Serie TV > Il Trono di Spade/Game of Thrones
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Autore: Rossini    21/09/2016    0 recensioni
Sono passati secoli dagli eventi narrati nelle Cronache del Ghiaccio e del Fuoco. Oggi quelli che una volta venivano chiamati i Sette Regni sono una pacifica comunità che è riuscita a trovare un ordine e a mantenerlo per lunghissimo tempo. La sola idea che qualcosa possa sconvolgere questo stato di assoluta armonia, rafforzata da secoli di pace e concordia, sembrerebbe ridicola. Eppure, il principe Daniel - terzo in linea di successione al Trono - sta per imbattersi in qualcosa di nuovo, mai prima d'ora visto in nessun angolo delle terre conosciute...
Genere: Avventura, Fantasy, Guerra | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 29
LA CASATA ESTINTA
 
 
                Sebbene Marcus si trovasse ancora nel pieno del caos della battaglia, e normalmente non è molto semplice esprimere giudizi in merito a una cosa che non si riesce ad osservare bene da una posizione distante o – meglio – esterna, avrebbe giurato che Roccia del Re sostanzialmente era presa. In quel tipo di battaglie in particolare, non combattute in vasti campi spaziosi, bensì tra le ritorte cinte murarie di città a forme irregolari, neanche si riusciva bene a capire se era più numeroso il nemico o gli alleati: a un certo punto, si perdeva di vista ogni cosa. Eppure un segnale era inequivocabile: i soldati del re si stavano ritirando, anche se Bolton non aveva ancora dato quell’ordine. I vertici della compagine avevano ormai smarrito il suo controllo. Diverse chimere combattevano da sole.
                E lo stesso Marcus l’Andalo se la sarebbe già da un po’ data a gambe, se non avesse avuto da una parte una Mirietta irrequieta, combattiva ed ostinata, e dall’altra un Sir Merrin ed altri della Valle del Leone ancora saldi in una posizione di, quasi, inevitabile difesa del principe Andalo, di sua sorella, e dei suoi uomini che costituivano un più che discreto reparto di artiglieria. Ma fu proprio da uno di questi uomini che arrivò il primo, sconfortante, segnale della disfatta; egli disse infatti alla sua giovanissima comandante: «Mia signora… le ricariche volgono seriamente al termine!»
                «Continuate!» comandò Lady Mirietta «Fino all’ultimo granello di polvere!», e – a giudizio di Marcus piuttosto sorprendentemente – la gran parte dei suoi cacciò un urlo convinto e partecipativo: quella ragazzina era diventata perfino brava a comandare! I suoi le davano pure retta in casi di difficoltà e pressione… Marcus stesso non sapeva se, e francamente non pensava che, sarebbe mai stato in grado di disporre di simili qualità.
                Merrin ne disponeva invece chiaramente. Anche se sulla carta era il Maestro delle Armi Bolton, o in sua indisposizione il comandante dei Cavalieri della Valle Sir Cleghorn, in realtà i cavalieri venuti dall’est era proprio Sir Rabastan che ascoltavano. Lui era quello che ne continuava a gestire le operazioni: Marcus non aveva proprio visto Cleghorn per tutto il tempo – ormai piuttosto lungo – della battaglia, e peraltro, sebbene l’avesse più volte cercata con lo sguardo, non vide nemmeno Jasmina. Solo Merrin si trovava ancora lì a lottare insieme a lui. E fu proprio per questa ragione aggiuntiva che Marcus l’Andalo si ritrovò a sentirsi tutt’a un tratto sperduto, quando Sir Rabastan venne trafitto in pieno petto dalla possente lancia di un uomo-besta dai tratti simili a quelli di uno di quei grossi mammiferi dell’est, dalla pelle spessa. Dapprincipio, il suo giovane allievo, Cavaliere della Chimera e principe del Regno Unificato, si fiondò sul mostro e, con la cieca insistenza di un uomo disperato, riuscì prima a farsi ferire in svariate parti del corpo, e poi a sgozzarlo come l’animale che era. Dopodiché Marcus, guardandosi attorno, si rese conto che la cosa lo aveva fatto allontanare dal punto presso il quale aveva combattuto la gran parte della propria battaglia. Stremato, sudato, sporco, girovagò per un po’ fin quando non distinse di nuovo il cadavere del suo vecchio amico: l’unico vero amico che gli era rimasto alla Valle, dopo lo sterminio dei suoi compagni più cari da parte del diavolo dai poteri di ghiaccio.
