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Autore: Arya Tata Montrose    16/09/2016    1 recensioni
Quando Black Star ha in mente qualcosa c'è sempre ben poco da fidarsi. Questa volta, però, nemmeno Tsubaki sospetta che abbia in cantiere una grande sorpresa.
Dal testo:
Fu quando Tsubaki gli strinse forte la mano, catturando la sua attenzione e guardandolo implorante che Black Star decise che la folla aveva goduto troppo della sua luce e che se ne potevano andare. Così, senza nemmeno degnare i suoi ammiratori di un saluto, trascinò fuori Tsubaki e, svelto, corse verso casa.
[...] Quando entrambi si furono rinfrescati ed erano ormai pronti per un pomeriggio di lettura e qualsiasi-altra-cosa-degna-di-un-dio, Black Star aveva stabilito piani del tutto diversi

‡‡‡
Una piccola TsuStar scritta per un amico. Spero apprezziate ❤︎
[TsuStar][One-shot][Post-manga senza particolari riferimenti]
Genere: Fluff, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Black Star, Tsubaki | Coppie: Black*Star/Tsubaki
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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 Love confessions  
(for dummies)




Ancora, le polveri del campo di battaglia non si erano dissipate che già la folla acclamava vincitore il proprio prediletto. La giuria, invece, rimaneva col fiato sospeso in attesa di declamare chi effettivamente avesse vinto quello scontro. Mezz’ora prima, Maka e Black Star si ergevano agli antipodi del campo stringendo le loro armi tra le mani e, quando il fischio d’inizio era risuonato per l’arena, erano scattati l’uno verso l’altro, alzando un polverone tale che la folla vedeva i contendenti a sprazzi, ora lì, ora qui, ora solo Maka, Tsubaki, Soul o Black Star. Per mezz’ora, il clangore del metallo si era propagato per l’arena, attirando schiamazzi e sospiri d’eccitazione per quello scontro da cui, una volta che la polvere si fu posata nuovamente al suolo, Black Star emerse vincitore, irradiato dalla luce rossa del sole morente.
 
Soul aiutò Maka a rialzarsi mentre Black Star, imperterrito, si concedeva alla folla adorante. Tsubaki, timida com’era, non poteva fare altro che tentare di nascondersi dietro il Meister, nonostante fosse pienamente cosciente di essere decisamente più alta di lui. Più che altro sperava che calamitasse tutta l’attenzione su di sé – e lontano da lei. 
Black Star, però, non parve dello stesso avviso della sua Weapon: «Sono magnifico! Sono forte come un dio!» urlò prima di attirarla accanto a sé e ricominciare ad urlare. Tsubaki lo guardò confusa, ma il ragazzo le strinse la mano e, in silenzio, le chiese di rimanere lì con lui mentre Soul aiutava Maka ad alzarsi e uscivano dall’arena.
 
Fu quando Tsubaki gli strinse forte la mano, catturando la sua attenzione e guardandolo implorante che Black Star decise che la folla aveva goduto troppo della sua luce e che se ne potevano andare. Così, senza nemmeno degnare i suoi ammiratori di un saluto, trascinò fuori Tsubaki e, svelto, corse verso casa.
«Beh, complimenti per la vittoria» fece la ragazza, sorridendo al compagno. Armeggiò qualche secondo con la vecchia serratura ammaccata – chissà per colpa di chi – prima di riuscire a sbloccarla e ad aprire la porta.
«Ma è anche merito tuo» borbottò Black Star subito dopo essersi congratulato con sé stesso – di nuovo.
Tsubaki ridacchiò e gli volse un cenno di ringraziamento: da qualche tempo sembrava che non ci fosse più solo lui e Tsubaki aveva accolto la novità con moltissima incredulità e sorpresa. Poi però ci aveva fatto l’abitudine, a questa nuova, strana – per lui – linea di pensiero e le si scaldava il cuore ogni volta che, borbottando o sottovoce o addirittura nel sonno la ringraziava, le attribuiva meriti o le faceva complimenti per qualsivoglia cosa.
 
