Fanfic su artisti musicali > The GazettE
Ricorda la storia  |      
Autore: VmpAnna    23/09/2016    1 recensioni
Tratti spigolosi stuprano con violenza il foglio bianco, il ritmo incalza frenetico e, senza esitazione, la mia mano dipinge la storia che danza sulle note della melodia di Uruha.
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Ruki
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Questa piccola shot è nata leggendo un'intervista nella quale Ruki parlava di DERACINE e di come lui stesso, nel corso della sua vita, abbia spesso sentito il bisogno di strappare quelle radici che lo ancoravano a qualcosa, soprattutto nei rapporti personali (povero Ruki, diciamo che non ha avuto proprio un'infanzia felice da quello che sappiamo), altre cose sono venute fuori da diverse interviste del passato, altre cose sono "romanzate".
Ci sono alcuni passaggi un po' "criptici" ma se li avessi spiegati troppo avrebbero perso di incisività a mio avviso.
La traduzione di DERACINE è mia, ero indecisa se aggiungerla o meno, ma credo che completi la storia, potete tranquillamente saltarla se volete.
L'edit dell'heading è mio.

Grazie a Federica che, come sempre sopporta i miei skleri ed è stata la prima a leggerla.
Grazie a Ruya che, sebbene sia ormai fuori dal fandom dei Gaze, ha voluto leggerla ugualmente.

Spero vi piaccia, se vi va recensite!
Grazie a chi leggerà!

Anna


「根無し草」 NENASHIGUSA – SENZA RADICI

 
È una tiepida domenica di primavera, una di quelle pigre, sonnacchiose.
Sono in casa, disteso sul tappeto, Koron addormentato in grembo.
L’odore di fumo della sigaretta si mischia al leggero profumo di fiori che entra dalla porta-finestra.
Dovrei lavorare, l’estate inesorabilmente si avvicina e ci sono ancora tante cose da rivedere, sistemare, concludere, ma oggi la mia mente è altrove, è volata in un passato che speravo fosse sepolto una volta per tutte, in quella città, lungo quelle strade che mi stavano strette addosso come un paio di jeans della taglia sbagliata.
E fuori dal cancello di quella casa troppo grande, lo vedo.
Capelli biondi spettinati, giubbino di pelle, dita dalle unghie smaltate di nero che stringono una sigaretta, espressione imbronciata, sguardo triste.
Takanori.
Takanori e il silenzioso dolore che si porta dentro.
Come nella favola di Dickens, le note di Uruha mi hanno preso per mano e condotto faccia a faccia con il me del passato, l’altro lato di Ruki, un’ombra che ho sempre voluto strapparmi di dosso: Takanori, la mia debolezza.
 
A quel tempo la situazione aveva già superato il punto del non-ritorno e per la mia famiglia io ero una specie di cellula cancerogena da estirpare per mantenere efficiente, perfetta e in salute quella macchina mostruosa che era la dinastia Matsumoto.
Tutti i lati 「marci」 della mia persona erano venuti alla luce e ogni volta che gli occhi di mio padre si posavano su di me, avevo la sensazione che stesse guardando la carcassa di uno scarafaggio.
Leggevo la stessa cosa dietro al velo di perbenismo che mascherava gli occhi di mia madre.
Quel dolore che provavo allora all’improvviso torna a stringermi la gola come un cappio mentre Takanori con il piede schiaccia il mozzicone di sigaretta, tira fuori le chiavi dalla tasca destra del giubbino e scompare dietro alla porta.
Lo seguo, un fantasma invisibile.
In casa regna un silenzio che sa di solitudine, quel silenzio che conosco troppo bene e che per tanti anni mi ha intossicato il sangue.
Cercando di non fare rumore, Takanori si libera degli anfibi pieni di graffi, graffi che li attraversano come cicatrici; con passi lenti percorre il corridoio lanciando uno sguardo incerto verso il soggiorno, sussulta, abbassa il capo e si rifugia nella sua stanza, chiudendosi il mondo alle spalle.
Sorrido amaro, nel mio cuore l’eco dei suoi sentimenti.
So benissimo quale scena abbia provocato una tale reazione in Takanori ma ugualmente mi volto a guardare: seduti al tavolino, l’uno di fronte all’altra, come due statue immobili nel tempo, i miei genitori.
 
