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Autore: 68Keira68    03/05/2009    3 recensioni
Salve a tutti! Questa è la prima volta che scrivo una fan fiction su Pirati dei Caraibi e vi chiedo di essere clementi! La fan fiction è ambientata circa 17 anni dopo la fine del 3 film quindi se non avete ancora visto il film e non volete rovinarvi il finale vi consiglio di non leggerla :-P! Spero che la fiction vi piaccia e se potete inserire un commento anche piccolo piccolo ve ne sarei grata, così saprei se la fiction vi piace o meno! Vi ringrazio in anticipo e vi auguro una Buona Lettura!
L’estate finalmente era arrivata, il sole risplendeva nel mare che bagnava la piccola isola di Telia, ai confini del mar dei Caraibi e Angela, si stava dirigendo al mercato per fare la spesa.
Genere: Romantico, Avventura | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Elizabeth Swann, Jack Sparrow, Nuovo Personaggio, Sorpresa, Will Turner
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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ciao Note dell'autrice:
Ciao a tutti^^!! Incredibile ma vero, dopo mesi di latitanza sono riuscita a tornare^^  ormai non ci speravo più, hihi^^ ma ce l'ho fatta! Mi dispiace tantissimo per questo ritardo enorme, scusateeeeeee!!!!! Sono stata super impegnata e nn sono più riuscita a scrivere nulla, sigh! Però mi impegno a postare con più frequenza, sul serio^^ anke perchè il prox cap sarà uno dei più importanti, ma già qui c'è una piccola sorpresa finale, anke se sn sicura che qualcuno di voi lo aveva già intuito ^^ nn vi dico altro, vi lascio al capitolo ^^ un grazie va a tutti quelli che hanno letto la mia ficcy e a quelli che l'hanno messa tra i preferiti^^ grazieeee^^!
Ringraziamenti:
Dj Kela: Ciao^^! Ce l'ho fatta a tornare, yuppie^^ e ho visto che anke tu hai aggiornato, al più presto leggerò il cappy, promesso^^ efp mi mancava troppo ^^ hih^^ Ti ringrazio per aver recensito il cap 10 e sn contenta che ti sia piaciuto, ^^ glasie^^ anke io dubito che esistano ancora ragazzi come Terence purtroppo, però la speranza è l'ultima a morire, siamo fiduciose dai^^ hihi^^ Sn felice ke la mamy e il papi di Maggie ti siano piaciuti, grazie^^ Angy purtroppo la stanno cercando con molto accanimento, il nome Sparrow è un catalizzatore di soldati già di per sé ma non sarà solo questo il motivo, tra poco si capirà meglio^^ La povera Maggie se la passerà brutta, xò è un'amica fedele e non aggiungo altro^^ La fossa per il nostro caro amico te la scavo io volentieri, odio più il suo personaggio di quello di Nap, hihi^^!! Il consiglio di alternare le vicende è ottimo e lo devo tenere presente, grazie^^ solo che i fatti del cap 10 dovevano per forza venire prima di questi del cap 11. Spero ke anke qst cappy ti piaccia, aspetto la tua recensione^^ tvtttttb kisskisses 68Keira68 ^^! PS: appena riesco correggo la "e" di Port Royal ^^ grazie per avermelo detto^^

sesshy94: Ciao!! Ma certo ke sei sempre in tempo e sono felicissima ke hai recensito e che ti sia piaciuto, grazie per i complimenti^^!! Maggie come ho detto nn passerà dei bei momenti, ma si vedrà meglio prossimamente^^ cmq credo che Terry vadi bene, o anke Ter^^ spero ke anke qst cappy ti piaccia  e aspetto una tuo parere su qst cappy^^ kisskisses ^^ 68Keira68^^!

Auguro una buona lettura a tutti!
kisskiss
68Keira68

11_ Quando il passato bussa alla porta

 

 

 

“TERRA!”

 

L’urlo dell’uomo di vedetta giunse dritto nelle orecchie di Angela. Era comodamente seduta su uno degli scalini che portavano al ponte di comando intenta a lucidare la sua preziosa spada ma appena udì quella magica parola, balzò sul posto.

 

Terra! Siamo arrivati, evviva! Non vedevo l’ora!

 

Si precipitò con gioia al parapetto. Era una bella giornata, il sole picchiettava caldo e sentiva i suoi raggi sopra la nuca superare la lieve protezione del cappello. Fortunatamente però la leggera brezza che soffiava accarezzandole le gote le dava il sollievo necessario per sopportare quel cerchio luminoso.

 

Erano passati tre giorni da quando era salita a bordo, eppure le sembrava di far parte della ciurma da una vita. Non si era mai sentita così a suo agio in nessun altro luogo, neppure a Telia tra i posti che l’avevano vista nascere. Il primo giorno era stata la distrazione di turno per la ciurma, ogni pirata sembrava ansioso di conoscerla per metterla alla prova. Ma lei si era distinta da subito, sistemandoli il pomeriggio del secondo giorno a bordo, quando un ometto di nome Pintel le si era avvicinato con un sorriso sornione…

 

“Ehi bambolina! Come andiamo? Vi trovate bene a bordo Miss Sparrow?”