Quando entrambi si furono rinfrescati ed erano ormai pronti per un pomeriggio di lettura e qualsiasi-altra-cosa-degna-di-un-dio, Black Star aveva stabilito piani del tutto diversi. 
«Dai, andiamo a fare un giro» decretò il ragazzo, col suo solito tono perentorio – ma facilmente ignorabile dai suoi amici. 
Tsubaki, infatti, espresse subito le sue rimostranze: «Ma abbiamo appena finito il torneo! Hai vinto, non vuoi riposarti un po’? E poi devo finire il libro che mi ha prestato Maka e-»
«No, no. 'Sta sera. Ora usciamo.» dichiarò ancora Black Star, più deciso del solito – perché quando Tsubaki diceva “no” era “no” e lui aveva imparato che doveva rispettare le sue decisioni. 
La ragazza, a quel punto, sentì puzza di bruciato: non era mai successo, dopo il primo mese che si conoscevano, che lui arrivasse ad imporle qualcosa di diverso dalla sua stravaganza. Decise quindi che l’avrebbe assecondato, davvero curiosa di scoprire che cosa mai bollisse nella pentola del suo Meister.
«Okay, okay. Fammi cambiare, almeno» sorrise, contenta di quelle piccole attenzioni che le riservava. Andò a cambiarsi, consapevole che lui avesse sentito solo il suo consenso perché, non appena finito di pronunciarlo, Black Star si era fiondato fuori dalla finestra. Tsubaki era stata davvero lungimirante a scegliere un appartamento al pianterreno.
Alle quattro, dunque, furono fuori di casa: Black Star girava per Death City un po’ a casaccio, entrando in negozi che secondo la sua tutt’altro che modesta opinione – e secondo quella molto più autorevole di Soul e quella ancora più autorevole di Maka – potessero piacerle e Tsubaki che, tutta sorridente e un po’ – ma nemmeno troppo, dopo un po’ ci si abitua – imbarazzata per le maniere del ragazzo, lo seguiva allegra e se lo teneva addirittura per mano, aiutata da lui che non la lasciava un solo attimo.
 
Tutto era andato esattamente come avevano previsto. Una volta che Black Star e Tsubaki si furono eclissati oltre l’angolo della strada, Maka e Soul poterono uscire allo scoperto.
«Questa è l’ultima volta che faccio un favore a quel cretino, giuro!» latrò Maka mentre usciva dal cassonetto, aiutata dal partner. 
«Ed è anche la volta buona che la paga con gli interessi.» borbottò il ragazzo, levandosi un mozzicone dai capelli. «Almeno è riuscito a fare le cose per bene, l’idiota.» commentò, constatando che la porta era casualmente aperta.
«Strano» fu la risposta di Maka. Schifata, si tolse il gilet, macchiato da qualcosa di appiccicoso. «Non sai quanto sono tentata di mandargli tutto all’aria»
«Anche io.»
«Eppure…» Maka iniziò la frase, lasciandola in sospeso appositamente.
«Eppure è nostro amico e fare gli amici stronzi è poco cool» completò infatti Soul nel mentre che entravano nell’appartamento. Era abbastanza spoglio, in stile giapponese, e il primo pensiero fu che fosse stata Tsubaki ad arredare. Nonostante lo stile molto minimalista, era accogliente. Soul, fatti tre passi nel salotto, inciampò e, se non fosse stato per Maka, sarebbe caduto a terra. L’artefice di quello scherzo era uno dei manubri di Black Star, abbandonato nel bel mezzo del pavimento. Soul represse un ringhio.
«Eh, mettiamoci al lavoro» sospirò Maka, rimettendo l’amico in piedi e cominciando a spostare quei maledetti manubri. Avevano promesso che sarebbe stato tutto perfetto.
 
Maka sussultò e si affrettò a raggiungere Soul nell’altra stanza. 
«Ohi! Sbrigati, sono qui. Hanno appena svoltato l’angolo.» lo informò, abbastanza trafelata. Recuperò le scarpe e se le infilò svelta, saltellando fino al bagno, dall’altra parte della casa. Soul si assicurò in fretta che fosse tutto in ordine e poi raggiunse Maka, che intanto si era sistemata le scarpe, e aprì la finestra, sgusciando fuori. La aspettò e poi si misero a correre verso casa. La chiave l’avrebbero ridata all’idiota il giorno dopo, a scuola.
 
