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Autore: Happy_Pumpkin    05/05/2009    1 recensioni
Siamo tutti farfalle che cercano di sopravvivere tra i venti turbinosi chiamati imprevisti.
L'incontro finale tra Yoite e Miharu... un possibile futuro nel quale non si dovrà più fuggire. Assolutamente niente spoiler.
Genere: Malinconico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: What if? (E se ...) | Avvertimenti: nessuno
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yoite

Consiglio di leggere questa fiction ascoltando nella parte iniziale Fragments of Memory e nella seconda parte Aerith's Theme





Questa meravigliosa icon è stata fatta da Princess21ssj *O*
Unica e sola autrice: prendetela senza il suo permesso e se ve la trovo siete morti ^_____^


Farfalle di luce





Un fiotto di luce del primo mattino filtrò attraverso la vetrata rotta del rosone, illuminando con più forza la navata centrale della chiesa; la polvere ondeggiava lentamente, accumulata
nel corso degli anni tra le fessure delle colonne marmoree – simile alle rughe di una nonna che guardava i nipotini scorrazzare in casa, seduta presso la propria sedia a dondolo.
Yoite rimase seduto in silenzio con Miharu accanto, entrambi accomodati su una delle panche in legno che scricchiolavano sotto il loro peso inconsistente. Nessuno dei due era riuscito a portare avanti il discorso, fu come se all'improvviso ogni parola avesse perso il proprio significato.
Ad un certo punto Yoite venne illuminato dalla luce del sole, una mano materna che lo accarezzò sul volto pallido per fargli chiudere gli occhi; il ragazzo si abbassò con un gesto delicato il cappello, nascondendo il mento nel collo alto del maglione.
Miharu si voltò verso di lui e lo fissò, dicendogli colpevole:
“Non ho mantenuto la mia promessa, Yoite.”
Il suo labbro si incrinò appena perché avrebbe voluto gridare – sì, c'era una parte di sé che insisteva per comportarsi stupidamente seppur con affetto sincero.
Il suo vicino aprì leggermente la bocca ma rimase muto; spalancò di poco gli occhi nel paradossale tentativo di inghiottire le sue paure, lasciandole fuggire oltre la cornea dilatata.
Non era scomparso nella maniera desiderata. Giorno dopo giorno si rifugiava in una chiesa vuota, come per scappare da quei raggi solari che pure riuscivano sempre a trovarlo; lui in fondo esisteva, non sarebbe mai stato evanescente come avrebbe voluto essere.
Però, nelle ore passate silenzioso a inspirare l'odore fresco della chiesa, misto ad un leggero aroma di incenso, Yoite si era reso conto che il miracolo della vita al di fuori di quelle mura continuava; i fiori sbocciavano dopo l'inverno, la fauna resuscitava dal sonno celebrando la primavera: solo lui, stanco di provare a risorgere, rimaneva nascosto per aspettare di eclissarsi, ultimo sole invernale.
“Un giorno – disse questi improvvisamente, fissando un punto indefinito dell'altare – ho visto un bozzolo di bruco. Stava chiuso in sé stesso e sembrava destinato a morire: si era seccato ma, ostinatamente, continuava a rimanere aggrappato al ramo di un albero.”
Sospirò e Miharu, girandosi completamente verso di lui, lo stette a guardare silenzioso.
Yoite volse la testa in direzione del ragazzino e si concesse un tentativo di sorriso, debole ma di una dolcezza quasi nostalgica.
“Improvvisamente... è diventato una farfalla.
Il guscio secco si è sgretolato lentamente e il bruco, trasformato in una creatura bellissima, ha sbattuto un paio di volte le ali poi... ha spiccato il volo: una bellissima farfalla dalle ali blu si è elevata in cielo. Io invece avevo creduto che fosse destinata a morire.”
Quando disse quelle ultime parole il suo sguardo si fece più sofferente e gli occhi si chiusero lentamente, ancora accecati dal sole.
Miharu gli strinse una mano, avvertendo quelle dita sottili tra le sue – altrettanto fragili – e replicò con forza, quasi con entusiasmo:
“Allora prova ad essere tu quella farfalla, Yoite.”
Quest'ultimo si mostrò apertamente sorpreso, ebbe l'espressione di chi avesse appena ricevuto una carezza in viso dopo aver creduto di venire schiaffeggiato.
“Ma non posso. Io sono solo uno sterile bozzolo prosciugato... così vuoto all'interno. Come faccio a diventare qualcosa di bello se dentro di me non ho nulla?”
Miharu scosse la testa, stringendo più energicamente la mano:
“Non è vero: hai me. Io... sono qui perché non voglio abbandonarti.”
Io ho abbandonato te, Miharu.” ammise tristemente Yoite.
“Finiscila di dire così! - esclamò all'improvviso il ragazzino, alzandosi in piedi – Tu sei importante per gli altri, non ti sembra un motivo sufficiente per vivere?”
Lo prese per le spalle, costringendolo a guardarlo in quei grandi occhi che avevano conosciuto un tempo l'indifferenza ma che ora erano travolti da un insieme di sentimenti; si accumulavano in una spirale di sublime confusione, come la tavolozza di un pittore malamente gestita da un assistente incauto che – con un gesto affrettato del pennello – aveva mischiato i vari colori in una massa caotica.
Il ragazzo in un primo momento non seppe in che modo reagire, rimase a fissare Miharu che con insolita decisione non distolse gli occhi da lui; si voltò quindi in direzione del fascio di luce: la polvere danzava leggera, padrona solitaria di quel luogo dimenticato.
Infine accennando ad un sorriso concesse:
“Allora ti chiedo quest'ultimo favore: aiutami ad uscire dal mio bozzolo.”
Il possessore dell'arte segreta annuì con fare rassicurante ed aggiunse, socchiudendo le palpebre:
“Insieme ce la faremo.”
Miharu
, farfalla fragile, aveva iniziato da poco a volteggiare nel mondo; era andato incontro a venti che l'avevano fatto turbinare incerto, come se sbattere le ali lo facesse indietreggiare anziché progredire.
Per un lungo, interminabile, momento aveva desiderato cessare di volare per lasciarsi trascinare dal vento, sembrava così facile ed immediato d'altra parte. Non aveva alcun senso lottare se tutto andava contro di sé e lo investiva, facendogli perdere il controllo.