Angela era appoggiata con la schiena  all’albero maestro e osservava ammaliata suo padre, che dal ponte di comando dirigeva l’intera ciurma apparentemente senza il minimo sforzo. Dettava ordini  a destra a manca e si assicurava di mantenere la rotta. Se avesse dovuto coordinare lei tutta quella gente probabilmente la Perla sarebbe colata a picco!

La voce del pirata la riportò alla realtà e rivolse uno sguardo nella sua direzione. Un bracconiere tra i quaranta e i cinquanta, quasi calvo, più largo che alto, le si parò dinanzi con un’aria furbetta. Lo aveva già incontrato un paio di volte quella mattina, ma non si era ancora avvicinato, limitandosi a guardarla con aria compiaciuta. Ad Angela stava antipatico di primo acchito. Aveva chiesto a Gibbs come si chiamasse, e se la memoria non la ingannava doveva rispondere al nome di Pintel.

Lo squadrò dall’alto in basso con fare critico alzando un sopraciglio.

“Bisogno di qualcosa?” chiese ironica, senza preoccuparsi di celare il fastidio che le procurava l’espressione dell’uomo.

“Come siamo scortesi, volevo solo conoscervi!” fece un altro passo nella sua direzione. Angela non arretrò ma affilò lo sguardo. Puzzava di rhum lontano un miglio, tanto da farle storcere il naso. La falsa galanteria con la quale si rivolgeva a lei stonava terribilmente sulla sua bocca. Si vedeva che era fasulla lontano un miglio. Anche Gibbs la nominava sempre con l’appellativo Miss, ma pronunciato da lui acquisiva tutto un altro significato, più sincero. Ad Angela il buon vecchio marinaio ricordava i mentori buoni e quasi paterni delle fiabe, quelle persone dotate di una pazienza infinita, se si tralasciava per un attimo il fatto che rimaneva un pirata.

“Il mio nome lo conoscete, mastro” gli rispose.

Pintel sogghignò. “Sai, non pensavo che il nostro capitano avesse una figlia tanto bella. È un peccato che non ti abbia portata a bordo prima, avremmo avuto un piacevole passatempo nei momenti bui” insinuò viscido, abbandonando definitivamente una parvenza di cortesia.

La ragazza non poté nascondere un ghigno divertito. Nonostante la rabbia che sentiva salire prepotente e il disgusto che si faceva strada dentro di lei, non poté non provare un po’ di pena per l’uomo che le stava di fronte. Era vecchio, grasso e probabilmente tutto fumo e niente arrosto. Senza contare che non doveva nemmeno brillare per intelligenza se davvero pensava seriamente di provarci con la giovane. L’aveva presa per una fanciullina indifesa?

Sospirò, non voleva tirare fuori la spada al secondo giorno di navigazione, però se fosse stata costretta non si sarebbe di certo fatta problemi del genere.

“Sai, io ti consiglio vivamente di andartene, hai preso un abbaglio, gira a largo.” Gli intimò quasi divertita vedendo il mutarsi dell’espressione di Pintel, da spavaldo a sorpreso.

Ma il pirata si riprese subito e riacquistato il sorrisetto di prima accostò una mano sull’albero maestro ove lei era appoggiata, stando alla sua destra e  accorciando la distanza tra i due.

 

Ok, ora sono problemi suoi.

 

“Ti ho avvertito” si limitò a sussurrare lei prima di svincolare abilmente verso sinistra ed estrarre fulminea la spada. La puntò alla gola dell’uomo e lo fulminò con lo sguardo, anche se parlò con un tono calmo.

“Giusto per mettere le cose in chiaro. Sono qui unicamente per stare accanto a mio padre e per divenire un pirata a mia volta, non sono minimamente interessata ad altro e ti assicuro che ne necessitassi tu saresti l’ultima persona dalla quale verrei. Dal momento che non intendo aver problemi di alcuna sorta ti ripeto di girarmi a largo a meno che non ti rinfreschi le idee”

Pintel la guardò confuso, ma non si soffermò molto sul volto della ragazza, troppo preoccupato a tenere lo sguardo fisso sulla lama puntata alla sua giugulare, ancora sconvolto dalla velocità con la cui aveva agito la figlia del suo capitano e con che freddezza tenesse in mano la spada. Si era sbagliato, quella giovane era tutto tranne che sprovveduta e di sicuro non era una facile preda. Era meglio fare marcia indietro.

“Va bene, va bene, bambolina, non ti scaldare, stavo solo scherzando, ora me ne vado, ok?” farfugliò, facendo un tentativo di riconciliazione per farle abbassare la lama.