                Sir Merrin non era Yashua. Certo, era inutile negarlo: Marcus aveva stretto un qualche genere di legame anche con quest’ultimo, ma si era trattato per lo più di un legame a reciproci fini utilitaristici. Non aveva voluto bene a Yashua, ma aveva voluto bene a Sir Rabastan, l’uomo che forse più di tutti nella sua breve vita avrebbe potuto davvero considerare suo mentore. Dal cadavere di Merrin, che Marcus strinse a sé come fosse quello di un padre, giungere di nuovo a Mirietta e ai suoi non fu per l’Andalo poi così complicato. Ancora con il cuore spezzato, e le gambe ferite, il giovane principe si rese conto che, senza Merrin, i Cavalieri dell’est che erano rimasti stavano cominciando a disperdersi con ancor più repentinità. Così fecero anche gli uomini di Mirietta: era il caos assoluto.
                Un chiodo fisso ritornò alla mente del giovane Andalo: quello di Jasmina. Era vero: si erano lasciati male, molto male, ma lui provava ancora qualcosa per lei, ed era inutile mentire a se stesso proclamando il contrario. E, ora che anche Merrin se n’era andato, ancor più ardentemente Marcus desiderava rivederla. Non sapeva se sarebbe stata la donna della sua vita, ma era convinto che fosse la persona di cui più di chiunque altra aveva bisogno in quell’esatto momento. A un certo punto, nella marmaglia di uomini in fuga verso l’interno della Capitale, mentre alla fine anche lui e la stessa Mirietta avevano deciso per la ritirata, la vide. Senza perder più nemmeno un attimo di tempo, fece per correre verso di lei: avesse dovuto scavalcare, spintonare, sovrastare, un mucchio di uomini in teoria suoi alleati, lo avrebbe fatto senza pensarci su neanche un minimo. Eppure qualcosa lo tenne saldo al suo posto: qualcuno, afferrandogli il polso con una manina sottile ma un’incredibile forza, lo trattenne.
                «Mirietta, che fai?» domandò l’Andalo alla Lady sua sorella. E lei: «Che faccio io? Che fai tu!». In effetti, Marcus si accorse di non aver dato spiegazioni alla piccola, ma d’altro canto: non ne aveva avuto – e continuava a non averne – il tempo. Le rispose: «Devo raggiungere una persona»
                «No, fratello, senti…»
                «Mirietta: lasciami andare! Io devo… devo…»
                «Marcus! C’è una piccola imbarcazione allestita per me, in un porticciolo segreto, non troppo distante da qui. È piuttosto agile e minuta, ma… c’è posto anche per te. La città è presa: dobbiamo andarcene, non c’è tempo da perdere»
                «Sì, ma… lasciami solo…»
                «Te lo ripeto» scandì dunque la piccola Lady «Non-c’è-tempo-da-perdere».
                Con un ultimo sguardo, il principe Andalo osservò la giovane donna dell’est di cui era innamorato. Anche lei spintonata, strattonata, sovrastata da una miriade di altri. Ciò nonostante, lei era la cosa più bella in mezzo a quell’orrore. Quei suoi grandissimi occhi neri… quegli zigomi pronunciati, e la vita stretta. La cosa più bella in mezzo a tutti gli orrori del mondo…
                Raggiungerla sarebbe stato complicato. Forse anche lei l’aveva visto, o forse no: aveva distolto quasi subito lo sguardo. Perciò, con estremo rammarico e il cuore in lacrime, il principe Andalo decise che la cosa migliore da fare fosse scortare sua sorella alla sua piccola imbarcazione, e poi per chissà quali nuovi porti, solcando chissà quali mari. Afferrò le redini di Shirley e, tirando l’animale verso di sé, concluse: «C’è spazio per una chimera, in questa tua piccola imbarcazione?»