Erano tornati a casa dopo circa quattro ore di vagabondaggio, carichi di pacchetti dal contenuto più variegato di una macedonia – si spaziava dagli abiti, ai videogiochi, ai libri, al cibo – e ridacchianti per il pomeriggio passato in un’allegria che, Tsubaki ammise, poteva essere portata solamente da Black Star. Nel momento in cui aprì la porta, Tsubaki per poco non rischiò di far cadere il risultato di quel pomeriggio passato per negozi.
Sgranò gli occhi, non credendo a quello che le mostravano. Per un secondo fu tentata di darsi un pizzicotto e di svegliarsi da quel bel sogno. Sì, sicuramente era un sogno: quel pomeriggio si era addormentata sul divano e stava fantasticando un po’ troppo; già quel pomeriggio era stato abbastanza sospetto.
Black Star masticò un’imprecazione, dovuta più che altro al fatto che, con suo sommo disappunto, non avrebbe saputo fare di meglio; se lo tenne per sé, ovviamente. Sia mai che qualcuno venisse a sapere che lui non sapesse fare qualcosa, nemmeno se quel qualcuno era Tsubaki.
«Allora, entri?» esclamò Black Star, riscuotendo entrambi da quello stato simile all’incanto. Poi si rimise a blaterare cose a caso, non troppo sicuro che la ragazza lo stesse ascoltando, ma non gli importava più di tanto: stava riempiendo quel silenzio che un po’ lo metteva in imbarazzo e tanto bastava.
Tsubaki, nel frattempo, osservava il salotto in muta contemplazione: come era possibile che fosse sgombro dai manubri e dai vestiti di Black Star, che le coperte fossero accuratamente ripiegate ed un delicato profumino permeasse la stanza? 
Tsubaki faticava davvero a credere a ciò che i suoi occhi le mostravano una volta che fu giunta sulla soglia della cucina: una tavola imbandita, apparecchiata di tutto punto, con la luce soffusa di due candelabri – così poco da Black Star – ad illuminare il tutto. Le venne spontaneo accennare un sorrisetto nella consapevolezza che non fosse esattamente tutta farina del sacco di Black Star, ma era davvero grata per tutto l’impegno che dimostrava.
Lui, in quel momento, era impegnato a controllare alternativamente le pentole e un bigliettino che, grazie a Shinigami, Maka si era premurata di lasciargli, con appuntate le istruzioni per le varie pietanze da completare e, soprattutto, come comportarsi in quella situazione.
Quando Black Star blaterò a voce non troppo bassa qualche improperio contro Maka e la sua scrittura tutta curve e svolazzi – incomprensibile solo a detta sua, perché Soul e i professori la adoravano – Tsubaki non poté fare a meno di ridacchiare portandosi una mano alla bocca, come a voler sopprimere quella lieve risata. 
Era ancora ferma sulla soglia della cucina a guardarlo imprecare un po’ a mezza voce ed un po’ ad urla represse a metà.
«Siediti» fece lui, brusco, voltandosi un po’ stizzito da quei risolini – non poteva pensare che lei si stesse prendendo gioco di lui, nemmeno per un secondo. Buttò rapido un occhio al bigliettino vergato dalla calligrafia di Maka e aggiunse un «su» con tono un po’ meno convinto. 
Non buttava quel dannato foglietto solamente perché c’era scritto come fare con la cena e lui, in tutta onestà ed in un momento in cui era disposto a cacciare un po’ l’orgoglio per far contenta Tsubaki, non aveva idea di come fare senza. La cosa non gli andava completamente a genio, ma per il momento, per lei, si era deciso a ingoiare il rospo.
 
La ragazza, intanto, aveva seguito il “consiglio” del suo Meister e si era seduta ad un capo della tavola. Lo osservava rapita mentre lui si dava da fare in un ambito in cui non l’aveva mai visto fare altro che disastri. Lo osservava curiosa e reprimeva la voglia di chiedergli se avesse bisogno di aiuto. Per un attimo, la povera Tsubaki temette per il suo stomaco, ma era certa che in quelle pentole ci fosse lo zampino di Soul – e poi Black Star si era impegnato e aveva ingoiato buona parte del suo orgoglio, avrebbe mangiato con gusto, anche se l’avrebbe costretta a frequenti ritirate in bagno. 
 