Angela allargò il sorriso, ironica. “Certamente, avevo compreso lo scherzo, difatti stavo giocando anche io, altrimenti a quest’ora ti assicuro che non saresti più in grado di stare in piedi. Comprendi?”

Pintel deglutì vistosamente e si affrettò ad allontanarsi.

Angela rinfoderò la spada e, palesemente soddisfatta della sua piccola vittoria, lanciò qualche occhiata furtiva in giro per il ponte. Almeno la metà della ciurma aveva interrotto le sue attività per vedere il loro “gentile”  scambio di battute. Alcuni avevano un’espressione divertita e sghignazzavano in direzione di Pintel, altri guardavano semplicemente Angela stupefatti. La ragazza alzò lo sguardo verso il padre. Lui faceva parte della categoria che rideva sotto i baffi, orgoglioso della figlia. La ragazza gli sorrise facendogli l’occhiolino, dopodichè si diresse sotto coperta. L’ultima cosa che vide prima di scendere la scaletta fu Jack che andava verso Pintel con un’aria tutt’altro che amichevole. Di certo il pirata non avrebbe passato un piacevole momento.

 

Quella era stata la prima lezione che aveva impartito ad un membro dell’equipaggio. La seconda era arrivata a breve distanza, per la precisione la sera stessa…

 

Angela stava risalendo velocemente le scale diretta alla sua cabina. Aveva cenato assieme al resto della ciurma e soprattutto assieme a suo padre, ma ora si era fatto tardi e data la stanchezza aveva deciso di ritirarsi, mentre gli altri pirati si stavano intrattenendo con rhum e giochi vari. Ma il suo desiderio di raggiungere il letto non venne esaudito, in quanto verso la fine della piccola rampa venne richiamata da uno schiamazzo.

“Ehi, Miss Sparrow, non vorrai mica lasciarci a quest’ora? La notte è giovane e non hai neppure fatto una partita”

Se l’udito non l’ingannava, la ragazza aveva già capito da chi proveniva la voce. Con un sospiro si girò verso la fonte del rumore. Come si immaginava era stato il piccolo ma nerboruto pirata che rispondeva al nome di Martin, il quale, seduto al tavolo da gioco, stava distrattamente mescolando un mazzo di carte vecchio, consunto e sicuramente truccato.

“Ha ragione, sei qui da quasi due giorni e non hai ancora fatto nemmeno una partita, non vorrai offenderci” si intromise Raghetti, il bucaniere magro come un chiodo e con una benda alla destra di Martin.

La ragazza si guardò attorno. Tutti quanti la stavano guardando, suo padre compreso, aspettando una risposta con un sorriso sornione.

 

Pensano tutti che non sappia giocare, è chiaro. Mi ha invitata perché spera di spillarmi soldi facilmente.

Certamente gioia, allora cosa fai, accetti? Stanno aspettando una risposta.

Ahahah, certo che accetto, ho gli occhi di tutti puntati contro, curiosi, credo che se dicessi di no mi porterebbero al tavolo con la forza. Tanto quelli che rimarranno delusi saranno loro.

Vacci giù piano, se si arrabbiano potresti vedertela brutta.

Bazzecole, e poi è lui che mi ha sfidato, se dorrà del suo male non potrà che piangere se stesso.

 

“Se proprio insistete, non sia mai che vi faccia un torto” rispose, trattenendo a stento un ghigno. La frase venne seguita da una piccola ovazione da parte della ciurma e molti “vediamo cosa sa fare” si susseguirono per un bel po’ mentre i pirati si ammassavano attorno al tavolo per avere una visuale migliore della partita.

 

Certo che dicono che la curiosità è donna ma gli uomini non sono da meno.

 

Dopo che ebbe preso posto tra Martin e Robbery, un altro pirata, le carte vennero date e la partita ebbe inizio. La fortuna era dalla sua perché ebbe subito una bella mano. Era cosciente di partire svantaggiata, in quanto ogni pirata seduto a quel tavolo aveva di sicuro quattro assi nella manica, non uno, mentre il suo caro mazzo truccato era a casa sua a Telia. Ma poteva comunque contare su un bluff che non era secondo a nessuno.