「Padre」 「Madre」
 
Sento un altro piccolo pezzo del mio cuore diventare polvere, dopo tutti questi anni continua a fare male, continuo a sentirmi come se mi strappassero via la pelle esponendo la mia carne viva.
Allontano gli occhi da quella amara visione e raggiungo il me stesso di allora.
 
Takanori è seduto sotto la finestra, la testa affondata tra le ginocchia strette al petto, le spalle attraversate da leggeri tremori, sta piangendo silenziosamente, lottando contro una sofferenza che lo sta sopraffacendo trascinandolo in un abisso di disperazione.
Le pareti della camera sono divenute tristemente spoglie, sulla libreria gli spazi vuoti riflettono lo stesso vuoto del cuore e, nell’angolo vicino al letto, l’assenza di quella forma familiare è dolorosa come un arto amputato.
Gli hanno portato via tutto, i suoi sogni, le sue speranze, hanno reciso l’ultimo filo che lo teneva ancora legato alla vita, gli hanno portato via la sua musica.
 
Chiudo gli occhi, non posso sopportare la pioggia gelida che sta inzuppando quel corpo minuto raggomitolato su se stesso.
Quando li riapro, lo scenario è mutato, un Takanori cresciuto, nascosto dietro un paio di occhiali da sole troppo grandi per il suo piccolo viso, seduto sulla sponda del fiume canticchia una melodia che non riconosco, forse una di quelle andate perdute persino nella mia memoria, fuma e strappa distrattamente dei fili d’erba.
Quando il tramonto inizia a colorare il paesaggio, ripone il blocco da disegno nella cartella, si alza scrollando via la polvere dai pantaloni della divisa scolastica e prende la strada di casa.
Ricordo fin troppo bene questo giorno...
Con un macigno sul cuore seguo la sua ombra allungata che, inconsapevole, si dirige verso il patibolo.
 
La stanza è completamente in disordine, come se fosse stata lasciata all’abbandono da anni; osservo l’espressione smarrita di Takanori, i suoi occhi che scorrono sugli oggetti impolverati e alla fine vengono catturati da quel lungo foglio bianco adagiato sul letto disfatto, una specie di pergamena scritta a mano con una grafia netta, severa
 
「La tua persona non è più la benvenuta in questa casa, i nostri vincoli familiari sono recisi」
 
Poche parole scritte verticalmente, in modo formale.
La porta si apre e Takanori fugge via, fugge lontano da quel foglio di carta, da quella casa, da quella famiglia, da quel disprezzo, sulle spalle uno zaino con dentro quel che resta della sua vita.
Oggi è la fine di tutto...Oggi è l’inizio di tutto.
 
Ricordo il dolore, il vuoto, la solitudine che in quel momento mi erano piombati addosso, proprio ora posso vederli riflessi negli occhi di Takanori mentre corre senza una meta, senza una casa, senza nessuno, senza speranza...
Takanori corre nella notte e io posso sentire il suo grido silenzioso.
Rannicchiato come un gatto randagio sotto un ponte, tra le lacrime si chiede cosa ne sarà di lui.
Io vorrei abbracciarlo e dirgli di non piangere più perché, anche se ora è triste, un giorno tornerà ad essere felice, perché , anche se ora non c’è amore nella sua vita, un giorno ce ne sarà così tanto che a stento il suo cuore riuscirà a contenerlo tutto; un giorno quel buco al centro del petto sarà colmato da una grande famiglia, quella famiglia che ha sempre desiderato.
 
Credo sia stato qui, sotto questo ponte, che qualcosa in Takanori si è rotto, credo sia stato questo il momento in cui IO ho iniziato a pensare che sarebbe meglio essere un randagio, non appartenere a nessuno, non avere radici ma, poiché è impossibile che queste radici non attecchiscano, appena avverto che stanno diventando più forti, ancorandomi, inizio a strapparle con le mie stesse mani.
Ho agito così nei confronti dei luoghi, delle cose e soprattutto delle persone, ho fatto affidamento solo su me stesso, senza aver bisogno di amici,  un animale selvatico che combatte contro tutto e contro tutti.
Takanori adesso non lo sa, quell’orgoglio che ostenta, quella ribellione di cui si veste come un’armatura, altro non sono che paura, paura di essere tradito, ancora una volta.
Sta sperimentando una solitudine diversa, una solitudine in cui può perdere se stesso.
 