«Allora! Osservi il sublime me nell’arte dei fornelli?» sbraitò Black Star, voltato verso di lei e riscuotendola dalle proprie riflessioni. Le rivolse un sorrisone talmente largo che non seppe dire se i denti fossero solo trentadue – benché negli anni avesse avuto modo di contarli – ma lei fu ben contenta di sorridere ed annuire.
«Ah-ha! Lo sapevo! Non si può resistere al mio fascino divino.» esclamò Black Star, saltando e rischiando di rovesciare le pentole. La sua velocità fu provvidenziale e riuscì a prenderle tutte in tempo. Tsubaki riprese a respirare. 
«Già» esalò. Fece una breve pausa, non del tutto persuasa che chiedergli il motivo di tutta quella situazione fosse una cosa intelligente. L’avrebbe mandato in panico e avrebbe mandato tutto a rotoli – e quel tutto era così perfetto che Tsubaki non voleva nemmeno pensare alla possibilità di rovinarlo. Quindi se ne stette zitta a guardarlo spignattare tutta allegra e sorridente con una luce negli occhi che la diceva davvero troppo lunga – anche se Black Star aveva dovuto essere preso a calci da Maka, furente, per notarlo.
 
«È pronto!» annunciò Black Star con entusiasmo, allungando all’estremo le “o” della parola. Con l’azione meno delicata possibile al mondo, piantò la pentola in tavola, dove Tsubaki si era premurata di infilare, anche se all’ultimo secondo, una presina, così da non rovinare il tavolo con il calore della pentola.
Lui, forse per orgoglio, forse perché davvero non aveva notato nulla, fece finta di niente e prese ad annunciare il nome del piatto che stava per servirle. Ovviamente decifrando la scrittura di Maka. «S- sputato di nanso» borbottò prima, realizzando che era una gran fesseria: che diavolo era lo sputato? E, soprattutto, che razza di parola era nanso?
«Stufato di manzo?» azzardò Tsubaki, con il dito indice alzato, a mo’ di permesso. Black Star, ancora al lato del tavolo, tra esso e i fornelli, con il biglietto in mano, decise che era la soluzione più ovvia e sensata a quella specie di rompicapo calligrafico e annuì, sicuro. 
Tsubaki, ancora, ridacchiò con una mano dinnanzi alla bocca e attese che Black Star si sedesse di fronte a lei – apprezzò particolarmente l’abnorme sforzo che gli costava starsene seduto con un minimo di compostezza.
Ovviamente s’era scordato di servire in tavola, quindi, ridendo sguaiatamente, si rialzò e servì il piatto, tornandosene quindi alla sua scomoda sedia. 
La fissava attentamente per cogliere il momento esatto in cui avrebbe assaggiato il boccone. Voleva capire se calpestare così tanto il suo orgoglio da chiedere a Soul aiuto – che per conto suo aveva chiesto a Maka – fosse servito a qualcosa.
 
 
«Black Star?» chiamò Tsubaki mentre il ragazzo finiva di spazzolare il dessert. Ancora il dubbio la tormentava – più o meno, perché qualcosa era certa di aver intuito; era tutto troppo sospetto.
«Che c’è? Non ti è piaciuta la cena?» fece lui, a bocca piena e rischiando di sputare la pallina di profiterole che aveva in bocca. Se così fosse stato, sarebbe partito in quarta per andare a prendere a calci sia Soul che Maka per avergli fatto fare la figura del demente – come se non lo facesse già abbastanza da solo.
«Ehm… no, la cena era favolosa, era tutto buonissimo.» lo rassicurò la ragazza, che già temeva reazioni alquanto violente e folli. Agitava le mani aperte davanti a sé, cercando di risultare più convincente – almeno un po’. «Solo… perché hai organizzato tutto questo?»
Le urla sconclusionate di Black Star si fermarono e nella casa piombò un silenzio che era diventato innaturale dal momento in cui Black Star e Tsubaki vi avevano messo piede per la prima volta.
Osservarla ad occhi sgranati e con evidente sorpresa era la versione di Black Star del “fingere nonchalance come se tutto questo fosse stato puramente casuale” di qualsiasi persona normale con un minimo di dignità. Ovviamente, poi, resosi conto dell’errore madornale tentò, completamente a vuoto, di dissimulare, come se tutto quello fosse stato realmente una pura e fortuita casualità – perché una cena di prima classe con ricette astruse da gente nobile si materializzava in casa per puro caso, certo.
Per qualche secondo, scese un inevitabile ed imbarazzantissimo silenzio, nel quale entrambi facevano del loro meglio per evitare lo sguardo dell’altro. Black Star faceva saettare gli occhi dalle pentole, ai piatti vuoti e lustri, alle mani in fervida attività di Tsubaki, che d’improvviso aveva trovato un non so che di artistico nei muri bianchi ed un po’ scrostati della cucina, torturandosi le mani. 
Ovviamente, fu tutto vano perché “quando due cercano di evitarsi, funziona un po’ come due che si cercano, ma al contrario” – come si evince dal racconto di Black Star a Soul, il giorno dopo – ed i loro sguardi finirono per incontrarsi. Fu come se si fossero incatenati perché furono incapaci, ora, di distogliere gli occhi da quelli dell’altro. 
 