Partì il primo giro e con esso la prima puntata. Angela tenne un’espressione neutra per tre giri e tre puntate, alla quarta, iniziò ad avere un’aria grave, seguita dal ghigno di chi pregusta già la vittoria da almeno due degli altri giocatori. Il collegamento era automatico; aria grave-brutte carte. Quello che non immaginavano era che dentro di sé la ragazza aveva semplicemente un sorriso a trentadue denti ben nascosto. Aveva un’ottima mano, in più aveva osservato attentamente ogni pirata nelle varie fasi di gioco. Martin socchiudeva gli occhi ogni volta che mentiva, mentre Raghetti aveva il vizio di passarsi la lingua sul labbro inferiore per ogni bluff. Infine  Robbery si grattava il mento. E per la precisione, in questo ultimo turno sia Robbery che Raghetti si erano fregati dichiarando silenziosamente ad Angela che nessuno dei due aveva in mano ciò che invece facevano credere, ovvero delle carte vincenti. L’unico che sembrava non avere mentito era Martin e quindi era l’unica persona che si frapponeva tra lei e la vittoria. Guardò le sue carte, aveva un poker di re più un otto di quadri, era stata molto fortunata, lo ammetteva, ma poteva non essere abbastanza per assicurarle la vittoria. Il pirata poteva avere un poker d’assi, naturalmente barando, ma sarebbe stata dura dimostrare che aveva imbrogliato. In più accusare un pirata di barare in mezzo ad altri pirati, sarebbe stata una scelta saggia? Ne dubitava profondamente. Però non le sembrava di aver visto qualche azione sospetta, tipo soffiarsi il naso o far cadere “accidentalmente” qualcosa per terra e chinarsi a raccoglierla. Tipici gesti di chi vuole far scivolare delle carte dalla manica alla mano. Decise di rischiare.

“Rilancio” lo pronunciò con aria insicura, per far credere che stesse solo fingendo di avere qualcosa in mano per la quale valesse la pena esporsi.

Martin non si fece spaventare. “Rilancio anch’io” e la guardò con aria di sfida.

Raghetti tentenò, come fece anche Robbery. Angela aveva visto giusto. Avevano bluffato prima, in realtà non avevano nulla in mano. La posta stava diventando alta però e nessuno dei due fu così stolto da rischiare di perdere altri soldi quando non avevano una possibilità di vincere. Entrambi abbandonarono il gioco e mostrarono le loro carte. Due quattro, due sei e un tre Raghetti, un cinque due dieci un quattro e un due Robbery. Meno di zero.

Martin rilanciò ancora. Angela trasse un lungo sospiro per sostenere la sua piccola commedia e infine rilanciò anche lei. Martin la fissò un momento come per analizzarla. Stava per rilanciare nuovamente, ma cambiò idea all’ultimo. “Bene Miss, credo sia arrivato il momento di scoprire le carte anche per noi, non credi? Non c’è altro motivo per rimandare, a meno che tu sia cosciente di non potermi battere e cerchi semplicemente un pretesto per rinviare la sconfitta” parecchi risero.

Angela affilò lo sguardo, ma quando si pronunciò la sua voce era calma, anche se fredda come il ghiaccio. “Ma quanto siamo sicuri di sé, veramente io speravo solo di rimandare la figuraccia che stai per fare di fronte a tutta la ciurma. Non è mai piacevole umiliare una persona di una certa età, soprattutto se la mortificazione arriva da una persona parecchio più giovane, comprendi?”

Si elevò un coro di “ohh” e altre esclamazioni sghignazzate. Martin la fulminò con lo sguardo e lei per tutta risposta gli sorrise angelicamente.

“Invece di parlare perché non mi fai vedere che cos’hai in mano?”

“Prima tu”

“Come vuoi” e le mostrò fiero un poker di regine più un dieci nero.

Lei finse di sospirare e scosse la testa rassegnata. Martina allargò il sorriso. Sorriso che gli morì subito dopo quando vide il volto di Angela rialzarsi e sorridere trionfalmente. “Poker di re, gioia, spiacente”.

Martin rimase di sasso. Partì un coro di schiamazzi vari, chi incredulo, chi contento che la giovane avesse battuto il pirata.

Altri tre bucanieri si alzarono quasi in sincrono. “Vediamo se riesci a battere anche me” un uomo nerboruto le si piazzò di fronte e con violenza iniziò a mescolare il povero mazzo di carte. “Se proprio ci tieni…” rispose serafica lei per nulla intimorita.

Dopo cinque mani batté anche loro. Si susseguirono altre tre partite e quando vinse anche l’ultima si era ormai guadagnata l’ammirazione di tutti.

“Avete un talento innato Miss” Gibbs le si avvicinò con un sorriso reso ancora più gaio da qualche boccale di rhum di troppo. Angela gli sorrise allegra ringraziandolo.

. Jack le si avvicinò barcollando.

 

Ha bevuto troppo anche lui, mi sa.

“Complimenti, piccola, li hai stracciati!” si complimentò.

“Grazie, però non sembri sorpreso”

Jack la guardò fiero. “Sei una Sparrow, perché mi dovrebbe sorprendere? Il poker doveva per forza essere una delle tue doti innate”

Angela rise, e poi si guardò attorno. Proprio in quel momento Gibbs urlò“CIURMA! Un bell’urrà per la Reginetta del Poker, Miss Sparrow!” i pirati non se lo fecero ripetere due volte, probabilmente lieti di avere un’altra scusa per fare ancora più baccan. Ed Angela sentì che il primo passo era stato portato a termine con successo.