Finché scoprì di non essere solo: tante altre farfalle, come lui, cercavano di resistere ai soffi della vita. Ostinate, dai mille colori, volteggiavano lottando per quel poco che restava da vivere, con il solo obiettivo di non diventare un'aquilone ma parte del vento; fratello e sorella che giocavano insieme librandosi nel cielo.
Era così che voleva vivere: libero. Tenendo per mano i propri dubbi come le proprie certezze.
Allora senza esitare oltre Miharu abbracciò Yoite con forza; quest'ultimo rimase immobile, spalancando gli occhi sconvolto, mentre il cappello era volato leggero alle sue spalle per poi cadere sul freddo pavimento in marmo.
Silenzioso infine il ragazzo abbracciò a sua volta Miharu, affondando nelle sue spalle magre come una nave che – priva di capitano – aspettava semplicemente di incagliarsi tra gli scogli, al solo scopo di lasciarsi avvolgere per sempre dal mare senza dover far ritorno ad un porto sconosciuto.



*°*°*°*



Yoite riaprì lentamente gli occhi. Il sole di mezzogiorno gli lambì la pelle; l'ombra dell'albero sotto al quale si era rifugiato si era spostata, simile ad un bambino dispettoso.

Continuò a tenere la schiena appoggiata al tronco nodoso ma voltò la testa in direzione di Miharu che stava seduto dandogli le spalle, intento a guardare la sconfinata pianura ai loro piedi. Poi mormorò stropicciandosi pigramente gli occhi:
“Ho dormito tanto, non è vero?”
Miharu si voltò verso di lui e sorrise, allegro:
“Giusto un po', ma non è un problema. Raimei sta preparando il pranzo, quindi ti capisco se non avrai voglia di mangiare.”
Yoite ridacchiò; si alzò in piedi e si sedette lentamente accanto a Miharu, distendendo in avanti le braccia dopo averle poggiate sulle ginocchia. Si aggiustò il cappello sulla fronte, infine incurvò leggermente le spalle nel tentativo di raggomitolarsi su sé stesso.
Miharu si lasciò andare, sdraiandosi sull'erba smeraldina dal colore dei suoi occhi; quando la schiena toccò terra espirò lentamente, concedendosi un sorriso liberatorio. Al suo fianco Yoite lo osservò, voltandosi quasi con delicatezza, come se avesse paura di scomporre quella posa per lui così protettiva; alzò infine gli occhi verso il cielo e i raggi solari gli illuminarono il volto pallido, visto che nessuna nuvola sembrava intenzionata a schermarlo.
“Non credevo potesse essere così bello.” commentò il ragazzino contemplando il cielo terso.
“Che cosa?” chiese Yoite, lasciando correre lo sguardo verso l'orizzonte.
“Il sole.” ammise Miharu.
Sempre lui, con i suoi raggi. Lui che scovava Yoite anche quando si nascondeva dal mondo; non importava: ovunque fosse, trovava sempre il modo per raggiungerlo e impedirgli di vedere.
“Vorrei poterlo ammirare un giorno.” confessò Yoite, girando la testa verso l'amico.
Senza aspettare un'eventuale replica si sdraiò lentamente sull'erba, come se fosse stato un anziano timoroso di ritrovarsi paralizzato, oppure uno stanco pugile con qualche costola rotta di troppo. Socchiuse le palpebre e aspettò silenzioso che Miharu parlasse.
Quest'ultimo improvvisamente osservò:
“Non puoi vedere il sole o rischieresti di diventare cieco. Eppure... siamo proprio uguali a lui: gli altri non si sono avvicinati a noi perché avevano paura di rimanere feriti; quanto ci siamo cullati in questa convinzione, l'abbiamo persino usata per nutrire la nostra solitudine. In realtà è molto più semplice di quanto non credessimo.”
Guardò Yoite e i loro occhi, un tempo sofferenti, si incontrarono.
“Lo è davvero, Miharu?” chiese il ragazzo, mentre il cappello aveva abbandonato silenzioso la sua testa; i capelli scuri, liberi, fluirono come una cascata verso il prato accarezzando la fronte.
“Basta chiudere gli occhi e volgersi nella sua direzione.”
“Ma così non puoi guardarlo direttamente.” mormorò pensoso.
“No – Miharu fece un accenno di risata, poi aggiunse – ma almeno non devi fuggire da lui, è questo ciò che conta. Non allontanarci da ciò che ci fa vivere.”