Black Star, quella domanda, non se l’aspettava. O meglio, sì, se l’aspettava, ma certo non così presto – nelle sue fantasie, peraltro, finivano prima a fare sesso e per questo si era beccato un calcio nel sedere da Soul, prima che potesse agire Maka, che gli diceva che lui sapeva meglio di lei che non sarebbe mai successo, nemmeno per sbaglio. Per questo si mise a ridere sguaiatamente, all’improvviso, chiudendo gli occhi e spezzando il contatto visivo. Tsubaki, per contro, ridacchiò nervosa. Aveva capito che anche nella risata di lui c’era una nota di nervosismo, ma aveva paura di rinnovare la domanda.
Poi, di colpo come era cominciata, anche la risata di Black Star si esaurì assieme a quella di Tsubaki e ripresero a guardarsi con volti seri e un po’ indagatori, curiosi. 
«Forse un motivo c’è» biascicò Black Star – il che non era assolutamente da lui.
Tsubaki fece per chiamarlo flebile, quando lui esplose di nuovo: «Ovvio che c’è un motivo! Gli dei non fanno nulla a caso!» urlò, alzandosi in piedi sulla sedia. Fu così veloce che Tsubaki quasi non l’aveva visto farlo.  
Black Star rivolse lo sguardo a Tsubaki che lo osservava a sua volta, bramosa di conoscere quel motivo. Per un attimo fu indeciso se tentare la strada del “perché mi andava”, pur essendo ben conscio che non si sarebbe mai fatta bastare una risposta così blanda e vaga. Incrociò le braccia al petto e voltò lo sguardo come un bambino offeso: «Perché ti dovevo chiedere una cosa» borbottò. 
Tutto ciò che ottenne fu una Tsubaki molto più attenta, che si sporgeva verso di lui col viso alzato per poter incontrare il suo sguardo. Tutto negli occhi della ragazza lo implorava di continuare, di esprimere quella richiesta, senza che però lei avesse il coraggio di parlare. Tsubaki sentiva un nodo alla gola e fremeva dalla voglia di sapere quale fosse il motivo che aveva spinto Black Star ad organizzare addirittura una cena – che lei avrebbe definito pure romantica ma non si voleva sbilanciare troppo – per chiederle qualcosa.
Black Star sbuffò sonoramente: era stufo di tutta quell’attesa e di tutto quel silenzio. «Beh» fece, richiamando l’attenzione su di sé più di quando già non fosse. 
 
«Il motivo è che mi piaci e che volevo fare qualcosa per te, ecco.» I giri di parole, decisamente, non facevano per lui e si sentì come liberato quando buttò fuori la motivazione. Tsubaki invece lo osservava, ancora incapace di registrare la notizia.
«E volevo chiederti se anche io ti piaccio in quel senso. Ma è ovvio, no? Io sono un dio, ti piaccio, vero?» sbraitò, tutto contento.
La sua espressione sembrò mutare verso una più cauta incertezza quando, non udendo risposta, aveva aperto gli occhi e l’aveva vista guardarlo con occhi sgranati e la bocca che era ad un passo dallo spalancarsi. «Vero?» chiese, un pochino spaventato all’idea che potesse essere in errore. Sarebbe stato terribilmente imbarazzante e, soprattutto, ci sarebbe stata la delusione di non essere ricambiato dalla persona che amava, la più importante per lui, che prima che essere la sua stupenda compagna e Weapon era la divina Tsubaki – no, mai ad alta voce avrebbe ammesso di aver pensato una cosa del genere. 
 
