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Autore: ChiiCat92    19/09/2016    0 recensioni
"Dopo una tempesta particolarmente violenta una miriade di oggetti si depositava sul fondo. I più grossi, ingombranti e pesanti – pezzi di imbarcazioni, mobilia, casse, cadaveri gonfi, eliche di metallo – diventavano velocemente un brulichio di piccole mani incuriosite e voraci: smontati e rimontati, spogliati, sventrati, sparivano nel giro di poche ore.
Ma gli oggetti più preziosi, quelli piccoli, luccicanti, di valore, andavano a infilarsi nelle fenditure tra gli scogli, in mezzo agli alberi vivi della barriera corallina, negli anfratti scuri abitati dalle murene, ed erano gli oggetti che più valeva la pena di possedere.
Quando succedeva tutto si illuminava a festa. Si poteva banchettare per una settimana con i resti di una nave affondata.
Mentre i rifiuti di più comune reperibilità si accumulavano perdendo valore, quelli più rari accendevano ingordigia e vanità.
Avrebbero fatto di tutto pur di impossessarsi di qualcosa di umano."
[Renaj] - [con la partecipazione di Ansem, Kingdom Hearts]
Genere: Avventura, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Kadaj, Reno
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun gioco
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11/09/2016

 

Poor, unfortunate Soul

 

Dopo una tempesta particolarmente violenta una miriade di oggetti si depositava sul fondo. I più grossi, ingombranti e pesanti – pezzi di imbarcazioni, mobilia, casse, cadaveri gonfi, eliche di metallo – diventavano velocemente un brulichio di piccole mani incuriosite e voraci: smontati e rimontati, spogliati, sventrati, sparivano nel giro di poche ore.

Ma gli oggetti più preziosi, quelli piccoli, luccicanti, di valore, andavano a infilarsi nelle fenditure tra gli scogli, in mezzo agli alberi vivi della barriera corallina, negli anfratti scuri abitati dalle murene, ed erano gli oggetti che più valeva la pena di possedere.

Quando succedeva tutto si illuminava a festa. Si poteva banchettare per una settimana con i resti di una nave affondata.

Mentre i rifiuti di più comune reperibilità si accumulavano perdendo valore, quelli più rari accendevano ingordigia e vanità.

Avrebbero fatto di tutto pur di impossessarsi di qualcosa di umano.

 

In alto la superficie dell'oceano tornava ad appiattirsi, negando a se stessa la violenza di poche ore prima.

Il fondale era una confusioni di voci e colori, di pinne sottili e morbide come veli, e oggetti che passavano da una mano all'altra prima di essere portati via o lasciati sulla sabbia bianca.

Alzando lo sguardo si intravedevano ancora i resti della nave appena affondata, illuminati pigramente dalla luce del sole che raggiungeva a stento il fondo.

Tavole di legno, brandelli di vela, barili: tutto ciò che poteva galleggiare era come nuvole in quel cielo liquido, ondulato dal lento movimento delle correnti.

Lui se ne stava pigramente sdraiato su uno scoglio piatto, una mano ad accarezzare un ciuffo d'alga verde. Pesciolini colorati si avvicinavano quando smetteva di muovere le dita, per poi schizzare via impauriti al minimo movimento.

Partecipare all'euforia collettiva non gli interessava, ma gli piaceva stare a guardare come i suoi simili banchettavano con ciò che un tempo doveva essere bellissimo.

Gli umani erano degli stolti se pensavano che una misera imbarcazione di legno potesse reggere la furia dell'oceano, eppure perseveravano.

Alcuni dei cadaveri dei marinai fluttuavano nell'acqua, non ancora abbastanza pregni per cadere verso il fondo, altri invece erano già stati il centro dell'attenzione dei suoi simili: brandelli di sangue e carne avevano attirato gli squali, ma si tenevano alla larga per il momento, aspettando un momento migliore.

Conoscevano bene la gerarchia degli abissi.

Un sinuoso spostamento e un fruscio di pinne leggere gli fece voltare la testa di scatto.

Un sorriso si aprì sul piccolo visetto pallido quando il fratello si accoccolò a fianco a lui, la pinna che andò subito ad intrecciarsi alla sua.

Fatta di morbidi veli all'apparenza non in grado di dargli la spinta necessaria per nuotare, come gli inutili, immobili tentacoli di una medusa, era di un meraviglioso rosa corallo, con mille sfumature, dal rosso intenso all'arancio, e malgrado la sua delicata eleganza i muscoli caudali guizzanti lo rendevano un nuotatore veloce e letale.

« Non partecipi? »

La sua voce era adeguata alle sue apparenze, delicata ma profonda ammaliava inevitabilmente, e rendeva impossibile distogliere lo sguardo dalla perfezione delle sue labbra.

Yazoo era davvero la perla più bella dell'oceano. Ma come una perla era bello quanto freddo, un gioiello da mostrare appuntato al petto e nulla più.

« No, c'è troppa ressa. »

Non che lui fosse da meno, non che la sua giovane e ingenua bellezza non facesse nascere l'impellente desiderio di amarlo nel cuore di chiunque posasse lo sguardo su di lui.

Piccolo, una miniatura provvista di minuziosi dettagli, Kadaj era oggetto di pensieri e parole. Bastava la sua presenza per far vibrare l'acqua, bastavano i riflessi verde smeraldo della sua piccola, flessuosa coda per far voltare tritoni e sirene, bastava che si intristisse perché tutto l'oceano cercasse di far tornare il sorriso sulle sue labbra.

« Credevo ti piacessero le cose degli umani. »

Ribatté, quasi deluso, il fratello. La chioma d'argento fluttuava nell'acqua catturando la poca luce che giungeva dalla superficie. Conchiglie e pezzi di corallo erano intrecciati tra le ciocche. Sembrava aver imprigionato l'oceano tra i capelli.

« Mi piacciono. » fu il mormorio dolce di Kadaj. Gli occhi verde intenso, si poggiarono su quelli identici del fratello, mentre il suo corpicino andò a combaciare contro quello di lui. Le dita andarono ad accarezzargli il petto, delicatamente. « Però mi piacciono quelle preziose. » Yazoo conosceva bene il piccolo sorriso malizioso che si aprì sulle sue labbra. « E non ne ho vista neanche una oggi che valesse la pena. »

« Neanche una? » nel piegare di lato la testa i capelli seguirono il movimento andando a coprirli come una morbida tenda argentea per un attimo. « Possibile? Niente che abbia attratto la tua attenzione? »

« Forse...forse una sì. »

Le labbra di Kadaj raggiunsero quelle del fratello in un istante. Godette della loro morbida consistenza con gli occhi socchiusi prima di ritrarsi.

La risata, bassa, flautata, divertita che Yazoo gli rivolse, insieme con un'espressione deliziata, era qualcosa che regalava a lui e a lui soltanto.

Un privilegio di cui nessun altro poteva vantarsi.

Kadaj andò ad accoccolare la testolina dai corti capelli argento sul suo petto, cercando la sua solita, comoda posizione.

Sentiva il lento filtrare dell'acqua nelle branchie del fratello, sentiva come l'acqua diventava ossigeno, lo sentiva vivere.