Era stata accettata.

 

“Siamo arrivati” la voce calda di Jack colse la ragazza alla sorpresa, sottraendola dai suoi pensieri. Le si avvicinò e con noncuranza le passò un braccio attorno alle spalle, mentre guardava verso la piccola città portuale che si accingevano a raggiungere.

Angela nascose la gioia che anche quel piccolo contatto le procurava. Era stata privata dell’amore paterno per diciassette anni e ora che lo aveva trovato le pareva vitale come l’aria. Ogni momento che poteva lo trascorreva accanto a lui ed ogni dimostrazione d’affetto era un regalo tanto agognato quanto inatteso da parerle immaginario.

“Non vedo l’ora di conoscere la signora Turner sai? È la sposa di un personaggio leggendario, accidenti!”

Jack sorrise. “Bhè, di certo è una donna imprevedibile, qualche tempo addietro non avrei mai creduto che si sarebbe calata nel ruolo della brava mogliettina, pareva troppo inadatto con la sua indole guerriera.” Aveva lo sguardo di chi sta rivivendo momenti passati anni addietro, e probabilmente era proprio così.

 

Chissà quante ne avranno passate lui, Will ed Elizabeth. Li invidio tantissimo, devono aver avuto una vita davvero eccitante…

 

“Le persone cambiano” azzardò Angela, nella speranza di far scendere il padre dalle nuvole.

Jack si riscosse. “Certo, certo, ma sono altrettanto sicuro che alcune persone non sanno resistere ai vecchi vizi quando il passato ti bussa alla porta. Comprendi?”

“Alla perfezione.” E si fecero l’occhiolino, complici e perfettamente in sintonia.


*

“Noi siamo pirati e ci piace perché…
la vita è fatta per noi!
Yo-oh yo-oh
la spada, il corvo, il mare…
I veri amici, di noi pirati, che…”

“Ancora quella canzone Dan? Non hai niente di meglio da fare che romperci i timpani?”
Dan alzò lo sguardo su un ragazzo grosso e grasso, e con un ego ancora più grande.
“Effettivamente, Lex, potrei sfidarti a duello e stracciarti. L’ultima volta ho vinto solo cinque volte su cinque e non ti ho nemmeno rotto il naso, potevo fare di meglio” lo provocò.
Lex storse il naso al ricordo. “Fortuna, solo quello. Ma continua pure a divertirti con le canzoncine” e si allontanò di qualche passo, riavvicinandosi ad altri otto ragazzi e cinque ragazze, all’incirca tutti della stessa età.

Saggia decisione, pensò il giovane. Tornò a rivolgere lo sguardo all’orizzonte, in una posizione privilegiata sotto le fronde di un albero posto in cima ad un promontorio a strapiombo sul mare. Non stava osservando niente di preciso, cercava solo un modo per estraniarsi dagli altri. Dieci minuti di pausa prima di ricalarsi nel ruolo di capo di quello sparuto gruppo di adolescenti dai quattordici ai diciotto anni che si dilettava a improvvisarsi pirati di una nave immaginaria. Lui, Daniel, era il capitano che guidava la Spada Rossa, la ciurma del porto di Fidelitas. Lui e i suoi combattevano contro la banda della città accanto, Lo Squalo. Tra le due ciurme era guerra aperta, e in diverse occasioni non avevano mancato di ricorrere alla spada per decidere chi era superiore a chi e quale capitano avesse giurisdizione su una determinata parte di territorio. Daniel era uno spadaccino eccellente, il migliore tra i suoi uomini e anche tra quelli avversari, motivo per cui era diventato capitano della banda di Fidelitas. Combatteva sempre in prima linea e non senza un certo orgoglio, soprattutto nei corpo a corpo, aveva sempre la meglio.

“Ehi, come mai quell’aria così pensierosa? Cosa occupa la tua mente?” una mano delicata gli accarezzò il volto e Denise si sedette accanto a lui appoggiando la sua testa sul suo collo.

È arrivata, strano che non si sia fatta avanti prima, questa è peggio di una piovra.

Provò semplicemente ad ignorarla, muovendo scocciato le spalle nella speranza di scrollarsela di dosso. La ragazza però non demorse, anzi, si strinse ancora di più a lui.

“Spero di non essere io a tenerti impegnata la mente, ultimamente ho notato che ti sei un po’ allontanato da me, se non sai cosa fare per rimediare lo sai che non ti devi preoccupare, basta che torni e per me sarà tutto come prima.” Aveva un tono così mieloso che poteva procurargli il diabete solo sentendolo.

Assurdo. Erano passati mesi da quando si erano lasciati, ma lei sembrava non aver ancora realizzato che la loro storia era finita.

