ferita e mi riconsegnò il frammento di violino.

Quando mi guardò, feci una cosa che non mi sarei mai aspettato. Mi buttai fra le sue braccia e piansi in silenzio. Mycroft mi accarezzò i capelli e mi strinse forte. Ogni tanto mi sussurrava qualcosa, per la maggiore erano “Mi dispiace così tanto, Sherlock”. Mi strinse forte quando i singhiozzi si fecero così forte da farmi tremare, e mi accompagnò a letto quando, sfinito, sprofondai in un sonno senza sogni.
   
 
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