La mano di Yazoo andò ad accarezzare le ribelli ciocche del minore nel tentativo di dargli una forma. Intrecciati tra i fili d'argento aveva piccole stelle marine e minuscoli sassi lucidi e brillanti come vetro.

« Dovremmo rientrare adesso. »

« Ci pensi mai alla superficie? »

Yazoo aggrottò le sopracciglia alla domanda, appena appena, perché la sua bellezza di perla non gli permetteva di accigliarsi troppo.

« No. »

« Io sì. »

Lo sguardo languido di Kadaj si spostò verso l'alto, verso il cerchio rotondo del sole così lontano e distante da non poter essere toccato.

« Dalla superficie arrivano solo rifiuti e sporcizia. »

« Ma anche tesori. »

« Non ci sono tesori in superficie che potrebbero eguagliare quello che abbiamo qui. » dai capelli la sua mano si spostò sul suo visetto, per tirarlo a sé e poterlo guardare negli occhi. « Non c'è niente di davvero prezioso in superficie, Kadaj. »

« E se ci fosse? »

Il suo fu un mormorio sommesso, come timoroso di poter essere sentito.

« Se ci fosse » fu la risposta divertita di Yazoo. « sicuramente tu lo troveresti e lo prenderesti. »

 

Tra le pieghe tremolanti della notte le meduse e i pesci fosforescenti illuminavano l'acqua, punteggiandola di lucette intermittenti di svariate forme e dimensioni.

Kadaj osservava lo spettacolo con occhi sgranati.

Le pareti della sua stanza, scolpite a mano nella roccia e levigate fino a diventare uno specchio, riflettevano le luci in un'infinita girandola luminosa che era un piacere guardare.

Tutto intorno a lui era silenzioso e quieto. Gli abitanti del palazzo erano sprofondati nel sonno della notte.

Nessuno si sarebbe accorto di lui.

Nuotò lentamente verso la piccola finestra rotonda. Prima il busto, poi la pinna, uscì fuori.

Un branco di pesciolini azzurri gli passò accanto, aprendosi al centro e superandolo.

I pesci non dormivano, mai.

Il palazzo – tutto scolpito nella dura pietra – ospitava la famiglia reale, mentre un agglomerato di rotonde abitazioni sbozzate ai suoi piedi costituivano le abitazioni dei cittadini.

L'acqua, a quell'ora della notte, era più fredda sul fondo. Le branchie ebbero un fremito, era un piacere da respirare.

Alzò lo sguardo verso l'alto, verso la superficie, e cominciò a nuotare. Il movimento dei muscoli, il fluire dell'acqua sul viso, il respiro che si faceva ansante.

Pian piano il palazzo si fece lontano, un punto più scuro sul fondale, inconfondibile dal resto delle rocce e dei coralli. Nessuno avrebbe potuto trovarlo senza sapere dove cercare.

La superficie era vicina, tanto vicina che Kadaj lo sentì sulla pelle. Ma le dita tese verso l'alto si bloccarono prima di emergere.

Rimase così, sospeso a pochi centimetri dalla meta. Non gli era mai sembrato così vicino, così a portata di mano. La luna, che ora poteva vedere anche se traballante attraverso il velo dell'acqua, occhieggiava tra le nuvole. Il cielo si trascinava dietro i rimasugli della tempesta.

Lentamente sollevò di più il braccio, e la mano ruppe la superficie dell'acqua. Un brivido freddo percorse il suo corpicino e dovette ritrarla.

Fuori era freddo, lo dimenticava spesso.

Non era la prima volta che si avventurava così lontano da casa, e non sarebbe stata l'ultima.

Una curiosità morbosa lo spingeva quasi tutte le notte a nuotare verso la superficie. Ma non aveva mai avuto il coraggio di far emergere più di una mano.

Non c'era acqua là fuori, lo sapeva bene, e il suo corpo non era fatto per respirare dove non c'era acqua. Poteva essere pericoloso.

Ma il pericolo lo esaltava.

Prese un profondo respiro e con un colpo di pinna fu fuori.

I capelli pesanti d'acqua gli si appiccicarono sul viso e con una mano provò distrattamente a togliergli dagli occhi.

L'aria era fredda ma piacevole sulla pelle bagnata, e quasi si dispiacque di non poterla respirare.

La corrente aveva portato lontano i resti della nave naufragata. Non era rimasto nulla e una smorfia contrasse il suo bel visino.

Ma le stelle sopra di lui erano uno spettacolo mozzafiato, ben più affascinante dei branchi di pesci fluorescenti nelle profondità.

Desiderò poter possedere una di quelle luci. Come sarebbero stati invidiosi di lui se avesse portato tra i capelli una di quei luminosi, piccoli punti cuciti nel tessuto del cielo. Per questo tornò a immergersi. Nuotò verso il basso con un paio di forti pinnate, poi si volse e nuotò a tutta velocità verso l'alto. La spinta lo fece saltare fuori dall'acqua di un paio di metri almeno, e le sue manine si tesero smaniose verso le stelle, ma poi, inevitabilmente, cadde.

Snervato, provò nuotando più in basso per darsi più spinta, ma il risultato non cambiò, lasciandolo con un senso di frustrazione e con le labbra piegate all'ingiù.

Forse aveva ragione Yazoo quando diceva che non c'era niente di davvero prezioso in superficie. Se ci fosse stato non sarebbe stato così irraggiungibile.

Stava per tornarsene al palazzo, arrabbiato e irritato, quando sentì un mugolio, un verso, un lamento forse.

Per istinto, più che per paura, immerse la testa fino agli occhi, occhi dalla pupilla così sottile da essere invisibile.

Il buio non gli permetteva di vedere nulla e il mugolio...

Lo sentì di nuovo e si immerse di più, ora spaventato. Lo sciabordio di acqua in movimento attirò la sua attenzione in un punto preciso, scuro.

C'era qualcosa che galleggiava sull'acqua.

Si immerse del tutto, gli occhi fissi in quella direzione, e nuotò piano, cercando di non smuovere troppo l'acqua, muovendo solo le piccole braccia.

Presto gli fu chiara la fonte del mugolio.

Gambe molli, stanche, pendevano da un corpo aggrappato ad un pezzo di legno lasciato alla deriva.

Gli occhi si sgranarono e le mani andarono a coprire la bocca come per trattenere un'esclamazione.

Un essere umano. Un essere umano ancora vivo.

Non ne aveva mai visto uno. Quelli che arrivavano sul fondo erano tutti morti, ridotti a brandelli dagli squali o dai suoi simili, inutili come i tanti pezzi di barche che si adagiavano sulla sabbia.

Ma questo...questo era vivo, vivo e prezioso.

Provò a toccargli una gamba, e quello scalciò lanciando un gridolino spaventato. Kadaj trovò divertente il suo inutile tentativo di raccogliere tutto il suo corpo sul piccolo pezzo di legno che lo teneva a galla a malapena.

Lo toccò di nuovo e stavolta i calci si fecero più violenti, disperati, come se sperasse di colpire e uccidere la cosa che lo stava toccando.

Con una risatina lo afferrò per la caviglia e lo tirò giù.