                «No, non credo» gli rispose con sincerità Mirietta, accelerando considerevolmente il passo, «non puoi lasciarla?»
                «Scherzi? È la mia compagna! Ma possiamo… seguirvi volando»
                «Non è stanca?»
                «Cercheremo di fare un sacrificio»
                «Va bene: seguitemi!», e a questo punto la giovane Lady passò alla testa del piccolo gruppo che si era formato: oltre a lei, al cavaliere suo fratello e alla di lui chimera, anche un manipolo di circa tre o quattro degli artiglieri che avevano composto la fazione armata ai comandi della ragazza. Marcus intanto pensò a Sir Rabastan Merrin, e al grande uomo che era stato. Cresciuto nell’assoluta povertà, ma la cui tenacia era stata in grado di condurlo a fare quello che più sognava: cavalcare le chimere. Tuttavia adesso Merrin era morto, e non poteva più cavalcare alcunché, non in questo mondo almeno. L’Andalo, invece, era vivo. E questa era la prima necessaria condizione per assicurargli nuove, imperscrutabili, imprevedibili, cavalcate.
 
 
 
                Il Lord Primo Cavaliere Constant della Casa Lannister aveva fatto quello che doveva fare. Aveva spezzato decine e decine di vite; forse centinaia. Molti altri erano caduti combattendosi fra di loro, schierati dall’una o dell’altra parte: a che razza di irragionevoli sprechi riesce a condurre la cieca convinzione, sia essa su base personale, religiosa o politica. Certo, anche Constant aveva combattuto – e stava combattendo – per sostituire il vecchio re con uno nuovo… ma ad essere molto franchi, non avrebbe mai rischiato la propria vita in una battaglia, se non ci fosse stato in gioco anche l’incantesimo per riportare Ladylynn alla vita. E dire che lui era un potente mago, il più potente che avesse mai incontrato… insomma: per quanto esposto al rischio di morte come tutti gli altri esseri umani, aveva probabilmente possibilità assai diverse rispetto a una qualsiasi recluta armata alla meno peggio…
                Tuttavia doveva ammetterlo: la presenza di un altro stregone, anche in quella battaglia di Roccia del Re – dopo quello di Cowain – lo aveva veramente lasciato di stucco. Uno non vede altri individui in grado di fare magie per decenni, e poi tutt’assieme ne spuntano tre o quattro? Lui stesso, Anylice, e quel nuovo sconosciuto mago dell’est, e poi anche il Signore delle Dune, che millantava poteri che Constant non aveva mai visto… un mago esperto, come lui era, non poteva imputare la cosa all’esclusiva capricciosità del fato. Stava accadendo qualcosa; qualcosa che lui stesso non sapeva motivarsi… ma che probabilmente andava al di là della comprensione di qualsiasi uomo, almeno senza la mediazione di qualcos’altro (un drago? un dio?) in grado di spiegarglielo.
                Ma l’intervento dello stregone dell’est non aveva cambiato molto i suoi progetti. All’inizio, quando l’aveva visto, per un attimo Constant si era scoraggiato e aveva temuto il peggio… ma il suo avversario era chiaramente stanco e deperito. Il Primo Cavaliere aveva avvertito che il mago dell’est avesse potuto gestire un potenziale magico di almeno il doppio rispetto a quello che aveva usato… ma non era stato in grado di concentrarsi e dunque era stato sconfitto. Dopodiché lo sterminio di vite necessario per il suo incantesimo, era proseguito senza ulteriori difficoltà. Era proseguito fin quasi a stancarlo: ma ci volevano tanti cadaveri freschi, per un “sacrilegio” di quella portata. “Sacrilegio” per la legge degli dèi, per l’opinione degli uomini forse, ma non per lui… per lui quello era il massimo gesto d’amore, in grado perfino di rigenerare una vita. Un miracolo! Un miracolo forse mai eseguito nella storia dell’uomo… a lui non risultava che fosse stato mai eseguito almeno.