Daniel decise che il silenzio con le piovre non serviva. Doveva risponderle, probabilmente male perché dubitava che sarebbe riuscito a trattenersi, ma qualcosa doveva dire. Ormai questa storia era durata anche troppo. Erano stati assieme un anno e mezzo, e lui non negava di averle voluto bene a suo tempo e di essere stato bene con lei. Ma adesso era conclusa. Per colpa di lei tra l’altro. Negli ultimi tempi passati assieme si era fatta incredibilmente appiccicosa, non lo lasciava respirare. Senza contare la gelosia spropositata che nutriva nei confronti di ogni essere di sesso femmina che si avvicinava a Daniel. Il rotto della cuffia era stata la scenata che gli aveva fatto davanti a tutti semplicemente perché l’aveva visto ridere in compagnia della figlia del panettiere. Da lì il giovane aveva detto basta. E non era intenzionato a tornare sulla sua decisione, nonostante gli innumerevoli tentativi di riconciliazione di lei. Anche perché dopo la rottura si era fatta ancora più appiccicosa e insistente di prima.
“Denise, non ricominciare, ne abbiamo già parlato, la nostra storia è finita, conclusa senza possibilità di tornare indietro. E ti assicuro che hai smesso parecchio tempo fa di occupare così tanto i miei pensieri, per me ora è un capitolo chiuso.”
Denise non fece una piega e tornò subito alla carica. “Non ci credo, un anno e mezzo non può essere dimenticato così facilmente, con tutti i bei momenti che abbiamo passato assieme. Eravamo la coppia più bella della città, lo devi ammettere, eravamo fatti l’uno per l’altra. E potremmo ancora esserlo, se solo tu…”
Daniel sospirò e si volse per guardarla dritto in faccia. “Hai detto bene, eravamo. Ora non lo siamo più, siamo cresciuti, siamo cambiati, bisogna andare avanti, non credi? Tu continui a rimanere aggrappata al passato e non ti rendi conto che non si può tornare indietro. Quel che è fatto è fatto, finita lì. Non nego che siamo stati bene, ma adesso si deve voltare pagina, se continui a provarci con me perdi solo tempo.” E se la scrollò con uno strattone dalla spalla tornando a fissare il mare. Stavolta la giovane non replicò, ma rimase in silenzio accanto a lui, come pietrificata. Dopo cinque minuti Daniel azzardò un sguardo di sottecchi verso Denise. Aveva rannicchiato le gambe al petto e guardava fisso davanti a sé con un’espressione contrita. Daniel si rimproverò. Non che non pensasse davvero quello che aveva detto, ma era stato troppo duro. In fin dei conti, anche se la ragazza era davvero una rottura di scatole, era semplicemente ancora innamorata. Cercò di rimediare.
“Ascolta Denise, io tengo ancora a te, ma come amica, quel tempo è finito. Perché non provi a cercarti un altro ragazzo? Uno che ti ami davvero e non uno che ti illudi che ti ami ancora? Davvero, prima passi oltre questa storia meglio è per tutti, tu per prima ti sentirai bene.” Aveva addolcito il tono della voce, e probabilmente fu quello più che le sue parole a convincere Denise ad alzare gli occhi verso di lui.
“Lo sapevo. Vedi che non riesci nemmeno a tenermi il broncio che già ti senti in colpa? È come ho detto io, ti piaccio ancora. Se hai semplicemente bisogno di un po’ di tempo basta chiedere. Io sono qui, aspetterò. Non metterci troppo però, mi raccomando” gli fece un sorriso radioso e un occhiolino. Dopodichè si alzò e se ne andò saltellando, senza dare al ragazzo la possibilità di replicare.

Certa gente è veramente incredibile, non si arrendono neppure quando sbattano la testa contro un muro di cinta. Povero me, che ho fatto di male per meritarmi ciò?

Si passò una mano sulla testa e si tolse il cappello da pirata. Appoggiò la testa contro il tronco dell’albero e chiuse gli occhi. Iniziò a contare. Dieci, nove, otto, sette, sei, cinque, quattro, tre, due, uno…

“Daniel! Hai intenzione di fare qualcosa oggi ho vuoi rimanere lì impalato tutto il giorno?” Era la voce di Peter, che scherzoso richiamava la sua attenzione.
“Lascialo perdere, oggi il nostro capitano è troppo impegnato con le sue canzoncine per dar retta a noi” Questo invece era Lex accompagnato dal suo tono scocciato e provocatorio.

Erano passati esattamente dieci minuti da quando si era seduto accanto all’albero, e dieci minuti era il tempo massimo che i ragazzi gli concedevano per rilassarsi, prima di aver nuovamente bisogno di lui. A volte gli sembravano dei bambini piccoli in cerca di una figura paterna. Loro erano ragazzi allo sbaraglio in cerca di una guida, e lui si era assunto la responsabilità di comandarli. Era il capitano, l’uomo che li aveva portati alla vittoria in più di una battaglia contro Lo Squalo e che li superava tutti come spadaccino.