L'umano si dimenò mentre le manine di Kadaj gli prendevano il viso.

Non appena i loro occhi si incontrarono, lui smise di agitarsi.

I suoi occhi erano blu, blu come il mare quieto del mattino, e i capelli che fluttuavano nell'acqua erano rossi come un corallo giovane, appena sbocciato.

Ben presto gli mancò l'aria e cercò di guadagnare la superficie, ma se la stretta di Kadaj gli impedì qualsiasi movimento. Anche perché la sua squamosa coda era andata ad attorcigliarsi intorno alle gambe.

Divenne paonazzo e Kadaj lo guardò soffocare lentamente, lentamente. Affogare a pochi centimetri dall'aria.

Lo trovò affascinante, qualcosa che attirava completamente la sua attenzione.

Almeno finché non lo sentì.

Tu tum, tu tum, tu tum.

Contro le dita, il battito di qualcosa che gli era sconosciuto, che vibrava prepotente appena sotto la pelle bianca dell'umano.

Tu tum, tu tum, tu tum.

Non aveva mai sentito un suono del genere.

Era fastidioso e insieme meraviglioso.

Tu tum, tu tum, tu tum.

Il petto, proveniva dal petto, proprio lì, al centro.

Seppe che non poteva lasciarlo annegare, non se prima non avesse scoperto cos'aveva nel petto, cos'era a provocare quel suono ritmato, quel suono delizioso.

Lo spinse verso l'alto e lui prese un'enorme boccata d'aria, prima di collassare, svenuto, contro la tavola di legno che l'aveva tenuto a galla fino a quel momento.

Doveva portarlo dove potevano respirare entrambi. Doveva portarlo dove poteva toccarlo, studiarlo, capirlo.

Gli passò un braccio intorno alla vita, mentre con la mano dell'altra afferrò la tavola. E cominciò a nuotare.

 

Anche con gli occhi chiusi poteva sentire il calore del sole sul viso, la sabbia morbida gli solleticava la pelle, e il mare che gli lambiva i piedi.

Poteva sentire di essere vivo.

Lentamente mosse gli arti, come per testarne la funzionalità.

Tutto sembrava essere dove doveva.

Allora sollevò le palpebre, incollate dal sale e pesanti per la stanchezza.

La spiaggia bianca su cui si trovava sdraiato sembrava non avere fine. Si srotolava fin dove poteva vedere, e rifletteva il sole in maniera quasi dolorosa.

Respirò a fondo l'aria salmastra e cercò di ricordare cosa fosse successo, come era arrivato lì, come poteva essersi salvato.

La nave su cui si trovava era stata investita da una brutta tempesta che l'aveva fatta colare a picco. Era quasi sicuro che tutti i suoi compagni fossero morti ancora prima di vederli sprofondare verso il basso, trascinati dalle vele zuppe d'acqua o colpiti in pieno dall'albero maestro.

Le onde erano ancora alte come case quando lui era riemerso, aggrappandosi disperatamente ad una tavola di legno.

Da lì in poi i suoi ricordi si facevano confusi.

Era rimasto avvinghiato alla tavola per tutta la durata della tempesta, finché qualsiasi traccia della nave era sparita, finché il sole non era tramontato, finché la luna non aveva preso il suo posto, finché il mare non era tornato ad essere piatto e calmo, rigonfio di morti.

Poi?

Non ne era sicuro.

Ad un certo punto doveva essersi addormentato, anche se era stato un sonno leggero, agitato, per nulla riposante, che lo faceva svegliare di soprassalto e aggrappare di più a quel pezzo di legno. Ormai aveva le mani così doloranti che non era sicuro di poter continuare a lungo.

Proprio quando si era detto che, tanto, sarebbe morto comunque di fame e di sete, e che era comunque meglio annegare che consumarsi sotto il sole finché di lui non fosse rimasto che uno corpo prosciugato da ogni fluido, aveva sentito qualcosa toccargli le gambe.

Per qualche ragione essere divorato da una qualche creatura marina l'aveva terrorizzato a tal punto da tentare inutilmente di difendersi.

Perché, poi? Che differenza aveva come moriva dato che sarebbe dovuto morire comunque?

Era stato trascinato giù e...

E non ricordava. Non ricordava davvero cos'era successo dopo.

Ma se era ancora vivo forse non c'era nessuna creatura marina. La corrente l'aveva semplicemente trascinato verso la spiaggia e poi sbattuto a riva, dov'era rimasto incosciente fino al momento di risvegliarsi.

Fece per mettersi seduto ma quasi gettò un urlo che lo fece schizzare direttamente in piedi.

Non era la sabbia a solleticargli la pelle, ma piccole mani dalla carnagione pallida, appartenenti ad una creatura sdraiata sulla battigia.

I suoi grandi occhi verdi, spaventosamente profondi, si piantarono su di lui, e perse il respiro.

Ricordava quegli occhi, ricordava quegli occhi!

Erano gli stessi che aveva visto quando stava per annegare, gli stessi che l'avevano studiato per un attimo e poi lasciato andare. Erano gli occhi dell'essere che l'aveva prima sfiorato e poi tirato sott'acqua.

Provò a ritrarsi, ad allontanarsi da lui, ma quelle piccole mani all'apparenza così delicate si chiusero a morsa intorno alle sue caviglie, impedendogli qualsiasi movimento.

Sotto le dita, lui poté sentire nuovamente quel tumultuoso battere, quel suono che l'aveva così affascinato. Così inarcò le sopracciglia, sorpreso, e trascinò verso di sé il rosso come per poter sentire meglio.

« No! Lasciami! »

La sua voce era gracchiante, secca, e in gola sentiva il sapore dell'oceano: sale, e disperazione.

La creatura lo lasciò andare di colpo, e il rosso quasi rotolò sulla sabbia.

Si tirò indietro finché fu fuori dalla sua portata, mentre quegli occhi intensi lo fissavano dall'acqua.

Ma non sembrava...minaccioso. Era solo sorpreso, curioso. Piegava da un lato all'altro la testolina argentea come per metterlo bene a fuoco.

« Tu parli? »

La voce della creatura era cristallina, sorprendentemente cristallina a dirla tutta, e toccò al rosso sgranare gli occhi stavolta.

« No...tu parli? »

« Perché non dovrei parlare? »

« Perché sei un...una... » quale termine poteva usarsi per una creatura del genere senza suonare offensivo? « Cosa sei? »

Lui batté la pinna, indignato, sul pelo dell'acqua tanto forte che il rosso sobbalzò per lo spavento. Non gli piaceva essere definito una cosa.

« Sono Kadaj. Tu cosa sei? »

La stessa indignazione corrugò i lineamenti del rosso, che lo guardò con astio.

« Reno. »

« Non ho mai parlato con un Reno prima d'ora. »

« Se per questo io non ho mai parlato con un Kadaj. »

Per un attimo rimasero a scambiarsi occhiate di fuoco, poi Kadaj sbuffò. Era troppo lontano per afferrarlo, e non poteva uscire più di così dall'acqua senza rischiare di soffocare.

Non avrebbe dovuto lasciarlo andare.