E noi, Yoite, insieme siamo rimasti. Non siamo scappati.

Il giovane possessore del kira non disse nulla, si limitò infatti a girare la testa rivolgendola verso il cielo; chiuse gli occhi e per la prima volta non distolse lo sguardo dal sole: rimase immobile – con le labbra leggermente secche appena dischiuse – a lasciarsi scaldare da quelle mani trasparenti ma piene di calore.
Non poteva vedere il disco solare ma sentiva come mai gli era capitato il bruciore sulle guance, il caldo al collo, all'improvviso gli sembrò persino di dimenticarsi cosa fosse il freddo: tutto pareva così sfolgorante di vita da fargli credere che l'universo intero altro non fosse che una gigantesca macchia di luce.
Allora allargò le braccia, nuotatore nell'oceano luminoso, e respirò lentamente. Quello voleva dire essere vivi: percepire il calore, la terra, l'aria; lui stesso era divenuto parte di quel mondo, senza che si trovasse costretto ad evitarlo.
Improvvisamente sentì la mano di Miharu stringergli la propria; anche lui aveva spalancato le braccia e attendeva che il tempo scorresse, secondo dopo secondo. In quel momento Yoite aprì leggermente gli occhi e scrutò il ragazzino che lo aveva salvato.
Respirava piano, silenzioso.
Improvvisamente una farfalla si andò a posare sul suo naso, sbattendo lentamente le ali blu; rimase un solo istante in equilibrio e poi si librò in volo, fuggendo lontano ma quella volta senza vento che le impedisse di dirigersi ovunque volesse. Yoite la seguì con lo sguardo fino a che la creatura non scomparve dalla sua vista, in cerca di un petalo bello quanto Miharu su cui adagiarsi.
Sorrise.
Non poteva volare perché non possedeva ali ma aveva capito di essere differente dal bozzolo sterile che credeva: era vita, respiro, forse anche paura... questo bastava per fargli accettare la sua esistenza, proprio mentre teneva la mano che avrebbe dovuto un giorno cancellarlo.

Il mondo è pieno di farfalle colorate, dalla vita effimera e dal volo leggero: ondeggiano tra i petali variopinti gareggiando in bellezza con essi, fino a che non scelgono il fiore più bello dove lasciarsi lentamente morire, annegando in un oceano di colori stordite da profumi inebrianti.
Se Yoite fosse stato una farfalla già sapeva quale sarebbe stato il fiore prediletto sul quale spegnersi come un bambino stanco, cullato dal vento e coccolato dal sole.

Miharu...






Sproloqui di una zucca



Eccomi qui a tormentare ancora i gentili lettori con una nuova shot su Nabari ^^
E' una what if di speranza, il mio personale finale di Nabari (che non so come si concluderà e non voglio saperlo, stasera mi porterò avanti u_u). Ho scritto queste righe ascoltando le canzoni sopracitate - appartenenti alla serie di Final Fantasy - e, lo ammetto senza vergogna, rileggendo mi sono messa a piangere.
Mi piace immaginare Yoite e Miharu insieme, anni dopo, sdraiati su un prato mentre Raimei aiutata da Koichi tenta di preparare un pranzo decente per tutti... perché meritano la pace che hanno sempre cercato.
L'ambientazione è un po' indefinita ma credo sia giusto così: un sogno evanescente.
Se solo sapessi graficare metterei a inizio fiction un'immagine che mostri Miharu e Yoite circondati da farfalle... massì, lasciate perdere i miei deliri da ricerca di icons.
Alla prossima! *__*

Approfitto di quest'angolino per ringraziare le persone che hanno commentato l'altra mia fiction: princess21ssj, peach e PetaloDiCiliegio.
Grazie davvero, ne sono onorata! ^//^



   
 
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