Tsubaki, di contro, ancora non riusciva a crederci: sul serio tutte quelle supposizioni erano giuste? Davvero non stava sognando? Perché se stava sognando non voleva davvero svegliarsi, tutto ciò era troppo bello. Per questo la sua risposta fu così flebile che anche Black Star temette di star sognando: «Vero.», esalò.
Il ragazzo si disse che se era un sogno, tanto valeva. Scrollò le spalle e, fregandosene altamente della tovaglia bianca, dei piatti e dei bicchieri, camminò sul tavolo fino a raggiungerla e si accovacciò per arrivare a portata del suo volto. Sfoderò il suo miglior sorriso, al quale Tsubaki rispose con uno lieve, appena accennato ed incredulo. Poi il sorriso di Black Star assunse una sfumatura strana e, prima che Tsubaki potesse dire o fare alcunché, si ritrovò a sfiorare con le labbra quelle di Black Star. A lui doveva decisamente sembrare un sogno, perché dopo quel leggero contatto fu Tsubaki a prendere l’iniziativa e a baciarlo davvero, in un contatto umido, lungo, fatto solo di attimi in cui tutto fuorché loro due era diventato nulla, privo di qualsivoglia importanza o consistenza. C’erano solo loro, in quel bellissimo sogno, solo loro e il loro bacio.
 
La risata sguaiata di Black Star squarciò l’aria fresca del mattino e attirò a lui gli sguardi spenti, stanchi e irosi dei compagni di scuola che si stavano radunando nell’ingresso della Shibusen. Da parte di Maka e Soul ricevette semplicemente un’occhiataccia prima del consueto saluto.
Tsubaki, accanto a Black Star, salutò gli amici con molta meno irruenza. 
«Allora?» chiese Soul, sbadigliando.
«Tutto perfetto!» sbraitò ancora Black Star, prima di aggiungere, in tono più cospiratorio e confidenziale: «Anche se all’inizio credevo che mi aveste infilato nel piatto roba strana, tipo quelle polverine che una volta hanno fatto dare di matto il signor Free.» 
Per la seconda volta, prima che fosse Maka ad ammazzarlo, ci pensò Soul con un pugno sulla testa.
«Grazie» fece Maka, soprassedendo agli improperi di Black Star e passando poi la sua attenzione a Tsubaki. «Quindi si può dire che stiate insieme, no?» 
Tsubaki ridacchiò, contenta. «Sì, direi proprio di sì» sorrise.
«Ah-ha!» sbraitò Black Star, all’improvviso, puntando il dito contro Maka e con espressione di sfida. «Chi è che non se lo prende nessuno? L’ultimo a trovarsi una ragazza, se mai se la trovasse?!» la scimmiottò, convinto di vendicarsi di tutte le frasi del genere che la Albarn gli aveva rifilato negli anni.
Al contrario di quanto si aspettasse, Maka sfoderò un sorriso compiaciuto e Soul la prese a braccetto: «Tu».












 
Angolo autrice (che ha scoperto di adorare queste virgolette)
Comunque, dopo mesi che un mio amico me l'aveva chiesta, ecco che riesco a pubblicare la mia primissima TsuStar (e la prima storia vagamente seria in questo fandom, preparatevi ad un'altra delle mie scemate). E che dire? È stato praticamente un parto però tutto sommato ne sono orgogliosa. Non so se sia stato più difficile scrivere tutta la storia o trovarci un titolo decente, davvero, perchè io e i titoli ci facciamo la guerra. Come io e l'OOC. E io e la non-grammatica. E io e me stessa.
Non saprei che altro dire, se non sperare che piaccia a voi e a Francesco, il mio amico :3
Grazie a tutti per avere letto, davvero.
A presto nei vostri peggiori incubi
Tata❤︎
   
 
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