« Ti ho salvato la vita. »

« Hai cercato di annegarmi. »

Di nuovo, la coda di Kadaj andò a sferzare con forza l'acqua. Stavolta Reno non ebbe un fremito.

« Non sapevo che fossi ancora vivo. Volevo solo vedere com'eri fatto. » l'occhiata che gli rivolse disse a Reno che aveva avuto modo di accertarsi di com'era fatto mentre era incosciente. « Di umani morti ne ho visti tanti, ma di vivi nessuno. »

« Contento di essere il primo. »

Disse Reno, ironico.

Come poteva andarsene da lì con quell'essere nascosto nelle acque che lo circondavano?

Non poteva sperare di mettere una barca in acqua senza che fosse rovesciata da lui. E di finire nelle sue grinfie non ne aveva alcuna intenzione.

« Che cos'hai lì? »

Kadaj lo indicò all'improvviso e Reno abbassò lo sguardo sul suo petto aspettandosi di vedere qualcosa come un enorme squarcio nella carne o un qualche altro essere marino appiccicato addosso.

Per fortuna non c'era nulla e sospirò di sollievo.

« Niente, che cosa devo avere? »

« No, io ho sentito qualcosa. » visto che Reno aggrottò le sopracciglia, dando l'impressione a Kadaj di parlare con uno stupido, lo indicò di più. « Qualcosa che batte. Fa tu tum, tum tum. L'ho sentito. »

« Scherzi? » dallo sguardo serio della creatura Reno dedusse che no, era serissimo. « Il cuore. C'è il cuore lì. »

« Cuore. » Kadaj analizzò la parola, arrotolandola sulla lingua e gustandosela finché non gli venne un brivido di desiderio. Sembrava qualcosa di enormemente prezioso. Poi tastò il proprio petto. Come quello di Yazoo e di tutti gli altri suoi simili era silenzioso. Nessun cuore. « Dove l'hai trovato? »

Si tese un po' verso l'umano, salvo poi pentirsene perché le branchie scoperte non gli permettevano di respirare, per cui tornò ad accucciarsi sulla battigia.

« Dove l'ho trovato? Dai non puoi davvero... » Reno sospirò e si passò una mano sul viso. Magari era impazzito. Magari era tutta un'allucinazione. Magari era morto e quello era uno strambo inferno. « Ci sono nato. Non l'ho trovato da nessuna parte. Tutti gli esseri viventi nascono con un cuore. »

« Non è vero. » quasi con un ringhio, indispettito. « Io non ho un cuore. Neanche Yazoo. Neanche gli altri. Nessuno ce l'ha. »

« Poveri voi. »

Di nuovo sarcastico, Reno alzò gli occhi al cielo.

« A cosa serve? »

« Immagino per tenerti in vita. »

« Io sono vivo! »

« Senti, non so che dirti. »

« Me lo dai? »

Reno quasi si strozzò con la sua stessa saliva.

Guardò la creatura con occhi spalancati. Tendeva le manine verso di lui, l'espressione dolce di un bambino che chiede un giocattolo.

« Non ti do un bel niente. »

Evidentemente non era abituato a sentirsi dire di no, perché apparve ferito nell'intimo, e sull'orlo di scoppiare in lacrime.

« Ma... » mormorò, il labbro inferiore che tremava. « ...io lo voglio! »

« Assurdo... » fu lo sbuffo adirato di Reno. « Non è una cosa che posso darti. È...troppo prezioso, capisci? »

Kadaj si bloccò, all'improvviso consapevole.

Una cosa preziosa. Aveva trovato una cosa preziosa in superficie, davvero preziosa e unica, qualcosa che nessun altro aveva mai avuto.

Avrebbe avuto un cuore a tutti i costi.

 

« Smettila di guardarmi così. »

« Dammi il tuo cuore. »

« No. »

« Allora non smetto. »

Era all'incirca la centesima volta, quel giorno, che avevano la stessa discussione.

Reno l'aveva perso di vista solo per qualche ora, il tempo di fare un infruttuoso giro dell'atollo in mezzo all'oceano su cui l'aveva portato Kadaj.

Non era più di un sasso galleggiante nell'acqua. C'era il giusto necessario per costruirsi un piccolo giaciglio per la notte e accendere un fuoco.

Tutte cose che avevano affascinato Kadaj, che non aveva smesso un attimo di fissarlo, sdraiato pigramente sul bagnasciuga.

Neanche guardando solo la sua parte superiore, e ignorando la coda, si sarebbe detto di lui che fosse un ragazzino normale. La bellezza e la delicatezza dei suoi lineamenti lo facevano sembrare una piccola opera d'arte. Ogni dettaglio sul suo viso sembrava fatto per colpire al cuore.

Ironico.

Reno gli avrebbe anche dato il suo cuore se questo non avesse significato morire, solo per poterlo vedere sorridere.

Il desiderio di soddisfarlo superava a tratti la ragione.

« Che stai facendo? »

Reno sobbalzò. Avrebbe potuto metter su il suo scarno accampamento in qualsiasi punto dell'isola, ma aveva troppa paura di eventuali animali selvatici per avventurarsi nel folto del bosco, l'unica era di rimanere sulla spiaggia. Il che significava essere perseguitati da quello spiritello del mare.

Pur di non guardarlo si era seduto dandogli la schiena, altrimenti non sarebbe riuscito a concentrarsi.

Il ramo che stava tentando di incurvare si spezzò tra le sue mani, facendolo imprecare. Gettò i pezzi rotti da una parte e rivolse uno sguardo di fuoco alla creatura, innocentemente steso a pancia in giù sulla battigia.

« Costruivo una canna da pesca. »

Sottolineando la sua insoddisfazione con una smorfia infelice.

« A cosa serve? » Kadaj si tese per un attimo fuori dall'acqua, tutto eccitato. « C'entra il cuore? »

Reno alzò gli occhi al cielo, esasperato.

« No, serve per procurarmi da mangiare. Sai, mangiare per vivere, cose così. »

« Cosa mangiano gli umani? »

Languido, il piccolo poggiò la testolina argentea sulle braccia incrociate. Il mare sciabordava dolcemente intorno a lui, accarezzandolo con mano leggera. Per un attimo Reno rimase imbambolato a guardarlo, poi strizzò gli occhi e sbuffò.

« Quello che capita. Frutta, verdura, carne, pesce. »

« Pesce? » lo guardò incuriosito, gli occhi brillanti. « Anche noi mangiamo il pesce. » poi un sorrisetto si aprì sulle sue pelle labbra. « Avevi intenzione di catturarne qualcuno con quell'affare? » accennando con il capo al ramo spezzato.

« Se non mi avessi distratto sarebbe diventato una canna da pesca, quindi sì, ne avevo tutta l'intenzione. »

« Che ne pensi » cominciò il piccolo, con le dita si accarezzava i capelli. Reno si chiese se la stella marina arancione intenso incastrata tra le ciocche fosse ancora viva o no. « se prendessi io del pesce per te? »

Lo sguardo di stizza che il rosso gli rivolse parlò da solo.

« Non ti darò il mio cuore in cambio. »

Giusto per essere chiaro. E vista la smorfia infantile della creatura, Reno capì di averci preso.