Vorrei tornare a stendermi su quel tappeto per sentirmi almeno un po’ al sicuro, a casa, ma la mente mi obbliga a guardare me stesso crescere, mentre gli scenari si susseguono sfumando gli uni negli altri insieme ad un turbinio indistinto di volti.
Un garage umido, cinque ombre, quanti anni sono trascorsi?
Note graffianti che urlano rabbia, una voce acerba che canta un amore immaturo, un addio, un rimpianto.
Takanori e il sogno al quale si è aggrappato con tutte le sue forze per non essere risucchiato nell’abisso del nulla.
E passo dopo passo, una porta in faccia dopo l’altra, quel sogno inizia  prendere forma e vedo Takanori stringere tra le mani una piccola custodia in plastica
 
[別れ道]
 
Non riesco a trattenere le lacrime davanti ai suoi occhi che splendono di orgoglio...ce l’hai fatta...ce l’abbiamo fatta!
 
Takanori in una stanza, la cornetta del telefono schiacciata sulla guancia, l’espressione confusa, gli occhi lucidi.
Il mio cuore perde un battito, è QUEL giorno.
Voci che pensavo non avrei più ascoltato, quella lenta e cadenzata di mia madre, quella composta e profonda di mio padre.
Takanori, quel passato doloroso è tornato a bussare al tuo cuore e tu lo lascerai entrare, nonostante le ferite brucino ancora, perché tutto quello che hai sempre voluto è amore, una famiglia, degli amici; la verità è che non hai mai voluto essere solo.
Basta una parola per far crollare i tuoi muri
 
「yoroshiku」
 
Ricordo perfettamente il primo live a cui hanno assistito, era la prima volta, dopo anni, in cui ci incontravamo nuovamente, ero spaventato e il cuore batteva così forte da farmi quasi male, un’emozione ancora più sconvolgente di quella del live stesso.
Nel backstage le mani mi tremavano e un sudore gelido mi scivolava sulla pelle come azoto liquido.
 
Le luci poco a poco dissipano l’oscurità, l’auditorium è avvolto nel silenzio di una trepida attesa, le note stanno per lacerare l’aria.
Sul palco Takanori e Ruki sfumano l’uno nell’altro.
Chiudo gli occhi, la musica esplode, sento il calore dei riflettori sulla mia pelle, le vibrazioni mi attraversano le vene, apro gli occhi e la mia voce inizia a raccontare una storia, la mia storia, la storia di tanti come me.
Le immagini inseguono le parole, passato e presente si confondono, solitudine, rabbia, sconforto, paura, sogni...
 
「Avevo una famiglia meravigliosa e degli amici fantastici...」
 
la voce muore in gola e la visuale si deforma, tutto quello che era stato sigillato in profondità risale in superficie e rompe gli argini come un fiume in piena.
Affondo il viso nel braccio sinistro per nascondere quelle lacrime che mi stanno scarnificando la pelle del viso.
Il tempo sembra essersi fermato, sollevo lo sguardo e incontro gli occhi lucidi di mio padre, è la prima volta che vedo le sue lacrime, ma il Ruki del presente sa che sarà anche l’ultima.
Eppure l’emozione esplode ancora fortissima, nonostante tutto sono ancora quel bambino che ha solo bisogno di sentire l’incoraggiante tocco delle mani di mamma e papà, le loro voci come luci sul cammino della vita.
La musica lentamente si spegne e il buio cala su di me come un sipario alla fine dello spettacolo.
 
