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Autore: frafru88    23/09/2016    1 recensioni
Hastong Ville è sicuramente il quartiere perfetto dove vivere, vicini cordiali, belle case e strade sicure piene di alberi e fiori dove far giocare i propri figli. Tutto è perfetto ad Haston Ville, se non fosse che questo grazioso quartiere della media borghesia di Cincinnati ha catturato l'interesse di oscuri figuri. E mentre le begonie dei giardini stanno per fiorire, una serie di omicidi mette al muro il quartiere, rivelando segreti e scomode verità per troppo tempo nascoste ad occhi indiscreti.
Genere: Suspence, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna, Het | Personaggi: Altri, Homicidial Liu, Jeff the Killer
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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                        CAPITOLO 3
Il coltello affondò per l'ennesima volta nelle morbide carni della carcassa di quella che, qualche ora prima, era una donna ma che ora somigliava più a una poltiglia rossastra di organi, pelle e capelli, sparsi in giro per tutta la stanza. Le pareti bianche erano colorate dai larghi spruzzi di scure macchie rosse, il tappeto marrone, solitamente perfettamente steso ed ordinato, ora era stropicciato e sbattuto nell'angolo sinistro del letto. La stanza, sempre ben ordinata e pulita, ora era a soqquadro, le ante del grande armadio bianco era aperte ed alcuni vestiti giacevano a terra, l'alta scarpiera si era rovesciata sul pavimento con un forte botto, provocando una leggera screpolatura di alcune piastrelle di marmo scuro del pavimento.
 Il comodino in legno era caduto a terra, riversando per terra tutti gli oggetti contenuti nel cassetto, mentre la piccola lampada abajur di ceramica, regalo della madre per il suo matrimonio, era caduta a terra, rompendosi in mille pezzi. Le grandi tende di lino bianche, recise in più punti da lunghi strappi regolari, quasi fossero state tagliate da un coltello fin troppo affilato, si muovevano sommessamente, quasi rattristite, da una leggera brezza notturna, proveniente dalla grande porta finestra, leggermente aperta.
Quella che fino a quella serata era una stanza da letto, si era trasformata in un campo da guerra, una guerra tra la vita e la morte, tra l'uccidere e l'essere uccisi, tra la preda ed il cacciatore.
Dopo una buona mezz'ora di lotta, alla fine, questa guerra finì, portando al vincitore una calda sensazione di vittoria, mentre al vinto una fredda rigidità perenne.
La donna era riversa sul letto, il bianco delle lenzuola sembra volesse far risaltare ancora di più la cupa, ma la tempo stesso brillante, tonalità di rosso, che fuoriusciva copiosamente dai numerosi tagli che le bucavano il corpo, andando a formare due grandi macchie laterali che, estendendosi in modo disordinato e parallelamente alle braccia aperte, sembravano formare due macabre ali cremisi, intorno al quel corpo così malridotto.
L'uomo alzò lo sguardo per osservare il suo capolavoro e, con lo stesso coltello affilato con cui aveva ucciso la sua preda, intagliò una sottospecie di storto sorriso sbilenco sul volto della donna, squartando le sue guance, con la stessa facilità con cui un cucchiaino taglia un pezzo di burro.
Questa volta l'uomo provò una maggiore soddisfazione nell'ucciderla, era molto tempo che una sua preda lottasse così tanto per sopravvivere, alla fine era stato costretto a portarla sull'orlo dell'asfissia, strangolandola con il cavo del mouse del computer, senza però ucciderla, ma lasciandola in uno stato di semicoscienza, la sua disperata forza di sopravvivenza l'aveva colpito, per questo aveva voluto che guardasse negli occhi il suo assassino, mentre questi le rubava, colpo dopo colpo, la vita. Unica e sola cortesia che riservava solo alle prede che lo colpivano, in qualche modo.