Però lui scosse la testa, facendo oscillare e tintinnare tutti i sassolini luccicanti tra i suoi capelli.

« Va bene, niente cuore. Però voglio almeno sentirlo battere. »

Lo stomaco del ragazzo lanciò una dolorosa fitta di avvertimento.

Fallo, stiamo morendo di fame!

« Solo sentirlo battere? »

« Solo sentirlo battere. »

Si mordicchiò le labbra poi annuì.

Kadaj batté le manine e in un attimo si immerse, sollevando spruzzi d'acqua fresca.

Di lui non rimase nessuna traccia, la superficie dell'acqua tornò piatta e calma, tanto che Reno si chiese se tutto quello non fosse stata una sua allucinazione.

Finalmente solo, anche se lo sguardo gli cadeva spesso sull'acqua, il ragazzo tornò a lavoro sulla canna da pesca.

Se il tritone non fosse tornato avrebbe dovuto trovare un modo per procurarsi il cibo da solo. E da una parte sperava vivamente che non tornasse.

Una speranza disattesa visto che la piccola creatura affiorò dall'acqua neanche dieci minuti dopo, sollevando sopra la testa quello che Reno valutò essere il tonno più grosso che avesse mai visto.

« Questo è abbastanza? »

Il pesce si agitava ancora, ma sospeso fuori dall'acqua ansimava pesantemente. Ogni boccata d'ossigeno lo avvicinava alla morte.

« Direi di sì. »

Rimasero a fissarsi per un attimo, poi Reno capì che Kadaj non si sarebbe avvicinato più di così, e che gli toccava entrare in acqua almeno fino all'ombelico per andare a prendere il pesce.

L'idea non lo allettava, e fu difficile combattere con il desiderio folle di rimanere a riva. Ma aveva fame, e la fame è una brutta bestia.

Un passo alla volta, sotto lo sguardo attento del tritone, entrò in acqua. La trovò stranamente gelida. Forse aveva passato troppo tempo sotto il sole.

Quando gli fu abbastanza vicino tese le mani e Kadaj, ubbidiente, gli porse il grosso tonno, senza tentare nessuno strano movimento.

Per ogni evenienza Reno arretrò senza staccargli gli occhi di dosso. Non avrebbe dato le spalle a nessuno, meno che meno a lui.

Alla stregua di un grosso felino Kadaj rimase immobile agitando la coda. La trasparenza dell'acqua rendeva possibile vedere come si agitava su e giù, smuovendo i sassolini sul fondo, brillando quando il sole ne colpiva le squame.

« Io ho rispettato la mia parte. »

Commentò, capriccioso, il tritone, quando Reno fu ormai fuori dalla sua portata, al sicuro sulla terraferma.

« Sì, lo so. »

Purtroppo, purtroppo lo sapeva.

Adagiò il pesce su un tappeto di foglie di palma e sospirò, per poi tornare in acqua. Stavolta gli occhi di Kadaj ardevano.

« Più vicino. »

Mormorò, ma Reno era immerso fin quasi al petto, e poco lo esaltava l'idea di perdere il contatto con il fondo sassoso.

« Più di così no. »

Sbottò, rigido. Non si era accorto di essere paralizzato dal terrore, mentre la creatura gli nuotava intorno come uno squalo famelico.

Seppe per istinto che non sarebbe potuto scappare, neanche se avesse voluto, pur essendo nell'acqua bassa. Era ormai nel suo elemento, e non l'avrebbe lasciato andare.

Deglutì a fatica e quasi sobbalzò quando sentì la sua pinna sfiorargli le gambe.

Poi le sue manine gelide lo toccarono. Con dita curiose si aggrappò alle sue spalle e avvicinò l'orecchio al suo petto.

Tu tum, tu tum, tu tum.

Un tumulto in continua crescita, quasi assordante.

« Perché non l'ho mai sentito negli esseri umani che raggiungono il fondo? »

« Sono abbastanza sicuro che dipenda dal fatto che sono morti. »

Kadaj alzò gli occhi su di lui, le sopracciglia aggrottate.

« Quando muori smette di battere? »

« Sei sveglio, hai capito. »

Le dita di lui, piccole, sottili, eppure incredibilmente forti gli accarezzarono la pelle. Nella testa aveva quel tamburo continuo. Il suo battere sembrava riempire il vuoto che aveva nel petto.

« Quindi se me lo prendessi » ragionò, ad alta voce, nel suo tono un capriccio imminente. « Smetterebbe di battere e tu moriresti? »

« A quanto pare. »

Snervato, Kadaj si allontanò, sollevando uno spruzzo d'acqua che bagnò il volto di Reno.

« Deve esserci un modo per farlo continuare a battere. Da fermo non è più una cosa preziosa, è come tutti gli altri oggetti inutili che si trovano sul fondale! Deve battere. »

« Ma non può, è impossibile. »

Un altro gesto di stizza, poi gli tornò vicino, e lo afferrò per un polso.

« Devi venire con me dalla Madre. Devo mostrarti a lei. »

Prese a trascinarlo, e Reno provò a ritrarsi, ma ben presto perse l'appoggio sul fondo e andò giù. Inghiottì una boccata d'acqua salata e i polmoni andarono subito in debito di ossigeno, mentre il tritone lo tirava verso il fondo, sempre più giù.

Disperato, provò ad allentare la presa della sua mano, ma era ferrea e forte, mentre lui cominciava a sentirsi debole.

Smise di opporsi, la vista annebbiata. E il cuore rallentò i battiti.

Fu questo ad attirare l'attenzione di Kadaj, che con la mano artigliata al suo polso poteva sentire il martellare del cuore.

Si volse e vide che stava annegando. Irritato dovette spingerlo verso l'alto affinché riprendesse fiato, e poi dovette sostenerlo, perché tremava tutto, privo delle forze necessarie per nuotare.

« Scusa. » candido, Kadaj scostò i capelli rossi dal viso di Reno. « Dimenticavo che non puoi respirare. »

Gli occhi blu del ragazzo, troppo spaventati e pieni di panico per essere arrabbiati, cercarono i suoi.

« S-sei p-p-azzo! » rantolò. Avrebbe voluto lasciarlo andare, allontanarsi da quell'essere mostruoso, ma a malapena si teneva a galla. « P-portami a r-riva! »

Lui annuì e nuotò verso riva, stando attento stavolta che non finisse con la testa sott'acqua.

Lo preoccupava il fatto che il suo cuore potesse fermarsi. Non poteva permetterlo.

Non appena Reno poté toccare il fondo con i piedi, allontanò goffamente il tritone. Si accasciò sulla battigia, ansimando. Il petto gli faceva male, il sale gli bruciava la gola. E Kadaj era sdraiato accanto a lui.

« Tutto bene? Ti senti meglio? »

« Oh sì. Grazie. »

Piuttosto caustico, ma la creatura non sembrò capirlo, visto che andò ad accoccolarsi con la testolina sul suo petto.