                Stremato, in preda al fiato grosso, senza più in grado di materializzare neppure una scintilla, il Primo Cavaliere zoppicò, scavalcando i cadaveri, sino alla piccola nicchia sotto un pezzo della cinta muraria dove aveva riposto le ossa di Ladylynn, appositamente raccolte dal luogo in cui l’aveva seppellita anni e anni prima. Le sue mani, stando a quello che gli era stato detto, dovevano essere sporche di sangue fresco nel momento dell’esecuzione dell’incantesimo. Dunque, strisciò fino al primo corpo lì vicino e intinse le proprio braccia di quell’orrido, ma sacro, fluido. Dopodiché ritornò da Ladylynn e si apprestò a fare quello che doveva fare. Fu allora che una voce di uomo gridò: «CONSTANT! Fermo!». Era Bastian. Anche lui tutto trafelato e insanguinato stava correndo sui cadaveri per raggiungere il Primo Cavaliere. Constant attese che il biondo uomo dell’est lo raggiungesse, dopodiché ascoltò quello informarlo su una cosa di cui già era piuttosto sicuro; Bastian infatti disse: «La città è caduta… il re è morto»
                «Interessante» constatò Constant «Come mi hai trovato?»
                «Non è stato difficile, mio signore… ho seguito i carbonizzati». Prima di realizzare che ciò fosse ovvio, il Primo Cavaliere sentì pure l’esigenza di guardarsi alle spalle e osservare che in effetti la cosa fosse vera: naturalmente lo era. Dunque venne al discorso che più lo interessava: «Perché mi hai interrotto, Bastian? Non credo di avere poi così tanto tempo, i cadaveri devono essere freschi: tutti»
                «Io… signore, io non so come dirlo…»
                «Allora non dirlo. Io proseguo»
                «Mylord… l’incantesimo che vi apprestate a realizzare… è un falso. Siete stato vittima di una farsa»
                «Che cosa? Ma sta’ zitto…»
                «È così. Ho ascoltato mio fratello rivelarlo a uno dei suoi servi… il drago gli ha detto… che il mante che avrebbe combattuto la battaglia di Roccia del Re sarebbe stato utile ai fini della vittoria, perché accecato da un obiettivo che non può raggiungere. Il drago ha un altro obiettivo: un suo inviato si trova sul campo per eseguire il vero incantesimo, quello che può essere fatto»
                «E…» domandò Constant, quasi senza fiato, «Quale?»
                «Riportare Requiem al potere di un tempo»
                «È una stronzata!»