Si alzò e si risistemò il cappello sulla testa. Con passo decise tornò dalla sua ciurma per poi rivolgersi a Lex.
“Tranquillo Lex, dato che evidentemente ti stai annoiando il tuo capitano lascerà le canzoncine da parte per sfidarti a duello. Dovresti essere contento, sfuggirai all’inattività e avrai un’occasione per dimostrare quando effettivamente le tue doti di combattimento non vanno sprecate in pomeriggi oziosi” lo invitò con tono canzonatorio.

Lex impallidì, ma gli altri ragazzi erano già eccitati all’idea di assistere ad un duello tanto che formarono subito un cerchio attorno ai due contendenti, come per delimitare il loro campo d’azione. Era raro che Daniel dovesse usare la spada contro uno dei suoi, nessuno era così pazzo da volere farsi umiliare pubblicamente. Ma in quel periodo Lex si stava prendendo troppe libertà. Era il più grande della compagnia, aveva compiuto diciott’anni il mese scorso ed era fermamente convinto che la nomina di capitano gli spettasse di diritto com’era stato prima che Daniel lo surclassasse. Daniel e Lex non si erano mai potuti soffrire e quando Daniel aveva compiuto quindici anni, il giovane non aveva esitato a sfidare Lex per il comando. Il duello era stato lungo e senza esclusione di colpi, ma alla fine Daniel lo aveva battuto divenendo capitano. Da allora non aveva più perso un duello, diventando un avversario imbattibile e la sua attitudine al comando gli aveva procurato il rispetto e l’approvazione della ciurma. Lex però non aveva mai mandato giù il rospo e dopo che aveva raggiunto i diciotto era diventato incredibilmente irritante. Evidentemente aveva bisogno di qualcuno che gli ricordasse perché non era più a capo della Spada Rossa, e Daniel non si sarebbe fatto pregare per indossare quel ruolo.

“Avanti, sfodera la spada” lo intimò, facendo altrettanto con la sua, una bellissima lama lucente che terminava con un’impugnatura ricordante le onde del mare grazie alle rifiniture in oro che la decoravano. La sua arma, la sua spada, la sua fedele compagnia. Gliela aveva regalata suo padre sette anni prima, e da allora non se ne era mai separato.
Quando anche Lex fu pronto per il duello, Daniel urlò “in guardia!” e la sfida ebbe inizio.

Lex aveva i riflessi lenti, una difesa inesistente e uno schema d’attacco prevedibile e quindi poco efficace. L’unico punto a suo favore era la forza. Colpiva sempre dall’alto, con lo scopo di sopraffare l’avversario grazie alla sua mole consistente. Daniel invece aveva un fisico più slanciato, ben proporzionato al suo metro e ottanta, ma non per questo era più debole. Giocava anche lui molto di forza, ma contava anche sull’agilità e una tecnica nettamente superiore a quella del ragazzo che gli stava di fronte.