« Non posso prendere il cuore e non posso portarti dalla Madre senza che smetta di battere. Come posso fare? »

« Potresti, ad esempio » Reno avrebbe dato qualsiasi cosa per allontanarlo, ma non ne aveva la forza. « non prenderlo affatto e smetterla con quest'ossessione. »

« Non posso! » Kadaj lo guardò come se avesse detto una stupidaggine. Con una mano tornò ad accarezzargli il petto, disegnando ghirigori immaginari. « Yazoo ha detto che se fosse esistito qualcosa di prezioso in superficie io l'avrei trovato e preso. E l'ho trovato davvero! Quindi adesso devo prenderlo. È solo questione di trovare un modo. »

Reno sospirò, esausto.

« Bene, facciamo così. » concesse alla fine, con un sorrisetto ironico sulle labbra. « Se trovi un modo puoi prendertelo. »

« Davvero? Evviva! »

E lo strinse in un abbraccio umido. La sua pelle aveva un profumo salmastro, delicato ma esotico.

Tornò ad appoggiare la testa sul suo petto, godendo del suono del battito del cuore. Presto sarebbe stato suo.

Reno pensò a che delusione sarebbe stata per il piccolo tritone quando avrebbe scoperto come stavano le cose. Nel frattempo avrebbe sfruttato la sua presenza a suo vantaggio.

Tanto, non esisteva alcun modo per far continuare a battere un cuore anche dopo essere stato estratto.

 

Mentre Reno preparava il giaciglio per la notte, Kadaj fissava lo scoppiettare del fuoco. Si ritraeva quando qualche scintilla si faceva troppo vicina, per poi tornare a tendersi come per volerlo toccare.

Bruciava, non c'era bisogno di dirglielo una seconda volta, era già bastata la prima quando aveva provato ad afferrare la fiamma viva.

Il cielo terso, cosparso di stelle, prometteva una lunga notte tranquilla. Proprio quello di cui Reno aveva bisogno dopo una giornata intensa come quella.

« Hai intenzione di rimanere qui a fissarmi mentre dormo? »

Chiese al tritone, che scollò gli occhi a fatica dal fuoco. Come avrebbe voluto poter portare anche quello indietro nel suo mondo. Ma le fiamme si spegnevano a contatto con l'acqua.

« No, torno a casa. »

« Ah, ecco. »

I resti del tonno, cucinati sul fuoco, erano stati messi da parte. Kadaj aveva voluto assaggiarlo, ma dopo aver fatto una smorfia disgustata aveva optato per un trancio ancora crudo, cosa che aveva fatto venire i brividi a Reno per qualche ragione.

« Ma domattina sarò di nuovo qui. »

« Non lo mettevo in dubbio. »

Il tritone non sembrò cogliere il suo borbottio.

« Porterò qualcos'altro da mangiare. » gli rivolse un sorriso. « E magari qualche buona notizia sul cuore! »

« Certo, certo, il cuore. »

Neanche lo ascoltava più, lo lasciava blaterare e rispondeva seccamente alle sue domande finché la sua naturale predisposizione a distrarsi non lo portava a cambiare argomento.

« Allora a domani. Dormi bene Reno. »

« Dormi bene Kadaj. »

Mentre il visino del tritone si aprì in un sorriso, quello del ragazzo si contorse in una smorfia.

Kadaj si immerse. L'acqua scura non era un problema per lui. La pupilla, per cogliere anche la più infinitesimale particella di luce, era diventata talmente grande da essere il doppio dell'iride, rendendo i suoi occhi capaci di vedere nelle oscure profondità dell'oceano.

Era mancato un po' da casa, dovevano essere preoccupati per lui, ma sarebbero stati tutti sorpresi di sapere dov'era stato e cosa aveva fatto.

Certo, però, del cuore non poteva dire niente a nessuno, se non alla Madre. Quello era solo suo. Non poteva permettere che qualcuno se ne impossessasse prima di lui.

Ben presto la superficie si fece lontana, come la notte che era andato via, e per quanto si sforzasse non riusciva più a vedere neanche la sagoma della piccola isola su cui si trovava Reno.

Nuotò alla massima velocità consentita dalla pinna caudale, finché non vide ergersi sul fondo le pietrose forme del palazzo.

Esaltato all'idea di essere vicino a casa, accelerò, sollevando bollicine al suo passaggio. Passò attraverso un banco di meduse, che lo solleticarono con i tentacoli, non velenosi per lui, e sfrecciò tra i coralli, sfiorò con le dita le alghe che si piegarono al suo passaggio.

A differenza dell'ultima volta, il palazzo era un acceso tumulto di attività. Tritoni andavano e venivano dalla porta principale, un capannello di sirene borbottava da una parte, e Kadaj poté sentire chiaramente che il suo nome scivolava da una bocca all'altra, ora preoccupato, ora intimorito, ora deluso, ora intristito.

Con una mezza risatina fece per nuotare verso l'ingresso, ma qualcosa, anzi, qualcuno, lo tirò per un braccio e lo costrinse a voltarsi.

« Loz! »

Esclamò, tutto contento, mentre il suo fratello più grande lo squadrava con occhi adirati, ed era difficile trovare della rabbia in quei tranquilli, gentili occhi verdi, anche se le sue enormi, muscolose sembianze intimorivano ad un solo sguardo. Doveva essere davvero arrabbiato.

Il petto cosparso di cicatrici era in perfetta sintonia con la coda liscia e grigio azzurra, sbocconcellata da migliaia di battaglie con i feroci predatori degli abissi.

« Kadaj. »

Anche lui, come gli altri, aveva sulle labbra il suo nome, labbra che il piccolo si lanciò subito per baciare.

Avevano sempre il retrogusto ferroso del sangue, come se avesse appena ucciso qualcuno, e divorato le sue carni.

« Poi ti spiego, promesso. Adesso devo parlare con la Madre. »

Loz aveva già smesso di essere arrabbiato con lui nel momento in cui l'aveva baciato, per questo lo lasciò andare, con un leggero sbuffo di disapprovazione.

Se non l'avesse amato così tanto e non fosse stato così sottomesso a lui forse l'avrebbe sgridato.

« È molto arrabbiata, sai. »

Dal sorrisetto che il piccolo gli rivolse, Loz intuì che aveva intenzione di usare tutto il suo fascino sulla Madre. E allora sospirò, anche perché lui gli lasciò un altro bacio sulle labbra che lo fece sciogliere del tutto.

Poi con un colpo di pinna si allontanò.

I tritoni al suo passaggio si fermarono, le sirene smisero di parlare, ma lui non aveva tempo da perdere. Doveva parlare con la Madre il prima possibile.

La sua era la stanza più grande del palazzo. Ricavata da una roccia lavica porosa e nera, era stata scolpita con dovizia di particolati e riempita di ogni genere di conchiglia. Sul soffitto, sulle pareti, sui pavimenti, ogni centimetro era composto di gusci di luminose conchiglie bianche.

Lei sedeva sul suo trono, avvolta dal morbido panneggio della sua pinna iridescente; i capelli argentei, tanto lunghi da essere un velo sul suo viso, erano intessuti di file e file di perle nere e rosa, le più rare, alcune grandi come un pugno.

Yazoo teneva la testa sul suo grembo, e mormorava parole di conforto per quella Madre sofferente.