                «Mi spiace, signore… mi spiace davvero…» concluse Bastian, chinando il capo. Il cuore di Constant, intanto, si era praticamente fermato. Naturalmente a un primo istante non volle credere – non riusciva a farlo! – a tutto quello che il guerriero orientale gli aveva appena detto, ma poi… rifletté su qualcosa che gli pareva di aver visto nella parte finale della battaglia… mentre lui continuava ad abbrustolire poveri malcapitati, avvicinandosi sempre più al luogo dove aveva lasciato Ladylynn, gli era parso di intravedere con la coda dell’occhio… una sottile scia di uomini morti… per congelamento. Naturalmente nel bel mezzo del caos della battaglia, mischiato a sua volta con la cieca volontà del Primo Cavaliere di arrivare al suo obiettivo, quell’elemento non era stato per il giudizio di Constant altro che un dettaglio inutile. Una svista, un errore. Ma, certo, ora che Bastian gli stava dicendo quello che gli stava dicendo… la sua prospettiva cambiò. Requiem era un drago delle energie fredde e un suo servitore assai probabilmente, per non dire sicuramente, sarebbe stato un Criomante o un Necriomante. Di sicuro non si trattava del fattucchiere che aveva sconfitto lui: quello sapeva usare solo il fuoco; nel suo duello contro Constant l’avrebbe usato, il ghiaccio, se fosse stato in grado, perciò di questo il Primo Cavaliere era certo. Ma allora…
                Il Lord Primo Cavaliere si ritrovò a fare la stessa identica cosa che Bastian aveva fatto per trovare lui; osservò i cadaveri. Trovò quelli su cui era posato un qualche strato di ghiaccio o neve. Dunque seguì la scia e volse il proprio sguardo all’orizzonte. Non molto distante da lui, si trovava una donna di spalle: media statura, e molto magra. Caschetto nero, e pelle quasi bianca…
                «ANYLICE!» gridò subito il Lord, riconoscendo la Criomantessa, quasi disperato, «Nooooooooo!». Una leggera esplosione – come una forza d’urto di ghiaccio – scosse per un momento il cielo e la terra, ma solo per qualche breve secondo. Constant non seppe dire se l’avesse avvertita solo lui, che era un mago, e che stava guardando verso quella direzione, oppure se si trattasse di una cosa di cui tutti gli uomini avrebbero potuto accorgersi. Ma, come detto, fu molto breve. Al termine di tutto, la donna non morta rivolse i suoi occhi di ghiaccio verso quelli del Primo Cavaliere. Si osservarono. Lei aveva uno sguardo malvagio dapprincipio, ma poi… divenne dolce, e sofferente; dunque cadde al suolo. Constant corse verso di lei, la raggiunse, e disperato le domandò: «Che cos’hai fatto?!!». Anylice negò con il capo, e aggiunse balbettando con flebile voce: «Re-re-requiem»
                «Ma…» insistette Constant, mentre gli occhi gli si riempivano di lacrime, «Avevi detto che eri libera… che… il potere di Requiem non dettava più le regole nel tuo corpo»
                «I-io… non lo so… forse… forse… ha deciso di lasciarmi libera, perché era debole ma… ma… ha conservato un ultima gocca di potere per controllarmi… al momento opportuno»
                «Cosa accadrà?»
                «L-lui tornerà. Verranno giorni di sangue e morte per gli uomini e le donne di questa terra, ma…» e a questo punto lo sguardo della Criomantessa si fece vacuo, più rivolto all’infinito che alle cose che le stavano davanti, «Ma io sarò libera». A questo punto, sul viso della fanciulla non morta apparve un sorriso giocondo. Dopodiché, il suo corpo si frantumò tutt’assieme in un fumo di gelido nevischio, che subito venne spazzato via da un’algida folata di vento.
                Solo in quel momento Bastian raggiunse Lord Constant. E, con tutta la rabbia, che aveva in corpo, questi si rivolse verso di lui, esclamando: «TU! Se non avessi interrotto il mio incantesimo, sarei arrivato prima io di lei! Ladylynn a quest’ora sarebbe viva!!»
                «No, mylord, per favore» fece piano Bastian, raggomitolandosi al suolo, «per favore…»
                «Riserverò per te la forza di mille fiammate! Ti riconsegnerò a tuo fratello in una polvere nera come la più tetra delle anime dell’oltretomba!»
                «Constant! L’incantesimo non avrebbe funzionato… il drago vi ha mentito… si è fatto beffe di voi. L’incantesimo non avrebbe funzionato». Constant provò a calmarsi, e vi riuscì parzialmente. Si rese conto che Bastian non aveva alcun motivo di dirgli menzogne; anzi, si rese conto che il guerriero dell’oriente aveva perfino rischiato molto, correndo ad avvertirlo di quella cosa. Sorprendendo se stesso, si ritrovò ad ammettere: «Ti… ti chiedo scusa, Bastian. È solo che… soffro molto adesso… ti prego di lasciarmi da solo»
                «Che farai?»