Il duello era paragonabile ad una danza condotta da Daniel. Lex tentò subito un affondo che andò a vuoto. Daniel non si scompose neppure, si limitò a pararlo con la lama. Girarono attorno per qualche minuti studiandosi a vicenda, Daniel calmo e concentrato, Lex pieno di rabbia e smanioso di attaccare. Il tutto arricchito dalle urla di incoraggiamento degli altri ragazzi, che parteggiavano tutti per il loro capitano.
Lex decise di partire alla carica con un altro affondo, poi un altro e un altro ancora, nella speranza di fare arretrare il suo avversario. Dan li parò tutti o li schivò senza il minimo sforzo.
“Andiamo Lex puoi fare di meglio, ora sono io quello che si annoia.” Lo provocò con un sorriso sghembo.
Lex urlò e cercò di attaccarlo dall’alto, ma Daniel evitò la sua spada scartando di lato all’ultimo secondo. Più Lex si arrabbiava, meno i suoi colpi erano efficaci e precisi, e questo Daniel lo sapeva eccome. Per farlo adirare ancora di più tornò a cantare il motivetto di poco prima.
“Non è una gara canora, piantale di cincischiare e prova a fare un affondo invece!” gli sbraitò dietro Lex.
Daniel sorrise ancora di più. “Come vuoi” e velocissimo incominciò un attacco serrato. Il suo avversario iniziò ad arretrare, cedendo ai colpi sicuri e accurati di Daniel. “E dai, lo sai che non sto facendo nemmeno sul serio, non vorrai dirmi che veramente sei già stanco?” Fece altri due affondi che sfiorarono le gambe di Lex. Rise esclamando “Ora basta, mi sono divertito abbastanza” e con un’aggraziata manovra disarmò il rivale che cadde a terra come un sacco di patate. La Spada Rossa esplose in urla di approvazione. Daniel alzò la sua spada al cielo in segno di vittoria. Poi si rivolse verso Lex e gli pose la mano per aiutarlo ad alzarsi, come a sottolineare una grande magnanimità che in realtà non aveva.
Lex per tutta risposta si levò da terra da solo, rifiutando l’aiuto. “è stata solo fortuna, ricordatelo” sputò tra i denti, nero in volto.
“Certamente, come le altre trecentottanta mila volte, sono un ragazzo molto fortunato.” Lo canzonò. Un grido eccitato interruppe quel gentile scambio di battute.
“Ragazzi! Arriva una nave! Laggiù guardate!” Susan, una ragazzina di appena quattordici anni, indicava entusiasta l’orizzonte, catalizzando l’attenzione di tutti su di lei.
“Susy, ti rircondo che questo è un porto, ogni giorno arriva almeno una nave” commentò con calma Peter, guardandolo attonito.
Susan lo fulminò con lo sguardo. “Al posto di fare commenti stupidi guarda meglio l’orizzonte sapientone. Quel veliero è senza colori, vuol dire che è una nave pirata!” Quattordici teste scattarono in sincronia dalla giovane all’orizzonte.  “Caspita hai ragione!” esclamò sorpreso Peter.
“Oddio, non saranno venuti qui per depredarci, vero?” Denise si portò una mano alla bocca preoccupata. La paura prese il posto dell’eccitazione. Sin da quando erano bambini giocavano a fare i pirati, ma nessuno di loro provava simpatia per quella categoria. L’unico sentimento verso i bucanieri era la paura. Depredavano, saccheggiavano e uccidevano. Ciò era quello che veniva insegnato loro dai genitori e questo era quello che la Compagnia delle Indie ripeteva in continuazione.
Mormorii preoccupati si alzarono finché tutti non si rivolsero verso Daniel. “Capitano, che facciamo?” gli chiese Peter ansioso.
Ma Daniel era lontano anni luce con la mente. Il suo cuore aveva perso due battiti quando aveva scorto il veliero all’orizzonte, per poi iniziare una corsa sfrenata. Mille pensieri si erano accavallati l’un l’altro, lasciandolo stordito.
“Daniel, ehi Daniel sveglia! Non hai paura, accidenti!?” Peter lo strattonò per riportarlo con i piedi per terra.
Il giovane gli rivolse uno sguardo vacuo. Paura? E di cosa? “Perché dovrei averne?”
Peter lo squadrò incredulo. “I pirati, capitano! Stanno arrivando, dobbiamo avvertire la città!”
Daniel finalmente comprese. Loro avevano paura. Per quanto potesse sembrargli assurdo, loro li temevano. Ma d’altro canto, loro non potevano sapere quello che sapeva lui. Se non fosse preda di altri sentimenti, sarebbe scoppiato a ridere davanti a quelle facce tirate. Ma aveva altro da fare al momento.
“Andate a casa, ma non avvertite nessuno. Non vengono per depredare.” Disse velocemente. Doveva correre a casa anche lui, e in fretta. Ma quando si volse per andarsene, Peter lo trattenne per la giacca. “Cosa? Daniel, forse non ha i capito, stanno arrivando dei bracconieri per ridurre tutto a ferro e fuoco!” gli urlò.
“Sei tu che non capisci. Non sono qui per farci del male, fidatevi. Ora filate a casa, ci vediamo domani. E state tranquilli, non vi accadrà niente” Aggiunse poi rivolto agli altri. Con uno strattone si liberò della presa di Peter e iniziò a correre verso casa.

 Ad ogni passo una gioia selvaggia si impadroniva di lui, doveva assolutamente andare dalla madre a darle la notizia. Probabilmente sarebbe scoppiata dalla contentezza. Lui per primo si tratteneva a stento dall’urlare, felice come non mai. Erano passati tre anni dall’ultima volta, ma avrebbe riconosciuto quel veliero tra mille. Ormai temeva che si fosse dimenticato di loro!

In poco tempo raggiunse una casupola ai confini della periferia della cittadina. Si fiondò dentro sbattendo la porta in legno. “Madre!” gridò, ansimando per la corsa.
Sua madre, una bella donna sulla quarantina, era in cucina, intenta a preparare il pranzo, ma quando udì la voce del figlio si girò di scatto, preoccupata, agitando i capelli castano chiaro, lunghi e lisci.

“Daniel, che succede?” domandò avvicinandosi al ragazzo.

“Madre” ripeté Daniel, appoggiato alla parete, senza più fiato in corpo. Fece qualche respiro profondo per riprendersi. “Madre, sta arrivando al porto, non ci crederai ma l’ho vista con i miei occhi! È qui” tentò di spiegarsi.

Sua madre lo guardò confusa. “Dan, cosa stai dicendo? Chi è arrivato?”

Daniel le rivolse un sorriso a trentadue denti. “La Perla Nera” sussurrò e gli occhi di Elizabeth Turner brillarono di luce propria, prima di imboccare la porta e correre a perdifiato verso una parte piccola, ma incredibilmente importante, del suo passato.

   
 
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