L'assassino, dopo aver dato un' ultima occhiata al cadavere, si diresse verso la parete a sinistra del letto, pronto per lasciare la sua solita firma d'autore sulla sua nuova opera d'arte, quando, però, notò alcuni documenti che uscivano da uno dei cassetti del comodino. Ne prese in mano un paio per leggerli, non aveva fretta, sapeva che nel vicinato vivevano solo vecchi sordi che, durante il loro sonno, non avrebbero sentito neppure l'esplosione prodotta da un attentato, figurarsi qualche lampada rotta a terra, il cadavere, nel migliore dei casi, sarebbe stato scoperto solo il giorno dopo, quando lui sarebbe stato già troppo lontano per essere anche solo avvistato.
L'uomo cercò di concentrarsi il più possibile sul fitto testo scritto in piccoli caratteri, la stanza, a parte una flebile luce prodotta dai uno dei lampioni fuori, era completamente buia e, sicuramente, lo stato in cui erano i suoi occhi non aiutava.
Dopo all'incirca un quarto d'ora, riuscì a capire buona parte del testo, si trattava di una relazione di una professoressa su una classe di letteratura inglese del secondo anno, di una scuola liceale poco di stante dal centro città.
Il killer sorrise, irrigidendo i muscoli della mandibola, ormai quasi del tutto debilitati a causa dei vecchi squarci e di un'infezione, da poco guarita.
 Gli era venuta un'idea.
Si girò dalla parte opposta e ritorno accanto al cadavere che, ormai, era diventato pallido e freddo e, posando una mano sulla fronte, spostando alcune ciocche bionde dal viso rigido, disse
"Bene Miss Liddle, che ne dici se andiamo a fare un salutino ai tuoi cari scolaretti ?"
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Il detective Lucas Preschott fissava in cagnesco la grande lavagna davanti a lui, mentre i suoi nervi, già di per sé poco saldi, stavano per esplodere nuovamente, a causa della continua frustrazione, che aveva cercato di sopprimere nei giorni precedenti, ma che adesso stava pericolosamente per eruttare fuori, in tutta la sua potenza.
Davanti a sé aveva decine di foto di persone e cadaveri ed altrettanti dati ed alibi che scagionavano più della metà degli indiziati che erano riusciti ad identificare fino ad allora.
Sembrava che tutto il lavoro svolto in quei cinque lunghi anni non fosse servito a nulla, era ormai troppo tempo che lavorava a quel caso, riuscendo, tramite conoscenze ed incarichi speciali, a spostarsi di Stato in Stato, seguendo la scia di sangue che l'assassino portava con sé. Sembrava stesse giocando con loro, prima attaccava una città e suoi dintorni, poi non si faceva vivo per settimane, rischiando di far cadere il caso in prescrizione e far diventare tutto il lavoro svolto fino a quel momento, una disordinata pila di fogli, impilati assieme ad altre decine, nel reparto dei casi irrisolti, per poi mostrarsi nuovamente in un altro Stato, con la stessa potenza distruttiva ed omicida di sempre.
"Smiler Killer", così avevano deciso di nominarlo, questo per uno dei segni particolari che lasciava sulle sue vittime, un inquietante sorriso inciso. Secondo i medici legali, l'incisione è avvenuta sempre poco dopo la morte, ciò si significa che il soggetto la usava come sorta di marchio di fabbrica, un segno di riconoscimento.
Gli altri due particolari ricorrenti erano la firma, una scritta, solitamente trovata sul muro più vicino al letto della vittima, fatta con il sangue della stessa vittima "go to sleep", sembrava quasi una presa per il culo verso le sue vittime, queste avrebbero comunque dormito in eterno.
Il secondo segno ricorrente in tutti i suoi omicidi è il modus operandi, tutte le vittime sono morte nello stesso identico modo, tramite una serie spropositate di coltellate, disseminate su tutto il corpo, secondo la scientifica, queste non erano mirate a una zona particolarmente mortale, come polmoni o milza, ma sono state volontariamente inflitte in zone non letali, per far morire la vittima di dissanguamento. In più tutti i cadaveri sono stati ritrovati nel proprio letto in posizione supina, come se l'assassino li avesse attaccati durante la notte.
Il terzo ed ultimo segno ricorrente, sono le vittime stesse. Il soggetto tende a preferire quartieri benestanti, di media o alta borghesia, in cui il vicinato è solitamente tranquillo e, per lo più, abitato da anziani o famiglie con figli.