Aveva perso uno dei suoi figli, e non c'era per lei dolore più grande.

« Madre! »

Quando Kadaj fece il suo ingresso, gli occhi rosso intenso della Madre si puntarono su di lui. Scostò gentilmente Yazoo in modo che potesse alzarsi dal trono e aprire le braccia per accogliere il suo figlio prediletto.

Il piccolo tritone si lanciò tra le sue braccia, affondando il viso nel suo petto. I bracciali di perle ai suoi polsi tintinnarono quando gli accarezzò i capelli.

« Dov'eri, figlio? »

« Madre, ho fatto una scoperta grandiosa. In virtù di questo sono dovuto stare lontano. Mi dispiace di avervi fatto penare. »

« Non importa, piccolo mio. » con una mano gli sollevò il viso. Era strano per Kadaj sentire, adesso, il vuoto silenzioso nel petto della Madre. Prima era così normale. « Dimmi, cosa hai scoperto? »

Lo sguardo di Kadaj si spostò sul fratello, eloquente, e la Madre gli fece cenno di lasciare la stanza. Yazoo non obiettò l'ordine della Madre, e nuotò fuori, lasciandoli soli.

« Ho trovato un umano vivo. Sopravvissuto alla tempesta. » le dita gentili della Madre gli accarezzavano i capelli mentre parlava. « Ha qualcosa di molto prezioso nel suo petto. Qualcosa che si chiama cuore, e che io devo avere assolutamente. » alzò lo sguardo verso di lei, le labbra appena all'infuori, l'espressione innocente e corrucciata. « Ma non so come fare! Se glielo portassi via, smetterebbe di battere, ed è prezioso proprio perché batte. » un piccolo singhiozzo lo fece apparire giovane, ingenuo, gli occhi sgranati e pericolosamente sull'orlo del pianto. « C'è un modo perché io possa averlo, Madre? Lo desidero tanto. »

Per un attimo, lei si limitò a guardalo, la mano tra i suoi capelli scese ad accarezzargli il viso, e lui vi si spinse contro per godere del contatto.

« Sorridi, figlio. » mormorò, la voce gentile, le dita gli sfiorarono le labbra. « C'è qualcuno che può darti tutto ciò che desideri. Nuota veloce fino alla barriera corallina, tra i coralli più rossi troverai la sua dimora. »

Un fremito percorse la coda di Kadaj, che dovette trattenere il desiderio di schizzare via dall'abbraccio della Madre.

« Posso andare, Madre? Posso andare adesso? »

« Puoi. » un'altra carezza, gentile, sul viso. « Ma quando sarai soddisfatto dovrai tornare. E mai più allontanarti senza il mio permesso. »

« Mai più Madre, mai più. »

Si ritrasse dalla stretta e le rivolse un breve cenno del capo, una sorta di mezzo inchino, prima di nuotare come un bolide fuori dalla stanza, fuori dal palazzo, verso la barriera corallina.

Abitata da una varietà infinita di piccoli esseri colorati, era una foresta di alti coralli, profondi crateri, giganteschi massi.

Gli occhi guardinghi delle creature notturne, prede e predatori, seguirono il nuotare frenetico del piccolo tritone.

I coralli più rossi, i coralli più rossi.

Gli anemoni colorati ritrassero i loro tentacoli al suo passaggio, i cavallucci marini nuotarono svelti per non essere trascinati nella sua scia, una placida torpedine mosse le ali e sollevò la testa, come per accertarsi chi fosse a fare tutto quel baccano, per poi tornare a mimetizzarsi con il fondale sabbioso.

Gli occhi grandi di Kadaj cercarono, frugarono, le mani gli tremavano per l'eccitazione. Finché non li vide: i coralli più rossi di tutta la barriera corallina, fitti e spessi come alberi, alti il doppio di lui.

Quel rosso così intenso gli ricordò i bei capelli di Reno, e una scarica di adrenalina lo costrinse a nuotare più veloce.

Si infilò tra i tronchi, grossi almeno quando il suo avambraccio, attento a non urtarli per non infastidire i pesci che li abitavano. Piccole appendici tentacolari tastavano l'acqua in cerca di prede, e quando sfioravano Kadaj si ritraevano all'istante.

L'acqua era più calda lì, forse a causa di una spaccatura del fondale da cui fuoriuscivano turbolente bolle d'aria che si perdevano verso l'alto. Sporgendosi abbastanza sarebbe stato possibile vedere il fluido incandescente della lava sotto la crosta.

Kadaj si fermò quando, tra i coralli, identificò una caverna scavata in una parete rocciosa. Non esitò un attimo nell'infilarsi nella larga apertura, felice come non mai.

L'acqua era calda, ma piacevolmente calda, accarezzava la pelle senza rendere difficile il respirare.

La caverna era cosparsa di piccoli anemoni fluorescenti, che oscillavano i tentacoli all'unisono, dando l'impressione che le pareti rocciose respirassero.

Il buio, man mano che proseguiva, si fece più denso. Le stalattiti sul soffitto lo costrinsero a nuotare rasente al terreno. Ma non si fermò, non finché non sentì lo strisciare e lo smuoversi di grossi tentacoli.

Una morsa gli strinse lo stomaco, mentre un'enorme massa di tentacoli neri si allungava verso di lui, a tratti sfiorandolo, avvinghiandosi dolcemente intorno alla sua pinna.

« Cosa abbiamo qui? Un tritone? » la voce, straordinariamente profonda, proveniva da un punto imprecisato nel buio, dove finivano i tentacoli e iniziava un torso dalla pelle scura. Due occhi giallo ambra si fissarono su Kadaj, che trattenne per un attimo il respiro. « Non sai che è cattiva educazione entrare in casa altrui senza invito? »

« Chiedo scusa. » anche se sottile, la sua voce era salda. « Sono venuto qui perché la Madre mi ha detto che chi abita questa grotta avrebbe saputo realizzare il mio desiderio. »

« Desiderio? » i tentacoli ebbero un fremito, ma si ritrassero, facendo sospirare Kadaj. Occhieggiò l'uscita: se avesse nuotato velocemente sarebbe potuto uscire in un batter d'occhio. Dall'ombra emerse la creatura. Gli otto tentacoli neri come il buio stesso si arrotolarono sotto di lui come per formare una comoda poltrona su cui sedersi. I lineamenti duri del suo viso sembravano scolpiti nell'onice, così come il suo sorriso sottile. Capelli bianco perla ondeggiavano oltre le sue spalle muscolose. « E dimmi, vuoi esprimere il suo desiderio o vuoi prima dirmi almeno il tuo nome? Me lo devi, dopo aver fatto irruzione in casa mia. »

Gli occhi, una pozza giallo d'ambra, lo squadrarono dalla testa ai piedi, come divorandolo.

Kadaj ebbe un fremito, a stento trattenuto.

« Mi chiamo Kadaj. »

Esordì, un po' titubante. L'agitarsi continuo dei tentacoli catturava lo sguardo e l'attenzione.