                «Non è molto corretto prendere decisioni in preda alla rabbia e alla delusione… ma posso dirti che ora come ora l’unica cosa che mi gira per la testa è… che ho un drago da uccidere. Un drago nel pieno dei suoi poteri»
                «Lo farai da solo?»
                «Certo. E con chi altri? Aspetta… perché non vieni tu con me?»
                «Io?» rise Bastian «Signore, sarò il nuovo Primo Cavaliere…»
                «Il Primo Cavaliere di un re despota, non è un Primo Cavaliere… più che altro una specie di Maestro di Palazzo…»
                «Sì, ma io… rifiuto comunque»
                «Cos’è che ti tiene così legato a quell’uomo, Bastian, me lo vuoi dire?! Da come mi descrivi i vostri rapporti, si direbbe che voi abbiate qualsiasi tipo di relazione, tranne che quella che si instaura tra due fratelli…»
                «In verità, signore, lui… lui non è mio fratello. È stato cresciuto dai miei genitori, alla nostra tavola… ma… non lo è»
                «Questo spiega molte cose, ma non ancora le ragioni per cui continuare a reggergli la mantella»
                «I-io… non posso tradirlo…»
                «Ma certo che puoi! Vieni con me Bastian… non avrai più nulla da temere. E insieme, dopo aver trovato il modo di sconfiggere il drago, metteremo Shane su quel dannato trono. E finalmente tutti avranno quello che è giusto. Il Regno, un buon re. Io, la mia vendetta. E tu… tu, amico mio, per la prima volta, avrai… la tua libertà!». Un’espressione di fiero, quasi ritrovato, orgoglio si dipinse nel volto del guerriero orientale: Constant la distinse bene. Almeno per il suo folle piano suicida aveva trovato un compagno… un uomo che, come lui, non aveva più niente da perdere. Un uomo che, come lui, per troppo tempo era stato schernito e raggirato da un’entità più potente. Non era probabile, tuttavia per qualche motivo Constant se la sentì di crederci davvero: insieme, lui e Bastian, avrebbero trovato il modo di eliminare per sempre quell’essere abietto, crudele e manipolatore, che Requiem altro non era. Insieme avrebbero vendicato l’amore, che per una seconda volta gli era stato strappato via, e questa volta per sempre.
 
 
 
                Abigail Baratheon attese, prigioniera nei suoi appartamenti, che qualcuna delle sue ancelle le venisse a comunicare il dato ufficiale che la città fosse presa, anche se che l’andazzo fosse questo la regina già lo aveva capito da un pezzo, anche prima della morte di suo marito re Axelion della Casa Lannister per mano del Maestro dei Sussurri Lord Braff. Lord Braff che, a questo punto si poteva dire chiaramente, non solo era un subdolo traditore – come, anche in questo caso, Abigail aveva intuito da un pezzo – ma anche qualcuno… di non umano. Quel fumo nero in cui, per un breve istante, le punte delle sue mani si erano mutate, talmente denso da divenire tagliente come una lama, “umano” non poteva essere. E così Axelion era morto: non certo un colpo grave per il cuore della regina, che mai era appartenuto al Lannister, il cui erede al trono – Napoleon – era in verità figlio del Maestro delle Armi, e amante della signora, Lord Henrich Bolton. Ma un colpo terribile per tutti i suoi piani politici, invece, lo era stato eccome: il trono che lei rivendicava per suo figlio, lo rivendicava in quanto suo figlio, agli occhi del mondo, era un Lannister. Ma una cosa che non si vedeva da secoli come quella… un cambio di dinastia… semplicemente gettava nel vuoto anni e anni di accurati piani ed elaborati stratagemmi. E per moltissima parte, la cosa era colpa di Braff. Braff, che mai Abigail aveva potuto tollerare neanche alla lontana. Braff, che anzi Abigail odiava fin nel profondo: forse l’individuo che più aveva detestato all’interno del perimetro della Capitale. Braff, alle menzogne e ai raggiri del quale Abigail pareva essere la sola a non aver mai creduto neppure per un momento.