Uno squillo mi riporta al presente, apro gli occhi, Koron si stiracchia sul mio petto e mi guarda perplesso, prendo il cellulare, il nome di Kouyou lampeggia sullo sfondo del suo viso sorridente; quel sorriso durante tutti questi anni è stato uno dei pilastri che mi ha sorretto, se non ci fosse stato lui probabilmente sarei affondato tanto tempo fa, come una nave troppo vecchia.
Lascio che gli squilli si spengano, so perfettamente il motivo di questa chiamata ma adesso proprio non me la sento di parlare, ho bisogno di scrollarmi di dosso il passato che mi ha avvolto come un pesante mantello, ho bisogno di rinchiudere di nuovo Takanori in una gabbia nel profondo del mio abisso.
Metto il guinzaglio alla piccola peste, spero che una passeggiata all’aria aperta spazzi via le nubi che si rincorrono nella mia mente.
Il crepuscolo sta scendendo sulla città, anche l’aria si è fatta più fresca e si intrufola dispettosa nella felpa troppo larga facendomi rabbrividire.
Nonostante abbia indossato il cappello, gli occhiali da sole e la mascherina, cammino con il viso basso osservando Koron che annusa curioso ogni centimetro del nostro abituale percorso; vorrei solo scomparire in questa moltitudine di volti anonimi.
Mentre percorro le strade illuminate, le note della melodia di Uruha riecheggiano nella mia testa: lacrime che si confondono con gocce di pioggia autunnale si trasformano in un cuore che palpita di fronte ad una realtà inaccettabile e poi disperazione, rabbia, rifiuto e di nuovo lacrime e tristezza, in un doloroso vortice senza fine.
Ha la stessa forma della mia vita nella sua eterna lotta tra passato e presente, tra affetti e solitudine, tra Takanori e Ruki.
Eppure le parole rimangono ancora incastrate in qualche vicolo cieco del mio cervello, come un feto incompleto fluttuante nell’utero...
La voce impastata di lacrime di un bambino mi strappa via da questi pensieri, mi volto e lo vedo insieme a suo padre, sono davanti alla vetrina di un negozio che vende strumenti musicali.
Il bambino avrà più o meno dieci anni, le mani paffute appoggiate al vetro, fissa estasiato una chitarra rossa e subito dopo l’uomo al suo fianco che lo ricambia con un’espressione contrariata.
Mi scappa un sorriso mentre sento che la marea di ricordi comincia nuovamente a sollevarsi, giro su me stesso e inizio a camminare in direzione di casa.
Nelle orecchie un’eco di parole pesanti come macigni che conosco fin troppo bene.
 
“La musica è per i fannulloni, tu studierai, lavorerai, ti sposerai e farai dei figli, proprio come tuo padre prima di te.
I sogni sono solo un’illusione.”
 
Affretto il passo nella sera di Tokyo insieme a Koron che mi zampetta affianco, le parole stanno fluendo attraverso tutto il mio corpo, le sento strisciarmi sulla lingua bisognose di prendere forma.
 
Tratti spigolosi stuprano con violenza il foglio bianco, il ritmo incalza frenetico e, senza esitazione, la mia mano dipinge la storia che danza sulle note della melodia di Uruha.
 
 
 
 
 
 
DERACINE
 
Il destino è stato deciso
prima della nascita?
Mi sta venendo la nausea.
I sentimenti che ho nascosto
4...3...2...1
Non posso contare oltre.
Il dolore è insopportabile.
 
Intrappolato in un labirinto.
[culla e tomba]
Una ferita aperta.
Non si può tornare indietro.
Bugie, Paura, Stronzate.
 
Il mio cuore è turbato a causa tua.
 
Il destino è stato deciso
prima della nascita?
Mi sta venendo la nausea.
 
Il nostro futuro si è diviso, non ci sono parole di commozione.
Ora volerò via da quell’amore.
 
Intrappolato in un labirinto
[culla e tomba]
Una ferita aperta.
Non si può tornare indietro.
Bugie, Paura, Stronzate.
 
Vai via.
Ancora una volta
dico addio a te che odio.
Vai via.
Dico addio a te che odio.
Dimentica il tempo trascorso con me fino ad ora.
 
Il destino è stato deciso
prima della nascita?
Mi sta venendo la nausea.
 
Conosco la tua crudeltà
[Nessun limite]
I miei sentimenti per te non cambieranno mai
[Nessuna lamentela]
La mia vita ora è meschina
[Nessun limite]
Una vita di tal genere è triste
 
  
Leggi le 1 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > The GazettE / Vai alla pagina dell'autore: VmpAnna