« Il mio nome è Ansem. » una mano andò al suo petto e lui si esibì in un mezzo inchino. « Al tuo servizio, piccolo tritone. »

« È vero quindi che puoi realizzare i desideri? »

« Assolutamente. » un movimento del capo, come ad annuire. « Dimmi cosa desideri e io te lo darò. »

Kadaj si fece coraggio e si avvicinò un po' di più, le mani strette a pugno.

« Voglio un cuore umano che batta, anche dopo essere stato tolto dal petto. »

Ansem lo guardò, valutando.

Un tentacolo andò a spostargli i capelli dal viso in modo da poterlo vedere negli occhi.

« Posso farlo. » il piccolo quasi esultò, ma il contatto con il gelido, viscido tentacolo gli impedì qualsiasi movimento. « In cambio mi darai il resto del corpo dell'umano. » e si passò la lingua sulle labbra, come se si stesse già pregustando il suo sapore.

« Va bene. Non mi interessa. Voglio solo il cuore. »

Il tentacolo andò ad attorcigliarsi intorno alla sua mano destra, come a suggellare il patto tra loro.

Poi Ansem avvicinò le mani tra loro, muovendone una in piccoli cerchi concentrici. Sotto gli occhi sbalorditi di Kadaj si formò una sfera, che lui gli porse.

« Prendi il suo cuore ancora pulsante e mettilo in questa sfera. Continuerà a battere per tutta l'eternità. » con le manine tremanti per l'eccitazione, prese la sfera. Sotto le dita la consistenza era dura come vetro. Sarebbe stato impossibile romperla. « Lascia pure il corpo alla deriva, la corrente lo porterà a me. »

« Grazie! »

Si strinse al petto la strana, rigida sfera, e rivolse un sorriso a quell'essere meraviglioso che aveva appena realizzato il suo desiderio.

« Torna quando vuoi, Kadaj. » il modo di pronunciare il suo nome gli fece venire i brividi, nonostante il sorriso cordiale sulle sue labbra. « Ricorda, posso darti tutto ciò che desideri. »

Il piccolo annuì e guadagnò l'uscita, nuotando veloce, più veloce dei tentacoli neri della creatura, intenzionati a toccarlo un'ultima volta.

Nuotò verso l'alto, con foga, come fosse inseguito da una qualche presenza oscura, la sfera stretta stretta petto. Avrebbe contenuto il suo tesoro più prezioso.

Quando emerse, vicino alla spiaggia, stava sorgendo l'alba.

Rimase ad ammirarne i colori delicati che ricordavano vagamente quelli della pinna di Yazoo.

Yazoo! Ah, come sarebbe stato geloso del suo tesoro.

Si avvicinò alla riva, fin dove poteva, e i suoi occhi percorsero la figura addormentata di Reno. Così vicino eppure così lontano.

« Reno! » chiamò, troppo eccitato per contenersi un minuto di più. Non avrebbe potuto aspettare che si svegliasse da solo. « Reno! »

Lentamente, il ragazzo aprì gli occhi, appiccicati dal sonno, e si voltò verso di lui. Subito sbuffò.

« Non ora Kadaj, è troppo presto. »

Mugolò, e portò un braccio sul viso, come per coprirsi.

« No! Adesso! Devo farti vedere una cosa importante! » lui agitò una mano per scacciarlo via, e fece per girarsi su un fianco. Così Kadaj gli lanciò un sasso, e poi un altro, e poi un altro ancora. « Svegliati! È questione di pochi minuti, poi puoi tornare a dormire. »

« E va bene. »

Brontolò Reno, tirandosi su a sedere.

A malapena riuscì a mettere a fuoco la piccola figura del tritone.

Sbadigliò e gettò le braccia verso l'alto nel tentativo di svegliare i muscoli e si avvicinò alla battigia, senza però mettere un solo dito nell'acqua.

« Quindi? »

« Dai, vieni. Non posso fartelo vedere se rimani lì. »

« Mi sono appena svegliato, l'acqua è gelida, non voglio bagnar- » ma Kadaj l'aveva già inzuppato con un colpo poderoso della pinna. I capelli si fecero flosci d'acqua, e lo sguardo di Reno si accese d'ira. « Brutto piccolo... » ma la sua risata cristallina e infantile lo fece sospirare. Tanto valeva, ormai era bagnato.

Si immerse fino all'addome, e Kadaj prese a nuotargli attorno a tutta velocità, esaltato, non riusciva a stare fermo.

« Guarda! »

Finalmente si calmò e gli mostrò quello che teneva tra le mani: una sfera trasparente dall'apparenza piuttosto comune.

« Cos'è? »

« È il mio desiderio! »

Reno aggrottò le sopracciglia, mentre il piccolo si aggrappò con una mano alle sue spalle, saldamente.

La sua pelle era gelida, e le unghie conficcate nella carne lo fecero sobbalzare.

« Mi hai svegliato all'alba per farmi vedere una palla? Sul serio? »

« No! Non capisci. » il broncio di Kadaj era la cosa più adorabile del mondo. Reno si pentì di averlo causato. Quella strana, snervante sensazione di volergli dare tutto perché tornasse a sorridere si fece strada prepotente in lui. « Con questo posso far battere il tuo cuore, per sempre! »

Reno sentì un brivido gelido percorrerlo da capo a piedi. Prima che potesse fare o dire qualcosa, si accorse di avere le gambe bloccate dalla pinna di Kadaj, attorcigliata come spire di un serpente.

L'aria gli mancò nel momento in cui la sua manina, così ingenuamente piccola e dalle deliziose dita sottili si conficcò a forza del suo petto.

Sentì il crack delle ossa, un fiotto di sangue colorò di rosso l'acqua.

Provò a gridare ma il dolore era così atroce che dimenticò come si grida, mentre quella manina scavava nella carne viva alla curiosa ricerca del cuore.

Quando lo trovò vi strinse delicatamente le dita intorno. Lo sentì battere frenetico, folle, e il suo sguardo si illuminò vittorioso.

Lo strappò dalla sua sede con gesto netto e velocemente lo infilò nella sfera.

Dimenticò Reno, il suo corpo che si accasciava con un tonfo nell'acqua, non fece caso alla macchia scura e densa di sangue che si allargava sotto di lui.

Nulla aveva importanza, se non il piccolo oggetto vivo dentro la sfera.

I suoi palpiti erano frenetici e continui, un contrarsi e dilatarsi infinito.

Tu tum, tu tum, tu tum.

Lo poteva sentire perfettamente adesso.

Era un tesoro, un tesoro prezioso, e ora gli apparteneva.

Su di giri, si immerse, diretto verso casa.

Avrebbe mostrato a tutti il tesoro che la tempesta gli aveva portato.

Non era un pezzo di imbarcazione, mobilia, una cassa, un cadavere, un'elica di metallo, e non era un piccolo oggetto luccicante.

Era un cuore. E nessuno in tutto l'oceano ne possedeva uno. A parte lui.

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The Corner 

In realtà non ero sicura di voler pubblicare questa storia, 
ma alla fine l'ho fatto, perché è carina 
tutto sommato riuscita bene 
e perché volevo un luogo di archiviazione online che la custodisse 
che non fosse dropbox.
Questa è la versione definitiva, la mia Fan Numero 1 non l'ha ancora letta.

Chii

   
 
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