                Ma la situazione ormai era questa, e non serviva a niente disperare. Certo, il personaggio che aveva creato le aveva imposto urla e strepiti al momento dello sgozzamento del re, ma ora che si trovava da sola nei suoi appartamenti con le sue ancelle, Abigail aveva tutto il tempo di ragionare con la freddezza che invece nel suo intimo da sempre la contraddistingueva. Henrich era il passionale fra i due, quello che avrebbe sempre mosso guerra di qua e ucciso di là… ma lei, Abigail, si sentiva una vera donna politica e in quanto tale… conosceva benissimo i momenti in cui non bisognava farsi prendere dall’avventatezza.
                Dunque, come detto, la regina si trovava nei suoi appartamenti, chiusa e sorvegliata da uomini-bestia. Con lei c’era Napoleon, e un paio delle sue ancelle: ad alcune delle quali era stato perfino concesso di andare e tornare dalla prigione della loro signora, talvolta con la scusa di andare al gabinetto, talvolta con altre scuse. Lì, quella che ancora per poco poteva chiamarsi “la regina” attese. E, mentre attendeva, si ritrovò a pensare a quale fosse la miglior mossa da fare adesso: bisognava scappare, senza dubbi… ma come? Lei non era una guerriera: forse non aveva mai sollevato una spada in vita sua. E nessuna delle sue ancelle naturalmente lo era… Lady Abigail si ritrovò a domandarsi che cosa stesse facendo il suo amante Lord Bolton, e come mai non si fosse ancora precipitato alla sua porta, armato di ferro e lame, di sangue e rabbia. Non le veniva in testa molto altro, ma certo ritrovarsi al sicuro nel nord presso Forte Terrore, la casa di Bolton, piuttosto che imprigionata nelle sue stanze in quella fetida Roccia del Re, le avrebbe garantito una sicurezza psicologica più adatta a elaborare trame politiche e cose di quel genere. Ma la pura verità era che in quel momento la bellissima, seducente e diabolica Abigail Baratheon non aveva idea di che cosa fare…
                Stava per concludere definitivamente questo, e definitivamente per cedere alla disperazione, quando la sua porta venne bussata. Chi bussò non attese il suo consenso ad entrare: entrò e basta, cosa che mai e poi mai una delle sue ragazze avrebbe fatto. Difatti il suo ospite era Lord Braff.
                «Mia signora» cominciò il Maestro dei Sussurri, diversamente dal solito senza sorridere, tuttavia con il solito tono mellifluo e pacato, «Il re sta per fare un proclama… sarebbe opportuna anche la vostra presenza, così come quella di altri dignitari del palazzo»
                «È una richiesta» rispose dunque la signora, con una domanda, «o un comando?»
                «La definirei una garbata imposizione. Non ho l’ordine di farvi uccidere in caso di vostro dissenso, se è questo che mi domandate; ma ho quello di eventualmente trascinarvi con la forza. Il re richiede la presenza anche del piccolo Lannister»
                «Il re…» fece a questo punto Abigail con rabbia «Mio marito era il re! E adesso lo è mio figlio…»
                «Abigail… vi conosco da tanto tempo da temervi, eppure… da avere rispetto per la vostra intelligenza. Speravo che la cosa fosse ricambiata, invece a quanto pare non è così… tuttavia mi permetto comunque di rivelarvi che secondo me rimarrete a prescindere sorpresa da quello che il re dirà dal palco dell’ala nord. È vero, lui effettivamente non è ancora stato incoronato, e non ha seguito una serie di protocolli dettati dall’etichetta che presto, su mio suggerimento, provvederà a risolvere, ma… vi assicuro, signora, che anche tecnicamente, e nonostante qualsiasi opposizione – più o meno traballante – voi intendiate fare… quell’uomo è davvero il re. Vogliate prendere il bambino e seguirmi, per favore, milady»
                «No!» provò ancora, con cieca ostinatezza, l’ormai “ex” regina, ma si rese conto fin da subito che non serviva a niente. Se ne rese conto ancora prima che quel meschino di Braff le dicesse: «Mia signora: basta! Sei davvero una donna troppo bella e intelligente per umiliarti a questo modo…».