La cosa più strana, e che ha suscitato subito l'interesse di tutte le forze dell'ordine che si occupavano del caso, era che, non ostante prediligesse tali quartieri, il soggetto non avesse mai  rubato nulla, solitamente quando un assassino attacca certi quartieri, lo fa per rapinare i residenti o, in caso in cui voglia solo uccidere, tende comunque a rubare qualcosa per cercare di far sviare i sospetti, lui no.
Quel bastardo non aveva paura di essere scoperto, non aveva neppure la briga di creare un teatrino che portasse la polizia sulla strada sbagliata. Lucas ed altri suoi colleghi pensavano che un soggetto con tale senso di onnipotenza e narcisismo avrebbe finito per commettere un errore, anche il più piccolo, per permettere loro di identificarlo e prenderlo.
Quello stronzo, invece, oltre che furbo, era anche fin troppo intelligente, non hanno mai trovato nulla che li aiutasse, mai un capello, mai un pezzo di vestito, un testimone , neppure un'impronta digitale, niente di niente, sembrava quasi un fantasma.
Lucas prese in mano un paio di fascicoli, e li sfoglio, cercando tra le righe un qualsiasi particolare sfuggito.
Il detective sospirò con frustrazione, chiudendo, per qualche minuto, gli occhi neri e stanchi, mentre con una mano si massaggiava dolorosamente le tempie.
Prima New York, poi Chicago, Los Angeles, Las Vegas, Prescott, Sacramento e ora Cincinnati, sembrava che il percorso che faceva non avesse alcun senso logico.
"Ah... Caffè, mi serve del caffè"
Il detective si stava dirigendo verso la macchinetta per le bevande calde, quando un poliziotto lo richiamò
"Detective Preschott, il fratello di Sarah Liddle è qui, ha detto che è venuto a portare gli ultimi oggetti personali della vittima"
Lucas si scompigliò i corti capelli scuri, ormai tendenti leggermente al grigio. A quanto pare il caffè avrebbe dovuto aspettare, come sempre.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Il ragazzo si svegliò , aprendo pigramente i grandi occhi verdi, la luce fredda della lampada lo accecò solo per un momento, aumentando il suo malditesta.
Si sentiva stanco e spossato, non ostante passasse più della metà del suo tempo a letto, a causa degli psicofarmaci che prendeva quotidianamente. Non ostante la sua carnagione fosse olivastra di natura, tendeva a diventare un po' più pallida ogni giorno.
Il ragazzo si izzò con le braccia, riuscendo a mettersi seduto, mentre finiva di svegliarsi del tutto.
D'improvviso, sentì la porta bussare, sapeva chi fosse e, non ostante fosse abituato a tale routine, non riusciva ancora a sentirsi a suo agio.
"Avanti"
La dottoressa entrò nella stanza con un grande sorriso, forse un po' troppo solare, per i gusti del ragazzo.
I lunghi capelli rossi ricci della dottoressa Brouse, erano raccolti, come quasi tutte le volte, in una coda di cavallo, i piccoli occhi castani erano resi ancora più stretti, a causa delle grandi lenti degli occhiali da vista.
La giovane dottoressa si avvicinò al letto, appoggiandosi leggermente al lato più esterno e sfogliando una grande cartella marrone, al cui esterno c'era scritto il nome del ragazzo.
"Bene, come andiamo oggi?"
Il ragazzo rispose con un'alzata di spalla
"Bene... Allora che ne dici parlarmi di quando hai provato a suicidarti, David?"
 
 
 
 
 
 
 
 
 
ANGOLO DELL'AUTRICE
Eilà!!!! Eccomi qua con il terzo capito!
Questo è un capitolo importante, poiché ha introdotto uno dei personaggi più importanti, il detective della situazione. Lo so che di solito, in queste storie, i detective e la polizia, in generale, non contano molto, ma io cercherò di dar loro una certa importanza.
E... Si, nel finale c'è proprio il fantomatico David del secondo capitolo! Non voglio spoilerarvi nulla, ma vi posso dire che la sua storia non è molto scontata, anzi tutto il contrario!
Infine, in questo capitolo ho parlato anche di Sarah Liddle (dal primo capitolo), l'ho fatto per un motivo specifico, che capirete, poi, durante la storia.
Beh, direi che per ora è tutto! Ci si risente per il prossimo capitolo! =)
   
 
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