                Fu così che, scortati da forse una dozzina di uomini-bestia armati fino ai denti, la Lady e il Lord s’incamminarono verso l’ala nord. Strada facendo, Abigail si accorse di come il palazzo fosse letteralmente invaso da quelle abbiette creature puzzolenti. Qualcuna di loro era in splendida forma, qualcun’altra invece aveva l’elmo ammaccato, o gli spallacci macchiati di sangue, ma il palazzo ne era pieno. A circa metà strada, Abigail incontrò Lady Hana, anche lei naturalmente scortata da mostri. Dopodiché si aggiunsero i Lord Gushing e Pamir Gaholla, e il Gran Maestro Irwin. Anche qualche altro membro del Concilio Ristretto si aggiunse al gruppo; qualche Lord Tribuno Popolare o qualche Ambasciatore regionale. Ma Henrich Bolton – il Maestro delle Armi – non era tra loro. E sul momento Abigail non seppe se concludere che la cosa fosse per lei un bene o un male… concluse solo che aveva paura, e che tutta quella situazione… sempre di più le metteva in corpo una voglia matta di scappare quanto più lontano possibile.
                Lo straniero ammantato di viola che avrebbe preso il posto di suo marito – e di suo figlio – era già dietro le tende della grande balconata, pronto a fare il suo proclama. Con lui, naturalmente, c’era un altro cospicuo gruppo di mostri dalle fattezze animali, ma non c’era anche quell’ometto biondo armato di martello che lo aveva scortato nelle segrete dove Braff aveva ucciso Axelion. C’era quell’altro: il terribile diavolo vestito di abiti principeschi color blu, con mantellina gialla e piccola coroncina da baronetto sulla testa, e poi… un ghignante nerissimo teschio nudo al posto della faccia. Al solo vederlo, l’orrore per la Lady fu talmente grande che quasi perse i sensi. Ma si fece forza, chiuse gli occhi, fece un bel respiro, e insieme a tutti gli altri notabili del regno varcò la soglia del balcone.
                Una folla era stata radunata alla meno peggio. Una folla di cittadini confusi, gli stessi che per mesi si erano ribellati e che adesso, invece, si lasciavano comandare a capo chino dai mostri che avevano invaso la loro città. Ma, nonostante tutto, alla fin fine Abigail avrebbe detto che la piazza fosse più piena di uomini dell’esercito – appartenuti alla compagine sconfitta o a quella vittoriosa – piuttosto che di liberi cittadini, che pure c’erano… ma erano assai inferiori di numero.
                «Cittadini di Roccia del Re!» esordì il nuovo re, con parole classiche ma, a giudizio di Abigail, anche piuttosto banali, «Il legittimo sovrano del Regno Unificato è tornato a sedersi sul trono che gli spetta. Un ritorno che garantirà il benessere di tutti quelli che vorranno considerarsi suoi sudditi. Da questo momento in poi io assicuro anni non solo di pace e concordia tra le regioni che compongono questo grande Regno, da nord a sud e da est ad ovest, ma anche imperiture pace e concordia tra tutti gli uomini e le donne che lo abitano. Rallegratevi dunque, e siate gioiosi! Il mio nome… è Gabryaerys Naharis. E mia madre era Daenerys, nata dalla tempesta. Della Casa Targaryen».
   
 
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